Sudafricana, Repubblica
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(App. IV, iii, p. 538; V, v, p. 324; v. sudafricana, unione, XXXII, p. 935; App. I, p. 1040; II, ii, p. 927; III, ii, p. 864)
Geografia umana ed economica
di Paolo Migliorini
Popolazione
La R. S. contava nel 1998, secondo una stima delle Nazioni Unite, 39.357.000 ab. (tasso di accrescimento annuo relativo al periodo 1990-98: 23‰). Il peso demografico della minoranza bianca (5,2 milioni nel 1995, pari al 12,6% della popolazione) tende a diminuire, a causa di una fecondità inferiore a quella delle altre comunità, e per effetto dell'esaurirsi, negli anni Ottanta, dell'immigrazione europea. In compenso la R. S. è diventata meta di una forte immigrazione dagli Stati vicini, per le migliori condizioni di vita di cui beneficiano i suoi abitanti rispetto a quelle degli altri paesi dell'Africa a sud del Sahara: nel 1996, su 5407 immigrati, 2315 provenivano dall'Europa (di cui 1052 dal Regno Unito), 1020 dall'Asia, 1549 dal resto dell'Africa, 257 dalle Americhe e 86 dall'Oceania. Nello stesso anno gli emigrati erano 9708, diretti per lo più in Europa, Oceania e America (rispettivamente 3198, 3035 e 1786). Si calcola, inoltre, che nel 1995 gli immigrati illegali fossero circa 8,5 milioni.
Pur persistendo forti sperequazioni economiche e sociali (all'inizio degli anni Novanta il reddito superava i 10.000 dollari statunitensi per i Bianchi e si riduceva a poco più di 1000 per i Neri), è in aumento la percentuale dei Neri che accede ai privilegi della classe dominante, e gli indicatori che misurano il loro livello di vita (tra cui la speranza di vita alla nascita, il tasso di alfabetizzazione, il reddito pro capite) registrano valori di gran lunga superiori a quelli degli altri paesi dell'Africa australe.
Il tasso di urbanizzazione tocca il 50%, e la quasi totalità della popolazione nera urbanizzata vive ancora concentrata nelle townships (città ghetto), che sopravvivono di fatto all'abolizione del regime di apartheid, di cui sono state una delle più emblematiche espressioni nell'organizzazione sociale del territorio.
Condizioni economiche
Malgrado la ricchezza di risorse naturali e l'elevato livello di sviluppo dell'apparato industriale, la crescita economica della R. S. è stata frenata nel corso degli anni Ottanta dall'imposizione di sanzioni economiche da parte della comunità internazionale, come forma di ritorsione contro il regime dell'apartheid. A partire dal 1992, le sanzioni economiche sono state gradualmente allentate, in seguito all'adozione da parte del governo di un programma di riforme, e sono state definitivamente soppresse nel 1993.
Il programma GEAR (Growth, Employment and Redistribution), che si basa su una previsione fortemente orientata verso i servizi sociali (istruzione e sanità, principalmente), venne varato dal governo nel luglio 1996. Le linee di questo programma tendevano tra l'altro a far sviluppare le aree meno progredite, a contrastare energicamente l'evasione fiscale e a incoraggiare gli investimenti locali e le piccole imprese, confermando la politica di privatizzazione delle aziende pubbliche (v. oltre: Politica economica e finanziaria).
Le attività primarie (incluse quelle forestali e quelle connesse con la pesca) hanno contribuito nel 1998 a formare il 4,1% del PIL, occupando il 10,7% delle forze di lavoro nel 1997 (escluse quelle delle homelands già dichiarate indipendenti, ma che dal 1994 sono considerate parti integranti del territorio nazionale). La R. S. è esportatrice netta di mais (che è anche il principale prodotto agricolo di sussistenza), frutta, zucchero. In costante aumento la produzione di cotone, che con 640.000 q di semi e 370.000 q di fibra nel 1998 ha ritrovato il buon livello degli anni Settanta. La R. S. continua a distinguersi anche come grande paese allevatore per quanto riguarda sia i bovini (13,8 milioni di capi nel 1998) sia, e soprattutto, gli ovini (30 milioni di capi, da cui si ricavano 54.000 t di lana, in massima parte esportata).
