SUDAFRICANA, REPUBBLICA
(v. sudafricana, unione, XXXII, p. 935; App. I, p. 1040; II, II, p. 927; III, II, p. 864; sudafricana, repubblica, App. IV, III, p. 538)
La R.S. ha una popolazione di 40.284.633 abitanti (1994). Di questi 30.645.157 sono neri, 3.435.114 coloureds, 5.171.419 bianchi e 1.032.943 asiatici. La Repubblica, divisa in 9 regioni, considera dal maggio 1994 come facenti parte integrale del territorio nazionale gli stati del Transkei (41.600 km2), del Bophuthatswana (40.330 km2), del Venda (7.410 km2) e del Ciskei (12.075 km2), che furono dichiarati indipendenti rispettivamente nel 1976, nel 1977, nel 1979 e nel 1981, ma che non sono mai stati riconosciuti come stati indipendenti da alcuna organizzazione internazionale.
I neri, che sono in sensibile aumento rispetto a tutti gli altri gruppi etnici, appartengono a due grandi famiglie etnico linguistiche: i Khoisan (Boscimani, Ottentotti e Bergdamara), che sono gli eredi dei primi abitatori della regione, e i Bantu, divisi in numerosi gruppi etnici di cui i maggiori sono i Nguli (a loro volta suddivisi in Zulu, Swazi, Ndebele, Pondo, Tembu e Xhosa), i Sotho e i Tswana. Gli asiatici sono prevalentemente di origine indiana, mentre i coloureds formano un gruppo di sanguemisti insediato per gran parte nella Provincia del Capo. I bianchi, che dominano la vita economica e sociale di tutto lo stato, discendono per la maggior parte dagli olandesi calvinisti arrivati nell'area del Capo nel 17° secolo, e in percentuale minore da ugonotti francesi, da piantatori inglesi giunti all'inizio del secolo scorso, da tedeschi e da europei qui arrivati dalle colonie inglesi dopo la decolonizzazione dell'Africa.
La maggior concentrazione di popolazione si trova nell'area mineraria del Witwatersrand, dove l'area metropolitana di Johannesburg supera i 2.000.000 di ab., e nelle aree urbane di Città del Capo, Port Elizabeth e Durban. L'80% degli europei vive in queste aree, mentre gli africani abitano per lo più nei quartieri che erano stati loro riservati (townships) alla periferia dei maggiori centri urbani oppure nei Black homelands (o Bantustans), territori ad amministrazione semiautonoma e che in teoria sarebbero dovuti diventare stati indipendenti, costituiti dal 1971 allo scopo di separare le aree ad amministrazione esclusivamente bianca da quelle ad amministrazione africana. La loro superficie complessiva, frammentata in molti territori separati uno dall'altro, è di 64.796 km2 (Gazankulu, KwaNdebele, KwaZulu, Lebowa, Qwaqwa e KaNgwane). Il sistema insediativo ancora risente della politica dello ''sviluppo separato'' introdotta negli anni Cinquanta per mantenere attraverso la segregazione razziale la dominazione del gruppo bianco sul resto della popolazione. Solamente una piccola parte degli investimenti è andata a beneficio di questi territori e della popolazione africana, che pertanto registra un tasso di sviluppo assai inferiore a quello della minoranza bianca, che a lungo ha controllato i centri di potere e le aree più produttive dello stato. La politica dell'apartheid è ora in fase di smantellamento.
Condizioni economiche. - La ricchezza della R.S. sta per buona parte nel sottosuolo. Le rocce precambriane che dal Transvaal si allungano fino al Capo racchiudono la più ricca area mineraria del mondo. Nel Witwatersrand e nella parte settentrionale dello Stato Libero dell'Orange si estrae oro (613 t nel 1992), argento (182,7 t) e uranio (4104 t di minerale concentrato nel 1991); l'area dei diamanti è concentrata attorno a Kimberley, Pretoria, Jagersfontein e Koffiefontein (10.166.448 carati nel 1992, comprendendo anche i diamanti industriali), mentre il Transvaal produce una grande quantità di minerali importanti (asbesto, rame, cromo, ferro, magnesio, nichel, platino, stagno, uranio e vanadio). Nella parte settentrionale della Provincia del Capo ci sono importanti depositi di manganese, ferro e asbesto, mentre nell'area nordoccidentale della stessa provincia sono stati scoperti negli anni Ottanta giacimenti di zinco, piombo, argento e rame: per sfruttarli più facilmente è stata costruita la ferrovia Sishen-Saldanha Bay. Alla fine degli anni Settanta sono stati anche scoperti giacimenti di idrocarburi gassosi. Nel settore minerario trova impiego l'8,8% della forza lavorativa (1991), per buona parte africana e proveniente anche dallo Swaziland e dal Lesotho.
Il 12,9% della popolazione attiva è impiegato nell'agricoltura, il 30,4% nelle industrie, mentre il terziario assorbe oltre metà dell'intera manodopera. Il settore manifatturiero, concentrato nei grandi distretti urbani o in prossimità dei vecchi homelands, è sviluppato soprattutto nei settori metallurgico, metalmeccanico e dei mezzi di trasporto: i fattori di sviluppo sono rappresentati dai bassi costi d'impianto, delle materie prime e della forza lavorativa, e da dimensioni aziendali che permettono specie nella produzione dell'acciaio costi di produzione molto competitivi. L'industria alimentare ha avuto un grande sviluppo negli anni Venti e Trenta (32% del valore netto dell'industria nel 1925), e dopo un momento di declino (17% nel 1963) è di nuovo in ripresa. In crescita molto sensibile anche l'industria tessile. L'industria chimica cominciò a svilupparsi per la produzione di esplosivi per l'attività mineraria, ma si è poi diversificata con la creazione dell'azienda di stato South African coal, oil and gas corporation (SASOL), attiva soprattutto nei settori petrolchimico e dei fertilizzanti. La produzione e la fornitura di energia elettrica è controllata dall'ente di stato Electricity Supply Commission (ESCOM), che fornisce energia elettrica a costi fra i più bassi del mondo; nel 1991 la potenza installata era di 25.854.000 kW, con 22 centrali termoelettriche a carbone, 2 centrali idroelettriche, 3 impianti a gas e una centrale nucleare; la R.S. importa energia elettrica anche dagli impianti di Cabora Bassa in Mozambico.
Il settore primario è in declino rispetto agli altri settori economici a causa dell'instabilità climatica accentuatasi negli anni Ottanta e delle continue variazioni del prezzo dei prodotti agricoli sui mercati mondiali. La disastrosa siccità degli anni 1983-84 ha messo in crisi soprattutto la produzione di mais, che precedentemente alimentava l'esportazione. Migliori prospettive si hanno per la canna da zucchero, le arachidi, il tabacco, gli agrumi e la frutta, che può essere collocata sul mercato europeo nella stagione invernale. La produzione di lana (48.500 t nel 1992), di ottima qualità, si mantiene costante benché i costi dell'allevamento siano sempre meno competitivi rispetto ad altre regioni del mondo. Anche la produzione di carne è in difficoltà in quanto solo poche aziende di allevamento bovino hanno dimensioni economicamente valide: gran parte della produzione è affidata a piccole imprese familiari, poco organizzate.
Commercio e vie di comunicazione. - La bilancia commerciale è attiva grazie all'esportazione dell'oro, che in valore rappresenta circa la metà delle esportazioni totali. Oltre all'oro, sono esportati altri prodotti minerari, prodotti dell'industria manifatturiera, prodotti alimentari e dell'allevamento. Le importazioni vedono al primo posto i macchinari e i mezzi di trasporto. I paesi industriali europei sono i clienti preferiti sia per le importazioni che per le esportazioni, seguiti dagli Stati Uniti e dal Giappone. L'interscambio con gli altri paesi africani è meno di un ventesimo del valore complessivo. La rete dei trasporti all'interno collega molto bene le zone urbane, minerarie e industriali dell'altopiano interno con i porti (Durban, East London, Port Elizabeth e Città del Capo), ma buona parte del traffico marittimo dell'area del Witwatersrand utilizza il porto di Maputo in Mozambico. Il turismo, che offre un'ottima attrezzatura ricettiva, bellissimi parchi e riserve naturali, spiagge e sole nella stagione invernale europea, è in continua espansione (2.891.721 visitatori nel 1992).
