RESISTENZA dei materiali
Definizioni. - Col nome di resistenza dei materiali s'intendono tanto la grandezza della tensione unitaria massima che un corpo può sopportare senza rompersi, quanto il complesso delle nozioni sperimentali e teoriche sui fenomeni che precedono e accompagnano la rottura, presa questa voce in senso molto lato, esteso cioè oltre che al vero e proprio distacco fra le parti di un corpo, anche a quell'eccessivo deformarsi ed a quella specie di fluire sotto le compressioni ch'esso subisce talvolta e lo rende inadatto a soddisfare ulteriomente agli scopi a cui era destinato.
I materiali resistono in modo assai diverso a seconda del modo come vengono sollecitati: per aver dati paragonabili, utilizzabili per le loro applicazioni, bisogna perciò nelle prove di resistenza, procedere con metodi uniformi e ben definiti, ricorrere a macchinarî e ad apparecchi adatti, operare sopra saggi - provette - aventi forma e dimensioni ben determinate. Nella maggior parte dei casi la parte utile della provetta, quella cioè sulla quale si fanno le misure, è prismatica o cilindrica; sempre ha un asse di simmetria rispetto al quale si definisce la sollecitazione realizzata durante la prova. Si cerca per lo più di limitarsi a casi di sollecitazione molto semplici e ben determinati e si considerano: la resistenza alla trazione; la resistenza alla compressione (o, se il saggio è alquanto lungo, la resistenza al carico di punta); la resistenza alla flessione pura; la resistenza al taglio; la resistenza alla flessione composta, cioè ad una sollecitazione mista di flessione e di taglio; la resistenza alla torsione.
La resistenza unitaria (o carico unitario) di rottura viene per lo più riferita all'unità di superficie ed espressa in kg./cmq., kg./mmq. o tonn./cmq.: essa si ricava ammettendo che durante le prove le dimensioni della sezione trasversale del solido non mutino, e che le relazioni teoriche date dalla meccanica applicata alle costruzioni siano valide anche nel periodo prossimo alla rottura; i valori ottenuti dalle esperienze sono perciò in parte convenzionali. Per alcuni materiali per cui è difficile ottenere con precisione la sezione reagente (tele, filati, carta) perché il loro spessore può variare irregolarmente ed è di regola assai piccolo, si preferisce dare il carico di rottura relativo all'unità di larghezza; meno frequente, ma usata talvolta, è la misura della resistenza in km. di lunghezza di quella striscia del materiale considerato che, supposta appesa alla sezione iniziale, è capace di provocare la rottura.
Si sogliono poi ancora distinguere le resistenze in: resistenza statica propriamente detta, quella, cioè, che si raggiunge facendo crescere con legge continua e abbastanza lenta il carico dal valor nullo a quello finale, così come si opera nelle ordinarie macchine di prova; resistenza al carico pulsante, quando il carico oscilla, in genere con velocità assai grande, intorno ad un valor medio, e tra due limiti che si mantengono costanti durante la prova (quando il valor medio è nullo si parla di resistenza a carico invertito), resistenza dinamica se il saggio è sottoposto ad urti.
Resistenza alla trazione. - La prova classica dei materiali ferrosi, dei metalli e delle leghe è quella alla trazione; i capitolati fissano d'ordinario i valori limiti entro i quali debbono esser contenuti il carico unitario di rottura e il relativo allungamento percentuale. Il primo si determina dividendo il carico massimo raggiunto nella prova per la sezione originaria del tratto utile della provetta; il secondo si ottiene portando a semplice contatto le parti nelle quali la provetta si ruppe e rilevando, con un calibro o con un regolo graduato, la distanza fra due segni marcati alla distanza voluta nel tratto utile del saggio. Il carico di rottura nelle ordinarie provette non è praticamente influenzato dalle dimensioni di queste, per quanto diminuisca leggermente con il crescere della sezione. Solo nelle provette cortissime, in particolare nelle sbarrette con una corta strozzatura; la resistenza specifica riesce molto aumentata rispetto a quella ricavata operando sopra provette cilindriche ordinarie. L'effetto della forma dell'estremità delle provette e del modo d'applicazione del carico non si fa molto risentire nel tratto di misura per le solite provette; ne è prova la distribuzione delle tensioni in una provetta di forma analoga a quelle piatte rappresentata dalla fig. 1: essa riproduce i risultati di esperienze del Coker eseguite applicando i principî della fotoelasticimetria, utilizzando cioè la doppia rifrangenza accidentale del vetro. Nei materiali non duttili l'utile influenza delle teste è talora contrastata da irregolare distribuzione delle tensioni; questa è poi irregolarissima nelle provette degli agglomeranti, dove