RESPONSO
. Diritto. - Il dare responsi rientrava nell'attività pratica della più antica giurisprudenza romana, le cui funzioni erano: cavere, respondere, agere. Quest'ultima era funzione secondaria e occasionale, perché il patrocinio della causa avanti al giudice era nella società romana funzione dell'oratore e non del giurista. Più frequenti e naturali erano le altre due. Il cavere indica il concorso dei giuristi alla confezione dei negozi giuridici privati, cioè degli atti; essi - come oggi i nostri notai - suggerivano ai privati tutte le cautele (cautiones) che dovevano prendere nel redigerli per premunirsi contro tutte le eventualità; e, dato il formalismo dell'antico diritto e la prevalenza dell'interpretazione letterale, la cosa aveva somma importanza. Il respondere indica l'attività di dar pareri e risolvere questioni su richiesta dei privati, dei magistrati o dei giudici. È, questa, la principale funzione della giurisprudenza già nell'età della repubblica ed è a mezzo di questa che i giuristi hanno avuto modo d'influire sullo svolgimento del diritto con la loro interpretazione, tanto che la interpretatio iurisprudentium è considerata fons iuris e i giureconsulti sono celebrati come iuris conditores. Questa funzione si esalta ancora più con la fondazione dell'impero. Nella incipiente costituzione burocratica dell'impero il giurista è chiamato alle più alte cariche e rappresenta un elemento attivo nella direzione dello stato.
L'imperatore Augusto per il primo concesse ai più insigni giureconsulti il ius respondendi, cioè il diritto di emanare responsi ex auctoritate principis. Tali responsa, emessi in una determinata causa, vincolavano il giudice come i rescritti imperiali. Il responso doveva essere rimesso suggellato alla parte che lo chiedeva o, più spesso, al suo procuratore. Così si distinse e primeggiò tra i giuristi una categoria di giuristi patentati, d'ordinario senatori o per lo meno cavalieri. Il proposito di Caligola di ritogliere ai giuristi questa facoltà restò vuota declamazione. L'autorità dei responsi crebbe di pari passo col crescere dell'autorità del principe: il responso finì per vincolare il giudice anche fuori del caso per cui era stato emesso, e finì per vincolare il giudice non soltanto il responso formale, ma l'opinione del giureconsulto in qualunque modo espressa. Secondo Gaio, l'imperatore Adriano avrebbe regolato questa materia stabilendo che vincolassero il giudice le sententiae et opiniones dei giureconsulti patentati, quando fossero concordi su un dato punto. Immensa risonanza ebbero i responsa di Papiniano; questi, e quelli di Paolo, erano oggetto di studio nelle scuole dell'Oriente postclassico. L'imperatore Giustiniano, nella costituzione ordinativa delle Pandette, statuì che i compilatori attingessero alle opere dei giuristi muniti del ius respondendi: la direttiva imperiale non fu seguita, forse perché la vastità del compito affidato alla commissione legislativa era superiore alle sue possibilità: uno dei giuristi, da cui derivò grande numero di frammenti alle Pandette, è Gaio, che il ius respondendi non ebbe mai.
Nell'età di mezzo il parere del giureconsulto, dato alle parti o al giudice, prende il nome di consilium e non ha valore vincolante. V. consilia; consulenti.
Bibl.: P. Bonfante, Storia del diritto romano, 4ª ed., Roma 1934, I, p. 376; P. de Francisci, Storia del dir. rom., II, i, ivi 1929, p. 343 segg.; F. de Wisscher, in Conferenze per il XIV centenario delle Pandette, Milano 1931.
Per i responsi oracolari, v. oracolo.