Rete
Nel campo delle telecomunicazioni, il termine rete indica genericamente un insieme di circuiti e altri impianti mediante i quali viene svolto un servizio di trasmissione o distribuzione di informazioni. In particolare si parla di rete radiofonica, rete televisiva, rete telefonica, rete telegrafica, rete di elaboratori, rete telematica, a seconda del tipo di segnale e del tipo di servizio considerato. Con lo sviluppo delle nuove tecnologie, il termine rete ha assunto sempre maggiore rilevanza, finendo per indicare ogni sistema che attraverso una struttura di collegamenti multipli permette l'elaborazione, la trasmissione o la diffusione capillare delle informazioni. Con la creazione dei sistemi numerici (o digitali) di trattamento delle informazioni sono nate le r. digitali (digital networks), nelle quali è realizzato il transito di elementi di informazione binaria (bit) attraverso strutture di varia natura. In tali strutture ha grande rilevanza la quantità di informazione trasmessa nell'unità di tempo (numero di bit al secondo), detta capacità (o impropriamente velocità) della rete. Nell'ambito delle r. numeriche a elevata capacità, negli anni Ottanta sono state realizzate le prime r. di trasmissione ottica (v. reti di comunicazione, App. V, iv, p. 478), nelle quali gli elementi di connessione sono rappresentati da tratte in fibra ottica. L'uso di tali nuovi mezzi trasmissivi ha rivoluzionato tutto il settore delle telecomunicazioni, permettendo lo sviluppo e la disponibilità di canali di trasmissione di elevatissima capacità e a basso costo. Anche all'interno dei singoli apparati in uso in elettronica, in informatica o nelle telecomunicazioni sono presenti piccole, ma pur sempre complesse, r. (come per es. le reti elettroniche, le reti logiche), il cui scopo è quello di effettuare tutte le necessarie elaborazioni dei segnali d'interesse. Fra tali r., sempre negli anni Ottanta, sono state introdotte le reti neurali, che consistono in particolari strutture di elaborazione, basate su sistemi di connessione molto efficienti e simili a quelle presenti nei sistemi nervosi degli organismi viventi (v. reti neurali, App. V, iv, p. 481). Non c'è dubbio, tuttavia, che il tipo di r. che presenta maggior interesse negli anni Novanta è la r. telematica, nata come infrastruttura di connessione fra elaboratori e utilizzata soprattutto per il servizio Internet. Tale applicazione è descritta nella presente voce al sottolemma Reti telematiche. Lo sviluppo di tali r. è stato così rapido e capillare da coinvolgere praticamente tutti i paesi, come se tutto il globo terrestre fosse racchiuso in una immensa ragnatela (web) sulla quale viaggiano le informazioni. La r. Internet rappresenta attualmente il mezzo più moderno ed efficiente per scambiare informazioni su scala globale, con rilevanti implicazioni anche in settori non strettamente tecnici, ma che coinvolgono aspetti sociali, culturali e persino politici. Tali aspetti sono trattati nella presente voce nel sottolemma Reti di informazione e società. *
Reti telematiche
di Mario Salerno
Le r. telematiche rappresentano l'evoluzione delle r. di elaboratori, per collegamenti anche a grande distanza, mediante le quali risulta possibile effettuare connessioni sia di tipo macchina-macchina, sia di tipo uomo-macchina. L'applicazione più rilevante di tali r. è costituita dal servizio Internet, che si presenta come candidato a un impetuoso sviluppo, di cui attualmente non si intravedono chiaramente i confini. Attraverso Internet, il sistema delle comunicazioni digitali ha mostrato tutte le sue potenzialità, permettendo la circolazione di informazioni di varia natura e origine, in settori di utenza sempre più vasti. Nella voce telematica della V Appendice sono state descritte le basi tecniche su cui si fonda tale servizio, inteso come infrastruttura telematica, e cioè come sistema che permette di porre in corrispondenza, mediante risorse di telecomunicazioni, applicazioni residenti in sistemi di elaborazione remoti e collegati tra loro. Nella presente voce, dopo aver richiamato i concetti di base che permettono di inquadrare l'argomento e rammentato le principali tappe dello sviluppo di Internet, viene discussa la situazione attuale del sistema, soprattutto dal punto di vista delle potenzialità offerte all'utente interessato ad acquisire o a fornire informazioni con tale mezzo.
I presupposti della trasmissione di informazioni su base digitale
Sebbene le telecomunicazioni abbiano operato per lungo tempo con segnali codificati in forma analogica, già negli anni Quaranta erano state ipotizzate soluzioni tecniche di avanguardia che prevedevano l'uso di segnali digitali (o numerici), soprattutto nel campo della telefonia, attraverso il sistema PCM (Pulse Code Modulation, modulazione a codice d'impulsi): v. telecomunicazioni, App. II. Fra i tanti vantaggi del sistema numerico vi è il fatto che le informazioni digitali, oltre a poter essere trasmesse, possono essere anche memorizzate in grandissime quantità e a basso costo, su vari tipi di supporti. Tale possibilità si è sviluppata in particolare con la diffusione degli elaboratori, nei quali è sempre presente un'ampia quantità di memoria locale.
Negli anni Sessanta, quando furono sperimentati i primi sistemi di trasmissione numerica del segnale, si vide che, abbinando le possibilità offerte dalla memorizzazione e dalla trasmissione delle informazioni digitali, era possibile realizzare sistemi di comunicazione molto più flessibili e robusti di quelli tradizionali. In questi ultimi, l'informazione era distribuita da una sorgente verso un grande insieme di utenti (sistemi di diffusione) oppure era scambiata fra coppie di utenti singoli interconnessi da collegamenti fissi o temporanei sui quali transitava il segnale analogico. Un'esigenza di base, risolvibile con sistemi digitali, era quella di realizzare infrastrutture capaci di instaurare la connessione e di mantenerla attiva anche in presenza di avarie, temporanee o permanenti, sul collegamento fisico d'interesse. Tale esigenza nasceva soprattutto nel caso di collegamenti per applicazioni militari, nelle quali erano ipotizzati scenari tali da porre fuori servizio parti importanti di un sistema di telecomunicazioni. Furono così approfonditi due aspetti, che si sarebbero mostrati cruciali in seguito: il primo riguardava l'uso di r. con connessione a maglia, mediante le quali i collegamenti fisici richiesti erano comunque garantiti, anche con percorsi indiretti, per supplire all'eventuale carenza del collegamento diretto; il secondo riguardava il raggruppamento delle informazioni numeriche in pacchetti di caratteristiche prefissate, ciascuno inviato in rete individualmente e dotato dell'indirizzo di destinazione, in modo che ciascun pacchetto potesse raggiungere il destinatario dell'informazione secondo un percorso specifico.
Il sistema, molto innovativo per l'epoca, fu studiato e sviluppato nel 1968 presso il Dipartimento della Difesa americano e fu denominato Arpanet (cioè rete, net, della Advanced Research Project Agency). Uno dei punti chiave era la garanzia della trasmissione delle informazioni, sia che venisse meno un collegamento, sia che andasse in avaria un intero nodo della rete. Ciò era ottenuto facendo in modo che il funzionamento fosse assicurato da potenzialità distribuite sui vari nodi, senza punti di controllo e coordinamento centralizzati, caratteristica rimasta fondamentale nel successivo sviluppo di Internet.
I sistemi di trasmissione dati su r. interconnesse si sono sviluppati negli anni Settanta e Ottanta soprattutto come mezzo di scambio di informazioni in ambiente accademico, estendendosi via via anche a paesi al di fuori degli Stati Uniti. Contemporaneamente, e inizialmente con finalità differenti, si è assistito allo sviluppo delle tecnologie informatiche, che hanno fatto sì che i grandi centri di calcolo, basati su elaboratori di elevate potenzialità, fossero gradualmente sostituiti da piccoli elaboratori di tipo PC (personal computer), disponibili a basso costo e, tuttavia, con potenzialità di calcolo e di memoria per nulla trascurabili. I mezzi di calcolo e di memorizzazione delle informazioni, precedentemente confinati in pochi centri, potevano così essere distribuiti, a basso costo, fra singoli utenti. Gli elaboratori potevano essere connessi fra loro mediante vari protocolli, tra i quali il protocollo standard TCP/IP (Transmission Control Protocol/Internet Protocol), permettendo la realizzazione delle prime r. in area locale LAN (Local Area Network; v. telematica: Infrastrutture per applicazioni telematiche, App. V).
Per completare l'elenco dei vari mezzi tecnici utilizzati nell'attuale sistema Internet è tuttavia necessario citare anche lo sviluppo delle soluzioni software per l'immagazzinamento, la gestione e il recupero di documenti, in particolare sotto forma di ipertesto. Il termine, coniato nel 1965, si riferisce a una particolare forma di organizzazione delle informazioni, non di tipo sequenziale, come nei testi scritti ordinari, ma di tipo associativo, tale che il lettore possa seguire percorsi preferenziali nella ricerca degli argomenti di suo interesse. L'ipertesto, inoltre, può, in linea di principio, contenere informazioni di varia natura, ossia testi ordinari, documenti sonori, immagini fisse o in movimento, in modo da fornire, di volta in volta, il più adatto supporto informativo; in questo caso si parla più propriamente di supporto ipermediale. L'applicazione del concetto di ipertesto a documenti presenti su unità elaborative distinte, ma connesse in rete, ha permesso la realizzazione del World Wide Web (letteralmente "rete su scala mondiale"; noto come www), che permette la gestione di documenti, senza alcuna intermediazione, anche fra terminali remoti. Questi vari avanzamenti tecnici, associati ai continui progressi dell'elettronica, dei sistemi di trasmissione via satellite e in fibra ottica, all'offerta di canali di comunicazione ad alta capacità e a basso costo, allo sviluppo dei sistemi a commutazione di pacchetto nell'ambito dei sistemi ATM (Asyncronous Transfer Mode) ecc., hanno creato le condizioni per lo sviluppo dell'attuale sistema Internet. Tuttavia, la circostanza più rilevante che sta alla base del grande sviluppo di Internet consiste nel fatto che milioni di utenti hanno trovato conveniente collegarsi alla r., inizialmente forse per curiosità, poi sicuramente per fruire delle informazioni offerte, e che, inoltre, molti di essi hanno ritenuto opportuno proporre se stessi come fornitori di informazioni, rendendo sconfinato il patrimonio dei dati globalmente disponibili.