esse sono ripartite nel modo rappresentato dalla fig. 2. La forma della sezione ha una lieve influenza sul carico di rottura: secondo le esperienze di C. v. Bach le sezioni tonde resistono meglio di quelle piatte e queste meglio di quelle a ???. L'allungamento percentuale di rottura, nei materiali duttili, è molto sensibile alle dimensioni della provetta: questi materiali presentano, nella regione dove avverrà il distacco fra le due parti della provetta, una contrazione, e in corrispondenza di questa, allungamenti locali molto maggiori di quello distribuito con legge quasi uniforme nel resto della provetta (fig. 3). L'effetto di questo allungamento localizzato si fa tanto più sentire quanto minore è il tratto sul quale l'allungamento complessivo viene a ripartirsi. Perché l'indicazione dell'allungamento di rottura abbia qualche valore è necessario quindi conoscere su qual tipo di provetta venne ricavata. I nostri regolamenti fissano per le ordinarie provette le dimensioni risultanti dalle fig. 4 (in alto provette tonde, in basso provetta piatta): sono saggi relativamente lunghi, assai più lunghi di quelli usati presso altre nazioni (Francia, Inghilterra, Stati Uniti d'America). In particolar modo per gli acciai speciali, non sempre seguendo soltanto ragioni tecniche, si tende a diffondere l'impiego di una provetta molto più corta (tratto utile lungo 5 diametri).
Il comportamento di un materiale sotto carico si definisce bene soltanto tracciando (e molte macchine di prova dei materiali lo fanno automaticamente) il diagramma carico-allungamento, ottenuto portando come ascisse gli allungamenti, come ordinate i carichi, nel modo rappresentato dalla fig. 5. Alcuni autori usano chiamare questo diagramma il diagramma tensione-dilatazione, ciò che non è esatto: in grazia del fenomeno di strizione e degli allungamenti localizzati, i due diagrammi differiscono sensibilmente nei materiali duttili come fa vedere la fig. 6.
L'esame dei diagrammi ora definiti mostra per i materiali duttili l'esistenza di un periodo di piccole deformazioni, d'uno di grandi deformazioni o plastico, separati da un periodo di snervamento, di assai breve durata, che qualcuno vorrebbe ridotto a un punto del diagramma - limite di snervamento - anche se le esperienze del Bach hanno permesso di distinguere, in molti casi assai nettamente, un limite di snervamento superiore, N0 da un limite inferiore, Nu. Oggi si dà grande importanza al carico limite di elasticità, quello cioè al disotto del quale il materiale si dimostra perfettamente elastico con la totale scomparsa della deformazione col cessare della causa che la provocò: ci si riferisce di regola a un limite convenzionale (trascurando le deformazioni che non raggiungono una certa percentuale della lunghezza originaria del saggio, assai spesso stabilita nel 0,02%); si evitano così tutte le discussioni sull'esistenza di un tal limite, negata da molti ricercatori che osservano che il limite elastico è stato trovato sempre più basso con il perfezionarsi degli strumenti di misura, asserita da altri che fanno notare come negli acciai, al raggiungersi del limite elastico, si hanno modificazioni delle proprietà magnetiche e un diverso modo di comportarsi all'attacco col liquido di Fry. Il limite elastico non va confuso con quello di proporzionalità, che è il carico per cui cessa la relazione lineare fra tensione e dilatazione (o, ciò che in questo caso fa lo stesso, tra sforzo e allungamento). Anche questo limite si definisce con una convenzione analoga a quella fatta per il limite elastico. Per molti fra i materiali più impiegati, questi due limiti, con le convenzioni ordinarie, poco differiscono dal carico di snervamento e con questo vengono confusi nelle misure industriali di scarsa precisione.
I diagrammi di cui qui si parla si modificano profondamente, specie per gli acciai, coi trattamenti termici a cui il materiale è assoggettato e con la temperatura di prova. La fig. 7 dà come esempio i diagrammi relativi ad un acciaio con 0,3% di carbonio: ricotto (curva I), temperato in olio (curva II), temperato in acqua (curva III): la fig. 8 mostra invece come varii per un acciaio relativamente duro il diagramma trazione-allungamento, passando dalla temperatura ordinaria (I) a quelle di 100° (II), 200° (III), 300° (IV), 400° (V) e 500° (VI), e non può esservi trascurato il fattore tempo. A temperature più alte i fenomeni di deformazione si complicano. Gli acciai temprati in acqua dànno luogo a un diagramma analogo a quello dei corpi vetrosi (e come tali si comportano molte fibre vegetali) nei quali si ha proporzionalità fra carico e allungamento fino quasi alla rottura, che si manifesta brusca, preceduta da un brevissimo periodo di deformazioni appena superiori a quelle del periodo elastico (fig. 9).
