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La Repubblica Dominicana è situata sull’isola di Hispaniola, a est di Haiti. Quest’ultima, ottenuta l’indipendenza dalla Francia nel 1804, conquistò la parte dominicana di Hispaniola nel 1822 e mantenne il controllo dell’intera isola sino al 1844, anno in cui i dominicani sconfissero gli occupanti sancendo la propria sovranità sulla parte orientale dell’isola. Nella genesi dei due stati possono così cogliersi i motivi della rivalità, non ancora del tutto sopita, che ha contraddistinto i rapporti tra Haiti e Repubblica Dominicana. L’occupazione haitiana e gli scontri perpetuatisi nei decenni successivi hanno, infatti, compromesso le relazioni tra i due paesi; la rivalità si è infatti rinnovata e acuita più volte, nel corso della storia recente, anche in concomitanza agli aumenti dei flussi migratori clandestini della popolazione haitiana verso il territorio dominicano.
Allo stesso tempo, nel 1998 l’attuale presidente Leonel Fernández, leader del Partido de la Liberación Dominicana, allora al primo di tre mandati, fu ricevuto in visita a Haiti, un avvenimento che non si verificava da sessantadue anni e che gettò le fondamenta per un’inedita fase di cooperazione bilaterale. Anche dopo il terremoto del 12 gennaio 2010 a Haiti, il presidente Fernández ha prontamente espresso la propria solidarietà alla popolazione haitiana ed è stato il primo a inviare soccorsi. La questione dell’immigrazione illegale rimane però il punto di maggior frizione tra i due paesi.
Lo scacchiere geopolitico dominicano, nel quale Fernández si muove con un notevole dinamismo, è ampio e non si limita alle sole relazioni con Haiti. Gli Stati Uniti, le cui pressioni politiche sull’isola sono sempre state insistenti – sfociando in vere e proprie occupazioni dal 1916 al 1924 e poi nel 1965 – sono oggi il più importante partner del paese. La Repubblica Dominicana ha contribuito con un significativo contingente militare (300 soldati) alla missione statunitense in Iraq e i due paesi hanno concordato strategie congiunte per la sicurezza e per la lotta al traffico di stupefacenti. Nel 2004, inoltre, i due paesi hanno concluso l’accordo di libero scambio Dr-Cafta (Dominican Republic-Central America Free Trade Agreement); gli Stati Uniti hanno anche appoggiato l’accordo, firmato nel 2009, tra la Repubblica Dominicana e il Fondo monetario internazionale (Imf) per l’elargizione di finanziamenti da parte del Fondo (il finanziamento pattuito è pari a 1,7 miliardi di dollari) e hanno insistito affinché venisse rinegoziato l’accordo sul debito che vigeva tra il Club di Parigi e la Repubblica Dominicana in favore di quest’ultima (2004).
Il Venezuela, invece, riveste un ruolo importante sul piano energetico: la Repubblica Dominicana ha siglato nel 2005 l’accordo Petrocaribe, col quale si assicura il rifornimento di petrolio venezuelano a prezzi vantaggiosi. Fernández, ancorandosi da un lato alla politica energetica venezuelana, e mantenendo dall’altro la partnership con gli Stati Uniti, dimostra di voler rimanere equidistante dalle confliggenti sfere d’influenza dell’Alleanza Bolivariana (Alba) e degli Usa.
Infine, l’Unione Europea (Eu) potrebbe diventare un nuovo importante partner commerciale: nel 2008, infatti, Fernández ha concluso un accordo di partenariato economico con l’Eu che ha favorito la liberalizzazione del commercio di beni, servizi e investimenti tra i due contraenti.
La Repubblica Dominicana è composta da 10 milioni di abitanti, per lo più di giovane età e mulatti, di origine africana ed europea. Quasi un terzo dei dominicani (2,7 milioni) abitano a Santo Domingo, la più antica città europea del Nuovo mondo (fondata nel 1496), e quasi un milione a Santiago. Il resto della popolazione abita in centri urbani più piccoli, mentre il 30% vive nelle zone rurali.
Le statistiche ufficiali rilevano che circa un milione di dominicani sono emigrati all’estero – soprattutto negli Stati Uniti – e che 1,2 milioni di stranieri sono immigrati nella Repubblica Dominicana. Di questi ultimi si stima che circa 800.000 provengano da Haiti, paese ancor più povero della Repubblica Dominicana. La maggior parte degli immigrati haitiani varca il confine in maniera illegale e per lo più trova lavoro nei campi di zucchero, di caffè e di tabacco. Le frequenti ondate migratorie e la conseguente concorrenza tra dominicani e haitiani per trovare un’occupazione lavorativa delineano una situazione di difficile convivenza, viziata da un crescente sentimento razzista e discriminatorio. Il governo dominicano, tuttavia, non ha ancora varato un piano capace di regolare i flussi immigratori. Nell’ottobre 2010, inoltre, il presidente dominicano ha aumentato i controlli frontalieri per evitare che l’epidemia di colera, scoppiata a Haiti dopo il terremoto, si diffondesse anche all’interno dei confini statali.
Metà della popolazione dominicana vive sotto la soglia di povertà e complessivamente possiede solo un quinto del pil del paese. Viceversa, il 10% della popolazione, da sola, detiene il 40% della ricchezza nazionale. Tale disparità economico-sociale, che sussiste da diversi decenni, non solo è fonte di tensioni interne, ma è anche il motivo principale per cui il lavoro minorile si attesta al 10% della popolazione in età scolare. Non a caso, solo l’80% della popolazione è scolarizzata. La mancanza di lavoro e i salari bassi, inoltre, incoraggiano il dilagare della corruzione, piaga sociale che colpisce il sistema giudiziario e il regolare svolgimento dell’attività della polizia, così come della prostituzione, anche minorile.