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Storia. - Il sistema razzista ispirato all'apartheid (separazione), che aveva lontane origini nella storia della R.S. e che prese forma organica in sede istituzionale soprattutto dopo il 1948 con l'ascesa al potere del Partito nazionale, rappresentante del popolo boero e della sua idea di nazione (Afrikanerdom), subì negli anni Ottanta un processo di riforma che nel 1990 imboccò risolutamente la strada dello smantellamento del razzismo, puntando all'instaurazione della democrazia multietnica. L'iniziativa fu presa dallo stesso Partito nazionale sotto la direzione di P.W. Botha, succeduto nel 1978 a B.J. Vorster come capo del governo e divenuto capo dello Stato nel 1984, con l'adozione di una nuova Costituzione, che prevedeva fra l'altro la figura del presidente esecutivo. A una revisione delle norme dell'apartheid avevano spinto, da una parte, la lotta del movimento antirazzista e le pressioni internazionali, dall'altra, l'esigenza di una migliore valorizzazione delle risorse nel momento di passaggio da uno sfruttamento intensivo della forza-lavoro a un impiego più razionale di tutte le potenzialità, qualificazioni e responsabilità per la produzione e il mercato. Concretamente, oltre a un alleggerimento dell'apartheid nei servizi e luoghi pubblici e all'abolizione della legge che vietava rapporti sessuali e matrimoni fra persone di razze diverse, furono tolte alcune limitazioni per gli accessi agli impieghi, fu introdotto un sia pur circoscritto diritto di sciopero e furono autorizzati i sindacati anche per gli africani. Le odiate Pass Laws, che imponevano ai neri un lasciapassare anche per gli spostamenti interni, furono soppresse, e nel 1986 fu istituito un documento d'identità eguale per tutti. Il governo non abrogò tuttavia il Group Areas Act, che fissava la residenza a seconda della razza. Il programma dei Bantustans, i territori in cui avrebbero dovuto essere relegati gli africani sulla base dell'appartenenza etnico-linguistica, proseguì (quattro homelands furono proclamate ''indipendenti'': il Transkei nel 1976, il Bophuthatswana nel 1977, il Venda nel 1979, il Ciskei nel 1981), ma fu rallentato e s'iniziò a parlare di restituire la cittadinanza sudafricana agli africani destinati ai Bantustans. La Costituzione del 1984 introdusse una rappresentanza parlamentare per i due gruppi razziali intermedi con due Camere separate per i coloureds (meticci) e gli asiatici. I bianchi contavano in tal modo di ampliare la base del consenso, ma la discriminazione a danno della maggioranza del paese risaltò ancora più chiaramente, benché Botha lasciasse intendere che il governo pensava di varare a tempo debito una qualche forma di rappresentatività per i neri. Il processo di riforma si accompagnò a gravi episodi di violenza, che furono strumentalizzati dalle autorità, allo scopo sia di tenere sotto controllo il processo negando agli africani ogni spazio effettivo di azione, sia di mostrare agli oltranzisti bianchi che senza riforme la R.S. sarebbe sprofondata nella guerra civile.
Contemporaneamente la R.S. condusse una politica di sistematica destabilizzazione in tutta la regione, per dissuadere gli stati vicini dal dare aiuto al movimento antirazzista. L'indipendenza dello Zimbabwe (ex Rhodesia) nel 1980 aveva ormai ridotto alla sola Namibia le ''difese'' nei confronti dell'Africa indipendente. Non convinti dal ''riformismo dall'alto'', gli africani intensificarono la lotta, con epicentro nelle città-ghetto nere, le cosiddette townships: si è trattato di una lotta insieme di liberazione nazionale e di classe, che ha attraversato in parte la stessa comunità nera (radicali contro moderati, ''compagni'' contro ''collaborazionisti''). Il movimento antirazzista restò diviso fra la componente che si riconosceva tradizionalmente nella Freedom Charter, approvata nel 1955 ed emendata nel 1969, che propugnava la creazione di uno stato democratico multietnico, e la componente ''africanista'', che rifiutava, almeno in quella fase, ogni commistione con i bianchi, ritenendoli troppo compromessi con la politica di oppressione. Nel 1983 nacque l'United Democratic Front (UDF), un'organizzazione-ombrello che raggruppava alcune centinaia di associazioni di tutte le razze, Chiese, comitati, sindacati, che si richiamavano appunto alla Freedom Charter e che avevano come referente l'African National Congress (ANC), messo fuori legge nel 1960. Un fronte ancora più vasto era il Mass Democratic Movement. Il fronte africanista creò un'analoga organizzazione nel 1989: il Pan-Africanist Movement, collegato al Pan-Africanist Congress (PAC) e ai gruppi tipo ''coscienza nera''. A sé operava l'Inkatha, diretto da G. Buthelezi, il discusso leader del KwaZulu, radicato fra gli Zulu del Natal: l'Inkatha rifiutava per ragioni di opportunità la lotta armata e cercava di non farsi coinvolgere nella politica del regime, ma frequenti furono gli scontri, anche cruenti, con i militanti dell'UDF, in cui si mescolavano rivalità etniche e tensioni sociali, in una lotta che aveva come posta il controllo del territorio delle città e dei luoghi di lavoro.
Un tentativo di ricomporre tutto il fronte alla fine del 1989 fallì perché panafricanisti e Inkatha, forse diffidenti per l'egemonia dell'ANC, si sottrassero all'assise plenaria. Un ruolo fondamentale svolse il sindacato, che si era riorganizzato nel 1984 ma che presentava a sua volta la scissione fra ala democratica e ala africanista. Attive, infine, erano le Chiese cristiane: all'arcivescovo anglicano di Città del Capo, D. Tutu, fu conferito il premio Nobel per la pace nel 1984. La combattività organizzata e più spesso spontanea contro il razzismo e il regime bianco, sfociata in un vero e proprio movimento di massa, fu duramente repressa, e nel 1986 il governo proclamò lo stato d'emergenza, poi revocato e reintrodotto più volte. L'ANC alternò la lotta armata, espressa in attentati (ufficialmente solo contro bersagli militari o strategici) e nella mobilitazione permanente, all'offensiva diplomatica, sia verso le potenze internazionali (chiedendo riconoscimenti e l'applicazione di sanzioni obbligatorie contro la R.S.) che verso il governo (per avviare un dialogo generalizzato inteso a smantellare l'apartheid).
Sul piano internazionale, dopo l'inasprimento delle sanzioni e il disinvestimento decisi da Europa e USA nel 1985-86, l'isolamento della R.S. oggettivamente si allentò. Nel 1984 Pretoria firmò accordi con il Mozambico e l'Angola, costretti a limitare il loro sostegno alle forze anti-apartheid, e nel 1988 concluse l'accordo sul ritiro delle proprie truppe e dei Cubani dall'Angola e sull'indipendenza della Namibia. Il Partito nazionale si confermò il partito di maggioranza assoluta nelle elezioni generali del 1989, in cui ottenne 93 seggi, lasciandone 39 al partito di estrema destra (il Partito conservatore, che aveva la sua roccaforte nel Transvaal), e 33 al Partito democratico, che esprimeva l'anima liberale della comunità di origine inglese. Lo strapotere dei nazionalisti si ridusse e il rapporto in seggi non fu nemmeno proporzionale al suffragio a causa del sistema uninominale. Le due Camere dei coloureds e degli asiatici furono elette nel 1984 e rinnovate nel 1989 con una bassa partecipazione alle urne.