Le attività minerarie tradizionali (7,5% del PIL nel 1998; 10% della forza di lavoro nel 1995) proseguono con lo sfruttamento dei giacimenti auriferi (493.000 kg nel 1997) e diamantiferi (9,8 milioni di carati nel 1995, compresi i diamanti industriali). La R. S. è il paese africano più ricco di carbone (220.100.000 t nel 1997), in larga misura esportato. Il settore manifatturiero (22,7% del PIL nel 1998; 15,0% delle forze di lavoro nel 1995) mantiene i suoi punti di forza nelle attività connesse con la lavorazione dei prodotti minerari (siderurgia: 6 milioni di t di ghisa e 8,3 milioni di t di acciaio nel 1997), chimici e tessili, e conta un apparato molto diversificato e progredito.
La R. S. è membro del SACU (South African Customs Union, unione doganale con Botswana, Lesotho, Namibia e Swaziland), che di norma registra un consistente attivo della bilancia commerciale grazie all'apporto dell'oro, in valore circa la metà delle esportazioni. È anche membro della SADC (South African Development Community), organizzazione mirata all'integrazione economica tra dodici paesi dell'Africa australe.
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Politica economica e finanziaria
di Giuseppe Smargiassi
Nel corso degli anni Novanta l'economia sudafricana ha mostrato un andamento incerto, passando da un periodo di recessione profonda a una ripresa fragile ma comunque positiva per un paese che, durante quasi tutti gli anni Ottanta, aveva vissuto in condizioni di stagnazione economica. Questo andamento ciclico dell'economia riflette in pieno la delicata transizione della R. S. dal regime dell'apartheid verso un sistema pienamente democratico, con l'inevitabile complessità dei problemi legati alla ridefinizione delle priorità e degli obiettivi di politica economica e, soprattutto, con l'inderogabile esigenza di procedere a una correzione dei profondi squilibri sociali ed economici accumulati negli anni dalle politiche di segregazione razziale.
Sul piano economico, il sistema legale dell'apartheid ha prodotto effetti negativi soprattutto sotto il profilo dell'equità economica e distributiva. Le discriminazioni contro la popolazione di colore, specie riguardo ai diritti di proprietà e di accesso ai servizi sociali e collettivi, portarono a una sperequazione nella distribuzione del reddito tra le più accentuate al mondo e a una crescita dei tassi di disoccupazione su livelli oscillanti tra il 30 e il 35% della popolazione attiva (che risulterebbero però più bassi qualora si considerasse anche il settore informale dell'economia sommersa, assai esteso nella R. S.). Sul piano strettamente produttivo gli effetti dell'apartheid furono più indiretti e diedero luogo alla creazione di un sistema protezionistico esasperato posto sotto un rigido controllo statale. L'esigenza di aggirare il rischio di sanzioni economiche da parte della comunità internazionale spinse le autorità a incentivare investimenti, spesso inefficienti, nei settori import-substitution, e a erigere un sistema di elevate barriere tariffarie per proteggere l'industria dalla concorrenza internazionale. La capacità competitiva del settore manifatturiero fu poi penalizzata da una struttura di mercato oligopolistica che ruotava attorno a pochi, giganteschi conglomerati industriali legati soprattutto alle attività estrattive di oro e diamanti. Nella seconda metà degli anni Ottanta, il 75% della capitalizzazione della borsa di Johannesburg era controllata da cinque holding finanziarie, e una sola di queste, la Anglo-American Corporation, era titolare di oltre il 20% delle azioni scambiate in borsa. Assai gravi furono, inoltre, le conseguenze dell'apartheid sui flussi finanziari e sugli investimenti esteri nel paese. L'incessante esodo di investitori esteri, provocato dalla crescente conflittualità nei posti di lavoro e dalla sempre più accentuata instabilità politica, venne compensato per un certo periodo di tempo attraverso il massiccio ricorso da parte delle autorità monetarie sudafricane a crediti bancari a breve termine. Ma la progressiva riduzione della maturità del debito (nel 1984 circa i due terzi del debito estero avevano scadenza inferiore a un anno) e l'interruzione delle linee di credito da parte del Fondo monetario internazionale (FMI) portarono a una progressiva insostenibilità del debito. Nella prima metà del 1985, una brusca fuoriuscita di capitali dal paese, provocata dalla drammatica crescita degli episodi di violenza politica, fece crollare bruscamente il valore del rand sui mercati valutari e costrinse la banca centrale del paese (South African Reserve Bank) a chiedere un