L’atto di nascita della Corea del Sud, formalmente Repubblica di Corea, risale al periodo delle occupazioni russa e statunitense, divise dal 38° parallelo (1945), e alla successiva proclamazione della repubblica (1948). La divisione fra Nord e Sud si consolidò con la guerra di Corea (1950-53): la situazione, che non fu sbloccata durante la conferenza di Ginevra (1954), divenne una fra le tante crisi irrisolte della Guerra fredda. La Corea del Sud, strettamente legata agli Usa fino al 1960, si diede in quell’anno una nuova Costituzione che ridusse i poteri presidenziali, scelta legata agli abusi precedenti. Durante l’effimera esperienza della seconda repubblica, il governo tentò di punire chi era stato coinvolto nel precedente malcostume amministrativo. Il colpo di stato del 1961 capovolse la situazione e installò una giunta militare che esercitò il suo potere durante vari governi (o ‘repubbliche’).
Il ritorno della democrazia avvenne con la sesta repubblica (1987), quella attuale, sostenuta da manifestazioni e movimenti politici indipendenti. Fu istituita allora l’elezione presidenziale diretta e promulgata una nuova Costituzione. Il primo presidente del nuovo corso fu però Roh Tae-woo, ex generale, la cui elezione segnalava una certa continuità con il vecchio regime, sia pure in un clima meno autoritario.
Il primo presidente proveniente dalla società civile, senza un passato da militare, Kim Young-sam, fu eletto nel 1993. Uno dei leader di maggior spicco della Corea del Sud è stato il democratico Kim Dae-jung, il quale, oltre a dover affrontare la crisi economica che si abbatté violentemente sul paese nel 1997, cercò di gestire il rapporto con la Corea del Nord in maniera diversa dalle amministrazioni precedenti. Una sua storica visita a Pyeongyang, caratterizzata dall’incontro con il leader nordcoreano Kim Jong-il nel 2000, gli valse l’assegnazione del Premio Nobel per la pace. Questa attitudine al dialogo con il vicino regime di Pyeongyang ha caratterizzato anche la successiva amministrazione sudcoreana guidata dal progressista Roh Moo-hyun: anch’egli si è recato in visita in Corea del Nord sul finire del suo mandato, nel 2007. Diverso l’approccio dell’ex presidente sudcoreano Lee Myung-bak, in carica dal 2008 al 2012, che ha sposato una linea di maggiore fermezza nei confronti della Corea del Nord.
Attualmente, i principali partiti coreani sono il Saenuri (ex Grande partito nazionale) e il Partito democratico. Il primo, una fusione del Partito della nuova Corea con altri partiti minori conservatori, ha guidato il paese ininterrottamente dal 1988 al 1998, quando si imposero le forze politiche democratico-liberali con Kim Dae-jung. Queste ultime rappresentano una componente molto fluida nel panorama sudcoreano: si solo coagulate in varie formazioni, principalmente il Partito democratico del 1995 e il Partito Yeollin Uri. Alle elezioni del 2008, il fronte conservatore è riuscito a riconquistare la maggioranza dei seggi e, nel 2012, ha confermato la propria supremazia con Park Geun-hye. Quest’ultima, la prima donna presidente della Corea del Sud, è la figlia del presidente che guidò la Corea dopo il golpe militare, dal 1963 al suo assassinio, nel 1979. Geun-hye ha portato una svolta nel Saenuri: il suo programma politico si incentra sul welfare e su una politica riformatrice a vari livelli.
La Corea del Sud è una repubblica presidenziale in cui il presidente è il capo dello stato oltre che comandante delle forze armate. L’elezione è a suffragio universale diretto per un unico mandato di durata quinquennale. Il primo ministro viene nominato dal presidente della repubblica e confermato dal parlamento, l’assemblea nazionale. Il presidente ha anche il potere di nominare i ministri. L’assemblea nazionale, il ramo legislativo, ha 299 membri, eletti per un periodo di quattro anni: di questi, 243 sono eletti in collegi uninominali maggioritari, mentre 56 con il sistema proporzionale.