Nel 1989 Botha lasciò la guida dello stato e del partito a seguito di una malattia. Gli subentrò F.W. De Klerk, che accelerò il processo di cambio, con una serie di provvedimenti che avviarono un negoziato senza condizioni che finì per abrogare la legislazione razzista, sconfessando formalmente e definitivamente l'ideologia e la politica della segregazione. I più celebri prigionieri politici furono rilasciati. Il 2 febbraio 1990 si ebbe una svolta di portata storica quando il governo legalizzò l'ANC, il PAC e il Partito comunista, e annunciò la liberazione di tutti i prigionieri politici, compreso il più famoso fra loro, N. Mandela, con cui il governo aveva avviato da tempo conversazioni discrete per comporre il dissidio storico fra bianchi e neri. Dopo le difficoltà iniziali, con l'ANC riluttante a rinunciare del tutto all'arma della lotta armata, le trattative presero la forma di una convenzione nazionale per la democrazia aperta a tutte le forme politiche. I principali interlocutori furono il Partito nazionale e l'ANC, con l'Inkatha in posizione intermedia o di disturbo a difesa della particolarità degli Zulu. Il principio del suffragio universale non poté più essere negato anche se venne introdotto come correttivo un sistema di decentramento amministrativo che garantisce una certa autonomia alle province in cui è stata divisa la R.S. (i Bantustans sono stati soppressi in quanto tali e sono stati reincorporati a tutti gli effetti nella compagine statale). Le elezioni libere e universali dell'aprile 1994 hanno sancito l'affermazione dell'ANC (con il Partito nazionale come secondo partito) e hanno reso possibile il successivo insediamento di Mandela alla presidenza della Repubblica, chiudendo l'epoca del monopolio bianco del potere. A norma della Costituzione provvisoria, è stato varato un governo di unità nazionale che dovrebbe durare 5 anni. Il passaggio delle consegne così come si è realizzato nel 1994 può essere equiparato a una forma di ''decolonizzazione'', ma per altri aspetti la transizione è più simile a un'integrazione. Anche i bianchi hanno ormai pienamente accettato la democrazia e la regola della maggioranza; l'ex presidente De Klerk presta lealmente la sua opera come vice di Mandela. L'idea di uno stato per i bianchi, di per sé poco praticabile già in termini geopolitici, è stata abbandonata. L'ANC, forte dell'enorme popolarità e del prestigio di Mandela, ha diluito la carica rivoluzionaria con cui aveva caratterizzato la lotta antirazzista e ha dato vita a una politica di ricostruzione e sviluppo che confida nell'esperienza tecnica dei bianchi, nell'investimento di capitali dall'estero e nella collaborazione fra le classi. Le aspettative degli africani, che scontano pesantemente gli effetti dell'apartheid anche sul piano economico e sociale, sono subordinate di fatto alla crescita generale, ancorché in un contesto politico-culturale che riconosce la dignità e la parità di tutti e che attribuisce di fatto ai neri una funzione direttiva. La frattura fra la comunità internazionale e la R.S. che ha contrassegnato il lungo periodo dell'apartheid, è stata sanata e il Sudafrica ha ritrovato un posto di rilievo nell'Organizzazione dell'unità africana e nel Terzo mondo, tanto che ora, invece dell'isolamento del passato, si confida nelle sue enormi potenzialità per trainare lo sviluppo dell'Africa australe e di tutto il continente.
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Letteratura in lingua inglese. - I caratteri salienti e gli sviluppi della letteratura sudafricana sono stati determinati e scanditi dagli avvenimenti che hanno dato origine alla segregazione razziale e dal movimento di liberazione, contrassegnati dal massacro di Sharpeville nel marzo 1960, dalla dichiarazione dello stato di emergenza, dai tragici fatti di Soweto, la fine dell'apartheid, la liberazione di N. Mandela e la sua elezione alla presidenza della Repubblica. Le repressioni, la censura, le uccisioni e le incarcerazioni di massa hanno quasi imposto quell'estetica contenutistica e funzionale, argomento centrale di dibattito della critica post-apartheid, alla quale tocca ora anche il compito di rivedere, con parametri di valutazione scevri da pregiudizi e condizionamenti, l'intera letteratura sudafricana, ridisegnarne gli incerti confini tra documento, propaganda e arte, e riflettere sulle prospettive e gli sviluppi, in un momento in cui si assiste all'appropriazione, da parte dell'establishment, delle idee e dei fermenti che hanno informato la produzione letteraria e segnatamente quella nera. La questione di un'autentica decolonizzazione, cruciale anche per altri paesi africani, pone agli scrittori della R.S. problemi ancora più complessi per il carattere multirazziale e multilingue del paese e per la realtà sociale aperta a forme più sofisticate, ma non meno perniciose, di divisione e di frammentazione. La polarizzazione bianco-nero ha messo finora in secondo piano la distinzione tra le classi, le differenze reali tra poveri e privilegiati a prescindere dal colore della pelle, differenze la cui composizione costituisce la sfida più ambiziosa della nuova R. Sudafricana. Proprio la letteratura, in questa fase di transizione, può indicare percorsi, valori e ideali, tali da catalizzare le energie creative collettive necessarie per la costruzione di un paese decolonizzato, interetnico, plurilingue, che senta il fascino di comporre e possibilmente valorizzare le sue laceranti ma vitali diversità. In questa prospettiva, la distinzione tra letteratura nera e letteratura bianca assume valore meramente informativo e contestualizzante, limitatamente al periodo dell'apartheid, dopo il quale l'obiettivo più nobile al quale tendere è una letteratura di tutti e per tutti i Sudafricani. N. Gordimer, nella conferenza tenuta per l'assegnazione del Nobel, ha sostenuto, con argomentazioni lungimiranti, la necessità di una visione alternativa, ma scevra da prescrizioni, coercizioni e dogmatismi. Un richiamo assai importante alla luce del vivace dibattito e delle nuove prospettive estetiche che animano il panorama letterario sudafricano e le pagine del prestigioso periodico Staffrider, che nel suo comitato editoriale annovera, oltre alla Gordimer, autori di grande valore come N.S. Ndebele, M. Serote, K. Sole, A. Dangor, C. van Wyk.
La poesia costituisce la prima forma di espressione letteraria sudafricana. T. Pringle (1789-1834), autore di Ephemerides (1828) e African sketches (1834), è tra i pionieri di una schiera di poeti che introducono nel panorama letterario della R.S. le strutture, le forme e i moduli della poesia occidentale. Con il Novecento emergono poeti originali, come F.C. Slater (1876-1958), autore di un'importante antologia, A centenary book of South African verse (1925), che documenta la fase iniziale della poesia sudafricana; e R. Campbell (1901-1957), W. Plomer (1903-1973), G. Butler (n. 1918), R. Miller (1919-1969): i loro versi si soffermano sull'impatto con lo straordinario paesaggio, le usanze, i miti, i riti, le danze, l'atteggiamento a volte superficiale dei colonizzatori, con linguaggio sobrio ed elegante e varietà stilistica.
Tutto ciò caratterizza anche la poesia bianca della generazione successiva, egregiamente rappresentata da D. Livingstone (n. 1932) e P. Cullinan (n. 1932). I poeti neri stentano a farsi strada, e soltanto verso la fine dell'Ottocento cominciano a trovare spazio sulla nascente stampa locale. Con la compostezza delle forme poetiche inglesi trattano prevalentemente i temi della tradizione africana, i suoi eroi, la ribellione e la resistenza contro i colonizzatori. Si distinguono in questo periodo E. (Es'kia) Mphahlele (n. 1919) e P. Abrahams (n. 1919), più noti come narratori, W.M.B. Nhlapo, cantore risoluto della speranza rivoluzionaria (Come, Freedom, come!, 1950), e H.I.E. Dhlomo (1905-1945), la cui voce orgogliosa e tonante anticipa motivi degli anni Cinquanta nel poema epico The valley of a thousand hills (1941) e in poesie come Dream of Africa (1944), in cui il tamburo assurge a simbolo dell'unità e dell'anelito alla libertà del suo popolo. Di lì a poco la rivista Drum darà impulso a tutta la letteratura nera, a poeti come C. Themba (1924-1968), che lamenta la disgregazione della cultura urbana nera e dà voce alle speranze suscitate dall'indipendenza del Ghana (1957). Il tema dell'esilio, destinato a diventare endemico insieme a quello della protesta, viene trattato con accenti toccanti da Mphahlele in Exile in Nigeria, pubblicato su Black Orpheus nel 1959.