L'attuale sistema Internet
Dal punto di vista concettuale la r. Internet può essere vista a due livelli, il primo relativo alla infrastruttura fisica, il secondo allo spazio delle informazioni (spazio semantico o ciberspazio).
L'infrastruttura fisica della r. Internet è un sistema di trasmissione numerica di dati, organizzato e interconnesso a livello gerarchico. Le grandi linee di comunicazione sono attestate su nodi di interconnessione a livello nazionale, questi sono connessi a nodi a livello locale, fino ad arrivare alle singole stazioni di accesso dette ISP (Internet Service Provider), che fungono da porte di accesso alla rete. Come accennato in precedenza, la connessione è di tipo a maglia, permettendo l'uso di vari percorsi fra i nodi d'interesse. Ciascun utente (detto host) può ottenere la connessione in rete collegando il proprio elaboratore a un provider, tramite connessione telefonica, attraverso un modem per trasmissione dati. Nel caso di più utenti variamente consociati (uffici, centri di ricerca, laboratori), è possibile effettuare una prima connessione degli utenti in rete locale, tramite una LAN, per poi connettere quest'ultima al provider, a mezzo di un canale numerico di adeguata capacità (per es. una connessione punto-punto in fibra ottica). Per facilitare lo scambio di informazioni, sono presenti anche elaboratori dedicati esclusivamente al traffico dei dati, detti server, che gestiscono le connessioni con i singoli utenti per mezzo di apposite procedure software, dette client-server. Tipicamente, sono a carico del singolo host il costo del collegamento telefonico (per la tratta fino al provider) e una quota di abbonamento al servizio Internet gestito dal provider stesso. Nella struttura gerarchica della r. fisica, ciascun utente è univocamente individuato da un proprio codice numerico (simile a un indirizzo), che permette agli altri utenti di raggiungerlo. Il sistema di assegnazione degli indirizzi è facilitato dalla strutturazione della r. in domini (DNS, Domain Name Server), definiti già a partire dal 1984, nell'ambito dei quali a ciascun host viene attribuito il proprio codice d'indirizzo. Vi sono i cosiddetti domini a tre lettere (Three-Letter Domains), che si riferiscono sostanzialmente a grandi aree tematiche, individuate nell'area commerciale (.com), di rete (.net), didattica (.edu), organizzativa (.org), del governo (.gov), militare (.mil). L'estensione della r. a livello internazionale ha portato poi a definire i domini a due lettere (Two-Letter Domains), che corrispondono, secondo un certo codice, ciascuno a un certo paese (per es., per l'Italia esiste il dominio .it). Lo sviluppo della r. Internet è avvenuto in modo molto diseguale fra i diversi domini tematici o nazionali. A titolo di esempio, nei grafici A e B sono riportati gli andamenti nel tempo del numero di host per vari domini negli anni fra il 1991 e il 1999 (dei domini a due lettere sono rappresentati solo quelli superiori a 400.000 utenti, esclusi gli Stati Uniti). I grafici mostrano in ogni caso andamenti di crescita di tipo esponenziale, con una prevalenza delle applicazioni di tipo commerciale rispetto alle altre, e forti variabilità fra i diversi paesi. Le grandi linee di interconnessione permettono il collegamento nei singoli paesi e a livello internazionale. In Italia già dal 1988 il funzionamento della r. è assicurato dal GARR (Gruppo di Armonizzazione delle Reti per la Ricerca), istituito quando il sistema Internet era ancora limitato ad applicazioni accademiche e di ricerca scientifica.
Ciascun utente può agire sulla r. ricercando informazioni, oppure proponendo se stesso come fornitore di informazioni, attraverso l'attivazione di un proprio sito, cioè di uno spazio semantico nel quale memorizzare propri documenti organizzati con modalità ipertestuale. Il proprio documento, insieme a tutti gli altri proposti da altri utenti, costituisce il ciberspazio delle informazioni disponibili su Internet. A differenza dell'infrastruttura fisica, il ciberspazio non è soggetto ad alcuna struttura gerarchica. Si tratta in generale di un enorme insieme di informazioni, localizzate nelle memorie degli elaboratori relativi ai vari siti e individuabili con la procedura www.
Tale insieme di informazioni gode delle seguenti proprietà: può essere localizzato attraverso la tipologia e l'argomento trattato o attraverso delle parole chiave; può essere esplorato attraverso vari percorsi a partire da altre informazioni affini; non è legato alle singole locazioni spaziali dei siti, ma informazioni affini possono sussistere in qualunque punto della r., senza che l'utente si accorga delle distanze fisiche presenti.
In effetti, la localizzazione o il reperimento delle informazioni d'interesse rappresenta un problema molto complesso nella r. Internet, a causa dello sterminato numero di siti e della loro distribuzione diffusa all'interno della rete. Per agevolare il compito, esistono i motori di ricerca, con i quali è possibile individuare le pagine web d'interesse. Tali pagine, che rappresentano i singoli documenti presenti nei vari siti, sono valutate in numero superiore ai cento milioni. I motori di ricerca, messi a disposizione in rete da apposite organizzazioni, effettuano la ricerca dei documenti d'interesse, attraverso vari tipi di classificazione, parole chiave o percorsi prefissati. La ricerca di informazioni può anche procedere dall'esame di documenti di posizione nota. Infatti, gran parte dei documenti offre la possibilità non solo di fruire delle informazioni in essi contenute, ma anche di instaurare legami (link) con altri documenti affini, dei quali essi posseggono gli indirizzi. Ciò è realizzabile comodamente sulla pagina web, attraverso parole chiave, appositamente evidenziate sullo schermo, dette hot-words: indirizzando con il mouse tali parole, si provoca la ricerca e l'apertura del nuovo sito, che a sua volta conterrà altre hot-words e così via, fino a raggiungere l'informazione più rispondente alle proprie esigenze. Tale procedura, detta comunemente navigazione su Internet, può portare l'utente anche molto lontano, sia come locazione fisica, sia come tipologia d'informazione rispetto alla posizione di partenza. Tuttavia, come si è detto, anche se durante tale tipo di esplorazione vengono toccati siti fisicamente molto remoti, ciò non è direttamente avvertito. Infatti non è la lontananza spaziale a creare ritardi sensibili, bensì molto più facilmente le condizioni di traffico sulla r. e la larghezza di banda dei canali di comunicazione disponibili.
È molto difficile tentare classificazioni anche approssimative delle varie tipologie di informazioni disponibili; tali tipologie infatti, oltre a essere molto varie e disomogenee, sono soggette a forti variazioni. Fra di esse, vi sono comunque informazioni di carattere commerciale, scientifico, d'intrattenimento ecc. Tipicamente le informazioni offerte sono soggette a rapide modifiche, innovazioni o cancellazioni con ritmo quasi giornaliero. Inoltre, poiché l'informazione fornita è totalmente libera, di carattere sovranazionale, e solo marginalmente soggetta a vincoli e limitazioni di tipo legislativo, non vi è normalmente garanzia sull'attendibilità dei dati messi a disposizione. Mentre in alcuni casi tali dati sono di dominio pubblico, cioè liberamente accessibili, in altri sono riservati o accessibili solo attraverso parole chiave (ottenibili spesso con varie forme di abbonamento). È sempre più diffusa l'offerta di informazioni da parte di amministrazioni pubbliche o di pubblico interesse, in modo da agevolare l'utenza con dati validi e aggiornati. In molti casi, l'utente Internet può non solo cercare l'informazione di maggiore interesse, ma anche agire effettuando delle richieste o dichiarando la propria identità.
Vari siti Internet mettono anche a disposizione insiemi di dati particolari, cioè documenti o programmi di elaborazione di utilità. Il protocollo più in uso a tale scopo è denominato FTP (File Transfer Protocol) e permette il trasferimento di documenti remoti sul proprio elaboratore. Una grande quantità di software è così messa a disposizione da parte di laboratori, enti di ricerca o singoli, permettendo la diffusione di tali prodotti verso utenti interessati. La r. Internet permette la realizzazione di vari altri servizi ausiliari, quali per es. la posta elettronica (e-mail) o l'audioconferenza. Tali servizi, che possono essere realizzati anche con sistemi meno complessi, trovano nella r. Internet un mezzo molto semplice e valido per la loro attuazione. È da notare che, mentre nella maggior parte degli usi il canale impiegato per Internet è fortemente monodirezionale (nel senso che la quantità di informazione che viaggia dalla r. verso l'utente è di gran lunga superiore a quella generata dall'utente), nell'audioconferenza si è in presenza di canali praticamente bidirezionali fra un gruppo limitato di interlocutori (servizio multicast). In quest'ultimo caso, ovviamente, i vari interlocutori debbono darsi appuntamento davanti al proprio elaboratore e instaurare un collegamento in tempo reale, in genere in presenza di un moderatore che regola la sequenza degli interventi. A volte tale servizio può essere integrato dall'invio di immagini, ottenendo una forma di videoconferenza la cui qualità dipende dalla larghezza di banda dei canali disponibili.
