REVOCA (lat. revocatio; fr. revocation; sp. revocación; ted. Widerruf; ingl. revocation)
Diritto privato. - Diritto romano. - Consiste: a) in una dichiarazione di volontà unilaterale, rivolta ad estinguere gli effetti di un precedente negozio giuridico valido e a ripristinare, per quanto è possibile, lo stato di cose che esisteva prima che si verificassero quegli effetti, oppure semplicemente rivolta a ritirare la proposta o l'accettazione di un contratto; b) nel ritorno, per l'avverarsi di un dato avvenimento o per lo scadere di un termine, di un diritto soggettivo di solito reale, al suo precedente titolare.
La revoca, che consiste in una dichiarazione di volontà, ha efficacia principalmente nei seguenti casi:
1. Mandato. - La revoca, che il mandante faccia del mandato, prima che il mandatario abbia iniziato l'esecuzione dell'incarico ricevuto, estingue l'obbligazione di costui; la revoca, avvenuta dopo, obbliga il mandante a risarcire il mandatario delle spese e dei danni eventualmente subiti per l'esecuzione. Secondo il diritto postclassico, il mandato, col quale per effettuare la cessione di un credito si nominava procurator in rem suam il cessionario, non era revocabile dopo che costui avesse notificato la cessione al debitore ceduto.
2. Donazione. - Tanto il patrono, quanto il parens manumissor possono revocare per ingratitudine del donatario le donazioni rispettivamente fatte al liberto o al figlio emancipato. Nel diritto classico il giudizio, se ci fosse stata, o no, ingratitudine, spettava al patrono o al parens, nel diritto postclassico soltanto al magistrato. I patroni, poi, possono revocare le donazioni fatte ai liberti anche per sopravvenienza di figli. Il diritto postclassico, mentre determina tassativamente i casi di ingratitudine, dichiara revocabili per questa causa anche le donazioni fra ascendenti e discendenti e Giustiniano, finalmente, tutte quante le donazioni. L'azione, che garantisce al donante il diritto di revoca, è personale e non si trasmette né ai suoi eredi né contro gli eredi del donatario; essa si può far valere solo nella misura dell'arricchimento calcolato nel giorno in cui si intenta l'azione. La donazione può essere inoltre revocata se il donatario non adempie l'onere impostogli. All'uopo il diritto classico riconosceva al donante un'azione personale contro il donatario; il diritto postclassico addirittura una rei vindicatio utilis, sicché in questo caso si deve parlare di revoca reale. Le donazioni mortis causa, eseguite dal donante, sono revocabili solo se il donante si sia riservata la facoltà di revocare a suo arbitrio, oppure se gli premuoia il donatario, oppure se egli sfugga a un dato pericolo. Anche in tal caso il diritto giustinianeo attribuisce al donante oltre all'azione personale, una rei vindicatio utilis, ossia riconosce anche qui una revoca reale.
3. Testamento. - Il principio della revocabilità del testamento è rigorosamente osservato dal diritto romano e perciò non hanno valore le clausole che tolgano al testatore la facoltà di revoca. Questa abbisogna di determinate forme. Così, secondo lo ius civile, occorre un nuovo testamento, valido, il quale annullerà completamente quello anteriore anche là dove le nuove disposizioni non sono in contrasto con le precedenti. Un'eccezione si ha solo a proposito del testamento militare. Secondo lo ius honorarium, invece, se il testatore distrugge il primo testamento o ne rompe i suggelli o ne cancella l'istituzione con l'intenzione di revocare, gli eredi ab intestato possono ottenere la bonorum possessio cum re e un'exceptio doli contro gli eredi testamentarî che esperimentassero la hereditatis petitio. Se il testatore, fatto il secondo testamento, poi lo distrugge per ridare forza al primo, ciò varrà come revoca della revoca e quindi l'istituito nel primo testamento potrà chiedere la bonorum possessio, che sarà cum re se si tratti di eredi legittimi. Nel diritto postclassico quelle differenze sono cadute e la revoca può avere luogo tanto con la confezione di un nuovo testamento quanto con la distruzione di quello precedente. Inoltre, per una costituzione di Teodosio II e di Valentiniano III, ha efficacia revocatoria anche un testamento che sia formalmente invalido, purché a favore degli eredi legittimi esclusi dal primo e purché confermato dal giuramento di cinque testimoni. Giustiniano, infine, riformando pure una precedente costituzione di Teodosio II e di Onorio, stabilisce che dopo dieci anni un testamento può essere revocato mediante dichiarazione fatta innanzi a tre testimoni o all'autorità pubblica.