Con una popolazione di poco inferiore ai 50 milioni di persone, la Corea del Sud è un paese demograficamente rilevante, con un tasso di crescita demografica particolarmente basso (0,5%) e tendente allo zero (ciò avverrà tra il 2020 e il 2025, secondo il World Population Prospects). In particolare la Corea del Sud si contraddistingue per un tasso di fecondità tra i più bassi al mondo (1,24) e un’aspettativa di vita tra le più alte (80,9 anni). La combinazione di questi due fattori determina un progressivo invecchiamento della popolazione che porrà problemi rilevanti di carattere sociale ed economico.
Già nel 2000, la Corea del Sud è entrata a far parte dei paesi tecnicamente ‘vecchi’, in cui l’11,8% della popolazione ha più di 65 anni; se la situazione non dovesse modificarsi, la percentuale di anziani aumenterà fino a raggiungere il 20% della popolazione totale nel 2026. Di questo passo la Corea sarà uno dei paesi più vecchi in assoluto nel 2050. Come accade altrove, in Corea l’immigrazione non sembra in grado di modificare il trend, poiché il numero di immigrati, nonostante sia cresciuto, rimane modesto. Molti stranieri tendono a risiedere solo temporaneamente in Corea, anche per il clima sociale poco accogliente, creato, forse, dalla grande omogeneità etnica e culturale del paese. Per un’ampia parte della popolazione coreana, soprattutto quella più anziana, l’idea di una nazione multietnica o multirazziale – come gli Stati Uniti – rimane ancora lontana. Tra gli stranieri, i cinesi costituiscono la comunità più nutrita. L’emigrazione è invece un fenomeno ben conosciuto, che si è sviluppato soprattutto durante il periodo della colonizzazione nipponica (1910-45); i paesi maggiormente interessati dall’emigrazione sudcoreana sono stati la Cina, gli Stati Uniti, il Giappone e le ex repubbliche sovietiche.
La densità della popolazione è tra le più alte del mondo, pari a circa 513,6 persone per chilometro quadrato. Più dell’80% della popolazione sudcoreana vive nelle aree urbane, con una fortissima concentrazione nella capitale: è la conseguenza dei processi di rapida industrializzazione e urbanizzazione negli anni Sessanta e Settanta.
Le istituzioni sudcoreane, in genere, hanno dimostrato una certa attenzione al tema dei diritti umani. Il mantenimento della controversa ‘legge di sicurezza nazionale’, introdotta nel 1948, ufficialmente per contrastare qualsiasi azione volta a danneggiare la sicurezza nazionale, ha però ostacolato l’esercizio concreto della libertà di espressione e di stampa nel paese, come hanno denunciato diverse organizzazioni per i diritti umani. Benché l’applicazione della legge si sia via via fatta più lasca, alcune centinaia di persone l’anno vengono indagate per la loro reale o presunta ‘simpatia’ nei confronti della Corea del Nord. La vaghezza nell’applicazione della legge di sicurezza nazionale ha più volte concesso alle autorità ampi poteri di arresto e detenzione di semplici sospettati. Periodicamente vengono segnalati anche casi di abusi fisici e molestie verbali da parte della polizia nei confronti dei detenuti, in particolare se fermati per manifestazioni politiche.
Estremamente alta è l’incidenza della violenza domestica, così come sono diffuse le molestie sessuali. La condizione femminile è soggetta a pesanti discriminazioni e la sperequazione salariale tra uomini e donne si rivela la norma. La forte omogeneità etnica del paese rende poi particolarmente difficile l’integrazione delle comunità provenienti dall’estero. Benché la legge punisca duramente la tratta di esseri umani si registrano diversi episodi, in gran parte relativi a donne e bambini, rapiti, portati in Corea del Sud e sfruttati sessualmente. La pena di morte non è stata abolita, ma nessuna esecuzione è stata eseguita dal dicembre 1997. Più di 50 persone si trovano ancora nel braccio della morte. Più volte sono state avanzate in Parlamento proposte di abolizione della pena capitale.
L’economia sudcoreana ha subito una profondissima trasformazione dopo la fine della Guerra di Corea. In quel periodo il pil pro capite era pari a circa 82 dollari americani. Nel corso degli anni Sessanta il paese è stato radicalmente trasformato attraverso politiche di sviluppo, modernizzazione e industrializzazione, volute dalle giunte militari e realizzate attraverso un forte impulso alle esportazioni e con sostanziosi aiuti statali alle imprese.
