retroformazioni
La retroformazione consiste nella formazione di una parola nuova a partire da una parola già esistente tramite la cancellazione di elementi interpretati (erroneamente) come ➔ affissi: telemisurare da telemisurazione, perquisire da perquisizione, meridione da meridionale, mufo da muffione «muflone».
La parola nuova è interpretata come la base di derivazione di quella già esistente: da qui il nome del processo, che agisce per sottrazione, quindi in direzione contraria a quella usuale per i processi di ➔ formazione delle parole, i quali si realizzano invece con l’aggiunta di morfemi. Nei processi di ➔ derivazione è infatti possibile riconoscere una direzione, che normalmente va dalla parola con struttura morfologica più semplice verso quella con struttura più complessa (cfr. Iacobini 1996):
(1) utile → inutile; bello → bellezza
Il risultato della retroformazione è invece una parola con una struttura morfologica più semplice rispetto a quella a partire dalla quale è formata.
La parola retroformata è normalmente coniata secondo modelli che rispettano i rapporti paradigmatici tra le parole di una lingua. Nella maggior parte dei casi, è la conoscenza etimologica che rivela che una parola è una retroformazione. Ad es., la conoscenza del latino permette di affermare che i verbi italiani acquisire, inquisire, perquisire, requisire non derivano dal latino stesso (cfr. acquirĕre, inquirĕre, perquirĕre, requirĕre), ma da una retroformazione a partire dai derivati nominali italiani (acquisizione, acquisito, inquisizione, inquisito, perquisizione, requisizione). Lo stesso vale per i verbi prelare (it. prelazione, lat. praefĕrre, da cui it. preferire), correlare, relare (cfr. it. relazione, correlazione, lat. refĕrre, da cui it. riferire), redarre (it. redatto, lat. redigĕre), ecc.
Il processo di retroformazione è di tipo analogico: un verbo come ablare «asportare chirurgicamente; erodere il terreno» (cui corrisponde il lat. aufĕrre «portare via») è ottenuto riempiendo la casella vuota di una proporzione come la seguente:
(2) creazione : creare = ablazione : x
L’esistenza di serie derivazionali permette di ipotizzare che un verbo sia alla base del nome suffissato attestato nella lingua. Tale interpretazione è suffragata dal fatto che le retroformazioni sono frequenti nella fase di apprendimento della lingua sia da parte di nativi sia di stranieri (➔ acquisizione dell’italiano come L2): si veda aviare «pilotare un aereo», retroformazione da aviatore, nella lingua di una bambina italiana di sei anni (Lo Duca 1990: 132). La quantità di retroformazioni regredisce col tempo grazie all’ampliarsi della conoscenza del lessico, che blocca l’uso di parole possibili ma non presenti nella lingua: per es., guidante per volante (di automobili), tenga per corrimano.
Sebbene sia esito di processi analogici (➔ analogia), e quindi contribuisca alla regolarizzazione delle relazioni tra le parole, la retroformazione è un processo marginale, per lo più dovuto a creazioni deliberate o scherzose, lapsus, o a etimologia popolare (➔ paretimologia; ➔ rianalisi).
A questo riguardo, è opportuno ricordare che l’attestazione sia di verbi regolari in -izzare successiva a quella di derivati nominali in -izzazione (per es., tindalizzare 1942; tindalizzazione 1919), sia di verbi non prefissati successiva a quella dei prefissati (per es., forestare 1992; deforestare 1983), è di solito interpretata come la realizzazione di una fase intermedia (rimasta virtuale per un certo periodo di tempo) di un processo additivo di formazione delle parole secondo il normale iter derivazionale, e non come esempio di retroformazione.
Oltre alla formazione di parole non etimologica (redarre da redatto), si parla di retroformazione nei casi in cui la parola si discosta in qualche modo dalle regole di formazione delle parole vigenti. Rainer (2004) segnala, ad es., il caso di compravendere, probabilmente retroformato da compravendita, e non formato da comprare e vendere, in ragione del fatto che l’italiano non ha un tipo produttivo di composizione verbale a partire da due verbi; discorso analogo vale per usufruire, retroformazione da usufrutto, rendicontare retroformazione da rendiconto, ecc.
Oltre che da irregolarità sul piano formale, la retroformazione può essere individuata anche grazie a fattori semantici. Ad es., il verbo inglese to televise è da considerare un caso di retroformazione da television, non tanto perché attestato più tardi, ma soprattutto per la sua semantica. Il significato del verbo to televise «trasmettere per televisione» presuppone infatti l’esistenza del nome television, diversamente da quanto accade nelle coppie di derivati formati secondo il normale principio di derivazione, nei quali il verbo ha un significato più generale rispetto all’azione espressa dal nome derivato, che è normalmente parafrasabile «l’atto di V» (cfr. vedere / visione).
