Vedi Corea, Repubblica di dell'anno: 2012 - 2013 - 2015 - 2016
L’atto di nascita della Corea del Sud – formalmente Repubblica di Corea – risale al 1948, a seguito dell’occupazione sovietica e statunitense della penisola dopo la fine della Seconda guerra mondiale. La divisione della Corea fra Nord e Sud – all’altezza del 38º parallelo (1945) – si consolidò con la guerra di Corea (1950-53): la situazione, che non fu sbloccata durante la conferenza di Ginevra (1954), divenne una fra le tante crisi irrisolte della Guerra fredda. La Corea del Sud, strettamente legata agli Usa fino al 1960, si diede in quell’anno una nuova Costituzione che ridusse i poteri presidenziali, scelta legata agli abusi precedenti. Durante l’effimera esperienza della seconda repubblica, il governo tentò di punire chi era stato coinvolto nel precedente malcostume amministrativo. Il colpo di stato del 1961 capovolse la situazione e installò una giunta militare che esercitò il suo potere durante vari governi (o ‘repubbliche’).
Il ritorno della democrazia avvenne con la sesta repubblica (1987), quella attuale, sostenuta da manifestazioni e movimenti politici indipendenti. Fu allora istituita l’elezione presidenziale diretta e promulgata una nuova Costituzione. Il presidente è il capo dello stato oltre che il comandante delle forze armate. L’elezione è a suffragio universale diretto per un unico mandato di durata quinquennale. Il primo ministro viene nominato dal presidente della repubblica e confermato dal parlamento, l’Assemblea nazionale. Il presidente ha anche il potere di nominare i ministri. L’Assemblea nazionale, il ramo legislativo, ha 300 membri, eletti per un periodo di quattro anni: di questi, 246 sono eletti in collegi uninominali maggioritari, mentre 54 con il sistema proporzionale.
Il primo presidente del nuovo corso democratico fu tuttavia l’ex generale Roh Tae-woo, la cui elezione segnalava una certa continuità con il vecchio regime, sia pure in un clima meno autoritario, mentre il primo capo di stato proveniente dalla società civile fu Kim Young-sam, eletto nel 1993. Uno dei leader di maggior spicco nella storia del paese è stato il democratico Kim Dae-jung, il quale, oltre a dover affrontare la crisi economica che si abbatté in maniera violenta sul paese nel 1997, cercò di gestire il rapporto con la Corea del Nord in maniera diversa dalle amministrazioni precedenti. Una sua storica visita a Pyeongyang nel 2000, durante la quale incontrò il leader nordcoreano Kim Jong-il, valse a Kim Dae-jung l’assegnazione del Premio Nobel per la pace. Questa attitudine al dialogo con il vicino regime di Pyeongyang ha caratterizzato anche la successiva amministrazione sudcoreana guidata dal progressista Roh Moo-hyun, che si recò in visita in Corea del Nord sul finire del suo mandato, nel 2007. Diverso l’approccio dell’ex presidente sudcoreano Lee Myung-bak, in carica dal 2008 al 2012, che ha sposato una linea di maggiore fermezza nei confronti della Corea del Nord.
I principali partiti coreani sono il Partito della nuova frontiera (ex Grande partito nazionale) e il Partito democratico unito. Il primo, una fusione del Partito della nuova Corea con altri partiti minori conservatori, ha guidato il paese ininterrottamente dal 1988 al 1998, quando si imposero le forze politiche democratico-liberali con Kim Dae-jung. Queste ultime sono una componente fluida nel panorama sudcoreano, essendosi spesso riunite in diverse formazioni legate soprattutto al Partito democratico e al Partito Yeollin Uri. Alle elezioni del 2008, il fronte conservatore è riuscito a riconquistare la maggioranza dei seggi e, nel 2012, ha confermato la propria supremazia con Park Geun-hye. Quest’ultima, la prima donna presidente della Corea del Sud, è figlia dell’ex leader sudcoreano Park Chung-hee, che guidò la Corea dopo il golpe militare del 1963, fino al suo assassinio nel 1979. Park Geun-hye ha portato una svolta nel Saenuri adottando un cambio di paradigma: da un’economia incentrata sulla produzione manifatturiera e trainata dall’export, si è passati ad un’economia focalizzata sull’innovazione e sulla creatività. Questo anche per limitare l’influenza dei grandi conglomerati industriali (chaebol) tipici del panorama produttivo sudcoreano e per incoraggiare una maggiore competitività. Nonostante la Corea del Sud si sia velocemente ripresa dalla recessione globale del 2008, la sua economia ha perso slancio dal 2012 a causa del ristagno della domanda interna, del crescente debito delle famiglie e di un mercato del lavoro in calo. La politica fiscale espansiva non ha però stimolato sufficientemente i consumi e gli investimenti; la cosa ha convinto la presidente Park ad abbandonare le riforme strutturali di lungo periodo per provvedimenti limitati a stimolare l’economia.