Un ultimo aspetto legato a Internet è rappresentato dallo spazio fisico su cui sono memorizzate le informazioni disponibili. Tale spazio fisico è pari alla somma di tutte le memorie di tutti gli elaboratori connessi in r. ed è in continua crescita in relazione ai singoli utenti che continuano a connettersi alla rete. Inoltre, pur non essendo disponibile a ogni singolo utente, tale spazio di memoria, valutabile in termini di Terabyte, rappresenta l'ambiente digitale utile per l'installazione del software e per l'archiviazione dei documenti presenti. Fra i vari problemi inerenti la gestione di tale spazio, occorre citare la necessità della distinzione fra spazio di informazioni pubblico e spazio di informazioni privato, disponibile quest'ultimo solo all'utente medesimo o a un insieme selezionato di utenti; il problema è strettamente connesso all'uso di chiavi di accesso e di sistemi di protezione contro l'intercettazione di informazioni riservate (come, per es., l'uso di carte di credito per acquisti via rete). Un altro problema non trascurabile è legato alla presenza dei cosiddetti virus, ovvero pacchetti limitati di byte che, inserendosi nelle normali comunicazioni in r., hanno la capacità di alterare più o meno gravemente il funzionamento del sistema o dei singoli elaboratori ed eventualmente propagarsi da sito a sito. Tali inconvenienti sono limitati da appositi sistemi software antivirus, capaci di individuare il tipo di virus (ne esistono varie migliaia) e neutralizzarne l'effetto.
bibliografia
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Reti di informazione e società
di Tomás Maldonado
Oltre agli aspetti squisitamente tecnico-scientifici dell'informatica, esistono aspetti, non meno rilevanti, che riguardano le sue implicazioni sociali, culturali e persino politiche. Esaminare queste implicazioni significa, da un lato, sottoporre a vaglio critico molti degli scenari prospettati sull'argomento, soprattutto quelli - spesso trionfalistici o apocalittici - oggi più diffusi dai mass media; dall'altro, mettere in luce l'indubbia potenzialità delle nuove tecnologie dell'informazione e della telecomunicazione in molti settori trainanti della nostra società: per es., quelli della ricerca scientifica, dell'educazione, della medicina, del mondo del lavoro e della gestione ambientale, settori in cui alcuni problemi devono essere approfonditi. In quest'orizzonte di riflessione, l'idea di r. ha un ruolo centrale. Si prospetta l'avvento di un mondo totalmente reticolato, un mondo di connettività universale, di interfaccia di tutti e tutto con tutto. Ma l'idea di r., ormai destinata a sostituire dovunque quella di sistema, è troppo satura di connotati metaforici, il che si presta a temerarie speculazioni di ogni genere, soprattutto quando se ne fa un uso, come spesso accade, non rigorosamente tecnico.
La rete e le sue metafore
Com'è noto, il termine inglese web significa ragnatela, ed è in questo senso che viene utilizzato nel gergo internazionale dell'informatica. Se si prende alla lettera quest'analogia, è evidente che ci sono forti somiglianze tra la ragnatela informatica e la ragnatela del ragno. Entrambe non sono creazioni ex nihilo: così come la ragnatela è progettata, costruita e gestita da un ragno, è difficile concepire la r. telematica senza qualcuno che svolga un ruolo equivalente. I seguaci del ciberspazio sostengono invece che nella r. non si può parlare di un ragno, in quanto i tre compiti prima accennati sono svolti da un non meglio precisato interagire di tutti gli utenti, capillarmente distribuiti sul pianeta. La r. telematica escluderebbe dunque l'esistenza di un punto focale, di un centro di controllo da cui si diramino messaggi destinati a una periferia passiva, indolente e supina.
Solitamente, quando si parla della scomparsa del centro nella r. si ricorre ad alcune metafore, in particolare a quelle del Panopticon di J. Bentham e del Grande Fratello di G. Orwell. In sostanza, l'avvento della r. ci può sbarazzare di quella centralità del potere che trova espressione in quelle metafore. Ma molte sono le metafore possibili intorno alla rete. Un'altra è l'antichissima metafora del labirinto, in particolare quella variante di labirinto che U. Eco (1984, p. x), ispirandosi a G. Deleuze e F. Guattari, ha chiamato rizoma: una "rete infinita, dove ogni punto può connettersi a ogni altro punto e la successione delle connessioni non ha termine teorico, perché non vi è più un interno e un esterno: in altri termini, il rizoma può proliferare all'infinito". Ma se le funzioni attribuite nel passato a un unico Inspector o a un unico Grande Fratello venissero affidate a milioni di utenti di una r. di tipo rizoma, chi può assicurare che il ruolo di questi utenti non sarebbe una sottile rappresentanza indiretta dei detentori tradizionali del potere?
Osservazioni di questo tipo riguardano il rapporto tra nuove tecnologie e democrazia, tra democrazia diretta e democrazia tout-court. Lo scenario che viene prospettato è quello di una democrazia senza delega, in cui i soggetti sociali agiscano e interagiscano politicamente tramite r. telematiche senza intermediari. Si vorrebbe ripristinare, in veste elettronica, l'agorà ateniese, non relegata, come nell'Atene di Pericle, a un luogo preciso - la città-Stato -, bensì a un luogo senza confini spaziali. D'un colpo, le gabbie della nazionalità, della razza, del genere e della religione perderebbero vigenza, creando le condizioni per l'avvento di una cultura che enfatizza i fattori di convergenza tra gli umani, contribuendo a dar vita a una società globale basata sulla tolleranza e la comprensione.
Tecnologie informatiche e comunicazione
Quanti vedono nelle tecnologie informatiche un fattore di allargamento e consolidamento delle basi democratiche della nostra società, spesso enfatizzano l'impatto di queste tecnologie sui mezzi di comunicazione. Le nuove tecnologie dovrebbero contribuire a un rinnovamento democratico dei mezzi di comunicazione. Al centro di questo rinnovamento si troverebbe un nuovo oggetto tecnico: il teleputer (=televisione+computer+telefono; Bronson, Gilder 1996). Al modus operandi dei mass media tradizionali - verticale, discendente e monodirezionale -, e specialmente alla 'passività' della televisione, viene contrapposta la modalità comunicativa a doppio senso, interattiva dei nuovi media.
Anche in questo caso le cautele sono d'obbligo, poiché tutto fa pensare che il nostro rapporto con il teleputer possa invece essere una variante di passività: il nostro nomadismo esplorativo attraverso la r. non viene a indebolire la nostra inerzia contemplativa, bensì a renderla più acuta e allarmante. Malgrado ciò, sarebbe errato non riconoscere che alcune differenze esistono. La più importante è quella relativa al coinvolgimento psichico. Mentre le scelte sottoposte all'utente del televisore sono limitate, quelle dell'utente del teleputer sono, in apparenza, illimitate. Ma una cosa è la possibilità di libero accesso all'informazione, altra la probabilità che i cittadini possano farne uso. Stabilire contatto con ognuno e con ogni cosa può essere tecnicamente (e legalmente) garantito, ma ciò non significa che effettivamente accada. Infatti, un accesso omogeneamente disponibile solleva il problema dei vincoli soggettivi, che gli attori stessi si pongono in consonanza con i propri valori, credenze e preferenze. E pregiudizi. In secondo luogo, c'è il problema delle limitazioni esterne della nostra libertà. Anche se ci viene assicurata quella che I. Berlin (1969) chiama la "libertà negativa" - l'assenza d'interferenza nell'uso della r. -, l'effettiva probabilità di godere di tale libertà è minima. Non tutti sono in grado di soddisfare alcune condizioni indispensabili, come per es. affrontare gli elevati costi dell'impresa o avere parecchio tempo libero.
Comunità virtuali
Un altro argomento in favore della possibilità di comunicare con tutti è il fatto che, in questo modo, verrebbe favorito il sorgere di comunità virtuali, che nascono di norma via rete tramite la ricerca di contatto tra individui o gruppi che hanno idee, interessi e/o gusti comuni (Rheingold 1993). L'avvento delle r. telematiche, che rende possibile una comunicazione interattiva paritetica, ha effetti ambivalenti al riguardo. Le comunità virtuali si configurano infatti non come luoghi in cui si comunica da pari a pari, ma come punti di ritrovo in cui si coltivano le 'affinità elettive'. In quanto derivano dalla spontanea confluenza di soggetti con unanimi vedute, esse sono comunità con scarsa dinamica interna, autoreferenziali, che appartengono alla categoria delle associazioni 'deboli'. Sono invece 'forti' le associazioni capaci di far tesoro dell'interscambio di idee ed esperienze tra coloro che la pensano diversamente, e di misurarsi con le differenze e non solo con le somiglianze tra i membri (Talbott 1995).
Tuttavia, nel tema delle comunità virtuali ci sono altri aspetti. Queste non sono il risultato dell'avvento del computer e delle r., ma di un preciso itinerario storico iniziato con le comunità preindustriali dei secoli 17° e 18°, che nella fase di fondazione degli Stati Uniti, durante la conquista della 'frontiera', hanno svolto un ruolo vicario nei confronti di uno Stato incipiente o latitante (Boorstin, 2° vol., 1965). Sarebbe sbagliato non tener conto dell'influenza che tale tradizione ha esercitato sulle odierne comunità virtuali, soprattutto se si riflette sul rapporto fra comunità e democrazia, sul modo di concepire la sovranità popolare, sull'idea di democrazia diretta o indiretta.
Oggi l'ideale della democrazia diretta ateniese viene riproposto da parte dei teorici del ciberspazio, ansiosi di legittimare la democrazia della rete. Non deve stupire che la tendenza a mitizzare il modello democratico ellenico sia molto diffusa negli Stati Uniti: fu proprio Th. Jefferson, uno dei padri fondatori della nazione americana, a prospettare una democrazia diretta di esplicita ispirazione greca. In quest'ottica, si propugna un 'ritorno a Jefferson', alla visione di una democrazia diretta e decentrata in cui l'intermediazione del Governo e del Parlamento dovrebbe essere ridotta al minimo. E anche i controlli di qualsivoglia 'custode'. Ma, pur ammettendo che le r. siano 'aperte', non possiamo essere certi di riuscire sempre e comunque a neutralizzare i custodi. La ragione sta nel fatto che i custodi non sono solo quei soggetti che contribuiscono esplicitamente a coartare la nostra libertà di espressione e a invadere la nostra privacy. Accanto a questi custodi, ce ne sono altri che condizionano implicitamente la nostra libertà e la nostra privacy: gli organi di socializzazione e acculturamento (famiglia, scuola, chiese, partiti, sindacati, associazioni e mass media), ma anche i custodi che siamo noi stessi nei confronti degli altri, complici di un sistema di sorveglianza reciproca.
Repubblica elettronica
Tali questioni, non nuove, vanno affrontate nel contesto dei problemi sollevati dall'ipotesi di una repubblica elettronica. La repubblica elettronica (nei paesi anglosassoni, teledemocracy, wired democracy, video democracy, electronic democracy e push-button democracy) prevede, da un lato, la proposta d'informatizzare la comunicazione politica, dall'altro quella d'informatizzare gli apparati amministrativi dello Stato.
La prima proposta teorizza un'informatizzazione delle procedure e dei comportamenti operativi tramite i quali i cittadini esercitano i loro diritti in una democrazia (Grossman 1995), ossia le tecniche che consentono ai cittadini di partecipare ai processi elettivi a tutti i livelli, e a quelli in cui si formano le decisioni pubbliche. Sono, queste, tutte tecniche che riguardano un'area che, per brevità, chiameremo di comunicazione politica (Arterton 1987).