I materiali plastici hanno deformazioni permanenti e scarti dalla legge di proporzionalità già da valori piccolissimi del carico (fig. 10); analogamente si comportano i cavi d'acciaio e le funi. Caratteristiche particolari presentano le gomme e qualche fibra animale (pelo di cammello) le quali, dopo un periodo di piccole deformazioni quasi proporzionali al carico, ne presentano un secondo di grandi deformazioni, al quale segue un terzo periodo di deformazioni di nuovo relativamente piccole (fig. 11).
La forma della rottura e il suo aspetto possono offrire dati assai interessanti; essi dipendono però oltre che dalle proprietà intrinseche del materiale anche dal procedimento di prova. La duttilità influisce molto: nei materiali molto e mediamente duttili è assai frequente la rottura a imbuto tronco-conico analoga a quella della fig. 12 a; talora si giunge alla formazione di un vero anello e la provetta si decompone in tre pezzi (fig. 12 b); nei materiali vetrosi la frattura è del tipo schizzato nella fig. 12 c. Rara è la rottura a imbuto conico (fig. 12 d). L'aspetto e la lucentezza delle sezioni di rottura delle provette metalliche sono variabilissimi: talora la superficie presenta numerosissime cavità molto piccole che dànno l'impressione di lucentezza scarsa e appannata: in altri casi la sezione è invece brillante per la presenza di molti cristallini, altre volte ancora la lucentezza, grande agli orli, va gradatamente scemando verso la zona centrale. Negli acciai duri e resistenti la sezione di rottura presenta un particolare aspetto stellato per il formarsi di visibili risalti che dal centro si dirigono radialmente verso la periferia. È opportuno ancora specificare se la struttura del materiale appare a grana grossa (come nelle ghise) o a grana fine (come negli acciai) o fibrosa, o scagliosa, o lamellare. Taluni ferri, ottenuti dalla fusione di rottami non omogenei, presentano aspetto assai variabile da punto a punto della sezione dì rottura. I legnami, provati alla trazione, dànno luogo a fratture scheggiose: i materiali lapidei si rompono irregolarmente e non è facile descrivere l'aspetto della loro sezione di rottura. Anche la superficie laterale delle provette si può modificare durante la rottura: il ferro colato e qualche acciaio da utensili dànno luogo a una superficie appannata; in qualche ferro dolcissimo, nel rame e in certi bronzi, la superficie laterale si vena; assai tormentata essa appare nel piombo e in talune sue leghe. Alcuni materiali fucinati e molte lamiere si scagliano sulla superficie più dura e meno dilatabile della parte interna. Le impurità e specialmente le scorie, che talune lavorazioni accumulano in straterelli sottilissimi e quasi continui, possono provocare fessure longitudinali, non rare in ferri saldati. I materiali poco omogenei sono spesso causa di fessure multiple trasversali, che si manifestano quando lo strato esterno è meno dilatabile del nucleo interno: quando succede il contrario, le rotture non appaiono in superficie ma la loro presenza viene rivelata da una caratteristica ondulazione della superficie laterale e da un particolare crepitio dovuto al prodursi e all'allargarsi di fessure interne. Molte volte appaiono in rilievo le linee di Luders o di Hartmann (tracce sulle facce della provetta delle superficie interne secondo le quali avvengono gli scorrimenti molecolari), disposte secondo rette nelle provette piatte, secondo eliche in quelle circolari, e costituenti due schiere, le quali s'incontrano secondo angoli, caratteristici di ciascun materiale.
