Retroattività delle sentenze costituzionali
La giurisprudenza costituzionale del 2015 riaccende l’annosa querelle sulla modulazione degli effetti temporali delle sentenze di accoglimento, suscitando interessanti spunti di riflessione con riguardo alla delicata operazione di bilanciamento tra regole e principi, alla rilevanza come categoria processuale ormai quasi evanescente, al difficile equilibrio tra Corte costituzionale e giudici comuni.
Che le sentenze di accoglimento pronunciate dalla Corte costituzionale esplichino efficacia retroattiva risulta acclarato sin dalla fine degli anni ’60, quando si riconobbe che, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 136 Cost. e 30, co. 3, l. 11.3.1953, n. 87, le ricadute di una declaratoria di illegittimità travolgono tanto i rapporti futuri, quanto quelli passati o meglio, pendenti. In altri termini, se in forza della disposizione costituzionale, la norma illegittima non è più valida né efficace e dunque, a causa del vizio di cui risulta affetta, cessa di appartenere all’ordinamento, per effetto dell’art. 30, co. 3, l. n. 87/1953, la norma illegittima cessa di essere applicabile. Posto che «la formula adoperata nel citato terzo comma è interpretativa ed integrativa di quella costituzionale, in quanto chiarisce che la pronunzia di illegittimità vale per tutti i processi in corso»1, il congiunto operare delle due disposizioni implica il riconoscimento di un’indubbia retroattività alla declaratoria di incostituzionalità2. Ad eccezione dei soli rapporti cd. esauriti, vale a dire quelli risolti in via stabile e definitiva – e pur tenendo conto dell’operatività di un’eccezione nell’eccezione in materia penale, in forza del favor rei –, sia i rapporti pendenti, a cominciare dal giudizio a quo, dal quale è scaturito l’incidente di costituzionalità, sia quelli futuri vengono quindi irrimediabilmente travolti dall’accertamento dell’illegittimità.
Questa mirabile architettura interpretativa cominciò a vacillare nei primi anni ’80, quando dottrina e giurisprudenza iniziarono a mostrare inequivocabili segnali di insofferenza nei confronti dell’automatica retroattività propria delle sentenze di accoglimento3. Affiorava l’idea che una possibile graduazione degli effetti nel tempo delle pronunce di accoglimento potesse garantire un perfezionamento e non invece, come paventato, un depotenziamento della giustizia costituzionale, consentendo, da un lato «alle Corti interessate una libertà di manovra che rende in concreto più facile far valere la Costituzione, ridimensionando [dall’altro] il timore delle conseguenze che altrimenti ne potrebbero discendere»4.
Militava a favore di tale tesi anche la comparazione con gli ordinamenti di altri Paesi, tra i quali l’Austria, la Germania e il Portogallo, in cui il controllo degli effetti nel tempo delle pronunce era già espressamente disciplinato in Costituzione5.
In mancanza delle tanto auspicate modifiche legislative, è stato lo stesso giudice costituzionale a “liberarsi” dell’eccessiva rigidità che caratterizzava l’armamentario decisionale, provvedendo al contenimento degli effetti retroattivi delle proprie sentenze. A tal fine, la Corte si è avvalsa della cd. illegittimità costituzionale sopravvenuta6 e del cd. bilanciamento di valori7.