Sebbene l’incidente al traghetto Sewol,avvenuto nell’aprile 2014 e costato la vita a circa 300 persone, abbia provocato un notevole rimpasto di governo, il mandato della presidente Park pare essere saldo, influenzato solo dai possibili attriti con la Corea del Nord e dalle tensioni con gli altri attori regionali, in primis con il Giappone, con cui i rapporti hanno raggiunto i minimi livelli a causa di storiche controversie e dispute territoriali. La Corea del Sud si trova al centro di un difficile gioco di equilibri che ha portato l’amministrazione Park a rafforzare ulteriormente l’alleanza di sicurezza con gli Stati Uniti e parallelamente intrattenere ottime relazioni con la Cina, sia dal punto di vista economico-commerciale, con la firma del Trattato bilaterale di libero scambio, sia dal punto di vista strategico, assumendo posizioni comuni contro il programma nucleare nordcoreano.
Con una popolazione di poco superiore ai 50 milioni di persone, la Corea del Sud è un paese demograficamente rilevante, con un tasso di crescita demografica particolarmente basso (0,4%) e tendente allo zero (ciò avverrà tra il 2020 e il 2025, secondo il World Population Prospects). In particolare la Corea del Sud si contraddistingue per un tasso di fecondità tra i più bassi al mondo (1,19) e un’aspettativa di vita tra le più alte (81,4 anni). La combinazione di questi due fattori sta determinando un progressivo invecchiamento della popolazione che porrà problemi rilevanti di carattere sociale ed economico. Già dal 2000, la Corea del Sud è entrata a far parte dei paesi tecnicamente ‘vecchi’: il 12,2% della popolazione ha più di 65 anni. Se la situazione non dovesse modificarsi, la percentuale di anziani aumenterà fino a raggiungere il 20% della popolazione totale nel 2026: di questo passo, la Corea sarà uno dei paesi più vecchi in assoluto nel 2050.
Come accade altrove, in Corea l’immigrazione non sembra in grado di modificare il trend, poiché il numero di immigrati, nonostante sia cresciuto, rimane modesto. Molti stranieri tendono a risiedere solo temporaneamente in Corea, anche per il clima sociale poco accogliente, creato, forse, dalla grande omogeneità etnica e culturale del paese. Per un’ampia parte della popolazione coreana, soprattutto quella più anziana, l’idea di una nazione multietnica o multirazziale – come gli Stati Uniti – rimane ancora lontana. Tra gli stranieri, i cinesi costituiscono la comunità più nutrita. L’emigrazione è invece un fenomeno ben conosciuto, che si è sviluppato soprattutto durante il periodo della colonizzazione nipponica (1910-45); i paesi maggiormente interessati dall’emigrazione sudcoreana sono stati la Cina, gli Stati Uniti, il Giappone e le ex repubbliche sovietiche.
La densità della popolazione è tra le più alte del mondo: la Corea del Sud si colloca infatti al ventesimo posto dopo Bangladesh e Taiwan, con 517,2 persone per chilometro quadrato. Circa l’82% della popolazione sudcoreana vive nelle aree urbane, con una fortissima concentrazione nella capitale: è la conseguenza dei processi di industrializzazione e di urbanizzazione degli anni Sessanta e Settanta.
