Vedi Congo, Repubblica Democratica del dell'anno: 2012 - 2013 - 2015 - 2016
La posizione della Repubblica Democratica del Congo (Rdc o Congo-Kinshasa), al centro dell’Africa e su un territorio ricco di materie prime, ha fatto del paese un attore cruciale per l’intera regione già prima dell’indipendenza, ottenuta nel 1960 dal Belgio. Dopo essere stato uno dei principali alleati degli Stati Uniti durante la Guerra fredda, l’ex Zaire di Mobutu Sese Seko, che aveva così ribattezzato il paese nel 1972 nella sua campagna per l’‘autenticità’ africana, è diventato uno dei paesi cardine della regione dei Grandi Laghi.
La Rdc è l’undicesimo stato per estensione a livello mondiale e il secondo paese più grande dell’Africa dopo l’Algeria. Il rapporto conflittuale tra governo centrale e istituzioni regionali si è sovrapposto agli interessi di attori statuali e di formazioni militari per l’accesso alle ingenti risorse del paese.
Negli anni Sessanta la tentata secessione del Katanga fu il preludio agli squilibri che sarebbero in seguito emersi. Patrice Lumumba, leader del movimento di liberazione e primo ministro del Congo indipendente, perorò la causa dell’unità del paese in chiave antimperialista e panafricana, ma fu spodestato da Mobutu, che conquistò il potere con un colpo di stato sostenuto dalle potenze occidentali. Sfiduciato nel 1993 dai suoi principali alleati internazionali, Mobutu fu costretto a riparare in Marocco nel 1997 dall’avanzata dell’Alliance des Forces Démocratiques pour la Libération du Congo-Zaïre (Afdl) capeggiata da Laurent-Désiré Kabila. La guerra riesplose quando quest’ultimo, dopo essere diventato presidente, aver concentrato tutti i poteri nelle proprie mani e ribattezzato il paese Repubblica Democratica del Congo, tentò di espellere i contingenti militari di Ruanda e Uganda che lo avevano sostenuto. Il conflitto che ne seguì coinvolse diversi stati dell’Africa centrale e australe, tanto che, per la sua internazionalizzazione, venne soprannominato ‘guerra mondiale africana’. Il dispiegamento nel 1999 di una forza delle Nazioni Unite e il coinvolgimento dell’Unione Europea non sono bastati a garantire la stabilità. Secondo alcune stime la guerra e la conseguente crisi umanitaria hanno causato 5,4 milioni morti, mentre la diffusa anarchia ha permesso ai gruppi ribelli e alle potenze straniere di sfruttare le risorse del paese.
Dal 2002-03 la Rdc ha intrapreso un processo di pacificazione sotto la guida del neopresidente Joseph Kabila, che successe al padre assassinato il 16 gennaio 2001. Il 18 febbraio 2006 è stata promulgata la nuova Costituzione, con un assetto istituzionale ispirato al semipresidenzialismo francese e a un decentramento amministrativo, in contrasto con il centralismo dell’era di Mobutu, costruito su dieci province (suddivise in 41 distretti) e una città (la megalopoli Kinshasa). Nelle elezioni del 2006, le prime ritenute credibili dagli osservatori internazionali, nonostante gli scontri fra i seguaci di Kabila e quelli dello sfidante Jean-Pierre Bemba a Kinshasa, il popolo ha confermato il presidente uscente. È invece risultato sconfitto il Mouvement de Libération du Congo (Mlc) di Bemba, che è sotto processo alla Corte penale internazionale dell’Aia per crimini di guerra commessi nella Repubblica Centrafricana. Kabila è stato riconfermato anche alle elezioni del 2011, contestate dall’opposizione di Étienne Tshisekedi, dalla società civile e dagli osservatori internazionali, che hanno denunciato numerose irregolarità. Kabila è sempre più criticato per le sue tendenze autoritarie: il suo governo si è infatti distinto per un inasprimento delle leggi sulla libertà di espressione e di associazione e per una mancata tutela dei diritti umani.
Nel gennaio 2015 è stata approvata una nuova legge elettorale. L’articolo che prevedeva un censimento prima delle votazioni è stato escluso per le critiche dell’opposizione, che vedeva in esso l’occasione di un prolungamento del mandato di Kabila, e per le manifestazioni di protesta, degenerate in più di 40 uccisioni. L’attuale presidente, avendo raggiunto il limite dei mandati, non potrà ricandidarsi per le elezioni del 27 novembre 2016, ma non si è ancora espresso a riguardo. Una sua decisione di restare in campo o di posticipare le votazioni genererebbe forti tensioni.
