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Corea del Sud
Sebbene la Corea del Sud sia universalmente riconosciuta come una democrazia consolidata, per alcuni decenni dopo la Guerra di Corea (1950-53) alla sua guida si sono susseguiti dei leader politici impadronitisi del potere con mezzi e in circostanze poco democratici. A partire dal 1961, in particolare, la Corea cadde preda dei militari, che acquisirono il potere attraverso un colpo di stato e lo mantennero, in diverse ‘incarnazioni’, per un quarto di secolo, dedicando il loro impegno alla crescita economica del paese ma calpestando a più riprese i diritti della cittadinanza. Nel 1987, sotto la spinta delle manifestazioni sociali guidate dal movimento pro-democratico, il regime autoritario venne sconfitto e si poté infine instaurare un regime democratico nel paese.
Per ironia della sorte, il primo presidente del nuovo corso democratico del paese non fu altri se non l’ex generale Roh Tae-Woo, la cui elezione segnava quindi una sorta di continuità con il vecchio regime autoritario, pur in assenza di caratteristiche di autoritarismo. Per assistere invece all’elezione del primo presidente civile e senza alcun passato militare si dovette aspettare il 1993, con l’elezione di Kim Young-Sam. Uno degli esponenti politici di maggior rilievo che la Corea del Sud abbia avuto è stato Kim Dae-Jung, il quale, oltre a dover affrontare la crisi economica che si abbatté violentemente sul paese nel 1997, cercò di gestire in maniera profondamente diversa dalle amministrazioni precedenti il rapporto con la Corea del Nord. Approfondimento
Una sua storica visita a Pyeongyang, caratterizzata dall’incontro col leader nordcoreano Kim Jong-Il, nel 2000, gli valse l’assegnazione del Premio Nobel per la pace. Questa attitudine al dialogo con il vicino regime di Pyeongyang ha caratterizzato anche la successiva amministrazione sudcoreana guidata dal progressista Roh Moo-hyun, anch’egli recatosi in visita in Corea del Nord sul finire del suo mandato, nel 2007. Da questo approccio ha preso invece le distanze l’attuale presidente sudcoreano Lee Myung-bak, in carica dal 2008, il quale ha deciso di sposare una linea di maggiore fermezza nei confronti della Corea del Nord.
Nonostante il programma nucleare nordcoreano desti molta preoccupazione nei policy-makers sudcoreani, esso non è l’unica variabile da tenere sotto controllo. Negli ultimi anni, date anche le incerte condizioni fisiche di Kim Jong-Il, il regime nordcoreano ha lasciato intravedere qualche timido segnale di instabilità. In molti si sono allora chiesti cosa succederebbe se il regime collassasse: ciò potrebbe condurre a una riunificazione delle due Coree e alla necessità di procedere alla ricostruzione di un paese significativamente arretrato, dal punto di vista economico, sociale e infrastrutturale come la Corea del Nord. Potrebbero quindi verificarsi almeno tre scenari plausibili: una riunificazione fluida sul modello tedesco; una caratterizzata da estrema violenza; e un misto delle due ipotesi, sul modello della transizione sperimentata da alcuni paesi ex comunisti in Europa. Qualsiasi di queste soluzioni implicherebbe un costo rilevante per i sudcoreani, considerata l’estrema condizione di povertà in cui versa la Corea del Nord. Rimettere in sesto l’economia di quel paese richiederebbe infatti investimenti astronomici da molteplici punti di vista. Il modello tedesco, al quale spesso si fa menzione nella disamina del caso coreano, richiederebbe un impegno proibitivo per i sudcoreani: le condizioni di partenza sono infatti troppo dissimili. Malgrado gli oltre 2 trilioni di dollari che la Germania Federale ha pagato per la riunificazione in due decenni, l’avvio non fu particolarmente traumatico per Bonn. La popolazione della Germania Est era solo un quarto di quella della Germania Ovest e nel 1989 il reddito pro-capite dei cittadini dell’est era equivalente a un terzo di quello dei cittadini dell’ovest. Non bisogna dimenticare, inoltre, che tra le due Germanie esistevano solidi canali commerciali.