Le istituzioni sudcoreane, in genere, hanno dimostrato una certa attenzione al tema dei diritti umani. Il mantenimento della controversa ‘legge di sicurezza nazionale’, introdotta nel 1948, ufficialmente per contrastare qualsiasi azione volta a danneggiare la sicurezza interna, ha però ostacolato l’esercizio concreto della libertà di espressione e di stampa, come hanno denunciato diverse organizzazioni per i diritti umani. Benché l’applicazione della legge si sia fatta più lasca, alcune centinaia di persone vengono indagate annualmente per la loro reale o presunta ‘simpatia’ nei confronti della Corea del Nord. La vaghezza nell’applicazione di tale legge ha più volte concesso alle autorità ampi poteri di arresto e detenzione di semplici sospettati. Periodicamente vengono segnalati anche casi di abusi fisici e di molestie verbali da parte della polizia nei confronti dei detenuti, in particolare se fermati per manifestazioni politiche. Nel 2013 le autorità hanno incriminato 102 persone in nome di questa legge, il numero più alto in 10 anni.
Estremamente alta è l’incidenza della violenza domestica, così come sono diffuse le molestie sessuali. La condizione femminile è soggetta a pesanti discriminazioni e la sperequazione salariale tra uomini e donne è la norma, così come resta pervasiva la discriminazione contro la comunità omosessuale. La forte omogeneità etnica del paese rende poi particolarmente difficile l’integrazione delle comunità provenienti dall’estero. Benché la legge punisca duramente la tratta degli esseri umani si registrano diversi episodi di rapimento di donne e minori, portati in Corea del Sud e sfruttati per il mercato sessuale. Nel 2013 più di 50 membri del Partito Democratico hanno presentato una proposta di legge contro tutte le discriminazioni, a tre anni dall’iniziativa simile promossa dal Dipartimento di giustizia. Tentativi falliti in entrambe i casi, a causa dell’opposizione dei due principali partiti, delle associazioni cattoliche e di quelle dei datori di lavoro.
La pena di morte non è stata abolita, ma nessuna esecuzione è stata eseguita dal dicembre 1997 grazie ad una moratoria non ufficiale. 61 persone si trovano ancora nel braccio della morte. Più volte sono state avanzate in parlamento proposte di abolizione della pena capitale, ma nessuna di queste è ancora stata accolta. Nel 2010, al contrario la Corte costituzionale ha ribadito la sua costituzionalità.
L’economia sudcoreana ha subito una profonda trasformazione dopo la fine della Guerra di Corea. Il pil pro capite è passato dai circa 82 dollari americani degli anni Cinquanta agli oltre 30.000 dollari degli anni Duemila. Nel corso degli anni Sessanta il paese è stato radicalmente trasformato attraverso politiche di sviluppo, modernizzazione e industrializzazione volute dalle giunte militari e realizzate imprimendo un forte impulso alle esportazioni, anche grazie a sostanziosi aiuti statali alle imprese.
In breve la Corea ha raggiunto dei livelli di crescita considerevoli e da nazione prevalentemente agricola si è trasformata in un paese ipertecnologico, che vanta il più alto tasso di accessi a Internet, è leader nella produzione di semiconduttori e innovatore mondiale nell’elettronica di consumo.
La rapida crescita della Corea, tuttavia, costante in tutta la prima metà degli anni Novanta, ha cominciato a mostrare alcune debolezze con la crisi economica del 1997-98. In particolare, il pronunciato rapporto tra debito e capitale di rischio e un massiccio ricorso a prestiti esteri di breve termine hanno minato la tenuta del sistema. Alla fine del 1997, complici la bancarotta di alcuni tra i principali gruppi industriali del paese e la fuga degli investitori stranieri, il paese si trovò costretto, per evitare il tracollo, a ricorrere all’aiuto del Fondo monetario internazionale, che erogò un prestito di 57 miliardi di dollari. Una serie di misure adottate dal governo sudcoreano rese possibile il contenimento dei problemi finanziari. Il merito della ripresa va però attribuito principalmente alla ristrutturazione operata nel mercato del lavoro e alle misure introdotte dalla nuova amministrazione, volte ad attrarre investimenti stranieri. Nei primi quattro mesi del 1999 il pil aumentò del 5,4%; lo sviluppo sostenuto, combinato con la pressione deflazionistica sulla valuta, spinse il tasso di crescita annuale fino al 10,5%. La crisi poteva dirsi quindi fondamentalmente riassorbita verso la fine del 1999 e il prestito del Fondo monetario internazionale venne estinto di lì a poco.