Gli anni Sessanta si aprono con il massacro di Sharpeville, la messa al bando dell'African National Congress e l'inizio della lotta armata. La censura diventa estremamente rigorosa, molti scrittori vengono imprigionati, esiliati o costretti a lasciare il paese. L'isola di Robben, dove saranno incarcerati, tra gli altri, Mandela e D. Brutus, acquista sinistra fama come simbolo dell'oppressione, ''l'inferno di frustrazione'' descritto da D.M. Zwelonke nel romanzo Robben Island (1973). I temi dell'esilio e della privazione della libertà, le terribili condizioni, le angherie e i soprusi dei secondini e degli stessi carcerati sono rievocati da Brutus (n. 1924) nelle Letters to Martha and other poems from a South African prison (1968) e in Thoughts abroad (1970), momenti (insieme con Stubborn hope, 1978) del suo ostinato e drammatico itinerario umano e artistico. Momenti di rimpianto e nostalgia per la donna amata o per i propri cari lontani si alternano a moti di rabbia e di protesta anche nei versi di A. Nortje (1942-1970), M. Kunene (n. 1930), W. (Bloke) Modisane (n. 1924) e C. Pieterse. L'impegno culturale, che accompagna l'affermarsi della black consciousness, si caratterizza per l'emergere di poeti di rilievo.
Da ricordare D. Brand, argutamente ironico (Africa, music and show business, 1967); O. Mtshali (n. 1940), che nei suoi versi agili e taglienti recupera la tradizione zulu (The birth of Shaka) al movimento di liberazione, e innalza i luoghi in cui i negri hanno versato il sangue a emblema dell'impossibilità di soffocare la loro voce (Carletonville, 1974); P. Horn − Voices from the Gallows tree (1968) e Walking through our sleep (1974) − che sottolinea l'impoeticità dell'apartheid. La pubblicazione del volume Sounds of a Cowhide drum (1971), di Mtshali, di Yakhal Inkomo (1972) di M. Serote (n. 1944) e di alcune antologie (To whom it may concern, 1973; Black voices shout!, 1974, messa al bando), è segno palese del nascente interesse dell'editoria per la fioritura poetica che caratterizza questi anni.
I tragici avvenimenti del 1976 annunciano una drastica svolta per i poeti. Come scrive M. Gwala (n. 1946), la speranza è ora rafforzata dalle lacrime di Soweto, che diventa simbolo e metafora del coinvolgimento più radicale nell'azione politica, riscontrabile anche in un linguaggio più colloquiale, più vicino alla lingua parlata, più orientato alla lettura in pubblico. Il confine tra poesia e propaganda diventa particolarmente sottile, ma non mancano negli anni Ottanta e Novanta opere (Jol'iinkomo, 1977, e No more lullabies, 1982, di Gwala; Fireflames, 1980, di Mtshali) e autori, non solo neri, in cui un naturale e profondo senso dell'arte ha il sopravvento su un'estetica impegnata e deliberatamente funzionale, orientata soprattutto a superare "the victim syndrome" e informata dalla black consciousness: S. Sepamia (n. 1932), autore di I remember Shaperville (1976), tende con le sue poesie (The Blues is you in me, 1976; The Soweto I love, 1977; Children of the earth, 1983) a trascendere le urgenze politiche contingenti e a riflettere sull'ipocrisia e sul senso di colpa da cui i bianchi sono attanagliati (Nibbling, 1974); M. Mbuli; M. Langa; N.S. Ndebele (n. 1948), narratore, critico e poeta tra i più significativi; K. Kgositsile, sostenitore dei valori estetici della poesia; E. Patel (n. 1943), originale sperimentatore di forme e di metri (The bullet and the bronze lady, 1987). Un aspetto affascinante della poesia più recente è l'emergere di voci sempre meno distinguibili in base al colore della pelle. È il caso di poeti bianchi come B. Breytenbach (n. 1939), arrestato nel 1975 per terrorismo e condannato a nove anni (And death white as words, 1978; Judas eye, 1988); S. Gray (n. 1941), uno tra i critici contemporanei più acuti, con le raccolte Hottentot Venus and other poems (1979), Apollo Café and other poems (1989) e Season of violence (1992); J. Couzyin (n. 1942), Christmas in Africa (1975) e Life by drowning (1983); J. Cronin (n. 1949), che ha pagato con una lunga e dura detenzione, cui s'ispira la raccolta Inside (1984), il proprio impegno politico; C. van Wyk (n. 1957), autore di alcune tra le più note poesie di protesta (About Graffiti).
Come quella della poesia, anche l'evoluzione della narrativa è contrassegnata dai problemi politici e sociali legati all'apartheid. Il racconto è l'espressione più congeniale, proprio perché più vicina alla tradizione orale, ma la forma con cui la letteratura sudafricana raggiunge un'audience internazionale è il romanzo.
Nel 1883 O. Schreiner (1855-1920) pubblica The story of an African farm, interessante, oltre che per la tecnica narrativa, per i personaggi, specialmente quelli femminili, che popolano la storia di un amore e della vita in una fattoria sudafricana. Anche i suoi romanzi successivi sono ricchi di spunti e di riflessioni sulle disuguaglianze basate sul sesso, la classe o la razza. Un'altra scrittrice di talento è S.G. Millin (1888-1968): nei suoi romanzi (God's step-children, 1924) i diseredati, i bianchi poveri, i meticci, in una società dominata dal denaro, acquistano una particolare autenticità grazie alla qualità nel dialogo; P. Smith (1882-1959), in The little Karoo (1925) e The beadle (1926), mette a fuoco la vita di una comunità rurale e, anche se alcuni aspetti della sua narrativa sono stati presi a pretesto per giustificare l'oppressione dei neri da parte degli Africaaners, rappresenta una delle rare voci di dissenso sull'atteggiamento antiboero degli Inglesi; W. Plomer (1903-1973), narratore prolifico e poeta, è l'iniziatore del romanzo di protesta con Turbott Wolfe (1926). Rappresentante insigne dell'umanesimo liberale è A. Paton (1903-1988), narratore e poeta, che, in Cry, the beloved country (1948), permeato dalla sua esperienza di direttore di riformatorio, dà un primo esempio di quella combinazione di denuncia delle ingiustizie e di richiamo alla fratellanza umana che caratterizza l'intera sua opera; D. Jacobson (n. 1929), in The trap (1955) e in Confession of Josef Baisz (1977), mette in rilievo con toni critici il decadimento morale dei bianchi e la loro opera di disintegrazione sociale. Scrivere in una società frammentata costituisce la struttura profonda della maggior parte delle opere di N.G. Gordimer (n. 1923), dopo la presa di coscienza del fallimento dell'umanesimo liberale. Nei romanzi e nei racconti (Face to face, 1949; The lying days, 1953; A world of strangers, 1958; Occasion for loving, 1963; The late bourgeois world, 1966; A guest of honour, 1970; Burger's daughter, 1979; The soldier's embrace, 1982; A sport of nature, 1987) più volte ha messo in luce i limiti posti allo scrittore da una società profondamente e deliberatamente compartimentalizzata, da un sistema di rigide divisioni sociali, mantenute e regolate da un regime di segregazione razziale. La sua narrativa disegna nitidamente la parabola che, partendo da una posizione moderata, perviene a una critica sempre più corrosiva dei valori liberali e coloniali. Anche i romanzi (Duskland, 1974; In the heart of the country, 1977; Waiting for the Barbarians, 1980; Foe, 1986) di J.M. Coetzee (n. 1940) sono pervasi da un acuto senso della complessa e difficile posizione dello scrittore bianco, costretto a operare in una situazione in cui coesistono elementi di colonialismo, postcolonialismo e neocolonialismo, e in cui la denuncia dell'oppressione non è mai del tutto esente dal rischio di complicità con l'oppressore. Tra i romanzieri bianchi si segnala anche A. Brink (n. 1935), con States of emergency (1988). I primi romanzi di scrittori neri sono An African tragedy (1928) di R.R.R. Dhlomo (1901-1971) e Mhudi (1930) di S. Plaatje, pubblicato tredici anni dopo la sua stesura e considerato oggi un classico. A ragione, nella prefazione l'autore affermava: "la letteratura sudafricana è stata finora quasi esclusivamente europea". Alla prima generazione di romanzieri di colore appartiene anche P. Abrahams che, in Song of the city (1945), Mine boy (1946) e nell'autobiografia Tell freedom (1954), anticipa temi della black consciousness. A wreath for Udomo (1956), ambientato in uno stato immaginario, ''Panafrica'', ha come tema la crescita di un movimento nazionalista fino al conseguimento dell'indipendenza, e mette in rilievo i problemi e i rischi del postcolonialismo.