La seconda prevede di "reinventare il governo", come recita lo slogan coniato da D.E. Osborne e T. Gaebler (1992). In tutti i paesi democratici industrializzati si assiste a una crisi di sfiducia negli apparati statali da parte dei cittadini, che tollerano sempre meno l'inefficienza, l'accentramento, la formalizzazione degli iter procedurali, la rigidità e lo spreco irrazionale delle risorse. Alcuni autori fanno risalire l'odierno degrado prestazionale delle strutture pubbliche all'influenza sulle organizzazioni burocratiche delle imprese industriali nel 19° secolo, in cui il modello di comando e di controllo era gerarchicamente verticale e centralistico (Tapscott 1996). Inoltre, mentre a partire dagli anni Venti le imprese industriali hanno cominciato a rinnovarsi, adottando il modello multidivisionale decentrato (Chandler 1962), le burocrazie statali sono rimaste legate al modello originario.
Vi è una terza area programmatica: nell'ottica della repubblica elettronica, reinventare il governo è inseparabile dalla volontà di 'reinventare la politica'. Se ciò fosse un tentativo di razionalizzare il funzionamento complessivo della nostra società, assicurando maggiore partecipazione democratica ed efficienza dell'amministrazione pubblica, non vi sarebbe nulla da eccepire. È superfluo ricordare gli effetti positivi della telematica sui servizi pubblici erogati ai cittadini. Basta pensare alla possibilità, via tastiera e in tempo reale, di fruire di prestazioni anagrafiche e sanitarie, di accedere all'informazione diretta di strumenti legislativi. Viceversa, sull'ipotesi di reinventare la politica esistono forti dubbi tra gli stessi promotori della repubblica elettronica: ci sono coloro per i quali informatizzare la comunicazione politica significa rendere più diretta la partecipazione dei cittadini; e ci sono coloro per i quali informatizzare la comunicazione politica altro non è che creare le condizioni per giungere a una vera e propria alternativa alla democrazia rappresentativa.
Elitismo e populismo
Le versioni più frequenti di repubblica elettronica rendono tributo a una concezione 'populista' della democrazia. Il riferimento più diretto è alla grande tradizione populista del farmer statunitense. A differenza del populismo russo - un'avanguardia illuminata che lottava per la gente - il populismo americano è un movimento della gente che affida alla spontaneità dei singoli individui (e dei gruppi) la formazione del volere collettivo (Bottomore 1964).
Benché il tema dell'elitismo non possa essere esaminato nei termini dell'ineluttabilità delle oligarchie politiche con cui nel passato V. Pareto, G. Mosca e R. Michels lo discutevano, è evidente che la comparsa del populismo informatico rende necessaria una ripresa critica del tema dell'elitismo: ripresa che deve partire da un sostanziale arricchimento del concetto di élite, per il fatto che le élites non sono più circoscrivibili a un solo settore, ma si spingono a far sentire la loro influenza anche nei luoghi in cui si professa il più ostinato antielitismo. Nella società attuale è difficile tenere distinti populismo ed elitismo: le élites sono obbligate, almeno a livello retorico, ad appropriarsi dei motti del populismo, a scimmiottarlo. In quest'ottica, il vero problema non è tanto l'elitismo quanto il populismo. L'aspetto più saliente di ogni populismo è la tendenza a credere che i cittadini siano, nelle loro scelte, infallibili. Il populismo informatico non fa eccezione. Ma ciò che talvolta fa credere che faccia eccezione è il suo modo molto particolare di rivolgersi alla gente: il suo dichiararsi al servizio di tutta la gente, senza esclusioni. Mentre nel fragore di una sedicente comunicazione universale telematica è l'idea della gente, intesa, anche qui, come la 'mia gente', che s'impone.
Identità e agire pubblico
Vi è un aspetto ancora più inquietante che riguarda il fondamentale rapporto fra l'identità individuale e l'agire pubblico: l'uso, sempre più frequente, di programmi d'interazione in r. in cui gli utenti possono rinunciare alla propria identità assumendone, a piacere, altre. Il fenomeno ha implicazioni che vanno ben oltre gli ambiti del 'gioco di società', soprattutto quando si verifica nell'ambito della comunicazione politica. Si pensi, per es., a un gruppo di persone che, con l'aiuto del programma IRC (Internet Relay Chat), si scambiano opinioni su argomenti che riguardano importanti decisioni collettive. E ciò senza rivelare la propria identità o simulando un'identità diversa.
Nel gergo informatico, il rapporto colloquiale reso possibile da un canale IRC è soprannominato chiacchiera (chat). Quando la chiacchiera - il modo futile, superficiale e talvolta pettegolo di dialogare tra le persone - ha luogo tra soggetti che interagiscono a distanza, senza un contatto faccia a faccia, occultando le proprie identità, siamo dinanzi a una forma di comunicazione molto lontana da un'effettiva comunicazione. Qualcuno sostiene che la questione delle false identità è solo un gioco, un gioco inoffensivo. Per R. Caillois (1967), non si tratta altro che di mimetismo, il gioco dei travestimenti che facciamo, consapevolmente, da bambini. In Internet le cose vanno diversamente: la falsa identità viene vissuta come la vera identità. Il fatto che la pratica della contraffazione d'identità coinvolga un vasto numero di soggetti autorizza a supporre che essa possa favorire la nascita di comunità prive di qualsiasi legame con la realtà. Dalla folie à deux individuata dalla psichiatria dell'Ottocento, si passa a una folie di molti, una folie vastamente condivisa.
In tale scenario, la discussione pubblica sui grandi temi politici, sociali e culturali sarebbe incanalata in circuiti in cui transitano prevalentemente individui 'senza faccia', protetti dall'anonimato. Se l'obiettivo è quello di potenziare la democrazia, questa è di sicuro la formula peggiore. La discussione pubblica deve irrimediabilmente assumere la forma di aperto confronto di donne e uomini 'con faccia', di cittadini che si incontrano e si scontrano con tutto ciò che fa parte della loro individualità, che partecipano alla discussione pubblica, partendo dall'indole composita della loro identità, dai differenti (e confliggenti) ruoli che di tale identità fanno parte. Nella pratica concreta dei navigatori di Internet si scorge una visione piuttosto antiquata del modo in cui si dovrebbe svolgere la comunicazione tra i cittadini: l'ideale dell'attore sociale democratico corrisponde all'immagine di un soggetto portatore di una sola etichetta, interprete acquiescente di un'identità stereotipata. Nulla di più lontano da una visione dinamica dell'identità.
Tuttavia, sarebbe troppo parziale ridurre la questione del rapporto telematica-democrazia alla sola modalità di conversazione on-line. Vi è una diversa modalità in cui, tramite video e audio, i soggetti interloquiscono in prima persona, nel pieno esercizio delle rispettive identità, come per es. attraverso la videocomunicazione (videotelefono, personal computer con funzione videotelefonica, sistemi videotelefonici integrati o rollabout). Certo, forme simili ci aveva fornito (e ci fornisce ancora) la televisione con alcuni servizi molto rudimentali di interattività, ma la videocomunicazione è sicuramente un passo avanti. I problemi però rimangono. Per es., quando si allestiscono le teleconferenze, la presenza di un regista che assegna l'alternanza dei turni d'intervento è un elemento di disturbo che impedisce la spontaneità e la creatività di un libero agire comunicativo. Nella teleconferenza, inoltre, il faccia a faccia dialogico si svolge in uno spazio virtuale, a distanza. Sono problemi inediti, ma per chiarirci le idee sulla possibilità di utilizzare la videocomunicazione non solo nel mondo del management, della didattica, della coprogettazione, ma anche in quello della deliberazione politica, non si potrà prescindere dal patrimonio di conoscenza accumulato nello studio della conversazione normale.
Informazione-sapere
Oltre a quelle conversazionali, la r. consente altre modalità di comunicazione, tra le quali le più importanti sono la comunicazione tecnico-scientifica e la trasmissione di dati di interesse militare, industriale, finanziario e amministrativo, nonché politico. Si possono avanzare dubbi e perplessità su molti usi della r., ma non sul fatto che essa sia un formidabile mezzo d'informazione, e come tale al centro del discorso sul sapere. Studiosi ed educatori sono stati i primi a riconoscere la sua importanza e i primi a trarne profitto. Malgrado ciò, se, come si dice, sapere è potere, i nuovi mezzi telematici di accesso al sapere assumono giocoforza un'importanza cruciale nell'attuale dibattito sulle sorti del potere democratico.
Il tema del sapere pone ulteriori interrogativi, che riguardano, per es., in quale misura sia vero che più informazione è uguale a più sapere, e più sapere uguale a più potere. Se è difficile mettere in dubbio che il potere presuppone il sapere, tuttavia la catena di transitività (più informazione=più sapere; più sapere=più potere) ha un anello debole nella prima equazione, che spiega la crescita del sapere in termini di crescita dell'informazione. Di frequente, l'informazione veicola disinformazione, ossia informazione approssimata, distorta o falsa, che non ha nulla da spartire con il sapere. Se vogliamo indagare quale sia la valenza democratica di un uso operativo della r., è decisivo mantenere scissi nell'analisi il sapere individuale da quello sociale. E ciò per il semplice motivo che una cosa è il sapere individuale, di cui ciascuno di noi dispone - il microsapere di cui gli esseri umani si avvalgono nel loro vivere quotidiano -, altra è il sapere che una società sviluppa, accumula e istituzionalizza nel suo insieme - il macrosapere che si configura come un vasto, astratto e anonimo sistema di conoscenze.
In un'ottica storica, la distanza tra il sapere individuale e quello sociale è venuta progressivamente aumentando nel tempo: prima dell'arrivo di forme mature di divisione del lavoro, questa distanza era minima, e il sapere individuale s'identificava in gran parte con il sapere sociale. Le cose cambiano con le società in cui la divisione del lavoro assume forme differenziate e articolate: il rapporto tra i due tipi di sapere viene rovesciato. Con l'avvento della società industriale, il fenomeno ha assunto forme ancora più drammatiche. È superfluo ricordare che individualmente noi usiamo macchine senza saper nulla (o poco) sulla loro costruzione e il loro funzionamento. Ci interessiamo solo delle loro prestazioni, mentre 'il resto' viene delegato a un non meglio definito 'altro', ossia l'esperto che sa ciò che noi ignoriamo, e a cui affidiamo il compito di fare per noi ciò che non siamo in grado di fare (Machlup 1962).
