La Repubblica Democratica Popolare di Corea, o Corea del Nord, è uno dei paesi più impenetrabili al mondo, caratterizzato da un profondo isolamento tanto a livello politico quanto a livello economico. Il paese occupa circa il 55% della Penisola Coreana. Il confine con la Corea del Sud è segnato da una zona demilitarizzata che si snoda lungo il 38° parallelo, retaggio della divisione tra i due paesi, imposta da Usa e Urss alla fine della Seconda guerra mondiale e cristallizzata dopo la guerra di Corea (1950-53).
La Corea del Nord è una dittatura totalitaria, la cui filosofia ufficiale di stato si basa sulla dottrina del juche (‘autosufficienza’) e del songun (‘preminenza del settore militare’). Il ramo legislativo è formalmente rappresentato dalla Suprema assemblea del popolo, organo unicamerale composto da 687 membri eletti ogni cinque anni con elezioni in forma plebiscitaria. Unico ruolo dell’assemblea è ratificare le decisioni prese dal Partito dei lavoratori. All’assemblea spetta il potere di nomina dell’esecutivo, costituito da un premier (dal 1° aprile 2013 è in carica Pak Pong-ju), tre vicepremier e dai ministri. La figura del presidente è stata revocata in onore di Kim Il-sung, denominato ‘presidente eterno’ al momento della sua morte, avvenuta nel 1994. Nominalmente il capo dello stato sarebbe il presidente della Suprema assemblea del popolo. Di fatto, Kim Jong-un esercita un controllo assoluto sul paese e la Commissione nazionale di difesa è stata dichiarata il ‘massimo organo dello stato’. Il trasferimento di poteri nelle mani di Kim Jong-un, dopo l’improvvisa morte di Kim Jong-il, avvenuta nel dicembre 2011, sembra procedere senza particolari difficoltà. Tuttavia, periodici rimpasti nelle posizioni chiave di governo sembrano segnalare che la situazione politica interna rimane alquanto fluida.
Nel marzo 2013, Kim Jong-un ha rimosso il primo ministro Choe Yong-rim dal proprio incarico, sostituendolo con Pak Pong-ju. A quest’ultimo sono riconosciute credenziali di riformismo, oltre che un solido legame con Jang Song-thaek, zia di Kim Jong-un, alla quale si attribuisce un ruolo di primaria importanza nelle stanze del potere. Nel luglio 2013, invece, Kim Jong-un ha nominato il quarto ministro della difesa consecutivo in un anno. I continui rimpasti in questo settore sembrano testimoniare una volontà, da parte del supremo leader e della cerchia di suoi alleati, di ridimensionare il ruolo dell’esercito, riconducendolo sotto il controllo del Partito dei lavoratori, saldamente nelle mani di Kim. L’ascesa al potere di Kim Jong-un, con le conseguenti prove di forza dettate dalla necessità di cementificare la sua posizione, ha inaugurato una fase di peggioramento delle relazioni della Corea del Nord con i paesi dell’area. In particolar modo, le buone intenzioni espresse dalla presidente sudcoreana Park Geun-hye nelle prime settimane dopo la sua elezione sono sfumate di fronte al duro approccio adottato da Pyeongyang, culminato nella chiusura unilaterale del distretto industriale congiunto di Kaesong. Anche i rapporti con gli Stati Uniti, già difficili, hanno conosciuto un peggioramento in seguito all’atteggiamento di sfida della Corea del Nord che l’ha portata, nel marzo 2013, a intraprendere nuovamente la strada del brinkmanship nucleare. Gi Stati Uniti, però, appaiono non disponibili al compromesso nucleare: il segretario di stato John Kerry ha chiesto al governo nordcoreano di rinunciare a qualsiasi velleità atomica. In questo quadro, la Cina si conferma l’alleato principale di Pyeongyang, continuando a rivestire al tempo stesso il ruolo fondamentale di suo patrono. Sebbene Pechino abbia invitato Pyeongyang alla prudenza in campo atomico, la partnership economica e di sicurezza non sembra per il momento essere in discussione.