Alla fine degli anni Cinquanta, emerge una letteratura spiccatamente di protesta, che si allontana da quella creativa tipica di Drum. Nel 1963 l'introduzione del Publications and entertainment act causa la messa al bando di molti scrittori, senza distinzione di razza. La censura esercita un condizionamento sempre più forte sulla funzione della letteratura ed è uno dei fattori della frammentazione e della disgregazione che investono un'intera generazione di scrittori condannata a riproporre in modo quasi ossessivo, seppure con una varietà di approcci e di angolazioni, le problematiche della discriminazione razziale. Temi cruciali come quelli dei diritti umani, dell'esilio, della vita nei ghetti urbani, del tribalismo, sono trattati con grande profondità da autori come Mphahlele in Down Second Avenue (1959), The wanderers (1973), Chirundu (1979), Africa my music (1985); R. Rive (1931-1989) in Emergency (1964); A. La Guma (1925-1985), che, in A walk in the night (1962), And a threefold cord (1964), The stone country (1967), Time of the butcherbird (1979), parla delle personali esperienze di prigione, del suo attivismo e della brutalità degli oppressori, mentre In the fog of the seanson's end (1972) mette in contrasto la consapevolezza che ha il prigioniero della propria vulnerabilità con il profondo senso d'ingiustizia che lo spinge alla rivolta, in termini che trascendono il destino individuale e trasformano l'inevitabile fine in un tributo alla grande corrente del movimento di liberazione. I periodici The New African, The Classic, New Coin mettono in luce scrittori come D. Boetie, autore di Familiarity is the kingdom of the lost (1969), pubblicato tre anni dopo la morte e più volte ristampato. Uno dei più bei romanzi sugli eventi del 1976 è Amandla (1980), di M. Tlali (n. 1930), che supera anche A ride in the whirlwind e Children of Soweto di Mzamane. Autrice di grandissimo talento si rivela B. Head (1937-1986), che, in When the rain clouds gather (1969), basato sulla sua esperienza di profuga, in Maru (1971) e nell'intensa autobiografia, A question of power (1973), nelle short stories, in A woman alone e Tales of tenderness and power (pubblicati nel 1990), trascende gli esausti paradigmi del conflitto razziale e orienta la dinamica dell'alienazione e dell'impegno verso un'esplorazione della mente e verso le possibilità d'integrazione tra le dimensioni personali e quelle sociali dell'esistenza. Ricchi di intuizioni originali sulla realtà sociale sudafricana sono Daughters of the twilight (1986) di F. Karodia, e Hajji Musa and the Hindu fire-walker (1988) di A. Essop (n. 1931).
Malgrado abbia svolto un ruolo molto importante nella genesi della narrativa, il racconto breve non ha conosciuto la fortuna critica, soprattutto internazionale, del romanzo. Il suo sviluppo segue un corso parallelo a quello della poesia nera, che trova collocazione ideale nella stampa locale, grazie alla sua brevità e ai suoi legami con la tradizione orale e autoctona. Va anche tenuto presente, come sottolinea Mphahlele (The African literature, 1962), che la situazione razziale della R.S. ha condizionato gli scrittori neri, costringendoli a concentrarsi sulla narrativa breve, e ha reso estremamente difficile raccogliere le energie mentali ed emotive necessarie alla composizione di un romanzo o di un dramma. La tradizione della short story nera è inaugurata, alla fine degli anni Venti, da R.R.R. Dhlomo. La vita di miniera, basata sulla sua esperienza diretta, l'impietoso sfruttamento dei minatori, le vessazioni fisiche e psicologiche, sono dipinti con toni anche più autentici di quelli del più famoso romanzo Mine boy di Abrahams. The dignity of begging (1951) di B. Modisane, cresciuto negli slums di Sophiatown, è una ferma denuncia di come anche la giustizia faccia parte del sistema e costituisca un puntello dell'apartheid. C. Themba, in The urchin, offre un fine e penetrante ritratto della vita in una città come Sophiatown. Uno dei più prolifici autori di Drum è A. Maimane (n. 1932), che descrive la delinquenza giovanile dilagante nei ghetti urbani. C. Motsisi (1934-1977) si distingue (Casey and Co, pubblicato postumo nel 1978) per la penetrante analisi dei drammi che hanno come sfondo la vita della strada e la violenza insensata tra negri, in un inglese vivacizzato dal patois. Argomenti più squisitamente politici sono trattati da R. Rive (Africa songs, 1963), J. Matthews (n. 1929), che coglie l'occasione per denunciare gli effetti dilaceranti del Separate amenities act, A. La Guma (Tattoo marks and nails), che presenta la prigione come microcosmo della vita in Sudafrica. M.V. Mzamane (n. 1948), con The children of Soweto: A trilogy (1982), mette in luce le distorsioni dei tragici eventi del 16 giugno 1976 a opera del regime.
Gli sviluppi del teatro sono caratterizzati da problemi specifici per i limiti creati dall'apartheid, che per lungo tempo ha anche impedito la presenza di un pubblico misto, e per la particolare virulenza della censura. H.I.E. Dhlomo è il primo drammaturgo moderno nero. Nei suoi drammi (The girl who killed to save: Nonquase the liberator, 1936) l'esplorazione del passato tribale diventa un formidabile strumento di analisi degli atteggiamenti e delle strutture sociali del suo tempo. A. Fugard (n. 1932) esemplifica con i suoi primi esperimenti (No-good friday, 1958, e Nongogo, 1959, pubblicati soltanto nel 1977) le condizioni d'improvvisazione e di fortunosità, ma anche di grande creatività del teatro sudafricano. Uno dei suoi drammi più noti, Sizwe Bansi is dead (1972), dopo una difficile tournée nella R.S., conosce lusinghieri successi in Inghilterra, negli Stati Uniti e in Australia. Con A place with the pigs (1988) la denuncia del regime si fa meno corrosiva e si colora di toni autobiografici. G. Kente (Too late, 1975) è la personalità più interessante del Township Theatre. La R.S. vanta importanti centri, manifestazioni (il Market Theatre a Johannesburg, il Festival di Grahamstown) e compagnie teatrali, fra cui i Serpent Players di Fugard. La sua vitalità è testimoniata da una messe di autori quali G. Butler, Take root or die (1970), e Richard Gosh of Salem (1982); D. Livingstone, A rhino for the boardroom (1977), The sea my windingsheet (1978); M. Matshoba (n. 1950), Seeds of war (1981); M. Manaka (n. 1956), Egoli (1980) e Rula (1986); P. e K. Shah, Sponono (1983); Nkosi (Rhytm of violence, 1964); P. Mtwa, M. Ngema e B. Simon (Woza Albert!, 1983); A. Buckland (The ugly Noonoo, 1988), drammaturghi che hanno messo in scena l'oppressione endemica dei negri, la natura coercitiva del regime, la violenza fisica e psicologica perpetrata contro questi autentici ''dannati della terra''.