La situazione tra le due Coree è estremamente diversa: il reddito pro-capite della Corea del Nord è meno del 5% di quello della Corea del Sud; la popolazione totale nordcoreana è più o meno la metà di quella sudcoreana; e le relazioni commerciali tra i due paesi, nonostante siano migliorate, sono sempre altamente suscettibili ai ribaltamenti politici e diplomatici. A queste condizioni di partenza una riunificazione sarebbe impensabile perché troppo impegnativa dal punto di vista finanziario per i sudcoreani. Numerose e tra loro enormemente diverse sono le stime fiorite in questi anni con riferimento ai costi dell’eventuale riunificazione: per semplicità diciamo che queste stime si muovono all’interno di un ipotetico range che va da 400 miliardi a 3,6 trilioni di dollari americani necessari per una gestione pacifica della riunificazione. Tali stime, però, non tengono nella debita considerazione il fatto che l’unificazione non si limiterebbe a comportare dei costi di investimento, ma chiamerebbe in causa delle voci ulteriori, come il sostegno umanitario, la stabilizzazione economica, la sostituzione del regime, la rieducazione politica dei cittadini, il job training, la ristrutturazione amministrativa e burocratica, l’integrazione sociale, solo per citarne alcune. Questi ultime voci sono molto più indeterminate dei costi di investimento e potrebbero incidere pesantemente se dovessero accumularsi negli anni. Una delle soluzioni più interessanti finora avanzate è quella di porsi come obiettivo il raddoppiamento del pil nordcoreano: ciò potrebbe costituire una soluzione interessante e realmente perseguibile. In questa maniera si farebbe in modo da migliorare le condizioni dei cittadini nordcoreani permettendo loro di contribuire allo sviluppo del loro territorio, mettendo al contempo la Corea del Sud al riparo da un afflusso biblico di fuggiaschi. Ad ogni buon conto, le spese necessarie per favorire la riunificazione non dovrebbero ricadere esclusivamente sulle spalle dei sudcoreani, ma piuttosto essere spalmate su una serie di attori istituzionali internazionali, che trarrebbero giovamento dalla riunificazione della penisola per la sicurezza e la stabilità della regione asiatica, oltre che per nuove opportunità di commercio e investimento.
La Corea del Sud è una repubblica presidenziale in cui il presidente è il capo dello stato, oltre che comandante in capo delle forze armate. Egli viene eletto a suffragio universale diretto per un unico mandato di durata quinquennale. Il primo ministro viene nominato dal presidente della repubblica e ‘approvato’ dal parlamento, l’Assemblea nazionale. Il presidente ha anche il potere di nominare i ministri. L’Assemblea nazionale, il ramo legislativo, ha 299 membri, eletti per un periodo di quattro anni: di questi 243 sono eletti in collegi uninominali maggioritari, mentre 56 col sistema proporzionale.
Con una popolazione totale di poco inferiore ai 50 milioni di persone, la Corea del Sud può essere considerato un paese demograficamente rilevante, anche se il suo tasso di crescita demografica è particolarmente basso (0,33 dato Un 2006 o 0,27 dato Cia World Factbook stima 2008) e tendente allo zero (ciò avverrà tra il 2020 e il 2025 secondo il World Population Prospects: the 2008 revision). Quest’ultimo dato assume un significato ancor più preoccupante se messo in relazione al cambiamento della struttura della popolazione: la Corea del Sud, infatti, si contraddistingue per avere un tasso di fecondità tra i più bassi del mondo (1,22) e un’aspettativa di vita tra le più alte. La combinazione di questi due fattori determina un progressivo invecchiamento della popolazione che sta assumendo contorni preoccupanti. Già nel 2000, infatti, la Corea del Sud è entrata a far parte del novero dei paesi tecnicamente ‘vecchi’, in cui cioè il 7% della popolazione totale ha più di 65 anni; se la situazione non dovesse modificarsi, questa percentuale di anziani aumenterà fino a raggiungere il 20% della popolazione totale nel 2026, spingendo la Corea a diventare uno dei paesi più vecchi in assoluto nel 2050.
Come accade in altri paesi, in Corea l’immigrazione non sembra in grado di correggere nell’immediato questa stortura, dato che il numero di immigrati presenti nel paese, nonostante sia cresciuto, rimane ancora modesto. Oltretutto molti stranieri tendono a risiedere solo temporaneamente in Corea: ciò avviene anche a causa della forte omogeneità etnica e culturale del paese. Per una ampia parte della popolazione coreana, soprattutto quella più anziana, l’idea di una nazione multietnica o multirazziale – come gli Stati Uniti – rimane ancora molto lontana. Tra gli stranieri presenti i cinesi costituiscono la comunità più nutrita. L’emigrazione è invece un fenomeno ben conosciuto, sviluppatosi soprattutto durante il periodo della colonizzazione nipponica (1910-45); i paesi maggiormente interessati dall’emigrazione sudcoreana sono stati la Cina, gli Stati Uniti, il Giappone e le ex repubbliche sovietiche.