Negli anni 2000, dopo aver registrato un aumento del pil del 5,7 nel primo trimestre del 2008, cominciò un lento calo: a fine anno scese fino al 3,3 per poi crollare nel 2009, in coincidenza con la crisi mondiale: nel secondo trimestre del 2009, il pil era -4,2. Altrettanto rapida è stata la ripresa. Il picco si è avuto a metà 2010: +8,7%. Poi un progressivo calo, sia pur sempre con tassi positivi, fino al +1,5% di metà 2012, anno che si è però concluso con un soddisfacente +3,7%, secondo i dati di Trading Economics. In sostanza, la risposta della Corea del Sud alla recessione mondiale è stata pronta: la crisi è stata evitata grazie alle tempestive misure di stimolo dell’economia e al consumo di prodotti interni, scelta che ha compensato in qualche maniera la riduzione delle esportazioni che però non accenna ad arrestarsi registrando nel maggio 2015 un calo del 10,9% rispetto all’anno precedente. Su questo ha pesantemente influito anche il diffondersi nel paese della Sindrome respiratoria mediterranea (Mers). Ciò dimostra come la crescita economica sud coreana, tradizionalmente trainata dall’export, si trovi ora di fronte ad importanti criticità legate ai trend globali e in particolare alle fluttuazioni dei mercati cinesi.
La Corea del Sud può contare su modestissime risorse energetiche interne. Per questo è uno dei principali importatori di energia al mondo. Di fondamentale importanza è il petrolio, di cui la Corea è il sesto maggior importatore al mondo, nonché decimo consumatore assoluto. Nel 2013 il consumo di petrolio ha raggiunto i 2,2 milioni di barili al giorno. La gran parte proviene dalla regione del Golfo Persico, principalmente dall’Arabia Saudita. La forte dipendenza dal petrolio ha indotto il governo a spingere per la diversificazione della fornitura, con l’adozione di una strategia a breve termine e di una a lungo termine. Da un lato, la Corea ha sviluppato una riserva petrolifera strategica, pari a 90 giorni circa, gestita dall’ente nazionale per il petrolio (Korean National Oil Corporation, Knoc): tale riserva si renderebbe necessaria in caso di improvvise interruzioni delle forniture.
Dall’altro lato, in una strategia di lungo termine, la stessa Knoc – così come altre società private – ha cominciato a esplorare possibili siti di approvvigionamento, scandagliando il sottofondo marino in prossimità della costa, ancora largamente inesplorato, e partecipando attivamente ad alcuni progetti pilota in varie aree del pianeta. La Corea è anche la sesta potenza mondiale per volume di raffinamento del greggio: 2,8 milioni di barili al giorno vengono lavorati nei sei impianti principali del paese.
Oltre al petrolio, il paese importa anche notevoli quantità di gas naturale liquefatto, principalmente dal Qatar, e di carbone, soprattutto dall’Indonesia. La crescente richiesta di energia elettrica viene invece soddisfatta attraverso una combinazione di energia termica, nucleare e idroelettrica. Come firmataria del Protocollo di Kyoto la Corea del Sud ha assunto l’impegno di ridurre le emissioni di carbone dotandosi di 12 nuovi impianti nucleari prima del 2015.
Data la fortissima sovrappopolazione, l’inquinamento atmosferico è diventato un problema rilevantissimo nelle aree urbane. Per questo, e per provare in qualche modo a sottrarsi al giogo delle importazioni di petrolio, il governo sudcoreano ha deciso a metà del 2008 di favorire gli investimenti in fonti di energia rinnovabile. La precedente amministrazione Lee aveva posto al centro della sua agenda la cosiddetta ‘green growth’ e sostenuto lo sviluppo di nuove tecnologie come i veicoli ibridi ed elettrici. L’impegno è stato riconosciuto internazionalmente collocando a Songdo la sede del Fondo verde per il clima delle Nazioni Unite. Allo stesso tempo, però, la Corea del Sud è stata tra i pochi Paesi ad innalzare considerevolmente la produzione di energia nucleare dopo il disastro di Fukushima del 2011. Sebbene dal gennaio 2015 sia stato attivato lo schema del mercato delle emissioni (Emission Trading Scheme), l’attuale governo Park si è distanziato dalla precedente politica ‘green growth’ senza, però, presentare una vera iniziativa ambientale alternativa e ha ritardato l’annunciata tassa sulle emissioni dei veicoli a motore al 2020 nonostante le pressioni dei produttori nazionali e statunitensi.