Resistenza alla compressione. - Sono le prove di maggior interesse per i materiali lapidei, le murature e i conglomerati: esse risentono, più di quelle alla trazione, l'influenza della forma e delle dimensioni dei saggi. La provetta deve essere abbastanza corta per evitare il prodursi di quei fenomeni d'instabilità dell'equilibrio elastico, conosciuti sotto il nome di effetto di punta, che riducono molto la resistenza della provetta. Per lo più i saggi sono cubici, più di rado cilindrici, circolari, con diametro della base eguale all'altezza, o un poco maggiore di questa: pare accertato che la provetta circolare dia valori del carico di rottura alquanto più grandi dell'altra. Tutta l'altezza del saggio è utile per le misure: molta cura è necessaria nello spianare e rendere parallele le facce opposte del saggio alle quali verrà applicato il carico. L'attrito tra le piastre della macchina di prova e la provetta modifica alquanto la sollecitazione esterna che non riesce più di compressione semplice; di conseguenza il tipo di rottura e la grandezza della resistenza sono diversi da quanto si avrebbe se si realizzasse la sollecitazione di pura compressione. I cubi di pietra o di muratura posti a diretto contatto con le piastre e caricati sia pur lentamente, dànno luogo a rottura istantanea, fragorosa, con formazione di numerosi frammenti, distaccatisi da un nucleo centrale, che ha l'aspetto di due piramidi col vertice comune all'incirca nel centro del saggio (fig. 13). Lubrificando la superficie delle piastre o anche soltanto interponendo fra queste e il saggio un foglio di piombo o d'analogo materiale, la rottura avviene sotto un carico minore di quello ottenuto con la prova ricordata più sopra (qualche volta circa la metà) ed è silenziosa, graduale, con produzione di grossi frammenti limitati da superficie pianeggianti, all'incirca parallele alla direzione del carico. Si è perciò asserito che l'ordinario metodo di prova (posa del cubetto a diretto contatto con le piastre) può creare illusioni sulla resistenza del materiale. Con l'aumentare delle dimensioni del cubo, specie nelle murature e nei conglomerati, si ha una sensibile diminuzione della resistenza; poiché inoltre essa risente molto della stagionatura e dell'ambiente in cui questa avviene, norme assai minute e precise regolano la preparazione dei saggi. Oggi si va diffondendo l'uso di prepararli in cantiere, mantenendoli poi in condizioni prossime a quelle delle strutture che si vogliono studiare. I legnami cedono a compressione nel modo indicato dalla fig. 14; la loro resistenza cambia molto con il mutare dell'orientamento dello sforzo rispetto alla direzione delle fibre; massima in direzione parallela alle fibre, tale resistenza è minima per una direzione normale all'andamento di queste che faccia un angolo di circa 45° con le tangenti ai cerchi dell'accrescimento annuo. Il carico si può aumentare notevolmente quando si eserciti sopra una sola parte della provetta.
Le aste alquanto lunghe, compresse assialmente, cedono sotto un carico assai minore di quello corrispondente alla resistenza alla compressione pura per il materiale di cui sono costituite; la diminuzione di resistenza è dovuta all'inflessione laterale che accompagna l'accorciamento causato dalla compressione. L'interpretazione delle esperienze relative non è molto agevole, per le numerose azioni che intervengono a modificare il fenomeno. Un tipo interessante di cedimento per effetto di punta si ha nei tubi, relativamente corti, ma con parete molto sottile; questa, sotto carichi relativamente bassi, si ondula e si accartoccia per lo più con disposizioni dissimmetriche.
Nelle prove di compressione, lo snervamento è meno appariscente che in quelle di trazione.
Resistenza alla flessione. - Le prove a flessione sono meno frequenti di quelle sopra considerate, per quanto oggi acquisti sempre maggiore importanza la prova di flessione sulle travi di controllo nei grandi cantieri di costruzioni in cemento armato. Si realizza una zona centrale con momento flettente costante ricorrendo alla disposizione della fig. 15. I saggi per queste prove non sono definiti dai regolamenti che per pochi casi: le citate travi di controllo, le provette di ghisa, le provette di legno. Gli appoggi, per ridurre gli attriti, sono per lo più costituiti da rulli. I diagrammi: momento-freccia d'inflessione, non presentano più un periodo di snervamento; la freccia dopo essere stata per qualche tempo proporzionale al momento, cresce con legge sempre più rapida fino alla rottura. Qualche volta la prova si fa caricando in mezzeria il saggio sostenuto agli estremi sopra rulli: si ha allora in realtà sollecitazione mista di flessione e taglio: i risultati di questa prova non sono di agevole interpretazione. Nel legno poi l'affondamento del coltello, che esercita lo sforzo, nel corpo della provetta complica molto il fenomeno.
Resistenza al taglio. - La sollecitazione di taglio puro è quasi impossibile a realizzare in pratica: la relativa prova si eseguisce sopra sbarrette molto corte, per lo più cilindriche, sollecitate all'incirca come un chiodo trattenuto da due lamiere laterali e caricato in corrispondenza d'una lamiera centrale. Nelle lamiere si usa determinare la resistenza al punzonamento, determinando lo sforzo necessario per praticarvi un foro con un punzone e riferendolo alla superficie laterale di questo: il foro è di regola circolare e la sua forma ha notevole influenza sulla grandezza della resistenza: questa cresce con lo spessore della lamiera e diminuisce col diametro del punzone. I valori ottenuti in tutte queste prove sono superiori a quelli dati dalle prove di torsione e, come si osservò, non corrispondono a una sollecitazione ben definita. Incertissimi sono i risultati delle prove su pietre e su calcestruzzi.