Ora, secondo i fautori della GII (Global Information Infrastructure), una società statunitense di comunicazione e informazione fondata nel 1994, ci troveremmo di fronte alla possibilità di riavvicinare il sapere individuale al sapere sociale: l'accesso via rete a qualsivoglia informazione potrebbe, almeno in teoria, ridimensionare lo sbilanciato rapporto tra i due tipi di sapere. Questa prospettiva si basa su presupposti decisamente controintuitivi. Innanzitutto, postula che la nostra capacità di recepire e assorbire la conoscenza sia infinita. Viceversa, gli studiosi dei fenomeni della percezione hanno già dimostrato che la nostra attenzione e la nostra curiosità sono fortemente selettive (Berlyne 1960; Krueger 1973): si acutizzano o si indeboliscono a seconda della novità, dell'intensità e della frequenza dello stimolo. La ridondanza, oltre una determinata soglia critica, porta alla noia percettiva. E quando i messaggi sono troppi e scarsamente differenziati non sono percepiti come figure contrapposte a un fondo. Tutto diventa fondo, rumore di fondo (Maldonado 1987).
Tale fenomeno si verifica ancor più nel mondo dell'informazione via rete. Anzi, l'accesso all'informazione via rete riacutizza un problema che pareva risolto. Consapevoli della nostra debolezza nella ricezione informativa, ci eravamo muniti di una protesi intellettuale - il computer - destinata a 'depersonalizzare' le funzioni di recepire, elaborare e immagazzinare l'informazione, liberandole dai condizionamenti soggettivi, dalle turbative proprie della nostra irrequietezza percettiva. D'un colpo ci ritroviamo al punto di partenza, poiché, almeno in teoria, siamo in grado di giungere a tutte le fonti d'informazione di cui abbiamo bisogno. Ma c'è di più: possiamo essere investiti da informazioni di cui non abbiamo bisogno, e sovente le informazioni di cui abbiamo bisogno ci pervengono indissolubilmente legate a quelle di cui non abbiamo bisogno.
Sotto questo profilo, la tematica ha diretta attinenza con la questione della democrazia on-line. Perché laddove si ipotizza la piena realizzazione della democrazia tramite un libero accesso telematico all'informazione, è d'obbligo riflettere sui modi in cui essa viene effettivamente accolta dal cittadino. Eludere tale questione ci porta a una visione astratta del cittadino, secondo la quale il cittadino ideale sarebbe il cittadino totalmente informato, a conoscenza di tutti e di ciascuno dei problemi che riguardano la vita pubblica. Questo cittadino ideale non è però il cittadino democratico ideale. Egli si identifica piuttosto con il cosiddetto cittadino totale (Sartori, Dahrendorf 1977), la cui coscienza individuale è stata offuscata e resa inoperante da un coinvolgimento totale nella vita pubblica.
Se questo è vero, l'accesso indiscriminato all'informazione conduce in realtà non a una forma più avanzata di democrazia, bensì a una forma più sofisticata di controllo sociale e omologazione culturale. È in atto oggi un cambiamento radicale nelle modalità di attuazione del disegno coercitivo del potere, che nel passato faceva ricorso all'indigenza informativa, mentre ora privilegia l'opulenza informativa (Moles 1991). Tuttavia, di fronte alla prodigiosa quantità di informazioni che lo raggiungono, il cittadino è destinato a reagire con crescente disinteresse e persino con insofferenza nei confronti dell'informazione. Perché, in fin dei conti, fra le pieghe dell'opulenza informativa si cela l'indigenza informativa.
Telematica e nuovi scenari urbani
Accanto alla questione di un ciberspazio come spazio democratico ideale, esiste anche la non meno controversa questione di un ciberspazio come spazio urbano ideale, come un nuovo modello che, tramite una capillare digitalizzazione, sarebbe in grado di superare i mali della città tradizionale, incentivando l'esodo lavorativo dalla città verso altri luoghi dell'armatura urbana e contribuendo a decongestionare il traffico e a ridurne gli effetti nocivi sull'ambiente (Niles 1994). Le utopie urbane non sono cosa nuova, ma nel caso specifico della città telematica per la prima volta nella storia si prospetta una città ideale che si richiama non a una tecnologia immaginaria, ma a una tecnologia a portata di mano. Così si spiega la tendenza a infervorarsi per una tale eventualità. In contrasto con questa tendenza, è preferibile - come fa I. de Sola Pool - misurarsi con gli aspetti concreti del rapporto telematica-città, indicandone le potenzialità e i limiti. È un tema già emerso nel passato, specie durante la controversia negli anni Sessanta e Settanta circa l'impatto del telefono e dell'automobile sugli assetti dei sistemi metropolitani. Da un lato c'era chi attribuiva ai nuovi mezzi un ruolo decisivo nella crescita urbana; dall'altro chi invitava a non sottovalutare il fatto che il telefono aveva favorito l'affollamento delle aree centrali della città. Gli effetti ambivalenti del telefono sulla città, causa insieme di decentralizzazione e centralizzazione, si ripropongono, nel contesto delle nuove tecnologie, in termini ancora più radicali.
Vediamo allora quali sono i reali problemi urbani e il ruolo della telematica in questo contesto. La capacità della telematica di risolvere alcuni problemi della città appare legata alla natura infrastrutturale delle r. telematiche rispetto alle quali, com'è noto, la tendenza a considerarle come infrastrutture ha preso piede da quando si è cominciato a parlare di information superhighway. Il passo successivo, cioè considerare le r. telematiche come infrastrutture vere e proprie, è stato breve. Tuttavia assegnare alle r. telematiche una natura infrastrutturale significa ipotizzare che esse si comportino come infrastrutture, il che non è.
Nelle grandi città del presente, la configurazione urbana appare in gran parte condizionata dalla natura delle infrastrutture della prima fase della rivoluzione industriale, sorte dalla necessità di razionalizzare i processi di scambio e di trasporto. Negli ultimi decenni del 19° secolo nuove infrastrutture erano venute a sovrapporsi alle precedenti. T.A. Edison, per es., sviluppò nel 1882 la prima r. sperimentale di illuminazione elettrica - a Pearl Street, New York - tenendo conto della preesistente r. a gas (Hughes 1979; Jenkins et al., 1° vol., 1989). E non è l'unico caso. Nella storia delle infrastrutture urbane, come ha illustrato I. Gökalp (1992), la continuità è stata la norma, la discontinuità l'eccezione. Occorre domandarsi se il principio della continuità sia valido anche per le r. telematiche digitali. Si tratta di sapere, per restare all'esempio di Edison, se esse stanno a quelle telefoniche come le r. elettriche sono state a quelle a gas. La risposta non può che essere sfumata. La r. elettrica usufruiva dei vantaggi logistici ed economici della r. del gas, ma in realtà aveva ben poco da spartire con questa. Il caso del rapporto tra la r. telematica digitale e la r. telefonica tradizionale è diverso. Con l'adozione della tecnologia ISDN (Integrated Services Digital Network), la r. telematica digitale - a banda stretta (narrowband) nella sua fase iniziale - si avvale degli stessi mezzi trasmissivi e degli stessi sistemi di commutazione della r. telefonica. Ciò che la distingue è il fatto di essere, per l'appunto, digitale, il risultato di un superamento del sistema analogico alla base della r. telefonica. Tuttavia la digitalizzazione non viene a snaturare la vocazione della r. telefonica, al contrario la conferma, in quanto conferisce maggiore varietà, qualità ed efficienza alle sue prestazioni comunicative. Per la prima volta, la r. telefonica consente un trattamento integrato di voce, dati, testi e immagini. Questa clamorosa innovazione finirà per far sentire la sua influenza sul modo in cui si esplicano i nostri rapporti di interdipendenza, nonché sulla configurazione comunicativa delle città.
Tornando al tema delle infrastrutture, si deve riconoscere che non disponiamo ancora di una teoria sistematica al riguardo. Il primo tentativo in questo senso è stato forse quello degli economisti R. Jochimsen ed E.K. Gustafsson che, nel 1966, avevano proposto una tassonomia delle infrastrutture, raggruppandole in tre categorie: materiali, istituzionali e personali. Per la cosiddetta tecnologia urbana, le infrastrutture erano in prevalenza quelle 'materiali' (r. stradali, filotranviarie e ferroviarie, fognarie, di distribuzione di acqua, gas ed energia elettrica, e r. telefoniche, a cui si sono aggiunti di recente gli impianti di depurazione, incenerimento e riscaldamento centralizzato e i parcheggi).
Se il compito della maggior parte delle infrastrutture materiali di una città è la gestione dei flussi, le infrastrutture informatiche sono destinate ad avere un ruolo importante nel futuro. Si può dire che infrastrutture materiali e infrastrutture informatiche hanno una cosa in comune: ogni attrezzatura, impianto o installazione è un canale lungo il quale i flussi vengono allo stesso tempo agevolati e direzionalmente vincolati. Nelle infrastrutture materiali i flussi sono di liquidi e di gas, ma anche di automobili; nelle infrastrutture informatiche ciò che viene veicolato sono segnali. Le prime sono canali di scorrimento, le seconde canali di trasmissione. Le infrastrutture informatiche potranno dunque assumere compiti non soltanto di monitoraggio e sorveglianza dei flussi, ma anche di sofisticata gestione operativa dei processi. Tutto questo a patto che ci si sappia affrancare dal pregiudizio che le r. telematiche abbiano a che fare esclusivamente con la sfera comunicativa delle città. Un pregiudizio che impedisce una visione integrata delle infrastrutture, una visione in cui le r. telematiche, infrastrutture 'leggere', siano viste come un fattore di razionalizzazione delle tradizionali r. materiali, infrastrutture 'pesanti'.
Telematica e lavoro
In questa linea di riflessione rientra il discusso tema del telelavoro. Anche se di recente le aspettative suscitate da questo fenomeno sono state ridimensionate, tuttavia si continua a sostenere che il lavoro a distanza potrebbe avere effetti assai benefici in diversi settori. Le cose però si complicano quando scendiamo ad analizzare il problema più da vicino. La principale difficoltà è legata alla nozione stessa di telelavoro, che di solito viene identificato con il lavoro che un impiegato esegue a un terminale situato nella propria casa, magari ubicata fuori della città, addirittura in piena campagna. Si tratta qui di una versione molto parziale del telelavoro, giacché esso si ridurrebbe a un semplice lavoro a domicilio effettuato tramite strumenti di telecomunicazione.
