retto
Vale " diritto ", e in traslato, con riferimento all'atteggiamento morale, " onesto " (v. RETTITUDINE). L'equivalente greco ὅρθός è termine tecnico della geometria, impiegato quindi anche nello studio della prospettiva e dell'ottica.
L'uso di r. nella Vita Nuova e nel Convivio cade in contesti che fanno riferimento alla teoria della visione, secondo la quale il percorso dell'immagine dall'oggetto alla pupilla che la percepisce è pensabile come una ‛ linea r. ', cioè come un segmento che rappresenta la distanza più breve - qual è possibile tracciare mediante un ‛ regolo ' che non consenta deviazioni - tra due punti, rispettivamente l'oggetto e l'occhio: cfr. Vn V 1 nel mezzo di lei [Beatrice] e di me per la retta linea sedea una gentile donna... la quale mi mirava spesse volte, maravigliandosi del mio sguardare, che parea che sopra lei terminasse, e 2 colei che mezzo era stata ne la linea retta che movea da la gentilissima Beatrice e terminava ne li occhi miei. La gentile donna che viene a trovarsi sulla linea che corre " diritta " dallo sguardo di D. alla figura di Beatrice, e, viceversa; da Beatrice agli occhi di D., ritiene per ciò stesso di essere oggetto dell'insistente guardare del poeta.
Concepito il rapporto tra l'occhio e il campo visivo come quello che intercorre tra la base di una piramide e il vertice di essa, in modo che da tutti i punti della base si possano tracciare linee r. terminanti al vertice, in Cv II IX 4 D. può affermare che è oggetto di percezione cosciente (si vede) ed è possibile conservare (ne la imaginativa si suggella) solo l'immagine della cosa che corre lungo la linea rappresentante l'asse della piramide e che va dal centro del campo visivo al centro della pupilla (quella che viene per retta linea ne la punta de la pupilla) là dove, secondo la dottrina medica del tempo, è orientato il nervo ottico percorso dallo spirito visivo (‛ agente ' della visione) che raccoglie le immagini e le porta al cervello, dove si compie la visione. Per questo motivo, continua il poeta, non è possibile che un uomo fissi lo sguardo negli occhi di un altro senza che entrambi abbiano la percezione di ciò che sta di fronte: ché, si come quello [occhio] che mira riceve la forma ne la pupilla per retta linea, così per quella medesima linea la sua forma se ne va in quello ch'ello mira (§ 5); le pupille di entrambi, infatti, costituiscono, ancora una volta, i punti terminali di una linea r. lungo la quale si muovono le immagini (‛ forme ') di chi mira e di quello ch'ello mira.
In Cv III III 13 si afferma che l'occhio vede chiaramente gli oggetti vicini, e sempre meno chiaramente quelli più lontani, distribuiti lungo un asse rappresentabile come una linea r.: come chi guarda col viso con[tra] una linea retta, prima vede le cose prossime chiaramente; poi, procedendo, meno le vede chiare; poi, più oltre, dubita; poi, massimamante oltre procedendo, lo viso disgiunto nulla vede. Il senso del passo è sufficientemente chiaro, ma il testo pone un problema agli editori: là dove Busnelli-Vandelli leggono contra, la '21 ha come; la Simonelli propone di leggere [an]co 'n, che pensa di parafrasare " continuando a guardare insistentemente nella direzione di "; infine la Brambilla Ageno (Nuove proposte per il " Convivio ", in " Studi d. " XLVIII [1971] 126) legge per una linea retta, che (in luogo di con[tra] una linea retta), che è lezione trasmessa da codici non utilizzati dagli editori.
La donna retta di Rime LXXX 19 è la donna " ‛ onesta ' con in più un sentimento rigido, scostante verso gli altri, dell'onestà " (Barbi-Pernicone).
In Pd XIII 102 r. è sostantivato e sta per " angolo retto ": Salomone, afferma D., non chiese a Dio la conoscenza della geometria, non chiese, cioè, se in un semicerchio possa essere iscritto un triangolo che non sia rettangolo, che non abbia perciò un angolo r. (se del mezzo cerchio far si puote / trïangol si ch'un retto non avesse).