Da notare è anche la densità della popolazione, una delle più alte del mondo, pari a circa 487 persone per chilometro quadrato. Più dell’80% della popolazione sudcoreana vive nelle aree urbane del paese, con una fortissima concentrazione nella zona della capitale: questo è la conseguenza dei processi di rapida industrializzazione e urbanizzazione della nazione negli anni Sessanta e Settanta.
La Corea del Sud ha assegnato un’importanza notevole all’istruzione, tanto che il tasso di alfabetizzazione ha ormai raggiuntoil 99%.
I diritti umani dei cittadini sudcoreani vengono generalmente rispettati. Nonostante ciò, la persistenza della controversa ‘Legge di sicurezza nazionale’, introdotta in Corea nel 1948 con l’obiettivo ufficiale di opporsi a qualunque azione volta a danneggiare la sicurezza nazionale, ha messo spesso in dubbio la concreta libertà di espressione e di stampa nel paese, come denunciato da alcune organizzazioni per i diritti umani. Nonostante la ferrea applicazione della Legge sia andata scemando, alcune centinaia di persone all’anno vengono perseguite a causa della loro reale o presunta ‘simpatia’ nei confronti della Corea del Nord. La nebulosità nell’applicazione della Legge di sicurezza nazionale, del resto, ha più volte permesso alle autorità ampi poteri di arresto, detenzione e imprigionamento di persone che avevano compiuto azioni considerate come potenzialmente pericolose nei confronti della sicurezza nazionale. Periodicamente vengono segnalati anche casi di abuso fisico e verbale da parte degli agenti di polizia nei confronti dei detenuti, in particolare se fermati in seguito a manifestazioni di ordine politico.
L’incidenza della violenza domestica rimane ancora estremamente alta, così come le molestie sessuali. Del resto, la sperequazione salariale tra uomini e donne è una pratica ancora piuttosto diffusa e comune. A causa della forte omogeneità etnica del paese, è ancora particolarmente difficile per le minoranze integrarsi pienamente.
Nonostante la legge persegua duramente la tratta di esseri umani vi sono episodi di questo tipo che coinvolgono nella gran parte dei casi donne e bambini, condotti nel paese soprattutto per essere sfruttati sessualmente.
Nessuna esecuzione è stata condotta nel paese dal dicembre 1997; più di 50 persone si trovano ancora nel braccio della morte, nonostante siano state più volte avanzate in parlamento delle proposte di abolizione della pena capitale.
L’economia sudcoreana ha subito una profondissima trasformazione dopo la fine della Guerra di Corea. Da quel conflitto il paese uscì infatti devastato, rimanendo in condizioni di estrema povertà fino all’inizio degli anni Sessanta. In quel periodo il pil pro-capite era pari a circa 82 dollari americani, paragonabile quindi a quello dei più poveri e arretrati paesi africani e asiatici. Nel corso degli anni Sessanta il paese fu radicalmente trasformato grazie al perseguimento, da parte dei regimi militari, di politiche di crescita, modernizzazione e industrializzazione, da realizzare attraverso la strategia delle esportazioni e degli aiuti statali alle imprese. In breve la Corea ha raggiunto dei livelli di crescita considerevoli e da nazione prevalentemente agricola è andata assumendo progressivamente le fattezze che oggi conosciamo: il paese con il più alto tasso di accessi alla rete internet, leader nella produzione di semiconduttori e innovatore mondiale nell’elettronica di consumo.
Come del resto tutti i paesi industrializzati, anche la Corea ha sofferto di una forte recessione: la crescita è entrata in una spirale negativa, e molti settori importanti dell’economia sudcoreana hanno avuto un lungo periodo di flessione. Le esportazioni di automobili e semiconduttori, due pilastri dell’economia nazionale coreana, sono crollati del 55,9% e 46,9% rispettivamente.
La ripresa economica del paese nel 2010 è stata sensazionale: il pil è cresciuto del 6,1%, l’aumento più significativo dal 2002. Questa crescita è stata trainata in particolar modo dalle esportazioni, in forte espansione, dalla domanda interna e dagli investimenti industriali. Nel primo trimestre le esportazioni sono aumentate del 36,2%, se paragonate allo stesso periodo dell’anno precedente; sostenuti dal clima di fiducia che percorre il paese, i consumi interni si sono ripresi, diventando una colonna portante della crescita. Anche gli investimenti sono aumentati, veicolati dal comparto automobilistico e tecnologico, del 24,2% rispetto all’anno precedente. Il mercato del lavoro, entrato in depressione all’inizio della crisi, ha mostrato segnali di ampio miglioramento: il tasso di disoccupazione, del 5% fino a gennaio 2010, è sceso al 3,2% a maggio, mentre il numero di neoassunti in aprile era di 586.000 unità.