Su questo genere di organizzazione del lavoro a domicilio, sui suoi effetti sociali, economici e culturali, rimangono non poche perplessità. Dal punto di vista della storia del capitalismo moderno, vi è nell'idea di telelavoro qualcosa di paradossale. La società capitalistica, che aveva 'aggregato' gli uomini in un ferreo sistema di produzione, costringendoli ad abbandonare il lavoro in casa per il lavoro in fabbrica, sembra orientata a riproporre lo stesso modello di appropriazione della forza lavoro che la prima rivoluzione industriale aveva scartato. E ciò senza chiarire né il grado di fattibilità di un simile modello nel quadro di una società democratica, né le conseguenze sul sistema occupazionale complessivo e sul tipo di rapporto che si instaurerebbe tra telelavoratori domestici e datori di lavoro.
Il telelavoro non va tuttavia identificato esclusivamente con il lavoro a domicilio, né quest'ultimo esclusivamente con il lavoro di routine e poco qualificato. Vi sono anche attività qualificate in cui il telelavoro si sta dimostrando di grande importanza: servizi ai quotidiani, alla televisione, alla pubblicità e all'editoria, ma anche compiti progettuali (e/o programmatori), tramite CAD-CAE (Computer Aided Design-Computer Aided Engineering) a distanza, di ingegneri, architetti, urbanisti, disegnatori, stilisti e analisti di mercato. Ecco perché, negli ultimi anni, al posto di una definizione assai semplicistica e riduttiva del telelavoro è subentrata una definizione che cerca di tener conto della complessità del fenomeno.
A tale scopo si è fatto ricorso a più raffinate linee di analisi, secondo le quali nel telelavoro rientrano diverse categorie di mansioni e modalità organizzative: da un lato, le attività che producono fenomeni di dispersione della forza lavoro (il telelavoro a domicilio), dall'altro quelle che favoriscono la sua riaggregazione su basi diverse. Queste ultime coinvolgono gruppi di persone che svolgono le loro mansioni in sedi di lavoro collettive (i cosiddetti edifici telematici condivisi, gli uffici satellite, i sistemi di uffici multisocietari utilizzati da più lavoratori ecc.). Se entrambe le categorie possono essere viste come un modo più flessibile di organizzare il lavoro tradizionale, ne esiste una terza che presenta tratti di assoluta novità: il lavoro mobile, ossia la possibilità di collegarsi, dai luoghi più disparati, con il proprio ufficio centrale, con clienti o consulenti, utilizzando un personal computer portatile. L'aumento di queste forme di telelavoro è favorito dalla diffusione della telefonia mobile.
Non c'è dubbio che, se si vuole comprendere appieno il fenomeno del telelavoro, bisogna partire dal fatto che esso non è soltanto un modo di lavorare, ma una condizione strutturale nella quale i fattori della produzione assumono una configurazione diversa da quella tradizionale (Telecom Italia 1994). Queste implicazioni 'strutturali' sono importanti per capire le ragioni di fondo che, nella società capitalistica, hanno portato alla nascita del telelavoro. Di fatto, è sulla prospettiva del telelavoro che oggi fa perno l'ambizioso programma di razionalizzazione e produttività del settore terziario: il telelavoro è per il terziario ciò che l'automazione è stata per l'industria.
Bisogna pur convenire che le prospettive di sviluppo del telelavoro non sono ancora facilmente prevedibili. Il tema merita qualche ulteriore riflessione, soprattutto se lo si analizza prendendo in considerazione il rapporto fra le entusiastiche previsioni degli anni Sessanta e Settanta e i risultati ottenuti, assai inferiori alle aspettative. L'idea che le tecnologie informatiche avrebbero, di per sé, determinato profondi mutamenti sociali e urbani non ha tenuto conto a sufficienza né dei fattori umani (The information technology revolution, 1985), né della natura, notevolmente complessa, degli attuali sistemi urbani.
Negli ultimi anni le ricerche di sociologia urbana si sono arricchite di molte ipotesi, tra le quali quella che prospetta quattro popolazioni metropolitane: gli abitanti, i pendolari, i city users e i metropolitan businessmen (Martinotti 1993). I soggetti urbani sono caratterizzati non in funzione di astratte categorie, ma in riferimento a ciò che effettivamente 'fanno' nella città, a come la 'usano'. Quest'approccio è utile per un'analisi più realistica del telelavoro: mentre il telelavoro a domicilio riguarderebbe gli abitanti e i pendolari, il telelavoro non a domicilio avrebbe attinenza con i city users e i metropolitan businessmen. L'assunto può gettare luce anche sulla questione accentramento-decentramento. Perché così si può attribuire un effetto centrifugo al telelavoro a domicilio, in quanto allontanerebbe abitanti e pendolari dalle città, e al contrario un effetto centripeto al telelavoro non domiciliare, in quanto attrarrebbe verso le aree urbane, per motivi diversi, city users e metropolitan businessmen. Quest'aspetto è stato lucidamente esaminato da Sassen (1994), che ha insistito sulla preminenza dei fenomeni di integrazione di molte attività. Un concetto sviluppato, con dovizia di dati, anche da M. Castells (1989; ma v. anche Pred 1973) che, sulla base di un'analisi del rapporto tra crescita urbana e circolazione dell'informazione negli Stati Uniti dal 1790 al 1840, aveva avanzato forti dubbi sul fatto che le innovazioni comunicative possano intaccare seriamente il "modello di stabilità delle grandi città".
Teledidattica
C'è una peculiare forma di telelavoro che merita un'attenzione più specifica: l'insegnamento-apprendimento a distanza e il suo possibile ruolo nel cambiare l'assetto tradizionale dei luoghi - la scuola e l'università - che finora hanno svolto il compito di trasmettere, produrre e distribuire la conoscenza. Se immaginiamo che un giorno scuola e università saranno in grado di adempiere a molte delle loro attuali funzioni a distanza, senza la presenza fisica di docenti, discenti e ricercatori, è probabile che i luoghi in cui tali istituzioni erano localizzate finiranno per mutare il loro significato originario. È plausibile, per es., che le università smettano di essere luoghi isolati per divenire momenti nodali di un sistema continuo e distribuito. In linea teorica, tutto ciò è verosimile, a patto di non cedere alla tentazione di ipotizzare un futuro in cui le università (e le scuole) non saranno più reali ma totalmente virtuali (Doheny-Farina 1996). Più probabile è che scuole e università continueranno a esistere come entità fisiche e che solo alcuni settori, seppur importanti, potranno essere, per così dire, 'virtualizzati'.
È necessario riconoscere che, dalle rudimentali 'macchine per insegnare' e dai metodi di apprendimento programmato degli anni Cinquanta-Sessanta (Maldonado 1992), si è giunti a uno sviluppo in cui il computer, la comunicazione on-line e l'editoria elettronica stanno assumendo un ruolo sempre più rilevante nell'insegnamento a tutti i livelli. Questa nuova linea di tendenza viene ora denominata teledidattica oppure insegnamento (o educazione) a distanza (Scholarly publishing, 1996). Sarebbe un errore definire la teledidattica in termini esclusivamente tecnici, ossia come se essa non fosse altro che una nuova tecnica per facilitare il lavoro didattico. È il classico errore che ipostatizza il momento tecnico del processo formativo, oscurando un vasto arco di questioni che riguardano le sue finalità e i suoi contenuti (Galliani 1995). Se si vuole evitare che la telematica educativa corra un simile rischio, è necessario intenderla come punto di convergenza di molti tipi di sapere disciplinari.
A questo scopo, può essere utile passare in rassegna alcune delle più note prestazioni che la teledidattica può fornire all'educatore. Una di esse è l'interazione live - in diretta - tra docenti e discenti situati in due luoghi diversi, non importa quanto distanti fra di loro, una sorta di videoconferenza caratterizzata però dall'interattività. Occorre precisare che ci sono due differenti tipi di interattività: quella propria della videoconferenza didattica, che si caratterizza mediante la telecompresenza dell'emittente e del ricevente (Held, Durlach 1991), e quella che troviamo nei prodotti multimediali dell'editoria elettronica, soprattutto in quelli ipertestuali su supporto CD-ROM. La prima è un'interattività bidirezionale tra soggetti; la seconda è un'interattività bidirezionale tra un soggetto-utente e un documento informatico.
Nel caso, per es., del CD-ROM multimediale, il discente interagisce in uno spazio reale con un programma, dietro il quale non c'è una singola persona, ma una nutrita squadra di esperti. Una seconda caratteristica distintiva del CD-ROM è l'architettura del programma, che prefigura un numero 'finito' di itinerari di navigazione che l'utente può scegliere a volontà. Di recente, tuttavia, quest'aspetto è stato criticato da molti studiosi per i limitati gradi di libertà di cui l'utente può godere (Meadows 1994). Simili obiezioni erano state già avanzate nei confronti dei primi tentativi di apprendimento programmato, tentativi che si ispiravano alle idee di B.F. Skinner (1958 e 1971), il principale esponente dell'ala più radicale del comportamentismo, secondo cui il ruolo dell'educatore doveva consistere nel predisporre gli accorgimenti tecnici atti a condizionare, senza scampo, le nostre scelte e preferenze. Per il CD-ROM la situazione è molto più sfumata, in quanto esistono almeno due tipologie di utenti: quelli passivamente soddisfatti del numero di itinerari offerti, e quelli che preferiscono andare 'fuori' alla ricerca di verifiche o approfondimenti degli argomenti trattati. Il CD-ROM può, dunque, essere fruito come un'opera aperta, poiché quest'attività di integrazione implica un effettivo accrescimento del grado di libertà dell'utente. Ciò nonostante il CD-ROM, come strumento didattico, è fortemente condizionato da un'ambiguità di fondo. Da un lato, in quanto attribuisce un ruolo attivo all'utente, il CD-ROM si colloca nella tradizione dell'attivismo pedagogico di Dewey, Montessori, Kerschensteiner e Decroly, che postulava una scuola centrata sull'allievo, attivamente coinvolto in prima persona nel processo formativo. Il britannico S. Harries (1995) sostiene addirittura che con l'uso di prodotti multimediali, al posto del tradizionale apprendimento come conoscenza impartita, subentrerebbe l'"apprendimento contestuale" (Laurillard 1993). Un motto che i padri fondatori dell'attivismo pedagogico potrebbero sottoscrivere senza difficoltà. Da un altro lato, però, il problema del limitato grado di libertà del CD-ROM ravviva il sospetto di connivenze con il comportamentismo skinneriano. Si deve ammettere che il CD-ROM offre all'utente un ambito di partecipazione attiva piuttosto ristretto, poiché rimane dopotutto fedele a un'impostazione rigidamente programmatoria del processo didattico, nel quale l'utente viene eccessivamente guidato e condizionato nelle sue scelte. Le perplessità sulla natura del CD-ROM non vanno intese come un atteggiamento di scetticismo sull'uso di questo mezzo come strumento didattico. Sebbene vi siano numerosi esempi, a dir poco scadenti, che giustificherebbero simile scetticismo, non si può ignorare che, specie nel campo dell'insegnamento scientifico e tecnico, vi sono esempi che per la loro qualità autorizzano un atteggiamento di ottimismo al riguardo (Piattelli Palmarini 1996). Il fatto che i risultati più convincenti siano raggiunti nel caso dei corpi di sapere con un nucleo fortemente strutturato - anatomia, biologia, astronomia, fisica, matematica ecc. - lascia pensare che forse la natura di ciò che si vuole insegnare non sia del tutto ininfluente sulla qualità finale del prodotto, ossia che in ambito didattico certi temi siano, per così dire, più congeniali di altri allo schema ipertestuale.