La Corea del Nord ha una popolazione di oltre 24 milioni di abitanti, con un tasso di crescita demografica dello 0,5% e un tasso di mortalità infantile ragguardevole (22,7 su 1000 nati). Il carattere fortemente isolazionista del paese, che lo rende uno dei più chiusi verso l’esterno, fa sì che sia severamente vietata qualsiasi forma di emigrazione legale. Di conseguenza, i cittadini nordcoreani che tentano di fuggire dal paese vengono classificati come ‘disertori’. Secondo le stime, sono circa 300.000 i cittadini nordcoreani che sono riusciti a lasciare il paese dal 1953 a oggi. Di questi, la maggior parte ha scelto come paese di destinazione la Cina e la Russia, mentre sono circa 25.000 i nordcoreani rifugiatisi in Corea del Sud. Le organizzazioni per la tutela dei diritti umani denunciano regolarmente i pessimi standard adottati dal governo nei confronti dei propri cittadini. Le forze di polizia esercitano il controllo tale su qualsiasi tipo di attività sociale. I media sono strettamente controllati dal regime e sottoposti a una censura e un controllo ferrei: la Corea del Nord è stata indicata come il paese in cui la libertà di stampa è maggiormente violata al mondo. Nessun tipo di opposizione è tollerata: chiunque esprima un’opinione contraria a quella ufficiale del Partito dei lavoratori è perseguibile. Gli oppositori del regime, o presunti tali, possono essere sottoposti a prigionia, tortura, lavori forzati o condanna a morte.
L’economia nordcoreana, basata sulla nazionalizzazione di tutte le attività industriali e sulla collettivizzazione dell’agricoltura, ha cominciato a mostrare forti segnali di cedimento all’inizio degli anni Novanta, in concomitanza con la disintegrazione dell’Unione Sovietica. L’ampio supporto militare, tecnologico ed economico da parte di sovietici e cinesi era stato vitale per Pyeongyang: l’interruzione nella fornitura di aiuti e materiali a prezzi ribassati ha contribuito ad aggravare la situazione economica nordcoreana, già non florida. Si stima che il reddito nazionale lordo pro capite sia diminuito di un terzo tra il 1990 e il 2002. Da allora, l’economia sembra sia andata stabilizzandosi, mostrando di recente una modesta crescita, frutto dell’aumentata cooperazione intercoreana. Sebbene non si conoscano cifre ufficiali, stime della Banca centrale sudcoreana riportano una crescita del pil nordcoreano dello 0,8% nel 2011, a cui ha fatto seguito una crescita dell’1,3% nel 2012. Altre stime, formulate dalla Divisione statistica delle Nazioni Unite, riportano invece una contrazione dello 0,5% nel 2010, alla quale ha fatto seguito una contrazione dello 0,1% nel 2011 (ultimo dato disponibile). Quali che siano i dati ufficiali per il periodo fino al 2012, gli analisti sembrano essere concordi nel prevedere un peggioramento delle condizioni economiche del paese e un’ulteriore caduta del pil per il periodo 2013-14, come risultato dell’atteggiamento di confronto adottato da Pyeongyang nei primi mesi del 2013. L’inasprimento delle sanzioni, così come la rottura dei rapporti commerciali con Seoul, sembrano destinati a penalizzare ulteriormente l’economia nordcoreana. A destare forte preoccupazione è anche l’altissimo tasso di inflazione. Anche in questo caso, sebbene non si conoscano dati ufficiali, secondo le stime dell’Economist Intelligence Unit il prezzo dei beni di base nell’ultimo anno è più che raddoppiato.
I periodici contrasti con i paesi vicini penalizzano l’economia nordcoreana in quanto essa, nonostante il continuo appello da parte del governo alla dottrina dell’autosufficienza (juche), si è dimostrata negli ultimi anni sempre più dipendente dagli scambi commerciali con i paesi vicini. Sebbene il volume totale dell’interscambio rimanga decisamente basso rispetto agli standard regionali, è da segnalarne il trend crescente. In particolar modo, circa il 90% del commercio con l’estero avviene con Cina e Corea del Sud. Gli investimenti cinesi nell’industria manifatturiera e nelle infrastrutture lasciano sperare in un miglioramento per la fragile economia nordcoreana; la condizione perché ciò avvenga è che la leadership riesca a continuare lungo la strada del ridimensionamento della struttura militare e liberi risorse che possano favorire la crescita economica.