Resistenza alla torsione. - Le prove alla torsione vengono eseguite per lo più sopra provette cilindriche, assai spesso soggette al momento torcente e contemporaneamente ad uno sforzo assiale di tensione. Le teste di attacco del saggio, se alquanto grandi, dànno luogo a tensioni secondarie notevoli che localizzano la rottura nelle loro immediate vicinanze. Dalle prove risulta che, in causa di fenomeni di plasticità, la ripartizione delle tensioni interne effettiva è assai più favorevole di quella teorica, e riesce confermata la scarsa utilizzazione del materiale con le forme a ??? e ad ???, molto adatte invece per resistere al momento flettente. Nei materiali duttili e nei conglomerati cementizî la rottura avviene secondo una superficie elicoidale, talora regolarissima nelle aste con sezione circolare. Il diagramma che lega il momento torcente con l'angolo di torsione, in qualche sostanza duttile, manifesta un breve, ma abbastanza netto, periodo di snervamento. Prima di giungere alla rottura, nelle sbarre sottili e nei fili metallici, l'angolo di torsione raggiunge qualche giro.
Sforzi ripetuti e invertiti. - La resistenza dei materiali da costruzione diminuisce sensibilmente quando essi vengano sottoposti a carichi pulsanti con rapido ritmo, in causa di quei fenomeni che si distinguono oggi col nome di affaticamento. Le ricerche in questo campo iniziate da W. A. Albert nel 1829 sopra funi di sollevamento di pozzi di miniera, scientificamente orientate da sir W. Fairbairn e proseguite per 22 anni da A. Wohler, che studiò soprattutto le rotture degli assi ferroviarî, condussero a quelle leggi che sono ora conosciute sotto il nome del Wöhler e che possono esser così formulate:
1. Sotto l'effetto di carichi pulsanti la rottura può avvenire per uno sforzo minore di quello corrispondente alla rottura per azione statica, crescente cioè con continuità e con sufficiente lentezza dal valor nullo a quello finale.
2. Il numero delle sollecitazioni necessarie per ottenere la rottura con sforzi ripetuti è tanto più grande quanto minore è il carico più alto a parità di grandezza di quello più basso e quanto maggiore è il carico più basso a parità di valore del carico più alto.
3. Esiste una tensione unitaria - resistenza originaria - al disotto della quale, se il carico oscilla tra il valor nullo e quello finale, la rottura non si produce per quanto grande sia il numero delle oscillazioni. Esiste un'analoga tensione limite - resistenza a sforzi invertiti - minore della resistenza originaria, al disotto della quale il carico si può invertire quante volte si creda, senza giungere alla rottura.
L'ultima legge sfugge a un diretto controllo sperimentale ed è il risultato di un'estrapolazione, ma questa apparirà legittima quando si ricordi che in talune esperienze americane si è giunti a parecchie centinaia di milioni di ripetizioni di colpi e si osservi che la curva che fornisce la relazione tra il carico di rottura e il numero delle pulsazioni dello sforzo ha un ben chiaro andamento asintotico (fig. 16). Il diagramma di questa figura serve solo per sforzi ripetuti qualche milione di volte: volendo estendere il campo di rappresentazione conviene portare, almeno le ascisse, in scala logaritmica.
Un diagramma utilissimo per studiare il comportamento di un materiale nelle effettive condizioni di lavoro è quello ottenuto portando come ascisse le medie fra le tensioni tra le quali varia lo sforzo: come ordinate le tensioni estreme. Si ottiene allora una figura, che ricorda i diagrammi d'isteresi e che dà preziose indicazioni per i carichi a cui i materiali si possono assoggettare con sicurezza (fig. 17), specialmente nella costruzione delle macchine.
I fenomeni ora accennati sono in stretta relazione con l'isteresi elastica e con la facoltà di smorzamento, cioè con la proprietà di smorzare più o meno rapidamente le oscillazioni libere d'una sbarretta del materiale considerato. Si misura tale facoltà con la superficie di un ciclo d'isteresi; essa dipende, per un dato corpo, dalla forma della provetta, dal tipo di sollecitazione considerata e dalla grandezza di questa: di regola durante la prova si raggiunge nel saggio quella resistenza limite che si chiamò resistenza a sforzi invertiti. Le esperienze hanno dimostrato che in prove di questo genere la presenza di tensioni iniziali agisce in misura ancor più sfavorevole che non per le sollecitazioni statiche e che non vi sono relazioni nette e ben definite fra i risultati delle une e delle altre prove. L'aumento di temperatura produce una rapida diminuzione della resistenza al carico pulsante.