La questione si era già posta mezzo secolo fa, nel periodo di avvio e sperimentazione delle prime teaching machines. Sembrava allora che i motivi dovessero essere ricercati nella proprietà di alcuni tipi di sapere di disporre di un nucleo strutturato, in cui gli elementi di stabilità sono più numerosi di quelli di instabilità. In un approccio pragmatico, di norma adottato da chi si occupa di didattica informatizzata, la distinzione tra tipi di sapere più o meno strutturati è essenziale. Insegnare algebra o anatomia descrittiva attraverso un CD-ROM multimediale non è lo stesso che rendere accessibile il pensiero di Hegel o il ruolo di Wagner nella storia della musica. Nel primo caso il sapere è facilmente 'routinizzabile', nel secondo no. Tutto fa pensare che questo mezzo sia poco adatto a trasmettere tipi di sapere in cui valori e credenze hanno un ruolo determinante.
Corpo umano e conoscenza digitale
Negli ultimi tempi, tra i proseliti del ciberspazio, il corpo (umano) non gode di molta stima. Alcuni, i più indulgenti, lo vedono con bonaria, rassegnata diffidenza. Altri esprimono nei suoi confronti un astioso disprezzo. Il nostro corpo sarebbe antiquato, sorpassato, obsoleto. Infatti sono ormai molti coloro che, confortati dall'autorevolezza di M. Minsky, pensano "che il corpo si debba gettare, che il wet ware, la materia umida all'interno della scatola cranica, il cervello, sia da sostituire" (de Kerckhove 1994, p. 58). La posta in gioco, da un punto di vista filosofico e politico, è troppo alta per prendere alla leggera queste affermazioni, anche perché si deve riconoscere che la progressiva 'artificializzazione' del corpo è un fatto ormai palese. Dunque, il problema non è la difesa a oltranza di una presunta sacralità 'naturale' del corpo. Com'è sempre accaduto, non solo esistono momenti di convergenza funzionale fra tecnica e corpo, ma i confini tra vita naturale e vita artificiale appaiono oggi sempre più sfuggenti. La tesi sostenuta da G. Canguilhem (1971) sulla 'continuità' tra la vita e la tecnica, tra l'organismo e la macchina, sembra oggi aver trovato una conferma. Non ci sono gli androidi da una parte e i non-androidi dall'altra: gli scambi sono intensi e frequenti, e i fenomeni di ibridazione e simbiosi sono all'ordine del giorno (Android epistemology, 1995).
D'altronde, il corpo è stato sempre condizionato (e persino determinato e conformato) dalle tecniche socio-culturali. Basta citare le tecniche del corpo (Mauss 1950) e le tecniche sociali coercitive che si esercitano su un corpo diventato oggetto, su un corpo-oggetto (Foucault 1975). Le prime ci spiegano come gli uomini, in ogni società, sanno servirsi del proprio corpo; le seconde come gli uomini, in ogni società, si servono del corpo degli altri ai propri fini (Les philosophes et la nature, 1990). Se le teorie di questi moderni 'dispregiatori del corpo' possono avere implicazioni moralmente e politicamente esecrabili, ciò non significa che il tema attinente al rapporto tra corpo e tecnologia non sia cruciale. Esso riguarda innanzitutto il modo in cui il nostro corpo vivrà l'avventura di una continuità tra naturale e artificiale portata alle estreme conseguenze, e di come si configurerà, in tale prospettiva, l'interscambio del nostro corpo con l'ambiente e con gli altri corpi. Prima di essere un oggetto di sofisticate escogitazioni metafisiche, o di valutazioni di matrice psicanalitica, o di congetture fantascientifiche, il corpo umano è un oggetto di conoscenza. Infatti, il modo di essere consapevoli del corpo appare intimamente legato alla conoscenza che, in ogni epoca, abbiamo avuto della nostra realtà corporale. Non solo: il corpo è stato anche un soggetto tecnico, un punto di riferimento fondamentale della nostra operosità tecnica.
La storia dell'uomo è, tra l'altro, la storia di una progressiva artificializzazione del corpo, di una lunga marcia verso l'arricchimento strumentale nel nostro rapporto con la realtà attraverso la creazione di artefatti destinati a supplire (e completare) le mancanze prestazionali del nostro corpo. Nasce così, intorno a esso, una variegata cintura di protesi: protesi motorie, sensorie e intellettive. Il corpo, insomma, diventa protesico. Tuttavia il corpo protesico, il corpo che funge da soggetto tecnico (tecnificato), non ha solo una rilevanza operativa al fine di renderci più efficaci nel rapporto performativo con l'ambiente. Il corpo protesico è diventato un formidabile strumento conoscitivo della realtà in tutte le sue articolazioni, senza escludere la sua medesima realtà.
Ma si deve rilevare che il processo di artificializzazione del corpo è progredito per millenni a un ritmo sostenuto, mentre le nostre idee sul corpo, la sua struttura e il suo funzionamento sono state per lungo tempo vaghe, incerte, superficiali, in gran parte sbagliate. A un certo punto, però, lo stesso processo di artificializzazione ha investito aree in cui appariva imprescindibile una sua più esatta conoscenza. Il contributo più decisivo in questo senso, una vera e propria svolta, si deve attribuire alla radiologia medica. Alle origini della radiologia medica vi è la scoperta dei raggi X da parte di W.C. Röntgen. Ma Röntgen, notoriamente, non era un medico, bensì un fisico sperimentale. La radiologia medica nacque così da una convergenza tra fisica delle radiazioni e medicina; e poi dai contributi di chimica, biologia e delle tecnologie strumentali. La tendenza interdisciplinare si rafforza con il tempo e oggi, grazie al potenziale di modellazione e simulazione fornito dalla grafica computerizzata, si aprono nuove prospettive tanto nella diagnostica quanto nella terapia e persino nella chirurgia. Nel caso del medical imaging, i nuovi strumenti di visualizzazione e le nuove tecniche nella modellazione dei solidi (tomografia computerizzata, tomografia a emissioni di positroni, risonanza magnetica e tomografia a emissione di singolo fotone) consentono di 'vedere' gli organi e gli apparati del nostro corpo in quattro dimensioni (tre spaziali e una temporale).
Di solito, il fenomeno viene messo in relazione con la nascita di quel repertorio di immagini di sintesi che, con un'espressione non molto felice (ma a livello divulgativo efficace), si chiama realtà virtuale. A ben guardare, i modelli scientifici di tipo visivo-figurativo sono stati sempre virtuali (Maldonado 1992). La novità dei modelli che stiamo qui discutendo risiede non nel fatto che siano virtuali, ma nel loro peculiare modo di esserlo: essi sono i modelli 'virtuali' più 'reali' che mai siano stati concepiti. Modelli più rassomiglianti - formalmente, strutturalmente e funzionalmente - agli oggetti raffigurati, e dunque operativamente più affidabili. L'impatto innovativo della modellazione virtuale-interattiva sulle discipline medico-chirurgiche sta nella capacità di 'funzionalizzare' le strutture rappresentate: ben lungi dall'essere un rinnovamento soltanto 'figurativo' dell'anatomia descrittiva, il modello virtuale-interattivo contribuisce a rendere esplicita la funzione delle strutture. Altri esempi di applicazioni innovative si ritrovano nella ricerca sperimentale nei campi della biologia molecolare, della fisica delle particelle, dell'astrofisica, della neuroscienza e della dinamica dei fluidi. Nella biologia molecolare, e in particolare nelle sue applicazioni farmacologiche, i risultati sono notevoli, particolarmente nella simulazione dell'assemblaggio molecolare. Ai modelli tradizionali, che raffigurano la struttura dimensionale delle molecole biologiche, si sono affiancati ora veri e propri manipolatori virtuali, con cui l'operatore è in grado di verificare subito quali sono le configurazioni più o meno adatte allo scopo prefissato, con importanti conseguenze per la sintesi di nuove droghe e la delucidazione dei meccanismi d'azione di tossine e sostanze carcinogene.
Come si è visto, la modellazione virtuale si sta dimostrando un potente mezzo di conoscenza, un più efficace dispositivo di simulazione osservativa. È facile capire quali e quanti vantaggi se ne possano trarre. I settori coinvolti non si limitano a quelli medico-scientifici. Per la loro natura sincretica - risultato della convergenza di replicazione, simulazione e formalizzazione matematica - i modelli informatici offrono alla ricerca scientifica e alla progettazione in tutti i campi possibilità mai avute nel passato: dalla progettazione architettonica all'intervento in situazioni ambientali a rischio, come l'esplorazione degli oceani o le ricerche spaziali. Per non dimenticare la sperimentazione artistica, che potrà forse trovare finalmente i mezzi produttivi all'altezza delle sue intuizioni.