nuovo scadenzamento nelle rate di pagamento del debito. Di fronte al rifiuto opposto dalle banche creditrici, il paese precipitò nell'agosto del 1985 in una grave crisi finanziaria che, oltre a imporre nuovamente l'introduzione del sistema di valuta doppia (che prevedeva un 'rand commerciale' e un 'rand finanziario' posto sotto controllo delle autorità) abolito appena due anni prima, obbligò la R. S. a rinegoziare il suo debito. Nuove restrizioni all'accesso dei mercati finanziari internazionali, a seguito delle sanzioni decise nel 1986 dal governo degli Stati Uniti con il Comprehensive Antiapartheid Act e dalla Comunità economica europea con il bando sugli investimenti e sul commercio estero, costrinsero successivamente la R. S. ad affidarsi completamente alle sue riserve di oro e alla formazione di surplus di parte corrente per far fronte agli impegni di pagamento del debito estero. Così, da paese importatore di capitali, la R. S. si ritrovò dopo il 1985 nella gravosa posizione di esportatore netto, situazione che poté mantenere solo dimezzando il tasso di crescita del PIL reale, attestatosi nel corso degli anni Ottanta su un modesto valore medio dell'1,5% annuo.
L'avvio dello smantellamento del sistema legale dell'apartheid nei primi anni Novanta ha coinciso con un forte peggioramento della situazione economica interna. Nel periodo compreso tra il 1989 e il 1993 il prodotto interno lordo è diminuito incessantemente, facendo scivolare la R. S. nella più grave recessione di tutto il secolo. La flessione del PIL si è inoltre associata a un progressivo deterioramento del quadro finanziario interno, tradizionalmente caratterizzato da bilanci pubblici in equilibrio, che, nel 1993, ha portato il disavanzo statale in rapporto al PIL a oltre il 7%. Miglioramenti di qualche rilievo si sono registrati solo sul piano della lotta all'inflazione, scesa nel 1993 sotto il 10% dopo aver mantenuto per numerosi anni valori compresi tra il 15 e il 20%. Tali risultati, tuttavia, sono stati possibili solo grazie alla forte restrizione monetaria attuata dalla South African Reserve Bank e alla conseguente contrazione della domanda interna. In linea generale, la debolezza dell'economia sudafricana è derivata dalle distorsioni del sistema produttivo e dal lungo periodo di isolamento commerciale e finanziario dal resto del mondo ereditati dal regime dell'apartheid. Ma anche altri fattori di diversa natura, come il brusco rallentamento della crescita economica mondiale verificatosi tra il 1991 e il 1993, la caduta costante del prezzo dell'oro e le gravi siccità che hanno colpito duramente il settore agricolo del paese, hanno contribuito all'approfondimento della crisi. Un altro elemento di instabilità economica, che ha svolto un ruolo di rilievo nel prolungamento della recessione, è derivato dalle incertezze sul futuro assetto economico della R. S. emerse dal negoziato tra il governo e i partiti all'opposizione per la definizione delle nuove istituzioni del paese.
Una delle condizioni indispensabili per l'effettiva democratizzazione del paese e per l'attribuzione degli stessi diritti a tutti i cittadini era il superamento del profondo divario che separava le condizioni di vita della minoranza bianca da quelle della maggioranza di colore. Ma sui tempi e sulle modalità di realizzazione di questo obiettivo si era creata una spaccatura tra il Partito nazionalista di W.F. De Klerk al governo e l'ANC (African National Congress) di N. Mandela sostenuto dal principale sindacato sudafricano, il COSATU (Congress of South African Trade Unions). Quest'ultimo proponeva, infatti, un programma di redistribuzione del reddito incentrato su una gestione centralizzata delle risorse finanziarie, indirizzate verso investimenti finalizzati allo sviluppo e sulla nazionalizzazione delle grandi concentrazioni industriali private. A questa strategia si opponeva invece il governo, che oltre ad accentuare il rigore delle politiche fiscali aveva accelerato il programma di liberalizzazione dell'economia e, soprattutto, aveva attuato una legislazione in difesa degli interessi della minoranza bianca contro la minaccia di espropriazione delle terre. Lo stallo nei negoziati e una forte ondata di scioperi contro il governo nella prima metà del 1992 avevano alimentato un clima di incertezza sugli orientamenti e sulle priorità future della politica economica, che aveva portato a un massiccio esodo dal paese di capitali, di manager e di professionisti e a una conseguente caduta del livello degli investimenti interni, scesi nel 1992 al 15% del PNL, uno dei valori più bassi mai registrati nel paese.