Le maggiori criticità alla stabilità del regime provengono dal frastagliato scenario regionale che alimenta a sua volta le divisioni interne. L’estrema porosità delle frontiere, la fragilità dello stato centrale e l’ingente presenza di risorse naturali hanno favorito la riproduzione di situazioni di conflitto endemiche e supportate da attori esterni, in un circolo vizioso in cui cause e conseguenze paiono talvolta indistinguibili. L’ultima guerra in ordine di tempo è quella avvenuta nel Kivu, nell’est del paese, che ha visto scontrarsi i ribelli dell’M23 contro l’esercito regolare congolese, sostenuto dai Caschi blu. Oltre a una risposta militare, Kabila ha provato a rilanciare il dialogo con i gruppi ribelli convocando una conferenza di concertazione nazionale, boicottata da alcuni importanti partiti dell’opposizione, che non ha però generato risultati rilevanti. A fine 2012 Ruanda e Uganda sono stati accusati dall’Un di aver finanziato e supportato militarmente gli insorti e nel 2013 hanno quindi firmato, insieme ad altri nove stati, un accordo di non ingerenza e di sostegno alla pacificazione del Kivu. Sconfitto nel novembre 2013, il movimento dell’M23 ha annunciato la fine della ribellione e la volontà di consegnare le armi.
La regione resta comunque altamente instabile per la presenza di diversi gruppi ribelli. Tra questi l’Adf-Nalu, organizzazione di matrice islamica che si teme abbia legami con gli al-Shabaab, sta subendo da fine 2014 un attacco congiunto dell’esercito congolese e dei soldati delle Nazioni Unite. Nel mese di febbraio 2015 Kinshasa ha anche inviato gli uomini della Fardc contro il gruppo ribelle ruandese Dflr, senza però il sostegno dell’Un. Dalla buona riuscita della missione dipendono le relazioni con il Ruanda, da sempre rese difficili dalle reciproche accuse di sostegno alle milizie ribelli. Allo stesso modo, il rapporto tra i due stati potrebbe deteriorare se avvenisse una riorganizzazione dell’M23, di cui molti componenti sono rifugiati in terre ruandesi. La relazione con l’Uganda è resa difficoltosa dalla disputa riguardo i diritti sui giacimenti petroliferi del Lago Alberto e dalla indisponibilità del governo ugandese di consegnare alla Rdc alcuni leader dell’M23. Ragioni legate al petrolio complicano anche i legami con l’Angola, mentre è in crescita il peso della Cina nell’economia del paese.
Nonostante una popolazione stimata di poco più di 69 milioni di abitanti, la Rdc conta più di 250 etnie. I gruppi più importanti (Luba, Kongo, Mongo, Azande e Lunda) non superano i tre milioni di persone ciascuno, non arrivando così a una maggioranza a livello nazionale, anche se ognuno dei gruppi è predominante in almeno una regione. Oltre al francese, la lingua delle istituzioni e dell’istruzione superiore, sono idiomi ufficiali il lingala, il kikongo, lo tshiluba e lo swahili, i più diffusi tra le oltre 700 lingue presenti nel paese. Quasi il 40% della popolazione è analfabeta, solo un sesto ha ricevuto un’istruzione secondaria e meno dell’1% ha conseguito una laurea. Il 70% dei congolesi si professa cristiano, di cui il 50% cattolico e il 20% protestante. Più del 10% appartiene alle diverse Chiese indipendenti africane, tra le quali la più importante è quella kimbanguista, fondata sugli insegnamenti millenaristici e antieuropei di Simon Kimbangu, legalmente riconosciuta nel 1959. Un altro 10%, composto anche dalle comunità degli indiani e dei libanesi presenti sul territorio da più generazioni, è di confessione musulmana, mentre una parte della popolazione pratica riti tradizionali che nel corso dei secoli hanno assunto caratteri sincretici con le religioni del Libro.
I diritti umani, civili e politici sono gravemente disattesi e le violenze cicliche espongono i cittadini al rischio di arresti arbitrari, sfruttamento, stupri, esazioni, lavori forzati. Alto è inoltre il numero di bambini e ragazzi soldato. L’impunità per i crimini è molto diffusa e, nel caso delle violenze sessuali, genera un drammatico meccanismo di depenalizzazione a cui il governo cerca molto faticosamente di porre rimedio. L’estrema povertà dà luogo a situazioni di forte disagio sociale che spesso si traduce in abbandono minorile. Numerose sono le accuse di stregoneria. Nonostante gli investimenti, gli aiuti internazionali e la presenza sul territorio di un vasto numero di organizzazioni umanitarie, la speranza di vita dei cittadini congolesi è di soli 49,9 anni, e la Rdc è il penultimo paese per indice di sviluppo umano.
Nel 2014 l’Unhcr ha stimato 2,7 milioni di sfollati interni; sono quasi 500.000 i congolesi residenti in altri stati. Data l’instabilità della regione la Rdc è anche terra d’asilo con almeno 113.000 rifugiati, molti dei quali provenienti dall’Uganda, Ruanda e Angola. La crisi in Repubblica Centrafricana ha provocato un nuovo afflusso di profughi. I rifugiati sono spesso oggetto di tensioni politiche, quando non utilizzati come vero e proprio strumento di pressione per le relazioni internazionali: ciclicamente Rdc e Angola provvedono a espulsioni e rimpatri. Uno dei maggiori contenziosi con il Ruanda è legato alla presenza di Hutu Interahamwe - i perpetratori del genocidio - che avrebbero trovato rifugio nell’est del paese dopo la presa del potere del presidente tutsi Kagame.