Dalla disamina sin qui condotta emerge un quadro tutt'altro che omogeneo sulla valutazione degli aspetti sociali, culturali e politici dell'informatica. Se da un lato ci sono aspetti che suscitano più che giustificati dubbi e timori sugli usi (o eventuali abusi) che di essa si possono fare, dall'altro ci sono aspetti che aprono formidabili prospettive al nostro rapporto conoscitivo, progettuale e creativo con il mondo.
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Rete e territorio
di Cesare Emanuel
Nell'analisi geografica e nella pianificazione economica e territoriale il termine rete assume due significati distinti: uno letterale e uno traslato. In senso letterale il termine delinea la distribuzione ramificata dei corsi idrici e delle infrastrutture lineari, quali sono, per esempio, quelle viarie, elettriche, telefoniche, teleinformatiche ecc., nelle quali scorrono flussi di diversa natura, come merci, energia, informazione, denaro. In senso traslato lo stesso termine perde invece gran parte della sua fisicità e diventa una modalità astratta di rappresentazione di relazioni e di connessioni tra soggetti e/o oggetti, anche indipendentemente dalla localizzazione dei percorsi, dall'individuazione dei tramiti infrastrutturali e dalle loro caratteristiche.
Nella prima accezione esso costituisce uno strumento di descrizione, e talora di enumerazione, di alcune strutture del contesto naturale e insediativo di una regione e consente di individuarne i percorsi e di quantificarne la portata. Ne consegue che nell'ambito della pianificazione la r., sia essa relativa a corsi d'acqua o di tipo infrastrutturale o altro, costituisce un supporto fisico su cui esercitare forme di controllo e di programmazione dei flussi e dei relativi percorsi.
Nell'accezione traslata il termine designa invece prevalentemente l'organizzazione funzionale o urbana che matura con l'evolversi dei processi di sviluppo economico e dell'urbanizzazione (v. urbanizzazione: Urbanizzazione e controurbanizzazione, in questa Appendice). In questo caso la r. assume le forme astratte di un grafo formato da nodi (per es. le città) e da segmenti connettivi (per es. le relazioni tra le città), la cui forma, aperta o circuitale, è derivata da un esercizio logico-riflessivo che combina l'analisi della localizzazione delle funzioni urbane - quali le attività commerciali, i servizi pubblici, le attività direzionali e di Ricerca e Sviluppo (R & S) - con le teorie e i modelli che si occupano di essa. È in questa accezione che il termine rete ha ottenuto il maggior successo e oggi delinea almeno tre diversi e successivi modelli di organizzazione urbana.
Il primo modello è quello gerarchico generato dai processi di urbanizzazione che tra Ottocento e Novecento hanno accompagnato, nei paesi occidentali, la nascita e il consolidamento dello sviluppo industriale e l'intensificarsi degli scambi a scala regionale. In questo caso l'ineguale concentrazione delle funzioni urbane che si produce nelle città in funzione del diverso volume locale della domanda, della diversa distribuzione dei valori dell'accessibilità e della localizzazione selettiva degli apparati decisionali pubblici e privati è ritenuta responsabile di una differenziazione delle stesse città in numerosi livelli o ranghi gerarchico-funzionali (7, secondo la teoria delle località centrali), tra loro connessi dalle interazioni generate dalla diversa gamma di offerta.
Sotto l'influenza del pensiero economico neoclassico, e in particolare del modello teorico di W. Christaller (che delinea l'assetto spaziale dei servizi generato da un mercato perfettamente concorrenziale e garante dell'equilibrio tra domanda e offerta di beni), la succitata distribuzione viene spiegata, pur con qualche semplificazione, come l'esito di una scelta localizzativa che scaturisce dalla doppia esigenza di assicurare all'utenza diffusa la fruizione dei servizi al minor costo di trasporto e a ogni unità funzionale la quantità minima di vendite, o di domanda, atta a garantirle la sopravvivenza economica. Secondo questa prospettiva, la dotazione funzionale di ogni gruppo di località di differente ordine gerarchico sarebbe quindi connotata da gruppi diversi di servizi, che comprendono quelli più correnti, o a cui la popolazione locale ricorre con maggior frequenza, e quelli via via più rari, o a ricorso più saltuario, che richiedono un cumulo di domanda proveniente anche dai centri minori e dalle aree di contorno a essi asservite.
Proiettata sul territorio, la r. urbana assume così la configurazione di un grafo ad albero progressivamente convergente su un centro principale e in cui tra i nodi si manifestano relazioni asimmetriche di dipendenza che collegano in una rigida sequenza scalare numerosi centri di livello inferiore a quello di ordine superiore più vicino.
L'analisi dello scostamento delle trame regionali da questo disegno fin verso la metà del Novecento è stata di grande ausilio per la pianificazione, in quanto ha permesso di individuare quelle situazioni regionali connotate da frammentazioni o discontinuità funzionali nella maglia dei centri e dunque bisognose di idonee politiche di intervento pubblico per connetterle e per integrarle nell'ambito della piena economia di mercato. Lo scostamento di questo modello verso configurazioni di tipo polarizzato, ovvero caratterizzate dalla presenza di un centro dotato di accentuate capacità di attrazione e di concentrazione qualitativa e quantitativa delle funzioni urbane, scandisce invece la transizione delle economie regionali e nazionali alla piena maturità dello sviluppo industriale e il passaggio di alcune città a poli metropolitani. La r. urbana in tal caso, impoverita nei livelli intermedi della gerarchia, assume la configurazione di un grafo stellare in cui tutti i centri dell'armatura regionale sono soggetti a soverchianti legami di dipendenza da quello metropolitano.
Questa configurazione della r., contrariamente a quella gerarchica, trova un referente concettuale nelle formulazioni teoriche dello sviluppo squilibrato, e in particolare nel modello di F. Perroux in cui i differenziali della crescita tra l'epicentro metropolitano e il resto delle città regionali sono ricondotti alla formazione di un complesso urbano-industriale in grado di generare spiccate capacità moltiplicative e processi cumulativi che aumentano le dimensioni dell'agglomerazione e i vantaggi localizzativi al suo interno.
Nei paesi industrializzati dell'Occidente tra il 1950 e il 1970 la rappresentazione della r. polarizzata ha permesso di delineare i grandi divari territoriali prodotti dal rapido processo di concentrazione demografica e produttiva, e quindi di definire efficaci politiche pubbliche di rivalorizzazione delle aree depresse, consistenti nel decentramento di grandi complessi manifatturieri e in interventi ausiliari di infrastrutturazione primaria e secondaria nei loro dintorni.
Ancor più di recente, e nel momento in cui anche nei paesi in via di sviluppo i processi di urbanizzazione e di industrializzazione delineano la formazione di significative r. urbane gerarchiche o polarizzate, nei paesi occidentali si è progressivamente arrestata la crescita quantitativa che garantiva la polarizzazione: ciò sia per l'insorgere di diseconomie da congestione nelle zone più centrali delle città centro-metropolitane, sia per gli scorpori e i decentramenti aziendali a lunga distanza consentiti dalla diffusione delle nuove tecnologie informatiche e teleinformatiche, sia ancora per il verificarsi di una dinamica occupazionale più accelerata delle funzioni terziarie rispetto a quelle manifatturiere, con effetti di moltiplicatore negativo sulla popolazione. Tutti questi fenomeni hanno così permesso una diffusione pervasiva dei servizi e delle attività più tradizionali, con la conseguente formazione di strutture urbane reticolari, cioè connotate da marcati legami di interdipendenza funzionale tra i centri. Il grafo delle relazioni urbane in questo caso viene pertanto ad assumere una configurazione di tipo circuitale, in cui i centri manifestano tra loro relazioni multiple indipendentemente dal livello gerarchico acquisito. È stato però dimostrato come questo nuovo assetto delle relazioni urbane non elimini la tendenza del sistema economico alla concentrazione e alla polarizzazione selettiva; parallelamente al decentramento delle funzioni urbane negli ambiti regionali periferici, sono infatti stati riscontrati a scala macroregionale (continentale e talora planetaria) significativi processi di ricentralizzazione delle funzioni più rare e innovative nei pochi centri in cui sono anche presenti le sedi del potere finanziario e della direzionalità politica e imprenditoriale multinazionale.
Letta a questa scala, la gerarchia urbana si appiattisce su tre soli livelli, al cui interno i centri afferenti sono tra loro connessi in rete. Al livello più alto si colloca la r. dei centri globali, in cui si insediano le funzioni innovative, di controllo e di gestione dell'intera economia mondiale. Al livello intermedio si collocano invece le principali realtà urbano-metropolitane nazionali che, pur presentando una dotazione assai qualificata di attività e funzioni, e pur esprimendo relazioni di tipo reticolare con le realtà equipollenti, non riescono a raggiungere un potenziale funzionale e di direzionalità paragonabile a quello dell'insieme dei pochi centri globali. Al livello più basso, e spazialmente interposto tra i precedenti, si trova invece la trama regionale interconnessa delle città, anche piccole e medie, su cui si indirizzano la crescita e il decentramento produttivo della popolazione e dei relativi servizi ausiliari. Fuori da questi tre livelli di r. restano poi ancora quelle località prive di un potenziale economico-produttivo, impossibilitate a rapportarsi con le trame reticolari e contrassegnate da marcati fenomeni di stagnazione socio-economica e, talora, anche demografica.
Questa nuova configurazione della rete urbana che, coerentemente con la globalizzazione dell'economia, esalta l'interazione spaziale tra molti luoghi diversi, ha però anche avuto il merito di evidenziare come i rapporti che collegano un centro a tutti gli altri, o che permettono allo stesso di mutare la sua posizione nell'ambito della gerarchia delle reti, dipendano in larga misura dalle capacità dei soggetti e delle funzioni locali di trasformare le risorse e i patrimoni endogeni in vantaggi competitivi e in valori veicolabili nel contesto sovralocale, o globale. Per interpretare logicamente questi processi evolutivi della struttura urbana si ricorre perciò sempre più frequentemente alla teoria dei sistemi complessi, maturata nell'ambito delle scienze sociali, nella quale l'appartenenza (o l'ingresso) di un centro a uno dei suddetti livelli gerarchici di rete viene spiegata come l'esito di un 'accoppiamento strutturale' tra l'organizzazione locale propria di ciascun centro e quella globale, espressa dalle logiche e dalle interazioni che governano e controllano la riproduzione strategica dell'intera economia, della società e della cultura. Il tema delle reti urbane acquisisce così nuove prospettive di approfondimento.
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