rettitudine
Il termine volgare ricorre solo in Cv IV XXI 14 E però vuole santo Augustino, e ancora Aristotile nel secondo de l'Etica, che l'uomo s'ausi a ben fare e a rifrenare le sue passioni, acciò che questo tallo, che detto è, per buona consuetudine induri, e rifermisi ne la sua rettitudine, sì che possa fruttificare. Il valore è quello di " dirittura ", a designare ciò che si eleva dritto, eretto, o che, comunque, prosegue in direzione rettilinea.
Il termine è strettamente connesso a quello latino di rectitudo (che traduceva il greco ὀρθότης) e al linguaggio geometricoagrimensorio da cui proviene. Nel passo dantesco l'uso, quanto alla metafora agreste del tallo o ramo che cresce diritto, è proprio, mentre in senso traslato passa a significare la ‛ dirittura ' o ‛ rigore ' morale. Qui la progressione tallo - ‛ indurare ' o consolidare per consuetudine - ‛ fissare ' o rifermare nella r. - ‛ fruttificare ', ripercorre metaforicamente lo sviluppo dell'appetito umano al bene (cfr. § 13) che da hormen, attraverso l'esercizio (per... consuetudine) della virtù (buona), viene opportunamente cresciuto (bene culto) e ‛ indirizzato ' (sostenuto diritto), fino a produrre azioni virtuose e, con esse, la felicità.
Il rinvio al secondo libro dell'Etica aristotelica è generico, e si riferisce alla dottrina della virtù come abito acquisito attraverso l'esercizio (ausi, consuetudine) del ben fare e del rifrenare le ... passioni (cfr. Eth. Nic. II 6, 1106a 14 ss.). Nello stesso luogo Aristotele ricordava come la virtù è medietà che si ‛ dirige ' al bene, scartando ogni ‛ deviazione ' o errore, attraverso l'unica via che è quella retta.
Alla rectitudo come dirittura (cfr. Cv IV XVII 6) nel senso geometrico, morale e logico, fanno riferimento le occorrenze latine. In Mn I XI 3 la iustitia è definita come quaedam rectitudo sive regula obliquum hinc inde abiciens.
La giustizia è qui rappresentata, con terminologia geometrica, come la ‛ linea retta ' (rectitudo) o il ‛ regolo ' che la traccia (regula), che opera una ' equa ' suddivisione escludendo (abiciens) da ambedue le sue parti (hinc inde) ogni linea obliqua (obliquum). Per traslato D. vuol indicare la giustizia come ' via retta ' o norma vera e certa, che rigetta da sé ogni ‛ deviazione ' o errore. In III XIII 5 ne auctorizatus a tramite rectitudinis deviaret, il significato è del tutto aderente a quest'ultima accezione di " retto cammino " in cui consiste la norma giuridica e morale da cui non è consentito discostarsi. In II VII 3 human ratio in sua rectitudine, il termine indica piuttosto l'uso logicamente ' corretto ' della ragione naturale che deve adeguarsi all'intentio naturae.
Nel De vulg. Eloq. il termine è nel suo pieno senso di " dirittura morale ", in quanto directio voluntatis (II II 8) tesa al bene mediante la virtù. Qui la r. è intesa come directio voluntatis in quanto la volontà buona è una " recta ordinatio ad bonum finem " (Bonaventura II Sent. 28 11) che ha come fine la caritas o amore (" caritas est finis bonae voluntatis ", ibid. 2). Tommaso parlava di " rectitudo voluntatis " come quella che " requiritur ad beatitudinem " in quanto è " per debitum ordinem ad finem ultimum " (Sum. theol. I II 4 4 C, e ad 2, cfr. anche Cont. Gent. IV 92). Ma in D. era ovviamente presente il tema aristotelico della r. come ‛ retta deliberazione ' (v. EUBULIA) presente nell'Etica (VI 9, 1142 6 7 ss.) " quia qui... male consiliatur, peccat, qui autem bene, recte consiliatur; manifestum quoniam rectitudo quaedam eubulia ". Sulla r. della volontà era peraltro fondata la vera amicizia e vero amore (Eth. Nic. IX 4, 1166 a 1 ss.).
In tal senso in VE I XII 4 la rectitudinem suae formae indica il " rigore morale " di Federico imperatore e di Manfredi. Alla stessa virtù della r. fa riferimento II II 9 (2 volte), come uno dei tre magnalia (cioè la directio voluntatis) su cui hanno poetato, in volgare, Giraldo di Borneilh e D. stesso (Circa quae sola... illustres viros invenimus vulgariter poetasse, scilicet Bertramum de Bornio arma, Arnaldum Danielem amorem, Gerardum de Bornello rectitudinem; Cynum Pistoriensem amorem, amicum eius [cioè D.] rectitudinem); più volte D. ricorderà come esempio del suo poetare sulla r. la canzone Doglia mi reca ne lo core ardire (v.), dove il tema morale della virtù viene nettamente in risalto rispetto all'amore come fonte di puro diletto. Con la canzone Doglia mi reca " il cantor rectitudinis esce dal cantore d'Amore " (Contini, Introduzione all'ediz. delle Rime, p. XIX); v. DE VULGARI ELOQUENTIA: Significato; RETTO.