Il primo problema per la difesa sudcoreana è costituito dalla Corea del Nord. Le tensioni sulla penisola hanno toccato un nuovo picco nell’estate del 2015 con lo scambio di colpi di artiglieria lungo il confine, cosa che non avveniva ad una tale intensità dal 2010. Queste ultime schermaglie, e gli avanzamenti nel programma nucleare e balistico nordcoreano, hanno sicuramente influito sulla decisione del governo sudcoreano di aumentare del 4% il budget 2016 per la difesa.
Un secondo problema è costituito dal Mar Cinese Orientale e dai contrasti con il Giappone per le Isole Dokdo (Liancourt) e con la Cina per lo scoglio di Ieodo (Socotra). Il primo gruppo di isolotti, la cui sovranità costituisce da lunga data un motivo di contrasto con Tokyo, ha creato tensioni più vive nel 2006 e provocato due temporanei ritiri degli ambasciatori nel 2008 e nel 2012. Entrambe le volte, il Giappone propose di appellarsi alla Corte di giustizia internazionale, ma la Corea del Sud rifiutò, giudicando inviolabili i suoi diritti sulle isole. Nel 2012, il presidente della Corea del Sud, Lee Myung-bak, visitò l’isola provocando un momentaneo stallo diplomatico. Le rivendicazioni sudcoreane riguardano anche Ieodo, un gruppo roccioso sommerso che, secondo il diritto internazionale, non dovrebbe poter essere reclamato. Tuttavia, le potenzialità energetiche della zona, l’estensione di uno spazio vitale strategico per le operazioni militari sudcoreane e la coincidenza delle zone economiche esclusive con la Cina hanno indotto il governo di Seoul a mantenere la linea dura precedentemente adottata.
Gli Stati Uniti, il cui contingente militare di 28.500 uomini corrisponde al 4,3% delle forze coreane, continuano a essere il principale partner nel campo della difesa. Questa presenza non è decisiva, ma viene considerata dal governo coreano un potente deterrente contro ogni tentativo di modificare l’equilibrio costruito sul 38° parallelo. Dal 1978, il comando congiunto delle forze della Repubblica di Corea e degli Stati Uniti (Rok-Us Cfc) ha assunto la responsabilità della difesa dei confini sudcoreani. Il Cfc, comandato da un generale statunitense e da un vice sudcoreano, detiene il controllo operativo delle truppe congiunte coreane e statunitensi. Il trasferimento del comando sulle forze militari presenti nella penisola da Washington a Seoul è previsto per il 2020.
Il successo di Kim Dae-jung alle elezioni presidenziali del 1998 inaugurò in Corea del Sud un decennio progressista, condizionando anche un nuovo tipo di approccio nei confronti del vicino nordcoreano. Questo orientamento, denominato ‘Sunshine Policy’, faceva leva su tre principi: nessuna provocazione militare da parte dei nordcoreani sarebbe stata tollerata; il Sud non avrebbe tentato di assorbire il Nord in alcun modo; il Sud avrebbe cercato attivamente la cooperazione con il Nord. Rassicurando Pyeongyang, Seoul cercava di porre le basi per una coesistenza pacifica, che escludesse un cambiamento di regime al Nord o la riunificazione immediata. La ‘Sunshine Policy’ mutava radicalmente la strategia scelta nei decenni precedenti di contesa diplomatica a somma zero tra Nord e Sud. L’approccio raccolse anche risultati molto concreti, come la creazione di un progetto turistico congiunto sul Monte Kumgang, nella Corea del Nord, vicino al 38° parallelo, e la ricongiunzione dei binari tra le due Coree.