La lenta ripresa dei mercati europei e statunitense, tuttavia, lascia presagire che anche la Corea del Sud possa risentirne a breve. Il rallentamento globale metterà alla prova l’economia coreana che dovrà fare i conti con almeno quattro ordini di problemi: l’inflazione, le fluttuazioni valutarie, la crescente competizione delle economie avanzate e i conflitti geopolitici. In primo luogo, la Corea dovrà affrontare una situazione di crescente inflazione causata da politiche creditizie troppo permissive. L’inflazione porrà un rischio di ribasso nei consumi, in quanto il risparmio molto contenuto lascia poco spazio di manovra contro l’aumento generalizzato dei prezzi. La fluttuazione della moneta costituirà un altro ostacolo sulla strada del pieno recupero: il won coreano potrebbe guadagnare terreno contro il dollaro a causa dell’indebolimento di quest’ultimo; ciò potrebbe condurre all’erosione della competitività delle esportazioni. In aggiunta, le compagnie globali dei paesi ad economia avanzata,colpite duramente dalla crisi, proveranno sicuramente a compiere delle incursioni nei mercati emergenti, intensificando la competizione. Ed infine, l’atteggiamento nordcoreano costituisce sicuramente un costo rilevante per l’economia sudcoreana, non fosse altro perché rappresenta un’incognita continua.
In definitiva, nonostante l’economia coreana abbia reagito in maniera estremamente positiva alle sollecitazioni avanzate dalla crisi globale, le prospettive rimangono non particolarmente confortanti.
La rapida crescita della Corea, tuttavia, dopo aver continuato in maniera stabile per la prima metà degli anni Novanta, ha cominciato a evidenziare alcune debolezze con la crisi economica del 1997-98: in particolare, il pronunciato rapporto tra debito e capitale di rischio e un massiccio ricorso a prestiti esteri di breve termine hanno minato la tenuta del sistema di sviluppo sudcoreano. Alla fine del 1997, complici la bancarotta di alcuni tra i principali gruppi industriali del paese e la fuga degli investitori stranieri, il paese si trovò costretto per evitare un tracollo economico a fare ricorso all’aiuto del Fondo monetario internazionale, che erogò alla Corea un prestito di ben 57 miliardi di dollari. Una serie di precise misure adottate dal governo sudcoreano rese possibile il contenimento dei problemi finanziari del paese, ma la ‘guarigione’ dalle ferite inferte dalla crisi può essere attribuita principalmente alla ristrutturazione operata nel mercato del lavoro e alle misure introdotte dalla nuova amministrazione, volte ad attrarre investimenti stranieri. Nei primi quattro mesi del 1999 il pil aumentò del 5,4%; la crescita sostenuta, combinata con la pressione deflazionistica sulla valuta, condusse a una crescita annuale del 10.5%. La crisi poteva dirsi quindi fondamentalmente riassorbita verso la fine del 1999 e il prestito del Fondo monetario internazionale estinto di lì a poco.
Dopo il duro colpo d’arresto rappresentato dalla crisi, l’economia coreana ha ripreso a crescere velocemente, come dimostra l’aumento del pil nel 2000 di oltre il 9%. Negli anni seguenti, tuttavia, le oscillazioni economiche hanno ripreso a farsi sentire, come conseguenza della recessione globale, della difficoltà nelle esportazioni e nel rallentamento delle riforme economiche e finanziarie. Negli ultimi anni, comunque, il tasso di crescita si è attestato intorno al 3-4%.
Malgrado la Corea del Sud sia stata investita pesantemente anche dalla recente crisi economica globale, questa volta la risposta è stata pronta: la recessione è stata evitata grazie a delle tempestive misure di stimolo dell’economia e al forte consumo di prodotti interni, che ha compensato in qualche maniera la forte riduzione nel settore delle esportazioni.
