restauro
restàuro s. m. – Arte contemporanea. – Dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso il dibattito sul r. dell’arte contemporanea si è andato intensificando ed è oggi più che mai vivo e controverso. In Italia la questione fondamentale risiede nel definire in quale misura il r. del contemporaneo debba riconoscere una propria identità metodologica rispetto alla teoria del r. di Cesare Brandi, esposta nell'ormai lontano 1963 nel suo testo omonimo. Maturata sull’esperienza del r. dell’arte antica, essa si basa sul presupposto dell’autenticità dell’opera d’arte e su un’unità di metodologia, secondo la quale i principi teorici del restauro valgono per tutte le discipline artistiche. L’assioma che l’opera d’arte debba essere preservata nel suo stato originale, e dunque 'autentico', è tuttavia inadeguato nei confronti dell’arte contemporanea. Infatti, le nuove forme d’arte (anti-form, happenings, performance art, installazioni, new media) hanno messo in crisi il concetto di un’arte autonoma e immutabile nel tempo. Esemplare è il caso dell’arte concettuale, un’arte per definizione sine materia, il cui valore principale risiede nel progetto. Inoltre, l’uso di materiali effimeri, degradabili e seriali, la comparsa di installazioni realizzate per luoghi specifici, l’arte performativa legata al tempo dell’esperienza, l’uso di una tecnologia rapidamente obsoleta implicano la caducità intrinseca alla materia stessa dell’arte contemporanea, la sua natura volutamente effimera. Il r. del contemporaneo si pone dunque innanzitutto come atto critico, come ricerca dell’intenzione estetica prima che ipotesi sulla materia: vuol dire salvaguardare l’essenziale dell’opera, il suo 'messaggio', la sua 'identità poetica', spesso effimera, a scapito del feticismo della conservazione della materia originale. Clamoroso in questo senso è il caso del r. dell’opera The physical impossibility of death di Damien Hirst, dove lo squalo decomposto è stato integralmente sostituito dall’artista. Di qui l’importanza di un approccio interdisciplinare al problema, che coinvolga non solo esperti con competenze sia storico-artistico che tecniche ma soprattutto e in prima persona gli stessi artisti, autori delle opere in questione. Di qui, anche, l’importanza della creazione di un network internazionale per sviluppare strategie conservative alternative, di prevenzione, mantenimento e ripristino, che abbiano alle basi lo studio dettagliato dei materiali ma soprattutto della filosofia con cui essi sono stati impiegati.
Architettura e urbanistica. – L’Italia continua a essere unanimemente considerata il Paese in cui teoria e pratica del r. sono particolarmente avanzati, sia a livello formativo sia a livello applicativo, ma contemporaneamente proprio nel nostro Paese sono state di recente sollevate non poche perplessità sull'eccessiva separatezza fra formazione e professione, specialmente dannosa in un’attività che resta altamente artigianale; sul piano della prassi, prima ancora che della teoria, si sta inoltre assistendo al progressivo allontanamento dai principi delineati da Cesare Brandi e successivamente riaffermati dalla Carta del restauro di Venezia (1964), con l’accettazione delle sostanziali differenze che separano le opere d’arte mobili, quasi sempre facilmente proteggibili all’interno di musei e collezioni, dalle architetture, immobili, deperibili per l’esposizione alle intemperie, ai terremoti, agli incendi, agli stessi usi e abusi antropici (si pensi all’eccessivo sfruttamento turistico) e soprattutto all’assenza di manutenzione: opere caratterizzate dunque da scarsa durabilità e pertanto bisognose di lavori frequenti. Di qui la fortuna del concetto di conservazione rispetto a quello di r.; quest’ultimo è sempre più visto come soluzione cui ricorrere nei casi estremi in cui lo stato del bene sia così compromesso da metterne in pericolo la stessa esistenza; in taluni casi, il r. ha anche assunto, talvolta ingiustificatamente, connotazioni semantiche non esenti da equivoci e tali da avvicinarne, negativamente, il significato a quello di falsificazione. R. e conservazione hanno utilmente trovato una serie di definizioni nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (art. 29 del d. lgs. 42 del 22 genn. 2004), per es. con il concetto di conservazione programmata, sostanzialmente basata su interventi preventivi e manutentivi. Ma l’auspicato limitarsi alla sola conservazione, nei fatti difficilmente conseguibile, non è comunque sufficiente in presenza di danni più gravi; e se per tutti è necessario ricorrere al consolidamento strutturale e all’adeguamento impiantistico e dei requisiti di accessibilità del bene, per alcuni è anche importante far sì che l’architettura, più o meno danneggiata, possa tornare all’immagine che aveva nella fase migliore della sua vita. Lo stesso termine r., che applicato all'architettura e all'urbanistica individua la disciplina volta a garantire la conservazione di un oggetto architettonico o di una parte di città al fine di valorizzarne le valenze storico-artistiche e consentirne il riuso, in altre lingue europee (come per es. nel francese restauration) è inteso come vera e propria restaurazione dell’architettura o rifacimento à l’identique delle parti mancanti o alterate nel tempo; si ricorda infine la concezione giapponese del r., che, conferendo significato al progetto e non alla materia, prevede il periodico rifacimento dell’opera. Una posizione, attualmente sostenuta da Paolo Marconi, non lontana dalle teorie ottocentesche del r. stilistico e sintetizzabile nella formula 'dov’era com’era'. Quest’ultima, che non va presa alla lettera se non limitatamente alla sua prima parte, meglio di altre definisce un r. che, con senso della misura e profonda sensibilità culturale, sia in grado di ripristinare le condizioni originarie di un manufatto architettonico parzialmente o interamente distrutto, ricordando l’essenza non autografa dell’architettura, cioè il fatto che in architettura non esiste il concetto di autenticità materiale, in quanto l’ideazione progettuale e la costruzione dell’opera, diversamente da ciò che per lo più si verifica per le altre arti, sono curate da persone differenti. Vanno ancora segnalate la crescente importanza del r. del patrimonio architettonico della modernità e l’altrettanto crescente necessità d’integrazione fra specialisti diversi (dai geologi ai geotecnici, dai chimici agli ingegneri, dagli storici ai rilevatori, dai conservatori ai restauratori del legno, della pietra, ecc.). Sull’annosa questione del rapporto fra vecchio e nuovo infine, si ricordano gli inviti a ricomporre la separazione fra progetto di r. e progetto tout court: se c’è sostanziale consenso sul fatto che gli interventi contemporanei non possono non sentire la responsabilità derivante dal confronto con il passato, il dibattito resta invece diviso fra chi ritiene che il nuovo debba, in qualche misura, cedere il passo al preesistente, consigliando forte discrezione progettuale, e chi combatte un simile, dogmatico primato del patrimonio storico, invitando a non subordinare necessariamente il nuovo al contesto in cui si colloca (preoccupazione peraltro recente e storicamente poco frequente).