Bibl.: The return of the Amasi Bird. Black South African poetry. 1891-1981, a cura di T. Couzens e E. Patel, Johannesburg 1982; A land apart: A South African reader, a cura di A. Brink e J.M. Coetzee, Londra 1986; R. Fatton Jr., Black consciousness in South Africa. The dialectics of ideological resistance to white supremacy, New York 1986; Hungry flames and other Black South African short stories, a cura di M. Nzamane, Londra 1986; Voices from twentieth-century Africa. Griots and towncriers, a cura di Chinweizu, ivi 1988; P.V. Shava, A people's voices: Black South African literature in the twentieth century, ivi 1989; J. Watts, Black writers from South Africa. Towards a discourse of liberation, ivi 1989; Essays on African writing, a cura di A. Gurnah, ivi 1993; B. Lindfors, Black African literature in English, 1987-1991, Borough Green (Sevenoaks, Kent) 1994; N.S. Ndebele, South African literature and culture. Rediscovery of the ordinary, Manchester 1994.
Architettura. - Le prime due decadi del 20° secolo furono improntate al revivalismo neoclassico, che ben serviva le tendenze coloniali. Le opere di due architetti inglesi, sir E. Lutyens (Civic Art Gallery, 1911-15, a Johannesburg), e sir H. Baker (Union Buildings in Pretoria, 1910-15), furono modellate con un linguaggio rinascimentale italiano seppur stemperato dalla tradizione inglese. La stessa suggestione operò, in maniera più moderata, negli anni Venti, come testimoniano l'università di Witwatersrand e la nuova stazione di Johannesburg, quest'ultima con reminiscenze del classicismo scandinavo. La decade successiva fu caratterizzata dall'influenza di W.M. Dudok, W. Gropius e Le Corbusier. L'influenza del movimento moderno sull'architettura sudafricana è stata molto forte e durò lungo gli anni Quaranta e Cinquanta sino al punto di divenirne quasi il linguaggio ufficiale, se non fosse stato per due significative eccezioni: l'opera di N. Eaton e l'avvento del new empiricism.
Eaton è senza dubbio la figura di maggior rilievo del secolo. Nato a Pretoria nel 1902 e morto nella stessa città nel 1966, dedicò la sua opera alla riconciliazione delle prevalenti qualità del razionalismo con la realtà ambientale dell'Africa e la storia del Sudafrica, criticando chi si serviva solo di un linguaggio internazionale, dimenticando il contesto storico e geofisico. Tra i suoi edifici si ricordano le sedi per la Netherlands Bank a Pretoria (1946), Pietermaritzburg (1941), Kroonstad (1943) e la più bella a Durban (1961).
Il new empiricism nasce all'interno dello stile internazionale, ma se ne distacca notevolmente per la sua ricerca di un adattamento e riconciliazione con le condizioni locali. Realizzazione di questa scuola sono la Wits Dental School di J. Fassler (1954), il Claridges Hotel di Issy Benjamin (1952), la nuova stazione di Città del Capo.
La fine degli anni Quaranta fu caratterizzata da due episodi importanti, che hanno lasciato un'impronta di rilievo nell'urbanistica sudafricana: la creazione di alloggi per coloro che ritornavano dalla seconda guerra mondiale e l'avvento del Partito nazionalista al potere nel 1948. Il problema degli alloggi per i reduci fu risolto costruendo insediamenti residenziali caratterizzati da case a basso costo, che rispettavano i minimi standard di abitabilità e di manutenzione: per es. il quartiere di Parkhurst a Johannesburg, con case unifamiliari di 85 m2. Da allora questa tipologia è stata adottata come prototipo distributivo per alloggi a basso costo, dando luogo alla cosiddetta 85 house.
Dopo l'avvento del Partito nazionalista al potere (1948) e la conseguente legge sull'apartheid, la popolazione di colore fu smistata in zone contenute tra le aree industriali e la ferrovia, completamente distaccate dai nuclei urbani e commerciali. Da qui il formarsi delle black townships, che dal 1948 fino alla fine dell'apartheid hanno rappresentato una piaga delle città sudafricane. La più celebre di esse è Soweto, un triste agglomerato informe di alloggi degradati per la popolazione di colore, in cerca di lavoro nella vicina e affluente Johannesburg. Il tipo edilizio adottato nelle townships è la 51/9 house, cioè una casa unifamiliare di 51 m2 per un'abitazione di tre stanze con caratteristiche di grande squallore: assenza di soffitti, di pavimentazione, di fognature e di acqua potabile. La 51/9 house è divenuta durante gli ultimi trent'anni il simbolo dell'apartheid.
Negli anni Sessanta l'architettura sudafricana fu di nuovo dominata dall'influenza straniera, questa volta in prevalenza brasiliana. Gli architetti sudafricani avevano apprezzato il metodo con cui i loro colleghi sudamericani avevano risolto il problema della climatizzazione in edifici situati in paesi altrettanto caldi e soggetti a notevoli escursioni termiche, usando brise-soleil e schermature, limitando nello stesso tempo l'uso dell'aria condizionata. Il risultato fu un linguaggio chiaroscurale di grande effetto che bene si armonizza con il clima subtropicale del Sudafrica, come testimoniano la Netherlands Bank a Durban di N. Eaton, il Jan Smuts Airport a Johannesburg, nonché le opere di P. Guedes, L. Ferreira da Silva e S. Ahrends. Gli anni Settanta sono quelli in cui si formano l'architettura e l'urbanistica sudafricane. È infatti nel 1970 che le maggiori scuole di architettura del paese (Cape Town, Natal, Witwatersrand) cominciano a produrre laureati preparati ai problemi di un'architettura del Terzo Mondo.
Frutto di quest'indirizzo sono i programmi di sviluppo di zone depresse (come nel caso di St. Wendolins e St. Chad), elaborati da gruppi interdisciplinari con la collaborazione della popolazione locale. L'esempio più emblematico di questo movimento è il Mitchell Plan, provincia del Capo, dove sono state proposte abitazioni a basso costo per popolazioni di colore, con il triplice aiuto dell'amministrazione, del settore privato, ma soprattutto della popolazione. Risale a questo periodo la nascita di agenzie e gruppi di lavoro come Built e Urban support, che hanno contribuito al risanamento di inner cities areas, con lo scopo di riproporle per una destinazione sia commerciale che residenziale. È degli anni Settanta l'adozione del cemento a faccia vista, espresso in un linguaggio che va dal funzionale al neo-brutalism, come si ritrova nel Carlton Tower Centre a Johannesburg, di Skidmore, Owings & Merrill, nell'università di Pretoria, di A. Sandrock, e nel British Petroleum Centre a Città del Capo, di R. Fox (1971-73). Gli anni Settanta si concludono con le opere dell'architetto statunitense H. Jahn a Durban e a Johannesburg, ambedue opere di grande manierismo legato all'International style.
Gli anni Ottanta sono quelli della maturità dell'architettura sudafricana, delle prese di posizione, dello scoprire se stessa: la ricerca cioè d'integrare le due tradizioni, quella africana e quella boero anglosassone. Questa ricerca per un comune denominatore ha portato all'abbandono del linguaggio internazionale e ha segnato il sorgere di esperienze figurative d'integrazione tra le due tradizioni. Un'apertura che, d'altra parte, non poteva verificarsi senza una motivazione storico-politica: l'indipendenza delle homelands.
