CANTELMO, Restaino
Nacque a Napoli il 22 nov. 1653 da Fabrizio, duca di Popoli e principe di Pettorano. Avviatosi in giovane età alla carriera militare, nel 1675 ottenne il grado di capitano di cavalleria. Distintosi nella repressione della rivolta di Messina, venne designato in questa occasione maestro di campo di un terzo di fanteria. Partecipò con un suo reggimento alla guerra delle Fiandre e nel 1687 fu nominato generale di battaglia. Sposò il 13 aprile 1690 sua nipote Beatrice Cantelmo, che morì a Saragozza nel 1711.
Membro di una delle famiglie più influenti del Regno di Napoli, il C. nel 1693 successe al fratello Giuseppe nel ducato di Popoli. Vantava rapporti di parentela con esponenti di primo piano della società meridionale, tra i quali il fratello Giacomo, cardinale arcivescovo di Capua e di Napoli. Il suo ruolo politico è legato agli avvenimenti relativi alla successione spagnola ed alle ripercussioni della crisi dinastica sul Regno di Napoli.
Il 30 ott. 1700 muore Carlo II; il 16 nov. dello stesso anno viene proclamato re di Spagna Filippo di Borbone. A questa epoca il C. ricopre la carica di capitano generale dell'artiglieria. Da una parte il suo provato lealismo politico, dall'altra la sua stretta parentela col cardinale arcivescovo di Napoli, facevano di lui un valido mediatore sia delle istanze legittimiste di gran parte dell'aristocrazia napoletana sia del lealismo del clero. Furono probabilmente questi motivi a suggerire al viceré Medinacœli di inviare il C. alla corte di Madrid per felicitarsi col nuovo monarca.
Pare che a Madrid il C. fosse inviato anche per sollecitare la conferma nella carica dello stesso Medinacœli. Egli inoltre, durante la missione, sollecitò la sua promozione al grandato di Spagna e si prodigò per avere in aspettativa la successione nella carica di maestro di campo generale del Regno di Napoli.
Le fonti relative alla congiura del principe di Macchia (1701) riservano al C. una parte preponderante nella cronaca della repressione. Egli in effetti diresse la carica contro le barricate dei congiurati a porta Alba e alla torre di S. Chiara, e quindi marciò con i suoi uomini su S. Lorenzo, che, dopo una lunga ed estenuante resistenza, si arrese.
Peraltro, secondo alcune testimonianze, il C. avrebbe avuto nella circostanza un comportamento moderato, in contrasto con un altro esponente della fazione borbonica, Tommaso d'Aquino, principe di Castiglione, che proponeva di distruggere i ribelli bloccandoli alle porte Nolana e Capuana. Il C. non prestò ascolto al consiglio, secondo il Nicolini perché, politico assai più esperto del suo collega, non volle approfondire con una strage la divisione formatasi all'interno dell'aristocrazia napoletana.
Nel 1702, come riconoscimento dei meriti acquisiti nelle vicende politiche e militari degli ultimi due anni, il C. venne eletto maestro di campo generale e gentiluomo di camera. Nel 1704 fu chiamato a Madrid al comando della compagnia delle guardie del corpo italiano, allora istituita. Nel 1706 fu creato grande di Spagna e cavaliere dell'Ordine di Santiago. Partecipò alla difesa della Catalogna, assalita dalle truppe austriache, e nel 1713 fu eletto capitano generale di quel Regno. Nel 1714 fu insignito del titolo di cavaliere del Toson d'oro. Essendo una delle personalità che godevano di maggiore prestigio alla corte di Filippo V, entrò a far parte nel 1715 del Consiglio di guerra e di finanza. Fu allontanato dalla corte per aver disapprovato la politica del cardinale Alberoni e la guerra del 1718 tra Spagna e Impero. Dopo la destituzione dell'Alberoni fu richiamato a Madrid e nel 1721 fu creato maggiordomo maggiore del principe delle Asturie.
Morì a Madrid il 16 genn. 1723.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Mss. L. Serra, V, p. 1644; C. Maiello, Coniuratio inita et extincta Neapoli anno MDCCI, Neapoli 1704, passim; Archivo general de Simancas. Papeles de Estado... Napoles, a cura di R. Magdaleno Redondo, Valladolid 1942, pp. 210, 251 s., 255 s., 261; A. Granito, Storia della congiura del principe di Macchia, Napoli1862, I, pp. 49, 133, 140; G. Ferrarelli, Tiberio Carafa e la congiura di Macchia, Napoli 1883, pp. 14, 64-68; B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, Bari 1927, pp. 239 s., 244; F. Nicolini, L'Europa durante la guerra di successione di Spagna con particolare riguardo alla città e Regno di Napoli, Napoli 1937, I, pp. 49, 210, 220; III, pp. 255, 263; Id., Uomini di spada,di chiesa,di toga,di studio ai tempi di Giambattista Vico, Milano 1942, pp. 172 s., 181; P. Litta, Le famiglie celebri ital.,sub voce Cantelmi di Napoli, tav. II.