La Corea del Sud può contare su modestissime risorse energetiche interne, configurandosi quindi come uno dei principali importatori di energia al mondo. Di fondamentale importanza è il petrolio, di cui la Corea il quinto maggior importatore al mondo, nonché decimo consumatore assoluto. Nel 2009 il consumo di petrolio ha raggiunto i 2,2 milioni di barili al giorno. La gran parte del petrolio utilizzato proviene dalla regione del Golfo Persico, principalmente dall’Arabia. La forte dipendenza della Corea dall’importazione di petrolio ha condotto alla diversificazione della fornitura tramite l’adozione di una strategia a breve termine e di una a lungo termine. Da un lato, infatti, la Corea ha sviluppato una riserva petrolifera strategica, pari a 90 giorni circa di fornitura, gestita dall’ente nazionale per il petrolio (Korea National Oil Corporation, Knoc): tale riserva si renderebbe necessaria in caso di improvvise interruzioni nella disponibilità di petrolio. Dall’altro lato, in una strategia di lungo termine, la stessa Knoc – così come altre società private – ha cominciato a dedicarsi all’esplorazione di possibili siti di approvvigionamento, scandagliando il sottofondo marino in prossimità della costa, largamente inesplorato, e partecipando attivamente ad alcuni progetti pilota in varie aree del pianeta. La Corea è anche la sesta potenza mondiale per volume di raffinamento del greggio: 2,7 milioni di barili al giorno vengono raffinati nei sei impianti principali del paese.
Oltre al petrolio, il paese importa anche notevoli quantità di gas naturale liquefatto, principalmente dalla Russia, e di carbone. La crescente richiesta di energia elettrica viene invece soddisfatta attraverso una combinazione di energia termica, nucleare e idroelettrica. Come firmataria del Protocollo di Kyoto la Corea del Sud si è presa l’impegno di ridurre le emissioni di carbone dotandosi di 12 nuovi impianti nucleari prima del 2015.
Data la fortissima sovrappopolazione, l’inquinamento atmosferico ha finito per diventare un problema rilevantissimo nelle aree urbane. Per questo motivo, e per provare in qualche modo a sottrarsi al giogo delle importazioni di petrolio, il governo sudcoreano ha deciso a metà del 2008 di favorire gli investimenti in fonti di energia rinnovabile. Il ministero dell’economia ha dichiarato di voler spendere delle ingenti somme di denaro in tecnologie e progetti riguardanti l’energia solare, eolica e i biocarburanti.
Con una spesa pari a più di 27 miliardi di dollari americani – pari a poco meno del 3% del pil – la Corea del Sud è uno dei primi 15 paesi al mondo per spese militari. Un tale gravoso impegno finanziario è ovviamente determinato dalla situazione di particolare instabilità della penisola. Le forze armate sudcoreane possono contare su circa 690.000 unità in servizio (di cui gran parte personale dell’esercito), e su 4,5 milioni di riservisti. Il servizio militare, particolarmente impegnativo, è tuttora obbligatorio al compimento del 18° anno d’età e ha una durata variabile a seconda della forza armata in cui lo si presta, ma comunque compreso tra i 22 e i 25 mesi di leva. Alla leva sono ammesse anche le donne, a partire dal 1950, ma solo in determinate specialità. Le dotazioni militari sono numerose e tecnologicamente all’avanguardia.
La principale relazione militare che i sudcoreani intrattengono è quella con gli statunitensi, che continuano, sin dal 1945, a mantenere nel paese un loro contingente composto da 27-29.000 soldati. Dalla fine della Guerra di Corea gli americani si sono in qualche maniera presi la responsabilità di assicurare la sicurezza della Corea del Sud contro eventuali attacchi esterni. È necessario sottolineare, peraltro, come la posizione geografica e geo-strategica del paese rende difficilmente ipotizzabile una smobilitazione da parte degli statunitensi. A partire dal 1978 il Comando congiunto delle forze della Repubblica di Corea e degli Stati Uniti (Rok-Us Cfc) ha assunto la responsabilità di difesa dei confini sudcoreani. Il Cfc, comandato da un generale statunitense e da un vice sudcoreano, detiene il controllo operativo su più di 600.000 soldati sudcoreani e americani e ha il compito di dirigere le esercitazioni congiunte che i due paesi attuano periodicamente. Queste esercitazioni, oltre che come normale training per le truppe coinvolte, servono anche come deterrente nei confronti dei nordcoreani.
Proprio i nordcoreani vengono considerati dal governo del sud come la principale minaccia alla stabilità della penisola. La Corea del Nord, infatti, può contare su una disponibilità sconfinata di mezzi e uomini dal punto di vista militare. Oltretutto, negli ultimi anni si è notato che più della metà delle forze armate nordcoreane staziona nel breve tratto compreso tra la Zona smilitarizzata al 38° parallelo e la capitale Pyeongyang. La pericolosità di tale situazione è concreta, anche a causa del possesso di armi nucleari da parte dei nordcoreani. La difficoltà di predizione delle azioni nordcoreane è comunque data da una lunga serie di fattori che non aiutano a ridurre la tensione sulla penisola, come la mancanza di informazioni certe e affidabili sul regime nordcoreano e i periodici cambiamenti di atteggiamento da parte degli Stati Uniti nei riguardi di Pyeongyang.