L’apice della ‘Sunshine Policy’ fu rappresentato dallo storico summit del giugno 2000 in occasione del quale il presidente Kim Dae-jung si recò a Pyeongyang per incontrare il leader nordcoreano Kim Jong-il. Non era mai accaduto dalla fondazione dei due stati. Il comunicato congiunto, elaborato nel corso del meeting, riaffermò gli obiettivi di una riunificazione pacifica, proponendo al contempo incontri sempre più frequenti tra i membri delle famiglie divise dalla rottura dei rapporti tra i due stati. Dal punto di vista simbolico, grazie all’abbraccio finale tra i due leader, il meeting ebbe un impatto dirompente nella penisola, contribuendo in larga parte a modificare la concezione profondamente negativa che molti sudcoreani avevano della Corea del Nord. L’iniziativa valse il conferimento del Premio Nobel per la pace a Kim Dae-jung, nel 2000. Qualche anno dopo si diffuse la notizia secondo cui il governo sudcoreano aveva in qualche modo facilitato lo storico incontro tra i leader pagando una cospicua somma di denaro ai nordcoreani; nondimeno la ‘Sunshine Policy’ continuò a godere di grande popolarità, soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione coreana.
Durante il successivo periodo di presidenza di Roh Moo-hyun la ‘Sunshine Policy’ continuò a produrre i propri effetti. In termini di cooperazione diede vita all’interessante progetto del Parco industriale di Kaesong, un complesso in territorio nordcoreano, per il quale la Corea del Sud investì nel 2005 l’equivalente di 325 milioni di dollari. Nell’ottobre del 2007, Roh Moo-hyun ripercorse la strada del suo predecessore, recandosi in visita a Pyeongyang. Le critiche più feroci all’approccio della ‘Sunshine Policy’ nell’opinione pubblica sono centrate soprattutto sulla mancata interruzione delle provocazioni militari da parte dei nordcoreani e sulle incomprensioni che tale approccio ha rischiato di creare nelle relazioni tra Washington e Seoul. Il ritorno del fronte conservatore alla guida del paese con l’elezione, nel 2008, del presidente Lee Myung-bak, ha imposto una posizione molto più rigida nei confronti della Corea del Nord e ha di fatto affossato la ‘Sunshine Policy’.
La tensione fra i due paesi è tornata a salire nel 2010 con il presunto siluramento di una nave battente bandiera sudcoreana (attribuito da una commissione internazionale alla marina nordcoreana) e con le schermaglie di fronte all’Isola di Yeonpyeong: gli ultimi scambi di artiglieria si sono registrati nell’estate 2015. I progressi nel programma nucleare nordcoreano hanno preoccupato anche gli Stati Uniti, le cui forze di stanza in Corea del Sud hanno svolto esercitazioni navali e aeree durante l’intero corso del 2013, provocando reazioni e minacce da parte di Pyeongyang. Nel dicembre 2013 contestualmente alla creazione di una zona di identificazione aerea per la difesa della Cina, Seoul ha annunciato di volere espandere a sua volta la propria area di controllo per consolidare lo spazio di sicurezza nazionale in direzione nordcoreana.
Dimostrando di aver appreso la lezione della crisi economica del 1997-98, quando il paese rischiò il tracollo, la Corea del Sud si è ripresa molto velocemente, prima di qualsiasi altro paese al mondo, dalla recessione globale del 2008. Al pari degli altri paesi industrializzati, la Corea del Sud ha sofferto una forte recessione: la crescita è entrata in una spirale negativa, e molti settori importanti dell’economia sudcoreana hanno avuto un lungo periodo di flessione. Le esportazioni di automobili e semiconduttori, due pilastri dell’economia nazionale coreana, sono crollate rispettivamente del 55,9% e del 46,9%. Tuttavia, la ripresa economica nel 2010 è stata sensazionale: il pil è cresciuto del 6,1%, l’aumento più significativo dal 2002. Questa crescita è stata trainata in particolar modo dalle esportazioni, in forte espansione, dalla domanda interna e dagli investimenti nel settore industriale. Nel primo trimestre le esportazioni sono aumentate del 36,2%, se paragonate allo stesso periodo dell’anno precedente. Sostenuti dal clima di fiducia che attraversa il paese, i consumi interni hanno ripreso vigore, diventando una colonna portante della crescita. Anche gli investimenti sono aumentati del 24,2% rispetto all’anno precedente, grazie soprattutto al comparto automobilistico e tecnologico. Il mercato del lavoro, entrato in depressione all’inizio della crisi, ha mostrato segnali di ampio miglioramento: il tasso di disoccupazione, del 5% fino a gennaio 2010, è sceso al 3,2% a maggio, mentre il numero di nuovi assunti in aprile ammontava a 586.000 unità.