In breve la Corea ha raggiunto dei livelli di crescita considerevoli e da nazione prevalentemente agricola si è trasformata in un paese iper-tecnologico, con il più alto tasso di accessi a Internet, leader nella produzione di semiconduttori e innovatore mondiale nell’elettronica di consumo.
La rapida crescita della Corea, tuttavia, costante in tutta la prima metà degli anni Novanta, ha cominciato a mostrare alcune debolezze con la crisi economica del 1997-98. In particolare, il pronunciato rapporto tra debito e capitale di rischio e un massiccio ricorso a prestiti esteri di breve termine hanno minato la tenuta del sistema. Alla fine del 1997, complici la bancarotta di alcuni tra i principali gruppi industriali del paese e la fuga degli investitori stranieri, il paese si trovò costretto, per evitare il tracollo, a ricorrere all’aiuto del Fondo monetario internazionale, che erogò un prestito di 57 miliardi di dollari. Una serie di misure adottate dal governo sudcoreano rese possibile il contenimento dei problemi finanziari. Il merito, però, della ripresa va attribuito principalmente alla ristrutturazione operata nel mercato del lavoro e alle misure introdotte dalla nuova amministrazione, volte ad attrarre investimenti stranieri. Nei primi quattro mesi del 1999 il pil aumentò del 5,4%; lo sviluppo sostenuto, combinato con la pressione deflazionistica sulla valuta, spinse il tasso di crescita annuale fino al 10,5%. La crisi poteva dirsi quindi fondamentalmente riassorbita verso la fine del 1999 e il prestito del Fondo monetario internazionale venne estinto di lì a poco.
Dopo aver registrato un aumento del pil del 5,7 nel primo trimestre del 2008, a fine anno era già sceso al 3,3 per crollare nel 2009, in coincidenza con la crisi mondiale: nel secondo trimestre era -4,2. Ma altrettanto rapida è stata la ripresa. Il picco è stato a metà 2010: + 8,7%. Poi un progressivo calo, sia pure sempre con tassi positivi, fino al +1,5% di metà 2012, anno che si è però concluso con un soddisfacente +3,3%, secondo i dati di Trading Economics. In sostanza, questa volta la risposta della Corea del Sud alla recessione mondiale è stata pronta: la crisi è stata evitata grazie a delle tempestive misure di stimolo dell’economia e al consumo di prodotti interni, che ha compensato in qualche maniera la riduzione delle esportazioni.
La Corea del Sud può contare su modestissime risorse energetiche interne. Per questo è uno dei principali importatori di energia al mondo. Di fondamentale importanza è il petrolio, di cui la Corea è il sesto maggior importatore al mondo, nonché decimo consumatore assoluto. Nel 2012 il consumo di petrolio ha raggiunto i 2,3 milioni di barili al giorno. La gran parte proviene dalla regione del Golfo Persico, principalmente dall’Arabia Saudita. La forte dipendenza della Corea dal petrolio ha indotto il governo a spingere per la diversificazione della fornitura con l’adozione di una strategia a breve termine e di una a lungo termine. Da un lato, la Corea ha sviluppato una riserva petrolifera strategica, pari a 90 giorni circa, gestita dall’ente nazionale per il petrolio (Korean National Oil Corporation, Knoc): tale riserva si renderebbe necessaria in caso di improvvise interruzioni delle forniture.
Dall’altro lato, in una strategia di lungo termine, la stessa Knoc – così come altre società private – ha cominciato a esplorare possibili siti di approvvigionamento, scandagliando il sottofondo marino in prossimità della costa, largamente inesplorato, e partecipando attivamente ad alcuni progetti pilota in varie aree del pianeta. La Corea è anche la sesta potenza mondiale per volume di raffinamento del greggio: 2,8 milioni di barili al giorno vengono lavorati nei sei impianti principali del paese.
Oltre al petrolio, il paese importa anche notevoli quantità di gas naturale liquefatto, principalmente dal Qatar, e di carbone, soprattutto dall’Indonesia. La crescente richiesta di energia elettrica viene invece soddisfatta attraverso una combinazione di energia termica, nucleare e idroelettrica. Come firmataria del Protocollo di Kyoto la Corea del Sud ha assunto l’impegno di ridurre le emissioni di carbone dotandosi di 12 nuovi impianti nucleari prima del 2015.
