Responsabilità della p.a. per illecito del dipendente
La Suprema Corte torna sulla questione dei limiti della responsabilità verso terzi della pubblica amministrazione per i danni cagionati da un fatto illecito commesso da un dipendente, e propone una soluzione eclettica, sia nella individuazione dei presupposti necessari per gravare di responsabilità la p.a., sia nella qualificazione della natura, diretta o indiretta, di tale responsabilità.
La Cassazione torna a pronunciarsi su una materia, quella della responsabilità della pubblica amministrazione per il fatto illecito commesso dal dipendente, che continua a non trovare una precisa sistemazione teorica, nonostante l’ampio contenzioso che essa suscita ed il numero rilevante di decisioni che se ne occupano ogni anno.
Con la sentenza 31.3.2015, n. 13799, la VI sezione penale della Corte di Cassazione ha, infatti, annullato con rinvio la sentenza con cui la Corte d’appello di Catania aveva respinto la domanda risarcitoria avanzata contro il responsabile civile, Ministero della Giustizia, per fatti di peculato, truffa aggravata e falso, commessi dalla dirigente dell’Ufficio notificazioni esecuzioni e protesti del locale Tribunale.
La Corte di appello aveva accolto la domanda risarcitoria nei confronti dell’imputata, ma aveva respinto quella presentata nei confronti del Ministero da cui questa dipendeva, convenuto in giudizio quale responsabile civile, sul rilievo che la pubblica amministrazione risponde soltanto dei fatti illeciti commessi dal dipendente che siano in linea con le finalità proprie dell’ente, e non di quelli commessi per esclusivo interesse personale.
La Corte di Cassazione ha annullato la pronuncia, affermando che, in realtà, la pubblica amministrazione risponde del fatto illecito del dipendente anche quando questi abbia agito per finalità esclusivamente personali, purchè il comportamento posto in essere sia legato da un nesso di occasionalità necessaria con la funzione ricoperta, e purchè lo stesso costituisca uno sviluppo non imprevedibile ed eterogeneo delle funzioni ricoperte.
In questo modo la VI sezione si è orientata per una sorta di soluzione di compromesso rispetto alle due tesi principali che animano nella materia in esame il vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale degli ultimi anni.
La questione dei limiti della responsabilità della pubblica amministrazione per fatto illecito commesso da un soggetto legato ad essa da rapporto organico nasce con la stessa teorizzazione di tale tipo di responsabilità.
Nello stesso momento in cui si sostiene, infatti, che la pubblica amministrazione debba rispondere direttamente dei fatti commessi dai suoi organi, perché, per effetto del rapporto di immedesimazione organica che lega questi a quella, essi sono imputabili direttamente alla pubblica amministrazione, inevitabilmente si pone il problema di quando si possa ritenere interrotto il rapporto organico e giuridicamente responsabile di certe condotte il solo dipendente/persona fisica che materialmente li ha posti in essere.
2.1 La tesi secondo cui il reato interrompe il rapporto organico
La dottrina che ha impostato per prima il problema – su cui non ha avuto nessuna incidenza l’entrata in vigore dell’art. 28 Cost., ed il conseguente affiancamento alla responsabilità diretta della pubblica amministrazione di una ulteriore concorrente responsabilità diretta del dipendente – era propensa a risolverlo sulla base di categorie proprie del diritto amministrativo, e quindi essenzialmente sulla possibilità di riferire o meno giuridicamente la attività posta in essere all’amministrazione cui il dipendente appartiene. In questo modo veniva imputata solo al dipendente, e non all’amministrazione di appartenenza, la responsabilità per i danni cagionati mediante attività non amministrativa, o viziata da incompetenza assoluta, o posta in essere in violazione di norme proibitive1.
La sistematica amministrativistica era, e continua ad essere, accolta dal giudice amministrativo, che nel proprio ambito di cognizione, che non è, però, quello dell’azione risarcitoria, ma quello dell’inesistenza o nullità dell’attività amministrativa, ritiene in effetti che la circostanza che un’attività amministrativa possa integrare reato impedisce di riferire la stessa alla pubblica amministrazione in quanto il reato «interrompe il nesso di imputazione giuridica»2, e comporta la nullità del provvedimento amministrativo che sia stato emesso in conseguenza di esso3.