Dopo la vittoria alle elezioni politiche del 1994, l'ANC di Mandela ha abbandonato i programmi di nazionalizzazione e di controllo statale dell'economia. La strategia del nuovo governo ha invece puntato alla formazione di un quadro macroeconomico interno favorevole alla crescita degli investimenti privati, tramite l'adozione di politiche monetarie e fiscali rigorose, e di un piano volto al progressivo smantellamento delle limitazioni al commercio con l'estero e ai movimenti di capitale. La lotta alla disuguaglianza sociale e distributiva è stata invece affidata a un ambizioso programma, il Reconstruction and Development Program (RDP), che prevedeva un articolato piano di interventi nel settore delle infrastrutture e dei servizi sociali.
Il programma, adottato nel 1994, consisteva in una lista di 22 progetti finalizzati ad assicurare servizi sanitari e assistenziali gratuiti per gli oltre 2 milioni di persone che vivevano al di sotto del livello di sussistenza, a rifornire di elettricità l'80% della popolazione che non disponeva ancora di fonti di energia, a erogare acqua potabile a oltre 12 milioni di persone e a garantire un alloggio per 9 milioni di senza tetto. Tra gli obiettivi prioritari erano previsti anche l'accesso paritario all'istruzione e una più equa distribuzione delle terre a favore della popolazione di colore. Il programma faceva affidamento completo sulle risorse finanziarie interne, attraverso tagli di bilancio che colpivano soprattutto il settore della difesa, in modo da non ostacolare l'obiettivo del risanamento del bilancio pubblico ed evitare il ricorso all'indebitamento estero per il finanziamento di programmi di natura sociale.
Nel complesso, i primi anni del governo guidato da Mandela hanno portato a risultati economici di un certo rilievo. L'abolizione completa delle sanzioni commerciali e finanziarie, decisa dall'ONU nel 1994 su esplicita richiesta formale dello stesso Mandela, ha favorito un nuovo afflusso di capitali dall'estero e sbloccato le linee di credito da parte di istituzioni economiche internazionali come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale. Anche per effetto di un arresto della fuoriuscita di capitali dal paese, il saldo netto dei flussi finanziari e degli investimenti diretti ha subito un'inversione a partire dal 1994, trasformando nuovamente la R. S. in paese importatore di capitali. Ciò ha consentito al governo di procedere all'ulteriore liberalizzazione del mercato valutario con la rimozione, nel marzo del 1995, del sistema del doppio tasso di cambio e l'abolizione del rand finanziario. Sul piano dei rapporti commerciali, la R. S. ha iniziato a stringere legami più stretti con i principali paesi industrializzati e ha aperto nuove relazioni con i paesi asiatici. Dopo anni di quasi completo isolamento, la R. S. è entrata nella WTO (World Trade Organization) e nel British Commonwealth (da cui era stata espulsa nel 1961), e ha inoltre aderito a numerosi accordi commerciali e monetari (come la South African Common Monetary Area, la South African Custom Union, la Southern African Development Community) nonché alla Convenzione di Lomé tra l'Unione Europea e i paesi dell'Africa, del Pacifico e dei Caribi.
Per quanto riguarda la crescita economica, tra il 1994 e il 1995 il PIL ha fatto registrare un incremento superiore al 3%, e nel 1996 ha superato il 4%. Malgrado il netto miglioramento rispetto ai precedenti anni, l'andamento del reddito si è rivelato insufficiente sia a finanziare i costosi progetti del programma RDP, senza compromettere l'obiettivo della riduzione del deficit pubblico, sia a fermare il continuo incremento della disoccupazione che tra il 1995 e il 1996 è salita di 4 punti percentuali (in base alle stime ufficiali che comprendono anche il settore sommerso dell'economia). Proprio le incertezze sulle prospettive dell'economia e il peggioramento delle aspettative sull'andamento del disavanzo pubblico e dell'inflazione hanno accentuato la volatilità dei flussi di capitale e trasformato un tendenziale deprezzamento del rand, manifestatosi nei primi mesi del 1996, in una vera e propria crisi valutaria, conclusasi nel maggio dello stesso anno in una pesante svalutazione della moneta su tutti i principali mercati dei cambi. Per arginare il deprezzamento della valuta, la South African Reserve Bank è intervenuta aumentando il tasso ufficiale di sconto che ha raggiunto livelli molto elevati.