Data la fortissima sovrappopolazione, l’inquinamento atmosferico è diventato un problema rilevantissimo nelle aree urbane. Per questo, e per provare in qualche modo a sottrarsi al giogo delle importazioni di petrolio, il governo sudcoreano ha deciso a metà del 2008 di favorire gli investimenti in fonti di energia rinnovabile. Il ministero dell’economia ha dichiarato di voler spendere ingenti somme di denaro in tecnologie e progetti riguardanti l’energia solare, eolica e i biocarburanti. Poiché il problema investe l’intero Est asiatico, ogni anno dal 1999 si svolgono incontri con Cina e Giappone per discutere possibili azioni sinergiche nella lotta allo smog. In barba al clima di collaborazione, però, il governo di Seoul accusa la Cina di essere la principale fonte di inquinamento atmosferico.
Il primo problema per la difesa sudcoreana è costituito dalla Corea del Nord e, negli ultimi distinto il governo rivale. Dopo il lancio del satellite nordcoreano nel 2012, l’inizio dell’anno successivo ha registrato una ripresa della tensione nell’area: Pyeongyang ha assunto posizioni e iniziative valutate come provocatorie da Giappone e Stati Uniti. La Corea del Sud ha reagito organizzando esercitazioni militari in mare e in cielo congiunte con gli Usa, il che è servito a ribadire la presenza statunitense nella regione e il suo sostegno all’indipendenza sudcoreana. In termini di investimenti, il ministero della difesa progetta di spendere nei prossimi anni 26 miliardi di dollari per incrementare l’apparato missilistico, ma il piano di aumento del budget, presentato al Parlamento nel luglio 2013, non appare ancora ben delineato.
Un secondo problema è costituito dal Mar Cinese Orientale e dai contrasti con il Giappone per le Isole Dokdo (Liancourt) e con la Cina per lo scoglio di Ieodo (Socotra). Il primo gruppo di isolotti, la cui sovranità costituisce da lunga data un motivo di contrasto con Tokyo, ha creato tensioni più vive nel 2006 e provocato due temporanei ritiri degli ambasciatori nel 2008 e nel 2012. Entrambe le volte, il Giappone propose di appellarsi alla Corte di giustizia internazionale. Ma la Corea del Sud rifiutò, giudicando inviolabili i suoi diritti sulle isole. Nel 2012, il presidente della Corea del Sud, Lee Myung-bak, visitò l’isola provocando un momentaneo stallo diplomatico. Le rivendicazioni sudcoreane sono molto vivaci anche per Ieodo, un gruppo roccioso sommerso che, secondo il diritto internazionale, non dovrebbe poter essere reclamato. Tuttavia, le potenzialità energetiche della zona, l’estensione di uno spazio vitale strategico per le operazioni militari sudcoreane e la coincidenza delle zone economiche esclusive con la Cina hanno indotto il governo di Seoul a mantenere una linea dura.
Il principale partner nel campo della difesa continuano a essere gli Stati Uniti, il cui contingente militare di 28.500 uomini corrisponde al 4,3% delle forze coreane. Questa presenza non è decisiva, ma viene considerata dal governo coreano un potente deterrente contro ogni tentativo di modificare l’equilibrio costruito sul 38° parallelo. A partire dal 1978, il comando congiunto delle forze della repubblica di Corea e degli Stati Uniti (Rok-Us Cfc) ha assunto la responsabilità di difesa dei confini sudcoreani. Il Cfc, comandato da un generale statunitense e da un vice sudcoreano, detiene il controllo operativo delle truppe congiunte coreane e statunitensi. Questa forma di collaborazione dovrebbe durare fino al 2015. Seoul ha già richiesto un ulteriore prolungamento dell’impegno americano, ma da Washington non è arrivata alcuna conferma.
