repubblicanesimo
Tradizione di pensiero politico le cui origini sono da ravvisare nell’opera di Aristotele. Il r. trova forma nell’ideale ciceroniano di res publica, ossia di una comunità di persone, tra sé associate per osservare la comunanza degli interessi nella giustizia, che detengono collettivamente il potere e dispongono di eguali diritti. Questo ideale repubblicano, di cui fanno prova Sallustio, Livio e Tacito, fu il punto di riferimento per la nascita del r. moderno nell’Italia dell’Umanesimo. Per l’occasione, infatti, l’identità civile di Coluccio Salutati e Leonardo Bruni si sarebbe fondata sul recupero della tradizione classica per legittimare in termini originali l’idea di civitas che in epoca medievale aveva accompagnato gli sviluppi dell’autogoverno comunale. L’Umanesimo repubblicano trova così una precisa sintesi nelle opere di Alamanno Rinuccini e di Matteo Palmieri, che lo fissano nei termini di una compiuta identificazione tra la libertà politica e la virtù civile e aprono la via alla formulazione del r. moderno quale i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio di Niccolò Machiavelli e le opere di Francesco Guicciardini avrebbero, ormai in pieno Cinquecento, compiutamente definito. Nata come riflessione attorno a una stagione che sembrava irrimediabilmente trascorsa – il confronto nella Penisola tra Spagna e Francia lasciava intendere come il declino politico dell’Italia fosse riflesso della crisi di valori delle forme di autogoverno – la riflessione sul r. si spostò poi verso altre realtà territoriali d’Europa. Alla fine del Cinquecento era nelle Province unite in rivolta contro Filippo II, dove si sarebbe giunti a identificare il r. quale forma di governo più adatta a una società mercantile, e a metà Seicento animava l’Inghilterra del Commonwealth di Cromwell, nel cui ambito, molto recuperando dalla lezione machiavelliana, declina nell’Oceana di John Harrington, opera dove viene con forza rilanciato l’ideale della libertà repubblicana e al tempo stesso puntualmente confutato il Leviathan di Hobbes. Il r. classico, di cui la tradizione machiavelliana si voleva interprete, avrebbe poi parzialmente informato anche il Settecento, per presto perdere, però, la possibilità di riassumerne il contenuto. Nel corso del 18° sec., quel modello si rivelò infatti incapace di riflettere compiutamente la cultura politica repubblicana di Età moderna e altre prospettive presero forma, dove, pur mantenendosi ancora a lungo la difesa dei sistemi esistenti e l’ideale della repubblica aristocratica, fiorirono – dalla nuova realtà socioeconomica e culturale – originali discorsi politici. In questo quadro, la riflessione di Montesquieu sulla virtù abbandonava il campo del r. classico per divenire uno strumento di lettura delle società moderne rispetto a quelle antiche e in un ambito siffatto prendeva inoltre forma la riflessione di Rousseau sull’eguaglianza politica. Questo arrivava a declinare il r. nei termini di una indistinta volontà generale, dove le singole posizioni venissero annullate; quello, insistendo sulla libertà civile e personale posta sotto il dominio della legge, insisteva invece sulla rappresentanza politica. La nascita oltre Oceano di un modello americano, che poneva la collettività al centro dei fondamenti del potere, avrebbe però costituito il passaggio determinante per trasformare il r. da una linea di pensiero a una concreta pratica politica e avviato, con un procedimento di rimbalzo, l’eversione dell’antico regime nel continente europeo. Prendeva allora avvio un movimento politico che, sull’endiadi libertà-eguaglianza, avrebbe trasformato la Francia, liquidato come retaggi d’antico regime le repubbliche allora ancora esistenti e proposto un altro modello che, in ossequio alla nozione di democrazia rappresentativa, era destinato a tracciare le coordinate del r. dei tempi a venire.