RETI TERRITORIALI
Attraverso il termine figurativo di reti territoriali si possono descrivere non solo strutture di trasporto e di comunicazione, ma anche modelli di relazione di tipo politico, economico, sociale e culturale esplicitamente localizzati a differenti scale. In particolare, un’organizzazione reticolare connessa a un territorio si configura come un sistema di riconoscibili e multiple connessioni e strutture all’interno delle quali operano punti nodali capaci di cooperare tra loro per obiettivi condivisi. Gli esempi sono molteplici: consorzi, joint ventures, associazioni di categoria, reti sociali, reti di franchising, ma anche corridoi ecologici e distretti industriali. Questi, intesi come entità socio-territoriali caratterizzate dalla compresenza attiva in un’area circoscritta di una comunità di persone e di imprese industriali (Becattini 1989), sono stati oggetto di riflessione geografica.
In realtà, nel sapere geografico i lemmi territorio e rete hanno origine da logiche distinte e apparentemente incompatibili. «Territorio evoca confini che frazionano il mondo in un mosaico di tessere a due dimensioni, dotato di coerenza interna e di identità distinte. Le reti, invece, si stendono sopra lo spazio, avvicinando il vicino al lontano. [...] Laddove le reti sembrano dinamiche, il territorio appare statico e resistente al cambiamento» (Painter 2009). Pertanto, a differenza di altri concetti come spazio, luogo, regione e territorialità, il territorio, più resistente a una riconcettualizzazione, è stato degnato di poca attenzione, mentre la rete è un termine cui la letteratura geografica ha destinato negli ultimi decenni un crescente interesse come strumento esplicativo. Solo leggendo il territorio come spazio poroso, indefinito e instabile è possibile coniugarlo con l’idea di rete. L’utilizzo del concetto e della metafora spaziale di rete si è moltiplicato come termine per leggere la complessità del mondo del nuovo millennio, definito dal sociologo catalano Manuel Castells come la «società in rete». Con rete si descrive tanto un’infrastruttura fisica e l’insieme dei centri presenti in un sistema, quanto una struttura di interazione che viene rappresentata da una serie di nodi, connessi a intensità differenti da una serie di linee che congiungono i punti in una direzione e in entrambi i sensi (da A verso B e viceversa). L’uso geografico più diffuso è relativo all’ambito urbano e non è affatto recente: le scienze delle relazioni spaziali avevano utilizzato già nel 19° sec. il concetto di rete per modellare la disposizione dei centri urbani come insiemi funzionali di punti e di linee. In particolare, la teoria delle località centrali, elaborata dal geografo tedesco Walter Christaller nel 1933, aveva definito il ruolo dei centri urbani di rango elevato che potevano servire uno spazio complementare, consentendo così di delineare una rete gerarchica degli insediamenti. Tale generalizzazione non permette di descrivere la realtà osservabile, che può avere una distribuzione non «ordinata» dei centri. Allo stesso tempo, i legami funzionali tra i centri possono essere di tipo indiretto o diretto e l’evoluzione dei vari centri è dettata non solo dall’ampiezza e dalla varietà di beni e servizi offerti, ma anche dal meccanismo di interdipendenza fra diverse attività e dalla specializzazione che caratterizza in maniera diversa le differenti reti urbane. Possono essere identificate più caratteristiche della rete come la densità, la connettività, l’interconnessione e l’orientamento, tutte misurabili con l’applicazione della teoria dei grafi. Le differenti fasi evolutive della società capitalista hanno dato vita a diverse rappresentazioni della rete: dal grafo ad albero christalleriano, al grafo a stella polarizzato tipico della fase fordista.
La tipologia di rete contemporanea è quella del grafo interconnesso, che rappresenta una struttura policentrica e non gerarchica, fondata sulla specializzazione dei nodi urbani e sulla moltiplicazione delle relazioni di complementarità tra di essi. Le città possono essere lette in rete, disponendosi in tal modo in maniera spontanea e passiva oppure volontaria e attiva. Nel primo caso, le relazioni tra le città sono frutto delle relazioni abituali degli abitanti dei vari centri in termini di scambio e di flussi. La disposizione attiva dà vita alla rete di città, che opera come un attore collettivo per realizzare programmi di cooperazione. La visione reticolare del fenomeno urbano, pur avendo antichi predecessori come le colonie greche o le città anseatiche, si è sviluppata a partire dagli anni Ottanta del 20° sec. per descrivere la nuova forma spaziale del fenomeno urbano che dispone di trame estese, fondate su relazioni orizzontali e non necessariamente gerarchiche. La città diventa un sistema aperto, un nodo complesso di relazioni transcalari che raggiunge in alcuni casi la dimensione di interconnessione planetaria. Dietro le apparenti standardizzazioni della lettura reticolare, tuttavia, emergono le specificità territoriali descrivibili nelle reti locali di soggetti, per cui la condizione di prossimità geografica diventa indispensabile per valorizzare conoscenza reciproca, fiducia, partecipazione legati a un capitale territoriale comune (Territorialità, sviluppo locale, sostenibilità, 2005). In tal senso, sono stati adottati in Italia, soprattutto nei decenni a cavallo del nuovo millennio, strumenti normativi di pianificazione e programmazione integrata e ‘flessibile’ relativi soprattutto alla dimensione urbana e a quella regionale, tra cui si ricordan do i Programmi di recupero urbano (PRU), i Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio (PRUSST), i Contratti di programma, i Contratti d’area e i Patti territoriali.
Bibliografia: G. Becattini, Modelli locali di sviluppo, Bologna 1989; Territorialità, sviluppo locale, sostenibilità: il modello SloT, a cura di G. Dematteis, F. Governa, Milano 2005; J. Painter, Territorio/rete, in Geo-grafia. Strumenti e parole, a cura di E. dell’Agnese, Milano 2009, pp. 137-63.