Il successo di Kim Dae-jung alle elezioni presidenziali del 1998 inaugurò in Corea del Sud un decennio progressista, condizionando anche un nuovo tipo di approccio nei confronti del vicino nordcoreano. Questo orientamento, denominato ‘Sunshine Policy’, faceva leva su tre principi: nessuna provocazione militare da parte dei nordcoreani sarebbe stata tollerata; il Sud non avrebbe tentato di assorbire il Nord in alcun modo; il Sud avrebbe cercato attivamente la cooperazione con il Nord. Rassicurando Pyeongyang, Seoul cercava di porre le basi per una pacifica coesistenza, che escludesse un cambiamento di regime al Nord o la riunificazione immediata. La Sunshine Policy mutava radicalmente la strategia scelta nei decenni precedenti di contesa diplomatica a somma zero tra Nord e Sud. L’approccio raccolse anche risultati molto concreti, come la creazione di un progetto turistico congiunto sul Monte Kumgang, nella Corea del Nord, vicino al 38° parallelo, e la ricongiunzione dei binari tra le due Coree. L’apice della Sunshine Policy fu rappresentato dallo storico summit del giugno 2000 in occasione del quale il presidente Kim Dae-jung si recò a Pyeongyang per incontrare il leader nordcoreano Kim Jong-il. Non era mai accaduto dalla fondazione dei due stati. Il comunicato congiunto, elaborato nel corso del meeting, riaffermò gli obiettivi di una riunificazione pacifica, proponendo al contempo incontri sempre più frequenti tra i membri delle famiglie divise dalla rottura dei rapporti tra i due stati. Dal punto di vista simbolico, con l’abbraccio finale tra i due leader il meeting ebbe un impatto dirompente nella penisola, contribuendo in larga parte a modificare la concezione profondamente negativa che molti sudcoreani avevano della Corea del Nord. L’iniziativa valse il conferimento del Premio Nobel per la pace a Kim Dae-jung nel 2000. Qualche anno dopo si diffuse la notizia secondo cui il governo sudcoreano aveva in qualche modo facilitato lo storico incontro tra i leader pagando una cospicua somma di denaro ai nordcoreani; nondimeno la Sunshine Policy continuò ad avere grande popolarità, soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione coreana. Durante il successivo periodo di presidenza di Roh Moo-hyun la Sunshine Policy continuò a produrre i propri effetti. In termini di cooperazione si dette vita all’interessante progetto del Parco industriale di Kaesong, un complesso logisticamente in territorio nordcoreano, per il quale la Corea del Sud investì nel 2005 l’equivalente di 325 milioni di dollari come aiuti ai nordcoreani. Nell’ottobre del 2007, Roh Moo-hyun ripercorse la strada del suo predecessore, recandosi in visita a Pyeongyang. Le critiche più feroci all’approccio della Sunshine Policy nell’opinione pubblica sono centrate soprattutto sulla mancata interruzione delle provocazioni militari da parte dei nordcoreani e sulle incomprensioni che tale approccio rischiava di creare nelle relazioni tra Washington e Seoul. Il ritorno del fronte conservatore alla guida del paese con il presidente sudcoreano Lee Myung-bak, eletto nel 2008, ha imposto una posizione molto più rigida nei confronti della Corea del Nord e ha di fatto affossato la Sunshine Policy. La tensione fra i due paesi è tornata a salire nel 2010 con il presunto siluramento di una nave sudcoreana, attribuito da una commissione internazionale alla marina nordcoreana, e con le schermaglie di fronte all’Isola di Yeonpyeong. I progressi nel programma nucleare nordcoreano hanno preoccupato anche gli Stati Uniti, le cui forze di stanza in Corea del Sud hanno svolto esercitazioni navali e aeree durante l’intero corso del 2013, provocando reazioni e minacce da parte di Pyeongyang. Nel dicembre 2013, contestualmente alla creazione di una zona di identificazione aerea della Cina comunista, Seoul ha annunciato di volere espandere la sua area di controllo per consolidare il proprio spazio di sicurezza in direzione nordcoreana.