2.2 La tesi della occasionalità necessaria
Il giudice ordinario non ha recepito, però, questa ricostruzione e si è, invece, orientato per una sistematica diversa, nata nei rapporti di lavoro privato4 (in cui la responsabilità del datore di lavoro per i fatti commessi dal dipendente è indiretta ex art. 2049 c.c.) ed estesa successivamente al rapporto di lavoro pubblico5 (in cui, come si diceva, la responsabilità della p.a. è diretta ex art. 2043 c.c.), che estende considerevolmente la responsabilità della p.a. attribuendo rilievo decisivo alla circostanza che il reato sia stato commesso o meno in un nesso di occasionalità necessaria con lo svolgimento delle funzioni amministrative.
Con «occasionalità necessaria» si intende la circostanza che tra la funzione ricoperta ed il comportamento posto in essere dal dipendente che ha causato il danno vi sia un nesso necessario, tale da ritenere che la condotta non avrebbe potuto essere posta in essere se il dipendente non avesse ricoperto tale funzione.
La «occasionalità necessaria» è, quindi, un concetto di natura strettamente oggettiva, che prescinde dalla indagine sulle finalità, pubbliche o personali, che perseguiva l’agente; ed è molto simile al nesso di causa, pur costituendo comunque un quid in meno rispetto ad esso, perché la giurisprudenza ritiene sufficiente ad imputare l’illecito alla p.a. la circostanza che le mansioni pubbliche ricoperte si siano limitate ad agevolare la consumazione dell’illecito6.
Il concetto di «occasionalità necessaria», non previsto da alcuna norma di legge e frutto della mera elaborazione pretoria della giurisprudenza della Cassazione7, è, dunque, la chiave dell’attuale sistema giurisprudenziale del risarcimento dei danni nei confronti della p.a. per l’illecito commesso dal dipendente.
2.3 Limiti della tesi della occasionalità necessaria
Se, però, il criterio della imputabilità dell’atto alla pubblica amministrazione restringeva troppo l’ambito della responsabilità civile della pubblica amministrazione, quello della «occasionalità necessaria» finisce per ampliarlo a dismisura.
Nato, infatti, per affermare la responsabilità civile dell’amministrazione per condotte poste in essere in violazione di regole ma pur sempre in collegamento con le funzioni8, esso, però, si presta ad imputare all’amministrazione anche condotte poste in essere dal dipendente nel proprio esclusivo interesse, sfruttando la funzione ricoperta, che ne costituisce solo l’occasione, ed in cui in realtà l’amministrazione in cui lo stesso è inserito potrebbe essere a buon diritto considerata come persona offesa (non fosse altro che per averlo retribuito per svolgere attività nell’interesse dell’amministrazione mentre questi svolgeva in realtà attività per finalità personali).
La scelta del giudice ordinario di imputare alla p.a., attraverso la teoria dell’«occasionalità necessaria», la responsabilità civile per danni anche per condotte finalizzate all’interesse esclusivo del dipendente pubblico, ha, perciò, generato reazioni, sia in dottrina9 che nella stessa giurisprudenza della Corte di legittimità.
2.4 La tesi delle finalità del comportamento
In particolare, in alcune decisioni la Corte di Cassazione ha ripensato la natura meramente oggettiva dell’accertamento dell’occasionalità necessaria, ed ha sostenuto che «perché resti integro il rapporto organico fonte della diretta responsabilità della pubblica amministrazione occorre, altresì, indefettibilmente che il comportamento del reo possa dirsi in linea con le finalità proprie dell’ente»; di conseguenza, «la responsabilità dell’ente deve in coerenza ritenersi sussistente laddove il comportamento nocivo del dipendente – ancorchè deviato per violazione di norme regolamentari o per eccesso di potere – risulti finalizzato al raggiungimento dei fini istituzionali, rimanendo in tal senso insensibile il rapporto organico all’azione illecita (…). Se, invece, l’illecito si concreta nel perseguimento di finalità personali dell’agente, di fatto sostituite a quelle della pubblica amministrazione e in contrasto con queste ultime, viene meno il rapporto di immedesimazione organica e quest’ultima rimane esente da responsabilità civile»10.
Quest’orientamento, dunque, riattribuisce valore all’atteggiamento soggettivo del dipendente, tracciando, però, la linea di demarcazione della responsabilità civile concorrente della p.a. non sul discrimen tra illeciti dolosi ed illeciti colposi, ma tra illeciti commessi per finalità personali ed illeciti commessi comunque nel perseguimento di finalità pubbliche.