Resistenza dinamica. - Distingueremo anche per questa resistenza la resistenza alla trazione, quella alla compressione, quella alla flessione, quella alla torsione e inoltre la resistenza a rottura dinamica ottenuta con un solo urto da quella ricavata da una lunga serie di colpi dati da un maglietto di peso determinato che cada da un'altezza prefissa. Nel primo caso si misura la resistenza dividendo il lavoro occorso per raggiungere la rottura per il volume del saggio: nel secondo si dà il numero dei colpi necessario per rompere la provetta per un dato valore del lavoro di urto.
Le provette di trazione sono d'ordinario cilindriche con una lieve strozzatura centrale o anche senza di questa: l'influenza delle teste necessarie per l'attacco vi è assai più marcata che non nelle prove statiche. Le provette di compressione hanno la stessa forma delle analoghe per la prova statica: di regola esse non fanno che schiacciarsi senza che si abbiano soluzioni di continuità, assumendo, se di sezione circolare, una caratteristica forma di botte, che, quando la velocità d'urto è assai grande, non riesce simmetrica perché la parte che è direttamente colpita si deforma più dell'altra. Alle temperature elevate la deformabilità aumenta, ma irregolarmente e in modo assai diverso nelle diverse sostanze. Le prove dinamiche a flessione sono tra le più frequenti, qualche volta si eseguiscono sul pezzo finito: altre volte sopra apposite provette, appoggiate agli estremi e colpite dal maglietto di prova nella sezione di mezzo volutamente indebolita per lo più praticandovi un intaglio. Una provetta molto usata è quella rappresentata nella fig. 18, ma s'impiegano anche svariatissime altre forme d'intaglio, ciò che influisce sui risultati, togliendo spesso la possibilità di confronti fra valori ottenuti sperimentando con procedimenti non uniformi. Più rare sono le prove dinamiche alla torsione. Le prove ad urti ripetuti sono per lo più prove di flessione: la provetta, quasi sempre circolare, trattenuta agli estremi è colpita nel suo punto di mezzo: di regola ad ogni colpo il saggio vien rotato di 180°: qualche volta la provetta presenta un piccolo intaglio avente forma triangolare, in corrispondenza della sezione centrale; le dimensioni di questo intaglio hanno assai notevole influenza sui risultati della prova. I materiali con elevato carico di snervamento resistono assai meglio degli altri a prove di questo tipo. L'influenza del peso del maglio, del numero di colpi al minuto, dell'altezza di caduta non è ancora ben determinata.
Durezza. - Proprietà assai importante nelle pratiche applicazioni e di misura molto agevole è la durezza, studiata teoricamente dal Hertz e intesa in senso alquanto diverso da quello dei mineralogi. La natura intima di questa proprietà sfugge ancora ad una conoscenza precisa, i metodi di misura di essa sono assai svariati e difficilmente confrontabili nei risultati. Il procedimento oggi più comune per determinare la durezza è quello di Brinell, che consiste nel praticare un'impronta nel materiale considerato, comprimendovi contro una sferetta d'acciaio duro, caricata con un dato carico e nel determinare il diametro dell'impronta. Detto d questo diametro, D quello della sferetta, P il carico, si assume come misura della durezza il numero di Brinell
Di regola s'impiegano solo le sferette di diametro 2,5; 5 e 10 mm., caricate col peso in kg. 30 D2 (D in mm.) per acciai e ferri, 10 D2 per rame, bronzo e simili, 2,5 D2 per materiali più teneri. Esistono svariatissimi tipi d'apparecchi per realizzare la prova, la quale risente del procedimento usato. Bisogna far l'impronta a sufficiente distanza dai lembi del pezzo sperimentato: si stabilisce anche la durata del carico: 15 secondi, per quanto essa abbia importanza relativamente lieve. Da questa prova s'era in passato atteso più di quanto potesse dare e s'era creduto potesse rendere quasi superflua ogni altra determinazione, ma anche mantenuta nei suoi giusti limiti, è di grande interesse, anche perché può farsi sui pezzi finiti, senza danneggiarli. La prova di Brinell ebbe numerose modificazioni, assai meno diffuse di quella originaria: ricorderemo soltanto la prova di Ludwik nella quale l'impronta è ottenuta con una punta conica.