Il settore industriale è fortemente limitato e sottosviluppato a causa, soprattutto, della mancanza di combustibile e di parti di ricambio. Le dotazioni infrastrutturali del paese sono in genere ridotte e antiquate, specialmente fuori dalla capitale, e il settore energetico è virtualmente inesistente.
In seguito alla divisione in due parti, la Penisola Coreana si è trasformata in una delle zone più militarizzate al mondo. La Corea del Nord detiene il record di nazione con il più alto tasso di personale militare sulla popolazione totale. Inoltre è la quarta potenza militare per disponibilità di uomini dopo Cina, Stati Uniti e India. Le forze armate nordcoreane, indicate con il nome collettivo di Armata popolare della Corea, contano circa 1.200.000 uomini in servizio permanente – di cui circa 1.000.000 nell’esercito – e circa 8 milioni di unità tra paramilitari e riservisti. La coscrizione maschile è obbligatoria e in genere ha inizio a 17 anni per una durata che varia tra i tre e i cinque anni. Su base selettiva anche le donne possono essere arruolabili. Secondo quanto dichiarato da Pyeongyang, la spesa militare equivarrebbe a circa il 16% del budget totale dello stato, ma secondo alcune fonti sudcoreane sarebbe pari almeno al 30%.
La Corea del Nord possiede una massiccia dotazione militare, in cui spicca la potenza e l’ampiezza dell’artiglieria. A partire dagli anni Settanta, Pyeongyang ha cominciato a investire in modo significativo nell’acquisizione e nel perfezionamento di missili balistici e armi di distruzione di massa (chimiche, biologiche e nucleari).
Il 2013 è stato un anno molto difficile per le relazioni intercoreane. In apertura d’anno, infatti, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato l’applicazione della risoluzione di condanna numero 2087, come conseguenza del lancio di un vettore da parte di Pyeongyang alla metà di dicembre dell’anno precedente. Questo esperimento, formalmente teso a porre in orbita il satellite Kwangmyongsong-3 Unità 2, è stato un successo per il neoleader nordcoreano Kim Jong-un, il quale necessitava di un’azione di questo tipo per acquisire legittimazione interna e per conquistarsi l’appoggio dei militari, ma al contempo ha scatenato il timore e le ire della comunità internazionale: gli Stati Uniti, in maniera particolare, hanno considerato il lancio come un mero pretesto di Pyeongyang per testare un vettore a lungo raggio, potenzialmente addirittura in grado di colpire le coste statunitensi. L’unanime condanna successiva al lancio del vettore ha contribuito ad inasprire seriamente i toni, dando il via ad un’escalation il cui passo successivo messo in atto dal regime di Pyeongyang è stato il test nucleare sotterraneo del 12 febbraio.
Questo nuovo esperimento rappresentava, con tutta probabilità, anche una sorta di ‘avvertimento’ nei confronti della nascitura amministrazione Park Geun-hye in Corea del Sud; i nordcoreani desideravano così dimostrare che la strategia isolazionista portata avanti nell’ultimo quinquennio dal presidente sudcoreano Lee Myung-bak non aveva sortito alcun effetto benefico, e che solo un netto cambiamento di rotta avrebbe potuto migliorare i rapporti tra le due parti. Come accaduto in precedenza nel 2006 e nel 2009, in occasione di test dello stesso tipo, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione numero 2094, che inaspriva le sanzioni già esistenti contro Pyeongyang, ampliando la lista dei prodotti la cui esportazione verso la Corea del Nord è vietata e autorizzando gli stati a bloccare i cargo utilizzati dalla Corea del Nord anche se non diretti verso il paese. Anche Pechino ha sostenuto in modo convinto l’introduzione di un nuovo round di sanzioni nei confronti di Pyeongyang, e le dichiarazioni del nuovo presidente Xi hanno segnalato un crescente disappunto dei cinesi nei confronti delle minacce militari nordcoreane.