2.5 La soluzione eclettica scelta dalla VI sezione n. 13799
La tesi (oggettiva) della occasionalità necessaria e la tesi (soggettiva) delle finalità istituzionali o personali perseguite dall’agente continuano ad alternarsi nella giurisprudenza della Suprema Corte degli ultimi anni, che slitta da decisioni che attribuiscono rilievo alle finalità perseguite dall’agente e riconoscono la responsabilità della pubblica amministrazione «quando il dipendente non abbia agito quale privato per fini esclusivamente personali ed estranei all’ amministrazione, adottando una condotta ricollegabile, anche solo indirettamente, alle attribuzioni proprie dell’agente»11, ad altre che ricostruiscono la occasionalità necessaria in senso strettamente oggettivo, e che affermano la responsabilità «quando l’illecito è stato compiuto sfruttando comunque i compiti svolti, anche se il soggetto ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti»12.
La decisione n. 13799 del 2015 critica esplicitamente l’orientamento espresso dalle sentenze che aderiscono alla tesi soggettiva delle finalità istituzionali, perché esso finirebbe per esentare sempre da responsabilità la pubblica amministrazione, in quanto «nessuno scopo o interesse di dolosa violazione di legge, e tantomeno di dolosa commissione di reati (…) potrebbe mai essere per definizione riconducibile a finalità istituzionale propria della pubblica amministrazione», ed aderisce poi alla soluzione oggettiva della occasionalità necessaria, che tempera, però, con la introduzione di un ulteriore requisito che ritiene di poter scorgere implicitamente nelle motivazioni delle pronunce che avevano scelto la tesi oggettiva.
Secondo la VI sezione, infatti, il comportamento tenuto dal pubblico dipendente per finalità esclusivamente personali, ma legato da occasionalità necessaria con le funzioni ricoperte, per essere imputato alla p.a., deve costituire sviluppo non imprevedibile ed eterogeneo rispetto ai compiti istituzionali. Ed, a giudizio della sentenza, che l’appropriarsi di denaro pubblico sia condotta non imprevedibile ed eterogenea di questa condotta rispetto ai compiti istituzionali lo si ricava «dall’espressa previsione di un sistema di controlli dell’operato del funzionario pubblico, caratterizzato dalla brevità e sistematicità del loro intervallo».
L’argomento utilizzato nel caso di specie per giustificare la non imprevedibilità ed eterogeneità del comportamento tenuto rispetto ai compiti istituzionali è piuttosto debole, perché la esistenza di un sistema di controlli sull’operato dei dipendenti pubblici che mira proprio ad evitare abusi, di qualsiasi tipo essi siano, potrebbe legittimare l’attrazione alla sfera della responsabilità della p.a. di ogni tipo di comportamento tenuto dal dipendente in occasionalità necessaria con lo svolgimento delle funzioni, e quindi condurre ad una sorta di interpretazione autoabrogatrice del requisito ulteriore introdotto dalla stessa pronuncia.
Se non svuotato in questo modo, però, il giudizio sulla non imprevedibilità ed eterogeneità è comunque costruito ancora come un giudizio di tipo strettamente oggettivo, che quindi restringe l’ambito di applicazione della tesi della occasionalità necessaria, ma non ne smentisce la impostazione rigorosamente oggettiva.
La soluzione eclettica proposta dalla pronuncia n. 13799 potrebbe essere, se adeguatamente sviluppata dalla giurisprudenza successiva, effettivamente idonea a superare la dicotomia tra tesi soggettiva delle finalità istituzionali e tesi oggettiva dell’occasionalità necessaria ed ad offrire un contributo decisivo per una sistemazione teorica definitiva della questione su cui si è pronunciata.
Essa, però, se da un lato potrebbe chiudere le discussioni sugli esatti confini della responsabilità della pubblica amministrazione, dall’altro rischia di riaprirle a monte sulla natura stessa di tale responsabilità, perché, in modo inaspettato, e forse non eccessivamente meditato, inquadra tale tipo di responsabilità da occasionalità necessaria, temperata dalla non imprevedebilità ed eterogeneità della condotta rispetto ai fini istituzionali, nella responsabilità indiretta ex art. 2049 c.c.