È proprio nella delicata opera di bilanciamento effettuata dalla Corte costituzionale che si coglie la ratio sottesa alla possibile regolazione degli effetti temporali della declaratoria di incostituzionalità. Il compito del giudice costituzionale non è infatti quello di «preservare questa o quella parte del dettato costituzionale, quasi che le norme contenute nella Carta fossero entità monadiche»8, ma quello di realizzare «la maggiore reintegrazione possibile dell’ordinamento costituzionale violato». Le norme impugnate non possono essere considerate «“pedine in uno scacchiere”, bensì elementi continui nel contesto sistematico» e il controllo sulle stesse non può quindi essere circoscritto alla specifica fattispecie in cui dovrebbero essere applicate, ma va effettuato nella «situazione normativa complessiva dell’ordinamento»9. In tale contesto, si comprende il motivo per cui la declaratoria di incostituzionalità «non sempre è un dato assoluto … bensì può essere essa stessa un dato relativo, graduale, anche temporalmente condizionato»10. Il contenimento degli effetti temporali delle decisioni di accoglimento e la possibilità di porre dunque dei limiti alla retroattività «è un problema di bilanciamento e dunque di ragionevolezza», che spetta alla Corte assolvere, ammettendo che essa si configuri come «parte attiva nei processi di razionalizzazione dei rapporti tra valori»11. Ciò non significa «incoraggiare la Corte ad assumere un ruolo che non è suo, ma piuttosto contribuire a fare in modo che la Corte assuma più pienamente e consapevolmente la responsabilità di questo suo ruolo»12.
Modulare ragionevolmente gli effetti delle decisioni di accoglimento, superando positivamente i «test che consentano di evitare la frantumazione del canone della casistica»13, è però un’operazione di non poco momento e non esente da critiche.
Indubbiamente, infatti, ammettere tale possibilità significa riconoscere che spetti alla Corte, nell’esercizio di una significativa discrezionalità «valutativa», (forse) contraddistinta da un carattere politico, più che spiccatamente giurisdizionale, effettuare un bilanciamento tra principi e regole14. Il che desta qualche perplessità con riferimento alla regola che nel caso in esame verrebbe “disapplicata”. Significherebbe ammettere che il giudice costituzionale possa procedere ad una «sostanziale riscrittura dell’art. 30, 3°comma, l. 87/1953», chiedendo al giudice a quo e a quelli dei giudizi pendenti di derogare a tale disposizione, in forza dell’impellente necessità di tutelare altri principi costituzionali che altrimenti risulterebbero irrimediabilmente pregiudicati da una dichiarazione di mero accoglimento15.
Limitare la retroattività implicherebbe poi incidere sul legame che intercorre tra il processo costituzionale e il processo a quo, spezzandolo16. È indubbio infatti che una declaratoria di incostituzionalità con efficacia irretroattiva consente alla norma invalidata di continuare ad operare non solo nei processi ancora pendenti, ma anche nella controversia oggetto del giudizio principale. A livello procedurale, ciò significa rimettere in discussione il ruolo e la funzione da ascrivere al controllo sulla rilevanza della questione, salvo a riconoscere che esso debba essere effettuato unicamente dal giudice a quo e non anche dalla Corte ad quem17. A livello sostanziale, privare chi è parte del rapporto pendente di potersi avvalere degli effetti della declaratoria di incostituzionalità collide, da un lato, con il diritto inviolabile alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., dall’altro, con il principio di eguaglianza, a causa dell’inevitabile discriminazione tra le situazioni che beneficiano degli effetti dell’incostituzionalità e quelle che, a causa della modulazione temporale effettuata dalla Corte, ne restano invece escluse18.
A fronte delle profonde divergenze dottrinali manifestate, tra la fine degli anni Ottanta del secolo scorso e il decennio successivo, si auspicava che la Corte uscisse «allo scoperto», delineando il fondamento e i limiti del potere esercitato tramite la modulazione degli effetti temporali della declaratoria di incostituzionalità19.
È solo molti anni dopo, però, che il giudice costituzionale è intervenuto sul tema.