Accanto alla prova statica di durezza s'impiegano prove dinamiche, che possiamo ridurre ai seguenti tipi principali:
prova ad urto: la sferetta è spinta contro il pezzo da una molla scattante, così da produrre un colpo di data intensità: tabelle di taratura permettono di passare in ogni caso dal risultato di queste prove al corrispondente numero di Brinell: qualche volta la prova si fa confrontando il diametro dell'impronta con quello di un'altra impronta fatta con lo stesso apparecchio in condizioni identiche sopra un materiale campione;
prova con lo scleroscopio di Shore-Héroult, nella quale si misura la durezza dal rimbalzo di un magliettino, che cade da un'altezza determinata; i risultati sono utilizzabili soltanto se il saggio ha una certa massa e se lo strumento di prova non si è guastato con l'uso, ciò che richiede frequenti controlli da eseguire sopra materiali di nota durezza;
prova col pendolo di Herbert, costituito da una staffa pesante, che porta una sferetta di circa 1 mm. di diametro disposta all'incirca in corrispondenza del suo baricentro, per mezzo della quale sferetta il pendolo si appoggia sul pezzo da esaminare. Si pone in oscillazione il pendolo e, a partire dalla quarta o dalla quinta oscillazione, quando il regime oscillatorio si è fatto più regolare, si conta il tempo occorrente per compiere 10 oscillazioni semplici; si ottiene così un numero di secondi che definisce la durezza pendolare, che una scala di taratura permette di trasformare in quella di Brinell.
Quando si debbano provare molti pezzi identici può dar buoni risultati anche la misura della durezza basata sulla permeabilità magnetica del materiale da controllare: si noti che il risultato di questa prova dipende anche da possibili difetti del pezzo (errori di dimensioni, soffiature, ecc.) e che quindi, utilissima per l'acccitazione di materiali lavorati, non può tuttavia considerarsi come una vera e propria prova della qualità del materiale.
Macchine per la prova dei materiali. - Le macchine impiegate per la prova dei materiali sono di svariatissimo tipo: si possono distinguere in tre grandi classi secondo che servono per prove statiche, per prove ripetute, per prove dinamiche. Le prime, che sono le più frequenti, possono essere progettate per realizzare una sola o parecchie delle sollecitazioni considerate più sopra: quando sia possibile ottenere da esse tutte le ricordate sollecitazioni le macchine vengono dette universali. In queste macchine si hanno tre parti essenziali, rispettivamente destinate: a esercitare lo sforzo, a misurarne l'intensità, a trattenere il saggio in modo da sottoporlo alla sollecitazione voluta. Nelle macchine per carichi piccoli, come, ad es., quelle per le prove a trazione delle malte cementizie, il carico può essere prodotto da pesi direttamente applicati, moltiplicandone qualche volta l'effetto per mezzo di leve. Per carichi maggiori, fino a 50 e anche, ma di rado, fino a 100 tonn., si usa ancora da qualche costruttore la coppia vite-madrevite (questa fissa), con passo della filettatura tale da rendere il sistema autofrenante: queste macchine hanno il vantaggio di mantenere con facilità costante lo sforzo per lungo tempo, di adattarsi alle grandi deformazioni subite da taluni materiali (funi, cordoni elastici, ecc.) prima della rottura, ma difficilmente consentono di regolare con sicurezza la velocità di accrescimento dello sforzo. Per macchine molto potenti si deve di necessità produrre lo sforzo mediante torchi idraulici, alimentati per lo più da pompe, mosse a mano o elettricamente, che iniettano nel cilindro olio, glicerina o miscele di acqua e glicerina. La pressione vi è assai elevata, tra le 50 e le 200 atmosfere, talora anche persino 500. Nei grandi impianti si inserisce qualche accumulatore idraulico nel circuito del liquido sotto pressione. La comodità e la facilità di regolazione di questi dispositivi è tale che si sono diffusi anche alle medie e alle basse potenze, non curando l'inconveniente della perdita di carico che, quando non si continuano a manovrare le pompe, si ha quasi sempre se si vuole mantenere il saggio lungo tempo sottoposto a carichi elevati. Lo sforzo si misura o col mezzo di bilance a leva o col pendolo o anche solo mediante manometri, dinamometri a molla, colonne di mercurio. Gli attacchi delle provette debbono assicurare la perfetta realizzazione dello sforzo che si vuole produrre, senza sensibili sollecitazioni secondarie d'altra natura: perciò gli attacchi per prove di trazione e le piastre per quelle di compressione sono muniti di snodi sferici che ne permettano l'orientamento. Particolari difficoltà presentano gli attacchi per prove di lamierini sottili, nei quali, senza precauzioni minuziosissime, le rotture sono irregolari e conducono a risultati inesatti. La grande rapidità di variazione dello sforzo nelle macchine per azioni ripetute e il fatto che le prove durano alcuni giorni senza interruzioni obbligano a ricorrere a macchine speciali, automatiche. Lo sforzo vi può esser esercitato o mediante carico diretto, moltiplicato con leve (si è giunti così nella macchina di Pomp fino a 10 tonn. di carico), o da compressori idraulici (pulsatori) comandati elettricamente, o infine da opportune elettrocalamite.