La Repubblica Dominicana ha un’economia che punta alla modernizzazione delle infrastrutture e all’approfondimento delle reti di scambio internazionale ma, al contempo, è frenata da elementi che impediscono di creare un sistema competitivo – quali corruzione, povertà e vulnerabilità rispetto a fattori esogeni. La crisi internazionale del 2008, che ha colpito profondamente gli Stati Uniti, si è riverberata sull’economia dello stato caraibico. Le rimesse degli emigrati dominicani residenti negli Stati Uniti, infatti, sono sensibilmente diminuite e, dunque, anche il consumo privato della popolazione dell’isola. Anche i flussi turistici, colonna portante dell’economia dominicana – che nel 2006 alimentarono un giro d’affari di 3,8 miliardi di dollari, sostenendo 190.000 posti di lavoro – sono diminuiti a seguito della crisi economica globale e sembrano destinati a diminuire ulteriormente a seguito della grave epidemia di colera che si è diffusa nella parte orientale dell’isola di Hispaniola. L’iniqua distribuzione delle ricchezze, per lo più in mano a una ristretta cerchia di origine prevalentemente europea, è invece un problema endemico che affligge da sempre la popolazione dominicana e che può risolversi solo con grandi riforme strutturali, capaci di allargare il mercato del lavoro (attualmente il tasso di disoccupazione è al 16%) e di ridurre il tasso di inflazione (pari al 6%).
Secondo i dati disponibili, pubblicati da Unicef ed Ecpat, sono circa 30.000 i minori della Repubblica Dominicana, tra gli otto e diciassette anni, coinvolti nel mercato della prostituzione. La percentuale dei turisti che si reca nel paese caraibico per turismo sessuale risulta, invece, attestarsi tra il 15% e il 20% del totale. I principali paesi di provenienza sono i vicini Stati Uniti, e poi il Canada, l’Italia, la Spagna, la Germania e la Francia.
Oltre alla prostituzione esiste un vero traffico internazionale di donne dominicane, destinate a essere sfruttate soprattutto in Europa occidentale, Argentina, Brasile e Costa Rica.
Il governo dominicano non è stato in grado di contrastare la tratta degli esseri umani, nonostante abbia attuato una legislazione molto severa (sino a 20 anni di carcere per gli sfruttatori), avviato una serie di indagini investigative per intercettare il traffico lungo le principali rotte e ratificato i protocolli internazionali contro il traffico di persone e lo sfruttamento dei minori. Un risultato positivo riguarda invece le campagne di sensibilizzazione per le malattie veneree. L’Hiv, infatti, ha un’incidenza bassa, pari all’1,1% della popolazione.
Non mancano però segnali di ripresa. Il settore agricolo, che contribuisce solo per il 6% al pil nazionale, ha segnato, infatti, trend positivi. Nel 2010 le esportazioni di zucchero sono cresciute del 24,4% e quelle del tabacco dello 1,9%. Il presidente Fernández, inoltre, ha varato un piano governativo per la costruzione di nuove infrastrutture, che ha permesso l’afflusso di nuovi investimenti esteri diretti (nel 2010 questi hanno raggiunto un tasso di crescita pari all’82%) e ha contribuito a far registrare una crescita del pil pari al 7,6%, valore più alto dal 2008.
È a livello regionale che la Repubblica Dominicana ha ottenuto i migliori risultati economici. L’accordo intergovernativo Petrocaribe permette ai dominicani di ricevere fino a 185.000 barili di petrolio al giorno a condizioni di pagamento preferenziali. L’accordo, infatti, prevede che una parte del petrolio fornito dal Venezuela debba essere pagato subito, mentre un’altra parte possa essere pagata entro 25 anni, con un tasso d’interesse del solo 1%. Inoltre la Repubblica Dominicana ha la possibilità di scambiare gli idrocarburi venezuelani con i propri prodotti agricoli (banane, riso e soprattutto zucchero).
L’accordo di libero scambio Dr-cafta, invece, prevede l’abbattimento dell’80% delle barriere doganali tra i paesi contraenti e garantisce al paese caraibico un accesso preferenziale al mercato nordamericano.
Sul piano della sicurezza interna l’attenzione del governo dominicano è assorbita prevalentemente dal problema dell’immigrazione clandestina haitiana. La problematica ha indotto la Repubblica Dominicana a inasprire le politiche migratorie e inserire nella Costituzione del 2010 alcune norme che rendono più restrittivi i requisiti per ottenere la cittadinanza dominicana. Tuttavia tali misure, unite all’innalzamento della soglia di sicurezza frontaliera, hanno ridotto i flussi migratori solo parzialmente.
Altro problema endemico alla Repubblica Dominicana è la lotta al traffico di cocaina, che accumuna la maggior parte dei paesi caraibici in quanto questi, per la loro strategica posizione geografica, forniscono ai narcotrafficanti un’importante base di approdo. Il mercato della cocaina nordamericano, infatti, è alimentato dai trafficanti sudamericani, che smistano le proprie commesse proprio nei Caraibi. Per combattere il narcotraffico, la Repubblica Dominicana non solo ha creato una forza di polizia ad hoc, ma ha anche stretto un accordo di cooperazione con gli Stati Uniti, i quali hanno avviato una serie di partnership militari con i paesi caraibici maggiormente afflitti dal problema del traffico di stupefacenti.