Con la sentenza C. cost., 11.2.2015, n. 10, la Corte si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale, sollevata con riguardo agli artt. 3, 23, 41, 53, 77 e 117 Cost., dell’art. 81, co. 16, 17 e 18 d.l. 25.6.2008, n. 112, convertito con modificazioni dall’art. 1 l. 6.8.2008, n. 133, nella parte in cui prevedeva un prelievo aggiuntivo all’imposta sul reddito delle società, a carico delle imprese che avessero conseguito ricavi superiori a 25 milioni di euro nel periodo di imposta precedente, operanti in determinati settori, tra i quali ad esempio, quello energetico e degli idrocarburi e nella parte in cui sanciva il divieto, per le stesse, di traslare gli oneri dovuti a seguito dell’introduzione di siffatta “addizionale” sui prezzi al consumo. Nel pronunciare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate, la Corte, quale «custode della Costituzione», chiamata a garantirla «come un tutto unitario, in modo da assicurare una tutela sistemica e non frazionata … di tutti i diritti e i principi coinvolti nella decisione», ha deciso di modulare, sotto il profilo temporale, gli effetti della propria decisione, «in modo da scongiurare che l’affermazione di un principio determini il sacrificio di un altro», individuato, nel caso di specie, nell’equilibrio di bilancio di cui all’art. 81 Cost.20 La cessazione degli effetti delle norme dichiarate illegittime dal solo giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale si è resa quindi «costituzionalmente necessaria allo scopo di contemperare tutti i principi e i diritti in gioco, in modo da impedire «alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti e a vantaggio di altri … garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali»21.
Il solido castello costruito, nella sentenza n. 10/2015, intorno all’art. 81 della Costituzione è stato, però, ben presto travolto dalla decisione del 30.4.2015, n. 70, pronunciata poche settimane dopo. Una decisione profondamente diversa, per non dire opposta, che ha suscitato sorpresa e non poche perplessità.
Con la sentenza n. 70/2015, la Corte si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale del co. 25 dell’art. 24 d.l. 6.12.2011, n. 201, convertito con modificazioni dall’art. 1, co. 1, l. 22.12.2011, n. 214, nella parte in cui, per gli anni 2012 e 2013, limitava la rivalutazione monetaria dei trattamenti pensionistici nella misura del 100%, esclusivamente alle pensioni di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 36, primo comma, 38, secondo comma, 53 e 117, primo comma della Costituzione.
Altra sentenza “di spesa”, dunque, in cui però la Corte sembra aver «dimenticato» l’art. 81 Cost.22. La declaratoria di illegittimità viene fondata infatti sulla prevalenza gerarchica dei diritti previdenziali, «dei quali è affermata la supremazia assoluta sulle concorrenti, non ponderate esigenze di solidarietà e di eguaglianza sottese alla manovra finanziaria presupposta dalla “legge Monti” c.d. salva Italia»23. Nessuna traccia dell’art. 81 Cost., nessun riferimento ad un possibile bilanciamento con gli interessi coinvolti e nessuna riflessione sugli effetti macroeconomici che la sentenza comporta e che, pochi mesi prima, avevano invece indotto la Corte a limitare la portata temporale della declaratoria di illegittimità.
Sul contenimento degli effetti retroattivi dell’annullamento, peraltro, dubbi e perplessità si acuiscono con la decisione n. 178, di poco successiva (23.7.2015).
In tale occasione, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale sopravvenuta di alcune disposizioni del d.l. 6.7.2011, n.98, convertito con modificazioni dalla l. 15.7.2011, n. 111, del d.P.R. 4.9.2013, n. 122, della l. 27.12.2013, n. 147 e della l. 23.12.2014, n. 190, nella parte in cui prevedevano il blocco dei contratti dei dipendenti pubblici, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale, nei termini indicati in motivazione. Non sono molto chiare però le ragioni per le quali nella parte motiva (non) si spiega perché l’invalidità sarebbe sopravvenuta e soprattutto perché siffatta declaratoria non debba travolgere il giudizio a quo24.
Assai delicate e problematiche le questioni affrontate dalla giurisprudenza costituzionale nell’anno in corso, con riguardo alla modulazione temporale degli effetti delle declaratorie di incostituzionalità.
Consapevole della irragionevole sproporzione del bilanciamento legislativo, la Corte è intervenuta con un proprio bilanciamento, «alla seconda potenza» che, sovrapponendosi al primo, lo corregge25. D’altra parte, è «l’impatto con i casi concreti» che molto spesso rende “migliore”, perché meglio si attaglia alla realtà, l’interpretazione costituzionale rispetto a quella legislativa26.