La risposta dei nordcoreani alle nuove sanzioni si è concretata nella completa rottura delle relazioni con Seoul – come dimostrato dall’interruzione della linea rossa tra il Nord e il Sud, l’ultimo canale di comunicazione diretta ancora esistente tra le due parti – e nell’annullamento unilaterale dell’armistizio del 1953.
Come se la tensione non fosse gia considerevolmente alta, gli americani hanno voluto dare una dimostrazione a Pyeongyang della loro prontezza di reazione e dell’assoluta fermezza nel contrastare qualunque minaccia militare: nel quadro delle annuali esercitazioni militari congiunte con i sudcoreani – chiamate Foal Eagle, e aspramente condannate dai nordcoreani, che le vedono come una assoluta provocazione nei loro confronti – due bombardieri B-52 hanno sorvolato il territorio sudcoreano; successivamente due B-2 hanno effettuato un volo nonstop da una base nel Missouri fino alla Corea del Sud, dove hanno sganciato delle bombe inerti su un bersaglio stabilito. Il Pentagono ha così voluto dare una chiara dimostrazione al regime di Pyeongyang delle loro potenzialità aeronautiche e della loro precisione chirurgica nel colpire obiettivi predeterminati.
Queste azioni ‘dimostrative’ da parte degli americani, tuttavia, hanno scatenato le ire dei nordcoreani, che non solo hanno dichiarato l’inizio di uno ‘stato di guerra’ con Seoul, ma anche platealmente minacciato militarmente gli Stati Uniti. Tra le immediate conseguenze di questo stato di cose, due eventi hanno assunto un’assoluta centralità: il ripristino del reattore nucleare di Yongbyon, in grado di riprocessare plutonio e rimasto inattivo dal 2007, e la chiusura del complesso industriale di Kaesong. All’interno di quest’ultimo, fisicamente collocato in Corea del Nord, 120 industrie sudcoreane impiegano per la produzione dei loro beni più di 50.000 lavoratori del Nord, in un raro esempio di collaborazione tra le due parti. L’interruzione delle attività a Kaesong, chiuso brevemente per tre volte già nel 2009, non solo ha segnalato il tracollo nelle relazioni tra il Nord e il Sud della Corea, ma ha rimarcato il definitivo affossamento della Sunshine Policy, la strategia di avvicinamento tra Seoul e Pyeongyang promossa dalle amministrazioni progressiste alla guida della Corea del Sud tra il 1998 e il 2008. La situazione è rimasta fortemente in bilico, tra violente schermaglie dialettiche, soprattutto perché gli obiettivi e l’abilità di leadership del giovane e relativamente inesperto leader nordcoreano – Kim Jong-un – al potere dalla morte del padre, nel dicembre 2011, rimangono ancora non del tutto esplicitati.
Nelle settimane successive la crisi ha progressivamente cominciato a smorzarsi, tanto che in estate molti hanno ricominciato a chiedere il ritorno a un tavolo negoziale congiunto. Agli inizi di luglio, inoltre, sono state avviate le trattative per la riapertura del complesso industriale di Kaesong: il percorso è stato molto tortuoso, dato che le due parti si addossavano l’un l’altra la responsabilità per la chiusura del complesso, e si è snodato attraverso vari incontri che avrebbero dovuto rintracciare delle condizioni di salvaguardia per evitare la possibilità di una nuova chiusura unilaterale del complesso. Alla metà di agosto, dopo oltre quattro mesi di chiusura, i delegati dei due paesi hanno siglato un documento di intesa in cinque punti per la riapertura del complesso di Kaesong, che nelle parole della presidentessa Park avrebbe dovuto segnare un ‘nuovo inizio’ nelle relazioni intercoreane. Il complesso industriale di Kaesong è tornato ad operare il 16 settembre del 2013.