Appartengono a questo periodo le opere migliori dell'architettura sudafricana prodotte da professionisti altamente qualificati, provenienti da università sudafricane, i quali hanno portato alla ribalta il ''contestualismo'', vale a dire il linguaggio architettonico sintesi tra la ricchezza etnica del paese e le necessità della società pluralistica sudafricana con l'ambiente geofisico circostante. Tre opere si distinguono in particolare per la ricerca profonda di valori sia figurativi che sociali e per il completo rispetto dell'ambiente: la cattedrale anglicana di Soweto, di J. Noero (1987), gli uffici del segretariato di Bophuphatswana, Mmabatho, di B. Britz e M. Schole (1978-83), il centro comunitario di Behla, provincia del Capo, di R. Uytenboaardt (1981). A queste opere maggiori si devono aggiungere la cattedrale anglicana a Pietermaritzburg, di Rosendal & Kammayer (1976), l'UNISA in Durban, di B. Sandrock (1988), il Mangosuthu Techninion, Natal, e il Hulett Headquarters Umlanga, ambedue di H. Allen (1982).
Bibl.: U. Kulterman, New directions in African architecture, Londra 1969; City Engineers Department, Listing of Cape Town Buildings, Città del Capo 1980; Council for Scientific and Industrial Research (South Africa), Housing studies. Summary of research, Pretoria 1983; E.J. Haarhoff, Spatial analysis of urban settlement in the Natal/KwaZulu area, Pietermaritzburg (Natal) 1985; A. Mazrui, The Africans. A triple heritage, Boston 1986; Architects and apartheid, in ADA (Art Design Architecture), 2 (1986); B. Fletcher, A history of architecture, Londra 198719; D.J. Esterhuizen, South African architecture 1945-1989. A populist view, ivi 1989. V. inoltre le riviste South African Architectural Record, 1944-67; Architects Journal, 1970-.
Musica. - Una vera e propria scuola nazionale si affermò intorno agli anni Venti e Trenta, per opera di un gruppo di compositori nati nell'ultimo quarto dell'Ottocento, fra i quali spiccano E. Lowenherz (1874-1958), S. Richfield (1882-1967), M. Lorens de Villiers (1885-1977), H. Matthews [Johannes Joubert] (1894-1958), P. Lemmer (n. 1896) e R. Cherry (n. 1897). Solo a partire dagli anni Quaranta la musica sudafricana cominciò ad avere risonanza internazionale, per opera di compositori nati nei primi anni del Novecento e formatisi molto spesso all'estero. In particolare, si ricordano le compositrici P. Rainier (1903-1986), R. Nepgen (n. 1909) e B. Gerstman (1910-1973).
Fra le prime composizioni con le quali la Rainier si affaccia sulla scena musicale, vi sono il Duo per violino e pianoforte (1932) e il Quartetto n. 1 per archi (1939). Agli stessi anni Trenta (sebbene rappresentato solo nel 1955) appartiene il Requiem per tenore e coro a cappella, su testo di D. Gascoigne. Comporrà poi la Suite per clarinetto e pianoforte (1943), cui seguirà la Sinfonia da camera (1947) e Cycle for declamation, per soprano, tenore o baritono (1953). Negli anni Sessanta compone la danza-concerto Phala-Phala, su commissione della London Philarmonic Society (1960-61), e ancora il Trio-Suite per violino, violoncello e pianoforte (1960), Quanta per oboe e trio di archi (1961-62), il Concerto per violoncello e orchestra (1963-64) e Aequora lunae per orchestra (1966-67). Agli ultimi anni della sua attività appartengono, fra l'altro, Ploërmel per fiati e percussioni (1972-73) e Due canti e Finale per violino e orchestra, composti per Y. Menuhin (1977). Autrice di una vasta produzione di musica vocale, soprattutto da camera, per voce e pianoforte, la Nepgen è fra i compositori sudafricani maggiormente rappresentativi di questo secolo. Delle sue prime composizioni si ricorda The three Marys, per archi con arpa, flauto e voci sole (1938). Delle molte composizioni scritte su testi poetici, si ricordano quelle basate sulle liriche di W.E.G. Louw. Negli anni Settanta ha curato per il suo paese la traduzione di testi di F. Petrarca e G. Leopardi, di G. Pascoli ed E. Montale, da cui sono nate composizioni per voce e pianoforte come L'Infinito (1975), Orfano (1975), Tre sonetti (da Petrarca, 1975) e Due Xenia Canzoni (1976). La prima opera significativa della Gerstman è Hellas, per coro femminile, soprano e orchestra (1928). Molti suoi lavori furono rappresentati negli anni Trenta a Città del Capo, nel ciclo di concerti di Ch. Weich. Dell'ampia produzione di musica vocale da camera, si ricordano in particolare Five songs per voce e pianoforte (anche con accompagnamento orchestrale, 1937-38), Voice in the night per soprano e orchestra (1942), Ariel's songs from the Tempest di Shakespeare, per soprano e celesta (1946), Die Lied van 'n vrou, per soprano e pianoforte (1958), Drie Suid-Afrikaanse Kerslieder (1968) e il ciclo Africana (1968-69). Alla stessa generazione appartiene G. Fagan (1904-1980), residente anch'egli a Londra fino alla fine degli anni Quaranta. Tornato nel suo paese, ha curato arrangiamenti di melodie della tradizione popolare africana, svolgendo attività di direttore d'orchestra. Autore della musica per il film David Livingstone, ha scritto anche diverse composizioni per orchestra, fra cui South African folk-tune suite (1942), Five orchestral pieces (1948-49), Fanfare per Radio South Africa (1966) e la Suite per archi (1974), Miniature ouverture -Fanfare for a Festival, per 22 ottoni, 8 percussioni e 6 arpe (1976), e Karoo-Sinfonie (1976).
Fra i compositori europei che hanno contribuito all'evoluzione della cultura musicale della R.S., spiccano la figura dell'inglese W.H. Bell (1873-1946), trasferitosi nel 1912 a Città del Capo, per assumere la direzione fino al 1935 del South African College of Music (fondato nel 1910), e quelle degli scozzesi P. Kirby (1887-1970), autore fin dagli anni Venti di importanti studi etnomusicologici sulla tradizione musicale aborigena, ed E. Chisholm (1904-1965), docente di musica all'università di Città del Capo dalla metà degli anni Quaranta, e fondatore nel 1948 della sezione sudafricana della Società Internazionale di Musica Contemporanea (SIMC).
Molti allievi di Bell hanno poi dominato il panorama musicale sudafricano a partire dalla metà degli anni Quaranta, come S. Grové (n. 1922), H. du Plessis (n. 1922), e J. Joubert (n. 1927).
Dei primi lavori di Grové si ricordano i Songs of the last passage, per coro e orchestra con baritono (1943), la Fantasia sinfonica ''Aeterna Munera'' (1945) e il Quartetto per archi, dedicato a Bell (1945). Negli anni Cinquanta ha composto il Duo per violino e violoncello (1950), il Trio per violino, violoncello e pianoforte (1952), il Quintetto per arpa e archi (1954), la Serenata per flauto, oboe, viola, clarinetto basso e arpa (1952), e la Sinfonia concertante (1956). Una nuova fase si aprì nel decennio seguente con la ripresa del metodo dodecafonico nella Sinfonia (1962), cui sono seguiti i Tre pezzi per pianoforte (1965), e ancora Tweespalt, per pianoforte per la mano sinistra (1975), Die Nag van 3 April per flauto e clavicembalo (1975) e la Sinfonia, per coro e orchestra (1975). Di du Plessis si ricorda in particolare il ciclo di melodie per baritono Vreemde Liefde (1951), il Quartetto per archi, anch'esso dedicato al maestro (1950-53), e ancora Vier Slampamperliedjies per soprano (1961), la suite per pianoforte Inspiré par mes chats (1963-64), Suid-Africa - Nag en Daeraad per soprano, coro e orchestra (1965-66), in cui vengono riprese melodie del folclore sudafricano, e la suite per pianoforte When I was a child/Toe ek'n kin was (1972). Di Joubert, oltre ad alcuni brani strumentali, come Threnody per orchestra (1946), composta per la morte di Bell, citiamo l'Ouverture per orchestra (1951), la Sonata per viola e pianoforte (1951) e il Divertimento per due pianoforti (1952); ancora l'opera radiofonica Antigone, in quattro scene (1953), e l'opera teatrale in due atti In the Drought (1956). Accanto a essi vanno ancora ricordati A. van Wyk (1916-1983) e P. de Villiers (n. 1924).