Nel luglio del 1996 il governo ha deciso un mutamento di politica economica ridimensionando, da un lato, gli obiettivi del piano RDP e avviando, dall'altro, un nuovo programma, il Growth, Employment and Redistribution (GEAR), incentrato sul conseguimento di un obiettivo di crescita del PIL del 6% annuo e su ulteriori misure di liberalizzazione dell'economia che comprendevano un maggior allentamento dei controlli sui cambi e sui flussi di capitale, l'abbattimento delle tariffe doganali (specie sui beni intermedi destinati al settore industriale), l'applicazione di incentivi fiscali per stimolare gli investimenti e l'introduzione di una maggiore flessibilità salariale sul mercato del lavoro. Sul piano macroeconomico si è deciso poi per un inasprimento della politica fiscale, con un'accelerazione del programma di riduzione del deficit pubblico, e per una maggiore indipendenza accordata alla South African Federal Reserve nella gestione della politica monetaria a fini antinflazionistici. Se da un lato il nuovo programma di politica economica ha raccolto il consenso del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, dall'altro ha creato una profonda frattura tra l'ANC e il suo principale alleato, il COSATU, che ha criticato l'impostazione eccessivamente liberistica del programma. Contrariamente alle premesse e alle aspettative di crescita del piano GEAR, lo sviluppo economico del paese ha fatto registrare dopo il 1996 un forte rallentamento, fino ad arrestarsi quasi completamente nel 1998. Il principale fattore di freno è stata la crisi economica asiatica dell'ottobre 1997, che ha ridotto le esportazioni sudafricane di prodotti agricoli e di oro e ha innescato, all'inizio del 1998, una nuova ondata speculativa sul rand, resa ancora più virulenta dalla rimozione dei vincoli sul trasferimento di capitale all'estero.
Per tamponare la massiccia fuga di capitali e interrompere la continua svalutazione del rand sui mercati valutari, le autorità monetarie hanno aumentato ancora una volta i tassi di interesse, portandoli dal 19% fino a un massimo del 25%. La South African Reserve Bank è riuscita in tal modo ad arginare la svalutazione, pagando però un prezzo assai elevato in termini di crescita economica. A partire dalla fine del 1998, l'economia ha mostrato alcuni segni di ripresa, sollecitati dal graduale allentamento della stretta monetaria. I tassi di interesse sono stati, infatti, riportati nella prima metà del 1999 ai livelli precrisi.
L'orientamento in tema di politica economica del nuovo governo guidato da M. Mbeki, insediatosi nel maggio 1999, è tuttavia rimasto in linea con gli indirizzi delineati dal programma GEAR. La lotta all'inflazione (scesa al 6,5% nel 1999) e la riduzione del deficit pubblico (attestatosi nel 1999 al −2,9% del PIL) sono rimasti gli obiettivi prioritari del governo, che ha anche avviato un piano di privatizzazioni, collocando sul mercato quote dei pacchetti azionari di alcune importanti imprese pubbliche (tra cui la società elettrica Eskom, la società pubblica per lo sfruttamento a uso commerciale delle risorse forestali Safcol, nonché le poste sudafricane). Il nuovo governo ha inoltre ribadito la sua risoluzione a procedere in maniera più incisiva alla riforma del mercato del lavoro, proponendo l'introduzione di una maggiore flessibilità nella contrattazione salariale. Nel complesso, le prospettive dell'economia sudafricana, pur rimanendo in gran parte legate nel breve periodo all'andamento del prezzo dell'oro e delle materie prime e alla volatilità dei flussi finanziari, appaiono dipendere, in un orizzonte temporale più lungo, dalla necessità di conciliare gli obiettivi della stabilizzazione economica e finanziaria interna con l'esigenza di rispondere in maniera più incisiva alle aspettative della maggioranza della popolazione, che vede in una crescita dell'economia ancora notevolmente al di sotto del potenziale produttivo una seria minaccia al miglioramento delle sue condizioni di vita.