Nonostante le grandi ricchezze naturali (oro, diamanti, rame, cobalto, uranio, radio, coltan, cromo, bauxite, cassiterite e altri minerali preziosi, oltre al petrolio), il Congo rimane uno dei paesi più poveri al mondo, molto dipendente dagli aiuti internazionali. L’agricoltura, in particolare quella di piantagione (caffè, olio di palma, gomma, cotone, zucchero, tè e cacao), rappresenta il 21,2% del pil. L’industria si aggira attorno alla soglia dei trentatre punti percentuali ed è sottosviluppata, in particolare nel settore minerario e idroelettrico, dove pesa particolarmente la carenza di energia. La legge del giugno 2015 sull’estrazione degli idrocarburi rende più chiaro il settore e cerca di attirare nuovi investitori. I servizi e le infrastrutture hanno registrato dei miglioramenti, anche grazie agli investimenti e agli aiuti internazionali (in particolare cinesi), ma risultano ancora inadeguati. L’economia informale è largamente diffusa, anche a causa della debolezza delle istituzioni statali.
Dal 2001 il governo di Joseph Kabila ha intrapreso, sotto la supervisione del Fondo monetario internazionale, una serie di riforme intese a stabilizzare l’economia, riducendo l’esorbitante debito estero e puntando sullo sviluppo di infrastrutture, salute, istruzione, occupazione ed edilizia. I progressi sono stati ostacolati soprattutto dall’instabilità e dalla corruzione, cui si è sovrapposta la crisi economica internazionale. Il fatto che dal 2012 la Rdc, per ragioni legate all’opacità del settore estrattivo, sia senza un programma concordato con l’Imf, frena gli investimenti internazionali.
Dopo il picco negativo del 2008-09, gli indicatori macroeconomici hanno segnato una lenta ripresa, anche se, dato il potenziale economico ancora largamente inespresso, gli investimenti rimangono al di sotto delle attese. Nonostante gli innumerevoli ostacoli, il pil della Rdc è cresciuto dell’8,4% nel 2015, spinto dall’aumento della produzione agricola e estrattiva e dagli investimenti governativi, senza però tradursi in un benessere equamente distribuito.
L’estrazione illecita e il traffico illegale di materie prime, e l’insicurezza che spinge alla chiusura di alcuni siti, privano il paese di importanti risorse e alimentano i numerosi gruppi armati.
La trasformazione nel maggio 2010 della missione delle Nazioni Unite Monuc in Monusco ha registrato il passaggio da una logica di peacekeeping ad una di stabilizzazione politica, conferendo a quest’ultima anche un mandato di peace enforcing, attivato nel 2012 per contrastare l’ascesa dell’M23. L’esercito regolare congolese, formato anche con l’integrazione di ex gruppi ribelli, è ampiamente destrutturato nonostante il supporto delle organizzazioni internazionali.
Nel 2012, il colonnello Sultani Makenga si è ammutinato, lamentando il mancato rispetto degli accordi sulla reintegrazione del 2009 e realizzando il Mouvement 23 Mars (M23), una forza di ex miliziani, in maggioranza tutsi, che erano stati precedentemente reinseriti nell’esercito regolare. Un rapporto dalle Nazioni Unite ha evidenziato come il gruppo ribelle sia stato sostenuto dal Ruanda, anche come reazione alla presenza, in territorio congolese, delle Forces Démocratiques de Libération du Ruanda (Fdlr), un movimento che si oppone al governo del presidente Kagame e che fino al 2013 non era mai stato perseguito dall’esercito di Kinshasa. Di fronte al pericolo rappresentato dalla forza dell’M23, il mandato della Monusco è stato rafforzato, contemplando anche la risposta al fuoco. Le forze congiunte dei 3000 Caschi blu e dell’esercito regolare congolese sono riuscite a neutralizzare il movimento solo alla fine del 2013, quando, parallelamente alla controffensiva militare, sono stati aperti i negoziati per la pace a Kampala, in Uganda. Le trattative, che hanno visto l’impegno del presidente ugandese Museweni e una certa implicazione del governo ruandese, si sono protratte per mesi, fino alla dichiarazione di Nairobi del dicembre 2013. Mentre Makenga è rifugiato in una località ignota, permangono dubbi sulla volontà di Kampala di consegnare i ribelli in fuga dal governo di Kinshasa.
Le forze della Fardc stanno ora intraprendendo azioni contro le Fdlr. Nel Congo orientale rimangono tuttavia attivi altri movimenti: gli Adf-Nalu, filo-ugandesi e di matrice islamista, vari gruppi ‘Mai-Mai’, cioè formazioni di diversa matrice e fra loro avversarie, la cui generale denominazione ‘Mai-Mai’ fa riferimento a combattenti che insorsero contro i colonizzatori, l’Frpi, attivo in Ituri, i Raia Mutomboki, sorti in contrapposizione alle Fdlr.