La retroformazione può talvolta estendersi nell’uso fino a permettere l’instaurarsi di una regola di formazione delle parole. Si pensi a verbi come teleguidare, telepilotare, teleriscaldare, videoregistrare, videoprodurre, equidistribuire, equiscomporre, tutti attestati dopo le corrispettive formazioni nominali, ma soprattutto risultati di un processo formativo che ha alcuni precedenti latini (crocifiggere, equivalere) e che però costituisce una vera novità nella formazione delle parole dell’italiano del XX secolo (cfr. Iacobini & Thornton 1992) e può porre le premesse per lo sviluppo di un tipo formativo regolare (lo stesso verbo retroformare può essere considerato un esempio di tale tendenza).
La maggior quantità di verbi di origine latina in italiano rispetto alle altre lingue romanze ha determinato un minor ricorso alla retroformazione nella coniazione di verbi di uso comune: fr. compresser da compression rispetto a it. comprimere; fr. exploser da explosion rispetto a it. esplodere; fr. contracter da contraction e it. contrarre, fr. progresser e it. progredire; ➔ lingue romanze e italiano). In casi simili, lo spagnolo tende a colmare le lacune lessicali tramite ➔ conversione invece che per retroformazione: spagn. erosionar da erosión e it. erodere; spagn. ilusionar da ilusión e it. illudere, spagn. solucionar e it. risolvere). Anche l’italiano può ricorrere alla conversione qualora il verbo di origine latina non sia stato accolto nella lingua: confezionare da confezione e lat. conficĕre; collezionare da collezione e lat. colligĕre; addizionare da addizione e lat. addĕre (sull’argomento, cfr. Iacobini 2005).
La retroformazione si distingue dunque dalla conversione per il fatto di formare parole morfologicamente meno complesse, mentre la conversione consiste nella formazione di una parola appartenente a una parte del discorso diversa da quella della base senza l’intervento di un affisso derivazionale, e di uguale complessità morfologica. La retroformazione si distingue anche dalle ➔ abbreviazioni o riduzioni (sub da subacqueo, prof da professore, frigo da frigorifero, spaghi da spaghetti, spino da spinello, Teo da Matteo), perché l’abbreviazione non forma parole nuove, ma varianti di parole esistenti, connotate da un registro più basso e spontaneo.
In italiano, la stragrande maggioranza delle retroformazioni ha come risultato verbi. Ciò è probabilmente dovuto (secondo Rainer 2004) alla maggiore predicibilità del significato del verbo a partire da un nome o da un aggettivo deverbale rispetto al rapporto semantico fra basi nominali o aggettivali e loro derivati. Tra i pochi nomi e aggettivi retroformati: alfabeta da analfabeta, filibusta da filibustiere, sfiga da sfigato, ubiquo da ubiquità; ciclame e latticino derivano da un’errata interpretazione come accrescitivo e diminutivo delle sequenze finali delle parole ciclamino e latticini (il singolare della parola è invece latticinio).
La retroformazione è talvolta usata a fini scherzosi, come in talune parole usate da comici, fra cui ricordiamo: perplimere a partire da perplesso (sulla base del rapporto tra infinito e participio in verbi quali comprimere → compresso, reprimere → represso), friare con il significato «sbriciolarsi» a partire da friabile, colare col significato «fare colazione».
Possono esser considerati casi di retroformazione gli sporadici fenomeni che appartengono all’ambito flessivo, fra i quali il singolare di uso popolare caco, dovuto a una erronea interpretazione del nome del frutto cachi (dal giapponese kaki) come un plurale maschile, e per ragioni analoghe lapislazzulo, nocco, impero (cfr. lat. imperium).
Grossmann, Maria & Rainer, Franz (a cura di) (2004), La formazione delle parole in italiano, Tübingen, Niemeyer.
Iacobini, Claudio (1996), Il principio di direzionalità nella morfologia derivazionale, «Lingua e stile» 31, 2, pp. 215-237.
Iacobini, Claudio (2005), Restrizioni sulla formazione dei verbi denominali: il caso dei nomi di azione, in Morfologia e dintorni. Studi di linguistica tipologica ed acquisizionale, a cura di N. Grandi, Milano, Franco Angeli, pp. 69-85.
Iacobini, Claudio & Thornton, Anna M. (1992), Tendenze nella formazione delle parole nell’italiano del ventesimo secolo, in Linee di tendenza dell’italiano contemporaneo. Atti del XXV congresso internazionale della Società di Linguistica Italiana (Lugano, 19-21 settembre 1991), a cura di B. Moretti, D. Petrini & S. Bianconi, Roma, Bulzoni, pp. 25-55.
Lo Duca, Maria G. (1990), Creatività e regole. Studio sull’acquisizione della morfologia derivativa dell’italiano, Bologna, il Mulino.
Rainer, Franz (2004), Retroformazioni, in Grossmann & Rainer 2004, pp. 495-497.