Le macchine per prove dinamiche sono per lo più del tipo pendolare: una massa abbastanza rilevante, sospesa in alto, vien spostata facendola rotare d'un certo angolo intorno al fulcro e abbandonandola a sé: l'altezza a cui risale, dopo rotta la provetta, permette di misurare il lavoro consumato dalla rottura e di ricavare la resistenza del materiale preso in esame. Per le prove dinamiche a sforzi ripetuti si preferisce esercitare lo sforzo d'urto lasciando cadere un maglietto da altezza determinata.
Criterî di resistenza e teoria della rottura. - Si è cercato ripetutamente d'indagare le cause intime della rottura e di vedere se dagli elementi ottenuti con una determinata prova, per lo più quella di trazione, fosse possibile ricavare criterî per la resistenza ad altri tipi di sollecitazione. I tentativi fatti finora sono falliti, perché non si è ancora potuto stabilire con sicurezza il meccanismo della rottura dei solidi, che probabilmente è diverso da caso a caso. È noto che nell'interno d'un solido soggetto a forze si generano tensioni distribuite con leggi studiate dalla statica dei sistemi elastici e che per ogni punto esistono tre tensioni ortogonali normali fra loro, le tensioni principali, che con la loro grandezza e col loro orientamento definiscono lo stato di tensione nel punto considerato. Ora, anche limitandoci ai soli criterî statici di stabilità, esiste grande disparità di vedute sull'argomento. Le vecchie teorie (Galileo, Navier) ponevano un limite alla più grande delle tensioni, ciò che non si accorda con l'esperienza più comune; altre teorie (Coulomb, Mohr), fondate essenzialmente sull'esistenza di un attrito interno, stabiliscono un limite a una funzione delle sole due tensioni estreme: altre finalmente pongono un limite a una funzione di tutte e tre le tensioni: la dilatazione principale, se si segue il criterio di A. de Saint-Venant, il lavoro di deformazione se si accetta quello di Beltrami, o una parte di questo lavoro seguendo le idee di coloro che tentarono l'accordo del criterio di Beltrami con l'esperienza. Nessuna delle proposte sopraricordate soddisfa in ogni caso e sull'argomento regna grande oscurità.
Poco si è ricavato sinora dalle ricerche sopra la composizione della materia, anche perché i materiali da costruzione sono un complesso ammasso di cristalli irregolarmente combinati fra loro. Interessanti risultati si ottennero sperimentando su grossi cristalli isolati, i quali mostrarono due caratteristici modi di giungere alla deformazione permanente: la geminazione del cristallo e la traslazione del reticolo atomico, questa più importante della prima nella preparazione del fenomeno di rottura. Si passò quindi allo studio di due cristalli accoppiati: poi agli ammassi cristallini. Si notò in questi che, nella rottura a freddo, di regola questa si produceva nell'interno di ciascun cristallo, mentre in quella a caldo erano i varî cristalli che si distaccavano gli uni dagli altri. Le ricerche hanno condotto a maggior conoscenza delle variazioni che si generano nella struttura appena le tensioni vi raggiungano valori elevati: esse però sono finora incapaci di render conto dei valori numerici della resistenza, che spesso indicano da 100 a 1000 volte maggiori di quella effettiva.
Bibl.: Opere fondamentali: C. Guidi, Lezioni sulla scienza delle costruzioni, II, Torino 1929; K. Bach e R. Baumann, Elastizität und Festigkeit, Berlino 1924 (tarduzione italiana, Milano 1928); id., Festigkeitseigenschaften und Gefügebilder der Konstruktionmaterialen, Berlino 1921; A. W. Judge, Engineering Materials, Londra 1932; W. Herold, Wechselfestigkeit metallischer Werkstoffe, Vienna 1934; A. Mesnager, Matériaux de construction, Parigi 1923; O. Schwarz, Die technischen Werkstoffe, Lipsia 1932; Handbuch der Experimentalphysik, V, Lipsia 1930; Handbuch der Physik, Berlino 1928, VI; Johnson's materials of Construction, New York 1930; A. Steccanella, Prove di resilienza, Milano 1935.