Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Parlare di Paesi Bassi nel Seicento significa parlare di almeno due realtà estremamente differenti tra loro. Da una parte la Repubblica delle Province Unite che, seppur minata da una profonda crisi esplosa sul terreno religioso (in realtà risultato dei diversi interessi politico-economici della nobiltà terriera e della borghesia mercantile), si distingue per essere la maggiore potenza commerciale europea, dall’altra i Paesi Bassi meridionali che, soggetti al dominio spagnolo, conoscono un periodo di decadenza o, quanto meno, di ristagno: Gand, Bruges e la stessa Anversa infatti non sono più i grandi centri di un tempo.
Dopo l’unificazione dei Paesi Bassi sotto il dominio asburgico spagnolo, Filippo II avvia nel corso del Cinquecento una dura opera di repressione contro quanti aderiscono alla Chiesa riformata; Guglielmo I d’Orange-Nassau, capo dell’opposizione, dà inizio a quella che passerà alla storia come guerra degli Ottant’anni (1568-1648).
Spesso interrotta da tregue e accordi, essa vede solamente in una prima fase una certa unitarietà d’intenti. Già a seguito della pacificazione di Gand (8 novembre 1576), infatti, ci si accorge che tutti gli sforzi compiuti non sono sufficienti a tenere insieme province così diverse tra loro.
La scissione avviene, in particolare, tra Sud e Nord. Gli estremismi dei calvinisti e le continue rivolte impauriscono i nobili cattolici delle province vallone tanto da convincerli, nel 1579, a costituire l’unione di Arras. La risposta delle province settentrionali è immediata, e, nello stesso anno, Olanda, Zelanda, Utrecht, Frisia, Gheldria, Overijssel e Groninga, costituiscono l’unione di Utrecht.
Dalla rivendicazione del semplice diritto alle proprie tradizionali libertà, si passa alla richiesta d’indipendenza dalla corona spagnola; e la frattura si fa irreparabile. I Paesi Bassi si dividono in modo netto: le province del Nord, nel 1581, si dichiarano indipendenti e proclamano la decadenza del re di Spagna, dando poi vita, nel 1588, alla Repubblica delle Province Unite, mentre i Paesi Bassi meridionali rientrano nei ranghi.
Alla fine del Cinquecento la situazione sembra volgere al peggio. Guglielmo d’Orange viene assassinato (1584) e il condottiero italiano a servizio della Spagna Alessandro Farnese comincia a riconquistare, a una a una, tutte le più importanti città. La sconfitta dell’Invencible Armada, tuttavia, favorisce una ripresa delle province settentrionali. Maurizio, figlio di Guglielmo, viene chiamato a guidare il Paese e Farnese, morto nel 1592, lascia incompiuta l’opera di restaurazione spagnola.
A Filippo II non resta che constatare l’impossibilità di affermare l’agognata egemonia spagnola e cattolica nei Paesi Bassi, in Inghilterra e in Francia.
Con la tregua dei dodici anni stipulata nel 1609 viene riconosciuta de facto l’esistenza del nuovo Stato olandese (spesso, infatti, la Repubblica delle Province Unite è stata così chiamata a causa del posto di rilievo occupato dall’Olanda), nato dalla ribellione delle province del Nord. Il riconoscimento de iure avverrà solamente con la pace di Westfalia: in margine alla conferenza sarà infatti firmato, nel gennaio del 1648, a Münster, il trattato di pace tra i Paesi Bassi e la Spagna.
Il periodo che segue alla tregua con la Spagna è segnato, però, da una profonda crisi istituzionale che prende le mosse da una disputa di natura teologica.
Il teologo calvinista Franz Gomar e i suoi seguaci attaccano fermamente gli arminiani sulla teoria della predestinazione; questi, che rischiano di essere cacciati dalla Chiesa ufficiale, ricorrono agli Stati Generali, presentando una rimostranza (da cui il nome di “rimostranti”). Il governo, favorevole alla tolleranza, risolve gli estremismi proponendo una “via media”.
Ma questa soluzione non soddisfa nessuno e Maurizio d’Orange, preoccupato per il potere acquisito dal Gran Pensionario Johan van Oldenbarneveldt, approfittando della situazione, decide di allearsi con i gomaristi e, sfruttando la sua abilità politica, riesce a far condannare le tesi dei rimostranti (sinodo di Dordrecht) e a ottenere l’esecuzione di Oldenbarneveldt (1619), oltre che la carcerazione a vita per il giusnaturalista arminiano Huig Van Groot (Ugo Grozio). Oramai per lui tutte le strade sono aperte ma la morte, nel 1625, blocca le sue aspirazioni di instaurazione monarchica.
La ripresa della guerra con la Spagna inaugura, paradossalmente, una fase di notevole vivacità economica e intellettuale, che si esprime attraverso un grande rigoglio culturale, particolarmente prolifico per quanto concerne la produzione artistica, e un regime di moderata tolleranza religiosa. La Repubblica delle Province Unite riesce, inoltre, a sostituirsi al Portogallo nel controllo di buona parte dei suoi domini coloniali indiani e lo statolder Federico Enrico d’Orange, uomo di riconosciuto valore, ferma il nemico a Breda e a Maastricht.