La norma dell’art. 2049 c.c., che afferma la responsabilità indiretta dei datori di lavoro per i fatti commessi dai loro dipendenti, non è quasi mai invocata per giustificare la responsabilità della p.a. per gli illeciti commessi dai propri organi, sempre considerata sia in dottrina13 che in giurisprudenza14 , con poche eccezioni15, come una responsabilità diretta, e non indiretta, in quanto, a differenza del datore di lavoro privato, l’amministrazione agisce necessariamente tramite i propri dipendenti, le cui azioni le vengono direttamente imputate per effetto del rapporto di immedesimazione organica.
La opzione della VI sezione per la responsabilità indiretta è potenzialmente gravida di conseguenze sia sul piano teorico che su quello delle implicazioni pratiche. Sul piano teorico, perché nel momento in cui sussume la responsabilità della p.a. negli schemi dell’art. 2049 c.c., la sentenza della VI sezione postula implicitamente che il comportamento posto in essere in occasionalità necessaria con le funzioni ricoperte, e non imprevedibile ed eterogeneo rispetto ad esse, interrompa il rapporto organico; sul piano delle implicazioni pratiche, perché l’utilizzo dello schema della responsabilità indiretta dell’art. 2049 c.c. comporta l’accettazione anche delle peculiarità che da sempre lo contraddistinguono, tra cui la esclusione della responsabilità del datore di lavoro se viene esclusa la responsabilità del dipendente su cui essa poggia16, e la irrilevanza della valutazione dell’elemento soggettivo dell’illecito del datore di lavoro, attesa la natura meramente oggettiva della relativa responsabilità17.
Sono (anche) queste le criticità che, a questo punto, dovrà risolvere la giurisprudenza che tornerà ad occuparsi della questione.
1 Cfr. per tutti Sandulli, A.M., Manuale di diritto amministrativo, XV ed., Napoli, 1989, 1168.
2 Cons. St., VI, 14. 11. 2014, n. 5600.
3 TAR Catania, I, 25. 7. 2013, n. 2166; TAR Reggio Calabria, I, 11. 8. 2012, n. 536; Cons. St., V, 4.3.2008, n. 890.
4 Cass. civ., sez. lav., 7. 8. 1997, n. 7331; Cass. civ., sez. lav. 7. 1. 2002, n. 89.
5 Cass. civ., III, 10. 10. 2014, n. 21408; Cass. civ., III, 10. 10. 2014, n. 21408; Cass. pen., 5. 6. 2013, n. 40613.
6 Cass. civ., sez. lav., 7. 1. 2002, n. 89; Cass. civ., III, 22.5. 2001, n. 6970.
7 Ma, per un accoglimento della stessa anche nella giurisprudenza amministrativa v. Cons. St., VI, 26. 6. 2003, n. 3850.
8 Cass. civ., III, 12.8.2000, n. 10803; Cass. civ., III, 10.12.1998, n. 7631.
9 Per accenti molto critici v. Tenore, V., Responsabilità solidale per danni arrecati a terzi da propri dipendenti: auspicabile il recupero di una nozione rigorosa di occasionalità necessaria con i fini istituzionali, in www.lexitalia.com.
10 Cass. pen., VI, 17. 6. 2013, n. 26285.
11 Cass. civ., III, 10. 10. 2014, n. 1408 (fattispecie relativa ad agente di polizia che, recatosi per motivi di svago in un Luna Park, per sedare una discussione animata e al degenerarsi in rissa della discussione, qualificatosi come agente della Polizia di Stato, sparava, ferendo una delle persone coinvolte nel diverbio).
12 Cass. pen., III, 5.6.2013, n. 40613 (fattispecie in cui un agente della Polizia di Stato si era reso responsabile del delitto di violenza sessuale aggravata in danno di persona con cui era venuto in contatto a causa del servizio).
13 Sandulli, A.M., Manuale di diritto amministrativo, XV ed., Napoli, 1989, 1168; Tenore V., op e loc. cit.
14 Da ultimo, Cass. civ., III, 6.5.2015, n. 8891.
15 Casetta, E., Responsabilità civile, III) responsabilità della p.a., in Enc.giur., XXVI, 1991; Greco, G., La responsabilità civile dell’amministrazione e dei suoi agenti, in AA. VV., Diritto amministrativo, I ed., Rimini, 1993, 1403.
16 Greco, G., op. e loc. cit.
17 Sul punto Bianca, C.M., Diritto civile, 5. La responsabilità, I ed., Milano, 1994, 729.