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Storia
di Emma Ansovini
Uscita nel 1994 dal regime dell'apartheid sulla base del compromesso tra il National Party (NP) e l'African National Congress (ANC), cioè tra il partito della supremazia bianca e la rappresentanza egemone della maggioranza di colore dal profilo moderato e multietnico (nonostante l'inclusione al suo interno del Partito comunista), la R. S. si trovava di fronte a problemi di gravità straordinaria: la necessità di una transizione incruenta da un regime autoritario e razzista a una democrazia; la creazione di un nuovo ordine costituzionale; l'esigenza di garantire uno sviluppo economico caratterizzato da una maggiore equità sociale; l'obbligo di assicurare in una situazione di fortissimi squilibri l'ordine pubblico, che fino a quel momento era stato sinonimo di repressione statale, violenta e spesso illegale, riguardo a tutte le forme di protesta e di opposizione. I primi anni della nuova R. S., la nazione 'arcobaleno' che faceva della multiculturalità e della multietnicità il suo tratto costitutivo, si caratterizzavano dunque per un solo e preciso filo conduttore: evitare la catastrofe, la vendetta dell'oppresso sull'oppressore, l'esplosione incontrollata del conflitto etnico, non solo tra Bianchi e Neri, ma nella stessa comunità di colore, al cui interno erano state per anni alimentate divisioni e contrapposizioni, in particolare tra gli Zulu e il resto della popolazione nera. D'altra parte gli scontri e le violenze, immediatamente esplose con l'inizio del processso di democratizzazione, tra l'Inkhata - il partito Zulu presieduto da G. Buthelezi - e l'ANC, e tra il Pan African Congress (PAC) - il partito separatista dei Neri - e lo stesso ANC, sembrarono per alcuni mesi confermare il difficile avvio di una dialettica democratica. La formazione di un governo di transizione che rappresentava in modo equilibrato le principali forze politiche, lo svolgimento delle elezioni (aprile 1994), la creazione di procedure parlamentari fortemente garantiste per le minoranze, la promulgazione - contemporanea alle elezioni - di un testo costituzionale provvisorio e l'istituzione della Commissione per la verità e la riconciliazione, presieduta dal vescovo anglicano D.Tutu, premio Nobel per la pace, riuscirono a ricondurre la situazione nell'alveo del confronto democratico. Questo risultato appare straordinario se si considera la violenza esercitata dal regime razzista per oltre quarant'anni e gli effetti di questa politica non solo sulle condizioni materiali di vita, ma anche sul livello culturale di una maggioranza nera sistematicamente esclusa dall'educazione superiore e alla quale erano state destinate scuole primarie separate, di bassa qualità e per questo frequentemente disertate. La giovane generazione di Neri che affrontava l'esperimento della democrazia era in larga parte priva di strumenti culturali che non fossero quelli di una militanza politica, condotta spesso in una chiave fortemente antagonista e militarizzata. A questo risultato contribuirono il clima internazionale, la presenza di un vasto consenso popolare, il comportamento delle forze politiche, ma certamente e soprattutto N. Mandela, presidente della R. S. dal maggio 1994. La figura di Mandela, già carismatica nel lunghissimo periodo di detenzione, diventava progressivamente quella di un padre della patria, equilibrato e al di sopra delle parti, che cumulava aspetti di continuità della tradizione africana con quelli di modernità di un capo di Stato democratico.