Dimostrando di aver appreso la lezione della crisi economica del 1997-98, quando il paese rischiò il tracollo, la Corea del Sud si è ripresa velocemente, prima di qualsiasi altro paese al mondo, dalla recessione globale del 2008. Come tutti i paesi industrializzati, la Corea ha sofferto una forte recessione: la crescita è entrata in una spirale negativa, e molti settori importanti dell’economia sudcoreana hanno avuto un lungo periodo di flessione. Le esportazioni di automobili e semiconduttori, due pilastri dell’economia nazionale coreana, sono crollate del 55,9% e 46,9% rispettivamente. Tuttavia, la ripresa economica nel 2010 è stata sensazionale: il PIL è cresciuto del 6,1%, l’aumento più significativo dal 2002. Questa crescita è stata trainata in particolar modo dalle esportazioni, in forte espansione, dalla domanda interna e dagli investimenti industriali. Nel primo trimestre le esportazioni sono aumentate del 36,2%, se paragonate allo stesso periodo dell’anno precedente. Sostenuti dal clima di fiducia che percorre il paese, i consumi interni sono ripresi, diventando una colonna portante della crescita. Anche gli investimenti sono aumentati del 24,2% rispetto all’anno precedente, veicolati dal comparto automobilistico e tecnologico. Il mercato del lavoro, entrato in depressione all’inizio della crisi, ha mostrato segnali di ampio miglioramento: il tasso di disoccupazione, del 5% fino a gennaio 2010, è sceso al 3,2% a maggio, mentre il numero di neoassunti in aprile era di 586.000 unità. Il boom economico sembra però essersi interrotto già nel 2011: il tasso di crescita del PIL è tornato al 3,6%, mentre il tasso di disoccupazione si attesta sul 3,4%. La Corea ha risentito in particolare di quattro ordini di problemi: l’inflazione, le fluttuazioni valutarie, la crescente competizione delle economie avanzate e i conflitti geopolitici. In primo luogo, la Corea ha dovuto affrontare una situazione di crescente inflazione causata da politiche creditizie troppo permissive. L’inflazione ha portato a un ribasso nei consumi, in quanto il risparmio molto contenuto ha lasciato poco spazio di manovra contro l’aumento generalizzato dei prezzi. La fluttuazione della moneta ha rappresentato un altro ostacolo sulla strada del pieno recupero: dall’indebolimento del dollaro, e dal conseguente rafforzamento del won coreano, è risultata un’erosione della competitività delle esportazioni. In aggiunta, le grandi compagnie dei paesi a economia avanzata, colpite duramente dalla crisi, hanno compiuto incursioni nei mercati emergenti, intensificando la competizione. Infine, la costante minaccia nordcoreana costituisce un fronte di spesa rilevante per l’economia sudcoreana. Ancora nel 2013, nonostante i segnali di ripresa, l’economia sudcoreana non è ritornata ai livelli precedenti il 2008. Si agitano problemi di lungo e breve periodo, fra cui la capacità di restare al passo con le recenti innovazioni del mercato tecnologico, che costituiscono uno dei settori più importanti dell’industria nazionale. Il modello tradizionale degli chaebol, le imprese conglomerate ricollegabili a un ristretto numero di grandi famiglie industriali, appare responsabile di scelte sbagliate e cattivi investimenti, legati a un tasso di indebitamento superiore al 200% per 20 fra i 46 maggiori trust nazionali.
La Corea del Sud ha firmato già diversi accordi di libero scambio (FTA) con Cile, India, Singapore, ASEAN. Se quello lungamente atteso con gli Stati Uniti non è stato ancora formalizzato, quello con l’Unione Europea (EU) è stato siglato il 6 ottobre 2010 a Bruxelles. In questo modo le relazioni bilaterali hanno assunto il rango di ‘partnership strategica’. Questo accordo, i cui negoziati hanno avuto inizio nel maggio 2007, dovrebbe produrre immediatamente l’abbassamento delle tariffe, la promozione del commercio e degli investimenti e la creazione di occupazione sia in Corea sia nei 28 paesi dell’EU. L’accordo, ratificato prima del summit del G20 ospitato da Seoul, è il primo ratificato dall’EU con un partner commerciale asiatico e dovrebbe favorire una crescita rilevante del volume degli scambi. È stato calcolato che dovrebbe contribuire alla crescita del PIL di Seoul per uno 0,56% all’anno, per i prossimi dieci anni, e che si creeranno 253.000 posti di lavoro, principalmente nel settore dei servizi. Dopo 15 anni dalla ratifica il surplus commerciale della Corea del Sud con l’EU dovrebbe aumentare a circa 361 milioni di dollari l’anno, dal momento che le esportazioni dovrebbero crescere più delle importazioni dall’EU. Il settore manifatturiero dovrebbe rappresentare il maggiore beneficiario, con un aumento stimato pari a 395 milioni di dollari in esportazioni annuali per 15 anni. Qualche rischio, invece, potrebbe crearsi per agricoltura e pesca, per le aumentate importazioni dall’Europa in questi settori. Il settore che ha posto più difficoltà nella fase di negoziazione è stato quello dell’automobile: i produttori europei ritenevano che la competizione dei sudcoreani avrebbe potuto essere pericolosa. La scelta di liberalizzare gli scambi potrebbe invece rivelarsi vantaggiosa sia per la Corea, sia per l’Unione: i produttori sudcoreani potranno allargare il fronte delle loro esportazioni, mentre i consumatori avranno più scelta tra i veicoli importati dall’EU. Le aziende coreane che hanno rapporti commerciali con l’EU si aspettano molto da questo FTA, incluso l’aumento del volume del commercio, della cooperazione volta allo sviluppo tecnologico e degli investimenti europei. Come è risultato da recenti indagini, molte aziende coreane si sono dichiarate disponibili a disinvestire da altre parti del mondo per investire in Europa.
