restare (ristare)
La presenza di allotropi di questo genere nel lessico e nella morfologia di D. riflette le condizioni storiche e le tradizioni linguistiche su cui il poeta formò il proprio linguaggio; indicare le ragioni della preferenza di volta in volta accordata all'uno e all'altro è impossibile, sia per la sostanziale identità del loro significato nel lessico dantesco, sia per la complessità della tradizione manoscritta, la quale rende in numerosi casi discutibile la lezione (si veda, ad es., Petrocchi in If II 31 e Pg X 20). Importa maggiormente osservare che, a differenza di quanto accade nell'uso contemporaneo, anche per r. sono attestate forme modellate su quelle di ‛ stare ', e, perché l'ampiezza e i limiti del fenomeno risultino evidenti, sembra utile elencare tutte le forme effettivamente occorrenti: indic. pres. II singol. restai, III singol. resta, III plur. restanno; pass. rem. I singol. ristetti, III singol. ristette e restò, I plur. restammo, II plur. restaste, III plur. restaro; partic. pass. ristato e restato; infin. ristare e restare. Di norma, nei tempi composti, è coniugato con l'ausiliare ‛ essere '; in Vn XXXVII 2 compare però l'infin. pass. avere restate nel senso di " esser cessate "; come ha dimostrato il Barbi (ad l.), l'uso dell'ausiliare ‛ avere ' è motivato dal fatto che qui il verbo, indicando il desistere da un'operazione, contiene in sé un'idea di attività; d'altra parte, l'accordo del participio passato in genere e numero con il soggetto, anche con l'ausiliario ‛ avere ', ampiamente documentato nell'italiano del tempo. L'Ambrosini intende invece restate come sostantivo (cfr., in Appendice, Sintassi degli ausiliari 3.).
Nell'accezione più frequente, indica l'interruzione di un movimento e vale perciò " fermarsi ", " non procedere oltre ": Pg XXIII 18 i peregrin pensosi ... / giugnendo per cammin gente non nota / ... si volgono ad essa e non restanno; XXVIII 34 Coi piè ristetti e con li occhi passai / di là dal fiumicello (per la var. errata ristretti, v. Petrocchi, ad l. e Introduzione 152). Altri esempi in Vn XL 10 9, If XII 58, XVI 19, XXI 4, XXIII 82, XXVIII 67, XXXIV 19, Pg III 91, IV 45, V 34, XVIII 116, XXVI 33. Sempre nell'accezione di " cessare di muoversi " ricorre anche come intransitivo pronominale: If XVIII 44 'l dolce duca meco si ristette. Per risolvere un dubbio di D., Stazio spiega come l'anima, dopo la morte, precipita senza indugio presso l'Acheronte o alla foce del Tevere, e quivi, fermatasi nello spazio, si forma dell'aria circostante un nuovo corpo, simile al primo nell'apparenza e nelle facoltà; pertanto, in Pg XXV 85 (Sanza restarsi, per sé stessa cade / … a l'una de le rive) e 96 (l'aere vicin quivi si mette / e in quella forma ch'è in lui suggella / virtüalmente l'alma che ristette), il verbo vale " interrompere una caduta ". Il primo luogo è forse causa della variante erronea sanza restarsi in luogo di sanz'arrostarsi (o, se si vuole, sanza rostarsi) in If XV 39; cfr. Petrocchi, ad locum.
Oltre che l'interruzione di un movimento, r. indica il venir meno di un fenomeno o la cessazione di un'azione, per lo più sottintendendo che ciò avviene in maniera più o meno improvvisa: If V 31 La bufera infernal... mai non resta, " non ha mai tregua "; IV 82 Poi che la voce fu restata e queta, / vidi quattro grand'ombre (" restata e queta ", osserva finemente il Porena, " significano suppergiù la stessa cosa: ma forse il primo si riferisce al finire delle parole ora citate, il secondo al fatto che quella voce non soggiunge poi nient'altro "); e così Vn XXXVII 2; If XXV 38 (intransitivo pronominale), XXV 135, Pg XXIX 19, Pd XXVIII 88. In tutti gli esempi ora citati, è usato assolutamente; regge invece una proposizione infinitiva in If XX 35 [Anfiarao] non restò di ruinare a valle.
In un altro gruppo di esempi, vale " trattenersi ", " soffermarsi " in un luogo per una breve sosta: If II 121 perché, perché restai [nella '21 ristai], / perché tanta viltà nel core allette ...? (che è però esempio poco perspicuo: il Boccaccio intende " ristai di seguirmi "; il Mattalia spiega " continui a startene lì fermo ", Sapegno " indugi "; Scartazzini-Vandelli, Casini-Barbi e Chimenz interpretano invece " ti fermi "); Pg X 20 incerti / di nostra via, restammo in su un piano / solingo; e così If X 74 (cfr. il v. 24). Più frequentemente occorre in cortesi formule d'invito: Vn XXII 10 10 piacciavi di restar qui meco alquanto; Rime LXX 6, If X 24 (già citato), XXVII 23. Altre volte, invece che una sosta momentanea, indica una permanenza molto lunga o definitiva: la maga Manto ristette nelle bassure bagnate dal Mincio con suoi servi... / e visse, e vi lasciò suo corpo vano (If XX 86); e così Vn XIX 14 65.
Esprime l'idea che una persona sia rimasta in un luogo, donde altri sono partiti: 'l savio che ristette (Pg XXXIII 15) è Stazio, rimasto con D., Beatrice e Matelda nel Paradiso terrestre anche dopo la partenza di Virgilio. Dopo aver intonato il Pater noster, i superbi, alludendo al versetto non spermentar con l'antico avversaro, / ma libera da lui (Pg XI 20-21), aggiungono: Quest'ultima preghiera... non si fa per noi... / ma per color che dietro a noi restaro (v. 24); tutti i commentatori interpretano " i viventi, che sono rimasti dietro a noi sulla terra "; solo Benvenuto dubita se si abbia a intendere piuttosto le anime dell'Antipurgatorio, soggette alla tentazione (VII 97), senza rendersi conto che questa spiegazione è resa impossibile dal contesto dei vv. 25 e 31.
Infine, la formula resta, ricalcata sui moduli latini restat ut, restat quod, reliquitur quod, tipici delle scuole medievali e anche del latino dantesco (Mn II II 3, III XII 2, ecc.), conclude una serie di distinzioni (Pg XVII 112 Resta, se dividendo bene estimo, che...) o introduce la conclusione di un ragionamento (Cv IV XI 1 Resta omai solamente a provare come...; I IV 1, VI 1; II IV 1 resta di dimostrare).