Un ruolo estremamente importante, anche per le sue valenze simboliche, assumeva pure nella fase di transizione la Commissione per la verità e la riconciliazione (1995-98): voluta da Mandela, essa aveva il compito di stilare un elenco di coloro che, su ambedue i fronti, avevano subito violenze durante il regime di apartheid, individuare i colpevoli dei crimini, amnistiarli nel caso in cui avessero reso piena confessione e dimostrato che il reato era stato commesso per motivi politici e non personali. La commissione consentiva così a un intero paese di specchiarsi nel suo passato recente, permetteva alle vittime di non sentirsi dimenticate e di non considerare le proprie sofferenze annullate dalla politica di compromesso istituzionale con gli esponenti del vecchio regime, e incanalava al tempo stesso sul terreno dell'ammissione delle colpe, del riconoscimento delle vittime e di una consensuale condanna morale molte tensioni e molte lacerazioni. Alcuni degli esponenti più importanti del passato regime e del partito di governo si rifiutarono di testimoniare, ma questo non incise in modo determinante sul ruolo svolto dalla commissione perché, in una certa misura, mentre i torti più gravi e generali potevano essere considerati in qualche modo impersonali e rinviati al giudizio della storia, che aveva già definitivamente condannato il regime dell'apartheid, erano le sofferenze individuali che dovevano trovare riconoscimento e risposta. L'aspetto insolito della commissione si può cogliere meglio se la si confronta con situazioni emblematiche del passato (per es. il tribunale di Norimberga sui crimini del nazismo), nelle quali i vincitori si ergevano a giudici degli sconfitti e comminavano pene in nome di una propria etica sopravvissuta innocente al conflitto. In questo caso era l'ammissione di una tragedia condivisa dall'insieme della comunità, nella quale c'era certamente un torto e una ragione ma non c'era nessuno che potesse aprioristicamente dichiararsi innocente, fatto che generava una nuova innocenza etica sulla quale una nuova comunità intendeva fondare il suo cammino.
Il mantenimento dei presupposti per una convivenza civile e il rispetto delle regole democratiche consentirono di concludere rapidamente la fase costituente. La nuova Costituzione della R. S. fu approvata in via definitiva dal Parlamento nell'ottobre 1996 e promulgata il 4 febbraio 1997. Il nuovo testo costituzionale sottolineava la difesa delle garanzie individuali, e prevedeva, all'interno di una visione sostanzialmente centralistica dello Stato, il riconoscimento di una limitata forma di autonomia alle province. Il potere legislativo era attribuito a due Camere: l'Assemblea nazionale, costituita da 400 membri eletti a suffragio universale con metodo proporzionale, e il Consiglio nazionale delle province, di 90 membri, 10 per ciascuna Assemblea provinciale, a loro volta elette a suffragio universale proporzionale. I limitati poteri attribuiti alle province, soprattutto in materia di educazione, sollevarono obiezioni in particolar modo da parte delle forze politiche a più forte insediamento regionale, come l'Inkhata, che si rifiutò di partecipare alla stesura del testo definitivo. Nonostante ciò, l'approvazione della nuova Costituzione segnò un'ulteriore tappa verso la normalità, sia per il consolidarsi di una dialettica politica fondata sui partiti, sia per la decisione del NP di uscire dal governo di unità nazionale e di svolgere un ruolo di opposizione costituzionale.
Sul piano economico la R. S. presentava un duplice insieme di problemi, quelli legati a uno sviluppo economico insufficiente, dopo un decennio caratterizzato da un tasso di crescita negativo, e quelli legati alla presenza di fortissime diseguaglianze sociali. La mancata crescita economica appariva come il risultato di fattori diversi: elementi strutturali riguardanti lo stesso assetto del sistema produttivo; fuga dei capitali nazionali non compensata da un flusso adeguato di investimenti stranieri; difficoltà ad aumentare gli scambi internazionali dopo il rallentamento determinato dal boicottaggio contro l'apartheid; ristrettezza del mercato interno dal quale era sostanzialmente esclusa la gran parte della popolazione nera. Proprio quest'ultima, inoltre, ancora nel 1994 si trovava in condizioni decisamente miserevoli: il 53% (rispetto al 2% dei Bianchi) viveva infatti al di sotto della soglia di povertà, l'80% delle abitazioni era sprovvisto di elettricità, 12 milioni di persone erano prive di acqua potabile, le terre assegnate erano le meno produttive. I piani economici varati dal governo nel 1994 e nel 1996 rappresentavano un vasto tentativo di rilancio dell'economia e al tempo stesso di correzione delle disuguaglianze sociali. Le iniziative adottate miravano anche a costruire un clima di fiducia favorevole agli investimenti: i capitali stranieri esitavano infatti a orientarsi verso la R. S. sia per l'incerta situazione economica, sia per la relativa carenza di manodopera qualificata, sia per i numerosi elementi di preoccupazione sollevati dalla situazione dell'ordine pubblico.