Alla metà del Seicento, anche a seguito del trattato di Münster, le Province Unite raggiungono, dunque, il massimo splendore.
La Banca dei Cambi di Amsterdam (fondata nel 1609 e indizio inequivocabile dell’ascesa finanziaria olandese) rappresenta il più importante istituto finanziario del mondo.
Il monopolio della pesca delle aringhe e il commercio nel Baltico, la migliore flotta mercantile del mondo, lo sviluppo imponente dei maggiori porti delle Province Unite, il dinamismo imprenditoriale, le affascinanti opere di ingegneria idraulica, la fiorente industria tessile, il grande impulso dato dagli Stati Generali alla concentrazione degli investimenti capitalistici in poche grandi compagnie privilegiate (tra le più famose ed efficienti la Compagnia olandese delle Indie Orientali), sono solamente alcuni degli aspetti di un fenomeno molto più ampio che contrappone lo sviluppo della Repubblica delle Province Unite alla diffusa crisi che investe tutta l’Europa.
Sola altra eccezione a questa crisi del Seicento è l’Inghilterra che, in particolar modo dalla metà del secolo, comincia a contrastare sempre più l’egemonia olandese arrivando, nel giro di un trentennio, a superare la rivale.
Nel 1651 la politica di Oliver Cromwell porta alla promulgazione, in Inghilterra, dell’Atto di Navigazione, che per l’Olanda significa la perdita di una grossa fetta dei traffici. Il conflitto che ne segue – la prima guerra anglo-olandese – termina con il trattato di Westminster (1654) che chiude questo primo conflitto costringendo gli Olandesi alla piena accettazione delle condizioni poste dagli Inglesi.
Con la pace non terminano però i conflitti e nel 1664 scoppia la seconda guerra anglo-olandese, conclusasi tre anni dopo con la pace di Breda che conferma i vecchi privilegi ottenuti dall’Inghilterra. L’ultimo tentativo di modificare lo status quo da parte dell’Olanda è quello del 1671-1674 (terza guerra anglo-olandese), anch’esso destinato a ribadire la supremazia inglese.
Se tra il 1651 (Atto di Navigazione) e il 1674 (termine della terza guerra anglo-olandese) gli Stati Generali si vedono costretti ad accettare il sistema protezionistico inglese, è pur vero che la vastità degli interessi olandesi nel mondo permette loro di accusare il colpo senza grandi scompensi. Inoltre i continui contrasti tra un potere accentratore – quello degli orangisti – e uno repubblicano sostenuto dalle oligarchie mercantili e borghesi, guidato fino al 1672 da Johan Witt, trovano una soluzione, comunque non definitiva, nell’ereditarietà delle cariche di statolder e di capitano generale.
Queste cariche, riunite dal 1672 nella persona di Guglielmo III d’Orange, attribuiscono poteri e funzioni simili a quelli di un monarca. Orangisti e repubblicani, comunque, concorrono alla guida del Paese intervenendo, ora gli uni ora gli altri, a seconda delle contingenze.
Così, quando si rende necessario un intervento militare eccelle la figura di Guglielmo e quando invece si è in tempo di pace, a dettare le regole sono quasi sempre le plutocrazie mercantili.
L’impero coloniale edificato dall’Olanda si dimostra tuttavia con il tempo poco strutturato a difendersi dalla pressione dell’Inghilterra e contemporaneamente le ambizioni espansionistiche della Francia di Luigi XIV di Borbone si rivolgono verso i territori della Repubblica. Comincia il declino, lento ma inesorabile.
Ma la comune fede protestante e gli analoghi interessi commerciali e politici favoriscono presto una collaborazione tra l’Inghilterra e l’Olanda che, in più di una occasione, le vedrà contrapposte alle aspirazioni assolutistiche francesi.
La situazione migliora ulteriormente nel 1689 quando Guglielmo III d’Orange diviene re d’Inghilterra: il legame tra i due Paesi si fa più stretto e aumentano le occasioni di collaborazione.
Diversa la condizione dei Paesi Bassi meridionali. Questi, che saranno soggetti agli Asburgo di Spagna sino al 1713, tendono infatti a considerarsi parte integrante della corona, dal momento che costituiscono il primo nucleo dell’impero di Carlo V, nato a Gand. Sta di fatto che, al di là di ogni teorizzazione, essi non godono di un’autentica autonomia di governo quanto semmai di una forma di assolutismo moderato.
Frequentemente sconvolti dalle guerre europee, i Paesi Bassi meridionali, corrispondenti all’attuale Belgio (nome d’uso generale già nel Cinquecento), vengono spesso sacrificati nei trattati di pace. Nel 1648, con il trattato di Münster, si vedono chiudere la Schelda; per Anversa è la fine, ma Amsterdam ne saprà approfittare. Ad ogni modo non ci si trova di fronte a un vero e proprio declino: la stessa economia, seppure trasformata e rinnovata, dimostra sempre grande floridezza.
Nettamente contrapposta alla Repubblica delle Province Unite, indissolubilmente legata alla cattolica Spagna e alla Chiesa di Roma, fortemente influenzata dai gesuiti, repressiva e intollerante, la società dei Paesi Bassi meridionali spicca inoltre, in questo torno di tempo, per la sua omogeneità.