Anche a voler ammettere che il bilanciamento (tra regole e principi) compiuto in tal modo sia corretto, la questione diventa problematica quando il cerchio non si chiude perché il giudice a quo, a valle del giudizio della Corte, decide di optare «per un bilanciamento difforme da quello effettuato da quest’ultima e in forza di tale diverso bilanciamento disapplicare, anche solo parzialmente, la decisione del Giudice delle leggi»27.
È quanto avvenuto a seguito della sentenza n. 10/2015, quando la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, che aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale, ha deciso di applicare la sentenza anche nel giudizio a quo, ignorando la delimitazione temporale degli effetti di incostituzionalità – indicata nella motivazione, ma non nel dispositivo – sulla base di una presunta «illegittimità della motivazione della sentenza», nella parte in cui pretende di disapplicare, di fatto, il meccanismo della pregiudizialità28.
Assai discutibile la “ribellione” istituzionale mostrata dalla Commissione tributaria: una vera e propria resistenza alla forza politica e non solo giuridica dell’organo di giustizia costituzionale che si traduce di fatto in una violazione del divieto di impugnazione delle sentenze di cui all’art. 137, ult. co., Cost.29 Una deviazione del giudice a quo, opinabile sia nell’an che nel quomodo.
Il seguito giurisprudenziale della sentenza n. 10, decisione di indiscusso rilievo, se non addirittura «di una qualche storicità»30, mostra quanto sia significativo e determinante «in tutta la sua decisività il profilo della motivazione e della sua forza persuasiva»31.
Nonostante i moniti in tal senso provenienti dalla dottrina già sul finire degli anni Ottanta, la Corte si è successivamente esposta ad una nuova e pesante critica, laddove nella sentenza n. 178/2015, il contenimento degli effetti retroattivi della declaratoria di illegittimità non appare supportato da un solido apparato motivazionale. Tale carenza rende evidente l’estrema debolezza della pronuncia e alimenterà la discussione sul se e in che modo la Corte abbia effettivamente oltrepassato i limiti connaturati all’esercizio del potere di modulazione degli effetti delle decisioni di accoglimento, con una pronuncia che rischia di assumere una colorazione (forse troppo) accentuatamente politica.
1 Cfr. C. cost., 24.4.1996, n. 127.
2 Sul tema, cfr. Politi, F., Gli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, Padova, 1997, 10 ss.
3 Sul tema, cfr. Celotto, A., Corte costituzionale e legislatore. Riflessioni sugli interventi normativi volti a limitare l’efficacia nel tempo di decisioni di incostituzionalità, in Trasformazioni della funzione legislativa, a cura di F. Modugno, Milano, 1999, 99.
4 Così, Paladin, L., Saluto, in AA.VV., Strumenti e tecniche di giudizio della Corte costituzionale, Atti del Convegno di Trieste 2628 maggio 1986, Milano, 1988, 7.
5 Si veda, in tal senso, anche La Pergola, A., La giustizia costituzionale nel 1986, in Foro it., 1987, V, 156 ss.
6 Cfr. C. cost., 5.5.1988, n.501, 26.3.1991, n. 124.
7 Cfr. C. cost., 9.3.1988, n. 266; 16.2.1989, n. 50; 9.11.1992, n. 416.
8 In tal senso, cfr. Pinardi, R., La modulazione degli effetti temporali delle sentenze d’incostituzionalità e la logica del giudizio in via incidentale in una decisione di accoglimento con clausola di irretroattività, in www.giurcost.org, 20.4.2015, 224.
9 Così, Modugno, F., Considerazioni sul tema, in Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale anche con riferimento alle esperienze straniere, Atti del seminario di studi tenuto al Palazzo della Consulta il 23 e 24 novembre 1988, Milano, 1989, 24 s.