Quest'ultima non era in effetti rassicurante: un tasso di omicidi nel 1997 tra i più alti del mondo, i furti frequentissimi, le squadre private di vigilanza armata estremamente diffuse. Il traffico della droga tendeva inoltre a espandersi, mentre, in un clima di insicurezza largamente percepita, in alcune aree dei maggiori centri urbani le case venivano spesso trasformate in fortini. A questa ondata di criminalità concorreva certamente la tensione sociale che scaturiva dalla presenza, soprattutto in alcune città, di una popolazione nera di diseredati, in precedenza esclusi ed espulsi dalle aree urbane, senza occupazione, senza alloggio e dunque privi delle condizioni minime di sopravvivenza, che convivevano con una società bianca e opulenta dallo stile di vita occidentale. Le vecchie regole di un ordine basato sulla coercizione fisica e sulla violenza erano definitivamente tramontate, ma stentavano ad affermarsi regole nuove. Una delle eredità più drammatiche dell'apartheid era inoltre la presenza di un'intera generazione esclusa dall'educazione, senza cultura e senza qualificazioni professionali, che non poteva aspettarsi alcun vantaggio dallo sviluppo di una società aperta alle competenze e alle qualità dei singoli, una generazione che per giunta aveva vissuto in una società per molti anni militarizzata nella quale era ancora estremamente facile procurarsi armi e munizioni. Una realtà che ben emerge nelle parole di Mandela: "I giovani dei quartieri neri hanno avuto per decenni un nemico facilmente individuabile, il governo. Ora quel nemico è scomparso proprio a causa della trasformazione che stiamo vivendo. Ora quel nemico siamo diventati voi ed io, persone che guidano un'automobile, che possiedono una casa. Il loro nemico è l'ordine, qualsiasi cosa che sia riferibile ad una ordinata normalità, e questa è una situazione di estrema gravità".
In politica estera la R. S. democratica assunse immediatamente una maggiore visibilità svolgendo un'intensa attività diplomatica e proponendosi come mediatore nelle guerre e nelle crisi regionali africane. Alla crescita di credito e di prestigio a livello internazionale presso tutte le maggiori potenze occidentali, di cui la R. S. divenne rapidamente un interlocutore privilegiato, non fece però riscontro un'analoga capacità di intervento in Africa, e le diverse iniziative di mediazione intraprese in Angola e in Congo non ottennero alcun successo. Un esito più favorevole, con l'entrata fin dal 1994 nella Southern African Development Community (SADC), ebbe l'impegno ad allargare la cooperazione economica nell'Africa australe per promuovere una sempre maggiore integrazione e stabilità dei paesi dell'area. In questo contesto trova spiegazione l'assai discutibile intervento armato, condotto sotto l'egida della SADC, in Lesotho nel settembre 1998 in appoggio al partito di governo.
In una situazione di relativa stabilità politica, ma di sofferto equilibrio complessivo, la decisione di Mandela di non ricandidarsi alla presidenza della Repubblica, pur suscitando preoccupazioni nell'opinione pubblica interna e internazionale, confermò lo sforzo della R. S. di superare una visione personalistica del potere e di continuare nel processo di democratizzazione. Il successore designato fu il vicepresidente T. Mbeki, militante fin dall'adolescenza nell'ANC, leader pragmatico, apprezzato dal mondo degli affari, convinto sostenitore della necessità di un 'rinascimento' africano. Le elezioni del 2 giugno 1999 segnarono una rilevante vittoria dell'ANC che con il 66% dei voti guadagnava 266 dei 400 seggi dell'Assemblea nazionale, appena un seggio in meno dei due terzi sufficienti a modificare la Costituzione e 14 in più di quelli ottenuti nelle elezioni del 1994. Il voto segnò inoltre la sconfitta del New National Party, nuova denominazione del NP, che ottenne appena 28 seggi rispetto agli 82 del precedente Parlamento, e il successo del Democratic Party, di tradizioni liberali ma presentatosi con un programma conservatore, passato da 7 a 38 seggi. Infine, l'Inkhata conquistò 34 seggi. Una vittoria così ampia, se confermava lo straordinario consenso dell'ANC, metteva anche in luce un possibile problema per una democrazia così giovane, quello della mancanza di forza dell'opposizione. Il 16 giugno 1999 l'Assemblea nazionale eleggeva secondo le previsioni Mbeki presidente della Repubblica.
bibliografia
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Il nuovo Sudafrica. Dalle strettoie dell'apartheid alle complessità della democrazia, a cura di I. Vivan, Firenze 1996,
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