Il boom economico si è interrotto nel 2011, quando il tasso di crescita del pil è tornato al 3,7%, mentre il tasso di disoccupazione si è attestato sul 3,1%. La Corea ha risentito in particolare di quattro ordini di problemi: l’inflazione, le fluttuazioni valutarie, la crescente competizione delle economie avanzate e i conflitti geopolitici.
In primo luogo, la Corea ha dovuto affrontare una situazione di crescente inflazione causata da politiche creditizie troppo permissive. L’inflazione ha portato a un ribasso nei consumi, poiché il risparmio molto contenuto ha lasciato poco spazio di manovra contro l’aumento generalizzato dei prezzi. La fluttuazione della moneta ha rappresentato un altro ostacolo sulla strada del pieno recupero: dall’indebolimento del dollaro, e dal conseguente rafforzamento del won coreano, è risultata un’erosione della competitività delle esportazioni. Inoltre, le grandi compagnie dei paesi a economia avanzata, colpite duramente dalla crisi, hanno compiuto incursioni nei mercati emergenti, intensificando la competizione. Infine, la costante minaccia proveniente dalla Corea del Nord costituisce un fronte di spesa rilevante per l’economia sudcoreana.
Ancora nel 2014, nonostante i segnali di ripresa, l’economia sudcoreana non è tornata ai livelli precedenti il 2008. Si tratta di una combinazione di problemi di lungo e breve periodo, tra cui la capacità di restare al passo con le recenti innovazioni del mercato tecnologico, che costituiscono uno dei settori più importanti dell’industria nazionale. Il modello tradizionale delle chaebol, le imprese conglomerate ricollegabili a un ristretto numero di grandi famiglie industriali, sembra essere il responsabile di scelte sbagliate e cattivi investimenti, legati a un tasso di indebitamento superiore al 200% per 20 fra i 46 maggiori trust nazionali.
La Corea del Sud è il primo ed unico partner ad aver firmato con l’Unione Europea (Eu) i tre accordi - politico, commerciale e di sicurezza - bilaterali fondamentali: il rinnovato Framework Agreement (2010), l’Accordo di libero scambio (2011) e il Trattato che prevede la partecipazione della Corea del Sud alle missioni e operazioni nell’ambito della Politica di Sicurezza e Difesa Comune dell’Eu (2014).
Con la conclusione dell’accordo di libero scambio, il primo dell’Eu con un Paese asiatico, le relazioni bilaterali hanno assunto il rango di ‘partnership strategica’. L’Europa è il quarto mercato più importante per l’export coreano, dopo Cina, Giappone e Stati Uniti, mentre la Corea del Sud è la decima destinazione per le esportazioni Eu. Entro cinque anni dall’entrata in vigore dell’accordo, entrambe le parti elimineranno il 98,7% dei dazi in valore commerciale per prodotti sia industriali sia agricoli (salvo alcune eccezioni in quest’ultimo settore). L’eliminazione quasi completa dei dazi dovrebbe significare un risparmio annuo di 1,6 miliardi per gli esportatori Eu. Sulla base dei dati riguardanti i primi tre anni di attuazione, emerge come la scelta di liberalizzare gli scambi sia vantaggiosa per entrambe le parti, in particolare per il lato europeo. Le esportazioni europee sono aumentate del 35% in questo arco triennale rispetto ai 12 mesi precedenti la conclusione del trattato e nel 2012 Bruxelles ha registrato il primo surplus commerciale con la Corea del Sud in più di 15 anni. Le importazioni sono rimaste stabili nei primi due anni per poi crescere del 6% tra luglio 2013 e 2014. La debole performance delle esportazioni coreane va invece vista alla luce del generale calo della domanda europea dovuto alla crisi finanziaria globale. La Corea, anzi, è stato uno dei pochi partner commerciali dell’Eu, insieme a Cina e Turchia, a vedere una crescita dell’export verso l’Eu nel 2014. Sembra quindi che l’accordo bilaterale abbia mitigato l’impatto della crisi sulle esportazioni coreane. La Corea ha la più estesa rete mondiale di tali accordi (Cile, Singapore, Efta, Asean, India, Unione Europea, Perù, Usa, Turchia, Cina). Conclusi ma non ancora in vigore sono invece quelli con Colombia, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Cina e Vietnam.