Fra i compositori dell'avanguardia, affacciatisi sulla scena musicale a partire dagli anni Sessanta, spiccano i più anziani Th. Rajna (n. 1928), compositore di origine ungherese residente a Città del Capo dal 1970, autore, fra l'altro, di un Concerto per pianoforte e orchestra (1966) e di Musica per archi (1967), e L. Faul (n. 1931), che ha lavorato presso lo Studio di musica elettronica di Città del Capo del compositore olandese H. Badings (n. 1907), autore di una fortunata commedia musicale, Lekkerleefland, su libretto di F. Rautenbach (1971); e i più giovani G. Newcater (n. 1941) e P. Klatzow (n. 1945).
Newcater ha composto, durante il periodo della sua permanenza a Londra (primi anni Sessanta), la Sinfonia n. 1 (1962-64), il Concerto grosso per archi (1962) e il Quintetto per strumenti a fiato (1962). Nel 1965 ha studiato con H. Searle la tecnica seriale, componendo, l'anno seguente, la Sinfonia n. 2, in occasione del Republic Festival di Pretoria. Sono seguiti il balletto Raka, dal poema epico di N.P. van Wyk Louw (1967), Nocturno per orchestra (1968), dove fa uso della tecnica dodecafonica, e Variations de timbres (1968). Da segnalare, inoltre, Palindromic structures per pianoforte e orchestra (1977), Sinfonia n. 3 (1978) e Concerto per violino e orchestra (1979). Klatzow ha ricevuto nel 1965 a Londra il Royal Philarmonic Prize for Commonwealth per le sue Variations for orchestra (1965). Dopo aver studiato con R. Vlad a Firenze (1965) e con N. Boulanger a Parigi (1965-66), ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, confermandosi come una delle personalità di spicco della nuova musica sudafricana; si ricordano in particolare: The temptation of St. Anthony, per violoncello e orchestra (1972; Premio del Dipartimento dell'Educazione nazionale 1976 e del Festival di Barcellona 1976), The garden of memories and discoveries, per soprano, insieme strumentale e nastro magnetico (1975; Premio Italia 1976) e Contours and transformations, per chitarra e cinque strumenti (1977; Premio dell'International Guitar Festival di Toronto), Sound-sculpture per archi e ottoni (1980), e il Concerto per organo e orchestra (1981).
Bibl.: E. Rosenthal, 125 years of music in South Africa, Città del Capo 1969; J. Bouws, Komponiste van Suid-Afrika, Stellenbosch 1971; C.G. Henning, Four South African composers, Pretoria 1975; South African Music Encyclopedia, a cura di J.P. Malan, voll. i-iv, Città del Capo 1979-86, sub voces.
Cinema. - La più antica e organizzata industria cinematografica del continente realizzò già tra il 1916 e il 1918 due capolavori dell'epoca muta, De Voortrekkers ("Conquistando un continente"), diretto da H. Show, e A symbole of sacrifice, entrambi sull'epopea boera. Ben attrezzata industrialmente nei centri di produzione di Johannesburg e di Città del Capo, la cinematografia nazionale non produce più di una ventina di film all'anno, commedie, musical o drammi sul conflitto città/campagna (e tra anglosassoni e boeri) per metà in lingua inglese e per metà in afrikaans, in genere cattive imitazioni dei modelli hollywoodiani. Ma non bisogna dimenticare, dal 1974 in poi, una piccola percentuale di opere appositamente indirizzate al pubblico nativo o indiano, spesso realizzate da filmmakers neri, come S. Sabela che nel 1974 firmò il primo lavoro in lingua zulu, Nogomopho. Inoltre di estrema importanza è stato il lavoro del documentarista inglese J. Grierson, chiamato da Pretoria dopo il 1948 per costituire un ufficio del cinema pubblico (sul modello del National Film Board canadese) e che ha innalzato di molto la professionalità e il livello estetico di operatori e documentaristi ufficiali (E. Nofal, B. Mailer, J. Brennan, ecc.) e militanti. I due più importanti cineasti sudafricani, costretti all'esilio dal regime razzista di Pretoria sancito nel 1948, sono N. Mahomo e L. N'gakane. Mahomo, militante del PAC (Pan-Africanist Congress), girò il lungometraggio anti-apartheid Phela Ndaba ("La fine del dialogo", 1970) per spiegare le ragioni che costringono alla lotta armata il popolo nero, indiano e meticcio del paese. Del 1975 è l'altro documentario, Last grave in Dimbaza, anche questo girato clandestinamente nel paese, che spiega le famigerate leggi Vorster sulla residenza coatta e l'appoggio dei paesi occidentali e delle multinazionali al regime razzista. Il titolo si riferisce al cimitero del ghetto di Soweto, Dimbaza, dove le tombe vengono scavate in anticipo perché si prevedono con allucinante precisione statistica i probabili decessi infantili settimana dopo settimana. N'gakane, nato a Pretoria nel 1928 e militante dell'ANC (African National Congress), ha vissuto a Londra dalla metà degli anni Sessanta ed è rientrato in S. solo dopo la vittoria elettorale di Mandela nel 1994. Dopo un apprendistato con Z. Korda ha girato nel 1964 Vukani Awake ("In piedi"), il primo pamphlet anti-apartheid. Del 1965 è Jemina and Johnny, sulle relazioni razziali tra bambini in un quartiere di Londra. Del 1975 è Once upon a time, girato in Liberia e in Costa d'Avorio; e del 1985 è Nelson Mandela, biografia del leader dell'ANC carcerato per oltre 25 anni. Alla battaglia antirazzista partecipano anche cineasti europei e statunitensi. Ricordiamo tra i film storici anti-Pretoria Come back Africa (1959), del documentarista progressista statunitense L. Rogosin, e Magic garden (1961), di D. Swanson. Sul finire degli anni Ottanta si è sviluppato un forte movimento interno di cineasti indipendenti sudafricani anti-apartheid, sia nel campo della fiction sia in quello del documentario, sia bianchi che neri, capaci di gestire le stesse strutture industriali e di accedere ai finanziamenti pubblici. Tra i filmmakers più radicali ricordiamo J. Mthoba (del collettivo Centro del cinema diretto), D. Roodt, P. Davies, H. Cassirer, D. Bensusan, S. Moni, E. Procter, K. Harrs, O. Schmitz; mentre nel campo del cinema industriale le personalità più originali sono il commediografo J. Uys, l'autore televisivo M. Van Rensburg e J. Rautenbach.
Con lo smantellamento delle leggi apartheid, il ritorno dei migliori cineasti in patria (oltre a N'gakane, anche R. Devenish, C. Austin, P. Chappel, M. Kaplan, ecc.) e la vittoria elettorale di N. Mandela, il cinema sudafricano vive in questi ultimi un difficile processo di transizione e di riorganizzazione democratica diretto dall'organismo dei cineasti e dei lavoratori dello spettacolo raggruppati nel FAWA (Film and Allied Workers Association) e da un'apposita struttura ad interim, il Film Board, addetto ai finanziamenti e agli aiuti a produttori e a cineasti indipendenti. Ma la censura è ancora implacabile se, nel 1992, sono stati proibiti dal paese ben 82 film.
Bibl.: A.D. Bensusan, Silver image, Città del Capo 1966; T. Gutsche, The history and social significance of motion pictures in South Africa 1895-1940, ivi 1972; Apartheid et cinéma, Journées cinématographiques d'Amiens 1983; Cinemaction, 39, dossier Sud Africa, a cura di K. Tomaselli, Parigi 1986; F. Pfaff, Twenty five black African filmmakers, New York 1988; K. Tomaselli, The cinema of apartheid, New York-Chicago 1988; G. Fofi, M. Morandini, G. Volpi, Storia del cinema, Milano 1988.