di Antonio Fiori
Nonostante il programma nucleare nordcoreano desti molta preoccupazione nei policy-makers sudcoreani, non è l’unica variabile da tenere sotto controllo. Negli ultimi anni, soprattutto dopo la morte di Kim Jong-il, il regime nordcoreano ha dato preoccupanti segnali di instabilità. In molti si chiedono cosa succederebbe se il regime crollassasse: ciò potrebbe condurre a una riunificazione delle due Coree e alla necessità di procedere alla ricostruzione di un paese arretrato, dal punto di vista economico, sociale e infrastrutturale come la Corea del Nord. Potrebbero quindi verificarsi almeno tre scenari plausibili: una riunificazione fluida sul modello tedesco; una caratterizzata da estrema violenza; e un misto delle due ipotesi, sul modello della transizione sperimentata da alcuni paesi ex comunisti in Europa. Qualsiasi di queste soluzioni implicherebbe un costo rilevante per i sudcoreani, considerata l’estrema povertà in cui versa la Corea del Nord. Rimetterne in sesto l’economia richiederebbe investimenti astronomici. Il modello tedesco, al quale spesso si fa menzione per il caso coreano, richiederebbe un impegno proibitivo poiché le condizioni di partenza sono troppo dissimili. Malgrado gli oltre 2 trilioni di dollari che la Germania Federale ha pagato per la riunificazione in due decenni, l’avvio non fu particolarmente traumatico per Bonn. La popolazione della Germania Est era solo un quarto di quella della Germania Ovest e nel 1989 il reddito pro capite dei cittadini dell’Est era equivalente a un terzo di quello dei cittadini dell’Ovest. Tra le due repubbliche tedesche esistevano poi solidi canali commerciali. La situazione tra le due Coree è estremamente diversa: il reddito pro capite della Corea del Nord è meno del 5% di quello della Corea del Sud; la popolazione totale nordcoreana è più o meno la metà di quella sudcoreana; e le relazioni commerciali tra i due paesi, nonostante siano migliorate, sono sempre altamente sensibili ai ribaltamenti politici e diplomatici. A queste condizioni una riunificazione sarebbe impensabile perché troppo impegnativa dal punto di vista finanziario. Le stime vanno da 400 miliardi a 3,6 trilioni di dollari americani necessari per una gestione pacifica della riunificazione. Tali stime, però, sottovalutano il fatto che l’unificazione non comporterebbe soltanto costi di investimento, ma chiamerebbe in causa voci ulteriori, come il sostegno umanitario, la stabilizzazione economica, la sostituzione del regime, la rieducazione politica dei cittadini, il job training, la ristrutturazione amministrativa e burocratica, l’integrazione sociale. Una delle soluzioni più interessanti finora avanzate è quella di porsi come obiettivo il raddoppiamento del PIL nordcoreano. In questa maniera si migliorerebbero le condizioni dei cittadini nordcoreani, permettendo loro di contribuire allo sviluppo del proprio territorio e mettendo al contempo la Corea del Sud al riparo da un flusso ingestibile di profughi. Va anche valutata la possibilità che i costi di una eventuale riunificazione siano in parte sostenuti da altri paesi e organizzazioni internazionali, che trarrebbero giovamento dalla nascita di un’unica Corea per la sicurezza e la stabilità della regione asiatica, oltre che per nuove opportunità di commercio e investimento.