10 In tal senso, cfr. Modugno, F., op. ult. cit., 25.
11 Per tale orientamento, cfr. Mezzanotte, C., Il contenimento della retroattività degli effetti delle sentenze di accoglimento come questione di diritto costituzionale sostanziale, in Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale, cit., 44 s.
12 Così, cfr. Panunzio, S., Incostituzionalità «sopravvenuta», incostituzionalità progressiva ed effetti temporali delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, in Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale, cit., 357.
13 Così, Mezzanotte, C., Il contenimento della retroattività, cit., 46.
14 Sul bilanciamento tra regole e principi e sulla differenza tra gli stessi ai fini del contenimento degli effetti temporali delle pronunce di accoglimento, si veda Ruotolo, M., La dimensione temporale dell’invalidità della legge, Padova, 2000, 139 ss.
15 In tal senso, cfr. le riflessioni di Romboli, R., L’“obbligo” per il giudice di applicare nel processo a quo la norma dichiarata incostituzionale ab origine: natura incidentale del giudizio costituzionale e tutela dei diritti, in www.forumcostituzionale.it, 6.4.2015, 14.
16 In tal senso, cfr. Zagrebelsky, G., Il controllo da parte della Corte costituzionale degli effetti temporali delle pronunce di incostituzionalità: problemi e limiti, in Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale,cit., 211. Analogamente, cfr. Zagrebelsky, G. Marcenò, V., Giustizia costituzionale, Bologna, 2012, 346.
17 Così, Morelli, M.R., Esiti del Seminario. La sent. n. 50 del febbraio 1989 e l’accoglimento del nuovo modello decisorio di declaratoria di incostituzionalità «sopravvenuta» a seguito di precedente pronuncia monitoria, in Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale,cit., 421.
18 Per tale orientamento, cfr. Pace, A., Effetti temporali delle decisioni di accoglimento e tutela costituzionale del diritto di agire nei rapporti pendenti, in Effetti temporali delle sentenze della Corte costituzionale,cit., 59 s.
19 In tal senso, cfr. Panunzio, S., Incostituzionalità «sopravvenuta», cit., 284 s.
20 Cfr. C. cost. n. 10/2015, § 7 del Considerato in diritto.
21 Cfr. C. cost. n. 10/2015, § 8 del Considerato in diritto.
22 Sul tema, cfr. Morrone, A., Ragionevolezza a rovescio: l’ingiustizia della sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale, in www.federalismi.it, 20.5.2015, 4 ss.
23 Così, Morrone, A., op. ult. cit., 4.
24 Sula decisione, cfr. Ruggeri, A., La Corte costituzionale e la gestione sempre più “sregolata” dei suoi processi, in Questione giust., 27.7.2015, 2 ss.
25 In tal senso, cfr. Modugno, F., La ragionevolezza nella giustizia costituzionale, Napoli, 2007, 34 s.
26 Così, Chessa, O., I giudici del diritto. Problemi teorici della giustizia costituzionale, Milano, 2014, 248.
27 Così, Morelli, A., Principio di totalità e «illegittimità della motivazione»: il seguito giurisprudenziale della sentenza della Corte costituzionale sulla Robin tax (a proposito di Comm. Trib. Prov. Reggio Emilia, 12 maggio 2015, n. 217/3/15), in www.giurcost.org., 485.
28 Cfr. Comm. trib. prov. Reggio Emilia, 12.5.2015, n. 217/3/15, punto 4.
29 Così, Morelli, A., Principio di totalità, 485 s.
30 In tal senso, cfr. Gabriele, F. Nico, A.M., Osservazioni “a prima lettura” sulla sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2015: dalla illegittimità del “togliere ai ricchi per dare ai poveri” alla legittimità del “chi ha avuto, ha avuto, ha avuto…scordiamoci del passato”, in www.rivistaaic.it, 1.5.2015, 1.
31 In tal senso, cfr. Mezzanotte, C., op. cit., 46.