Repubblica sociale italiana
L’espressione Repubblica sociale italiana (RSI) – detta anche Repubblica di Salò dal nome della cittadina lombarda dove ebbero sede alcuni ministeri importanti – identifica il regime guidato da Benito Mussolini e voluto dalla Germania al fine di amministrare parte dei territori italiani controllati militarmente dopo l’8 settembre 1943. La sua nascita viene fatta risalire al discorso pronunciato il 18 settembre 1943, attraverso Radio Monaco, da Mussolini, che era stato trasportato in Germania dopo la liberazione dalla prigionia al Gran Sasso. In quel discorso fu annunciata la creazione di uno Stato «nazionale e sociale», che in seguito da molti costituzionalisti sarebbe stato assimilato a un «governo di fatto». Capo del governo e guida del nuovo regime, Mussolini provvide immediatamente alla rifondazione del partito fascista come Partito fascista repubblicano (PFR) cui fu demandato un ruolo preponderante nella gestione politica, al riordino delle forze armate e alla creazione di formazioni speciali aventi compiti di polizia interna e militare come la Guardia nazionale repubblicana (GNR), nonché alla istituzione sotto il controllo del partito di tribunali provinciali straordinari e di un tribunale speciale straordinario per giudicare i traditori del 25 luglio. La strutturazione giuridico-istituzionale della RSI avrebbe dovuto essere demandata a una assemblea costituente, la cui convocazione fu chiesta al congresso del PFR (14-16 novembre 1943) per instaurare una «repubblica sociale» in linea con i principi programmatici, a cominciare dalla «socializzazione», tracciati nel documento noto come Manifesto di Verona e approvato durante i lavori congressuali. In realtà Mussolini rinviò la convocazione della Costituente al dopoguerra e si limitò a far approvare dal Consiglio dei ministri la denominazione di RSI che diventò operativa a partire dal 1° dicembre. All’inizio del 1944 (8-10 genn.) si celebrò a Verona il processo contro i traditori del 25 luglio, i membri del Gran consiglio del fascismo che con il loro voto avevano determinato la fine del regime. Questo processo – conclusosi con la condanna a morte e l’esecuzione di cinque gerarchi prigionieri (fra i quali Galeazzo Ciano) e con la condanna a morte in contumacia degli altri imputati (tranne uno a trent’anni di reclusione) – fu voluto dagli ambienti più estremisti e rappresentò una sorta di simbolico distacco dal fascismo del regime. Sempre nel quadro di un distacco dal fascismo del regime si inserisce la particolare attenzione rivolta dalla RSI alla «socializzazione delle imprese» intesa sia come scelta politica per cercare di recuperare il consenso delle masse sia come scelta ideologica per riaffermare la volontà di recupero di motivi propri del fascismo delle origini. La ripresa della lotta a fianco dei tedeschi, accompagnata da una politica antisemita, e la repressione brutale nei confronti della Resistenza assorbirono gran parte dell’attività del governo. Nata sotto tutela, la RSI si trovò a operare in una situazione di sostanziale carenza di autonomia rispetto all’alleato, tanto che il comando tedesco in Italia si comportò come se le autorità italiane non esistessero e continuò a emanare ordinanze relative alla sicurezza e alla libertà di movimento delle truppe germaniche, ma anche a questioni di natura amministrativa e finanziaria. In questa situazione il ruolo stesso di Mussolini, come capo dello Stato e del governo, risultò fortemente ridimensionato e privo di prospettiva politica. L’avanzata angloamericana nella primavera del 1945 e l’insurrezione del 25 aprile 1945 determinarono la fine della RSI.