4. Legato e fedecommesso. - Per diritto civile occorreva che il testatore, o nel testamento medesimo o in un codicillo confermato, dichiarasse la sua volontà di annullare il legato con formule solenni contrarie a quelle usate per costituirlo. Per i fedecommessi bastava che in qualsiasi modo apparisse la contraria volontà del testatore. Era sufficiente, ad es., il fatto che gravi inimicizie fossero insorte fra il testatore e il fedecommissario. L'accostamento, verificatosi già durante l'epoca classica fra i legati e i fedecommessi, portò a un'estensione delle regole di questi a quelli, per cui si riconobbe una revoca tacita anche per i legati, precisamente quando il testatore avesse compiuto degli atti incompatibili con la volontà di legare. Questa revoca tacita dei legati fu però riconosciuta dal diritto onorario, il quale concesse all'erede un'exceptio doli, contro chi, non tenendo conto della sopravvenuta volontà (manifesta o presunta) del testatore, avesse voluto valersi del legato. Per ciò che riguarda in particolare l'alienazione da parte del testatore della cosa legata, secondo il diritto classico, vigevano questi principî: il legato per vindicationem si estingueva; quello per damnationem rimaneva valido, tuttavia l'opinione dominante fra i giuristi romani, almeno a partire da una certa epoca, lo ritenne impugnabile con l'exceptio doli; il fedecommesso cadeva, giacché nell'alienazione si scorgeva un'indubbia volontà di revocare. Il diritto giustinianeo (è incerto se dietro qualche spunto classico) riconosce revoca tacita dei legati e dei fedecommessi solo quando da quegli atti risulti che il disponente abbia avuto in concreto l'intenzione di revocare. La revoca sotto condizione fa che il legato o il fedecommesso si considerino lasciati sotto la condizione opposta.
5. Revocatio in servitutem. - Istituto noto ai diritti greci, diventa norma generale del diritto romano solo a partire da Costantino. Il liberto può essere revocato in servitù mediante accusatio ingrati liberti, anche se si sia reso colpevole di lieve offesa verso il patrono. Tale potere di revoca spetta al patrono che abbia manomesso lo schiavo per sua liberalità; inoltre, per una disposizione degli imperatori Onorio e Teodosio II, agli eredi di quello, quando fossero stati offesi dal liberto e, finalmente, per una costituzione di Teodosio II e Valentiniano III, spetta anche contro i figli dei liberti.
6. Revocatio in duplum. - Il convenuto, il quale ritiene affetta da vizî formali del procedimento o della pronuncia la sentenza di condanna, può chiederne l'annullamento esponendosi a pagare il doppio della condanna nel caso che il nuovo giudizio sulla validità o meno della sentenza impugnata risulterà a lui sfavorevole. Tale istituto, noto sin sul finire dell'epoca classica, è sparito con Giustiniano.
7. Revocatio emancipationis. - Per una costituzione di Costantino il Grande, il padre può revocare l'emancipazione per grave ingratitudine del figlio. La disposizione si spiega tenendo conto che all'epoca di quell'imperatore l'emancipazione era considerata un benefizio reso al figlio.
Si ha revoca nel secondo significato, di sopra accennato, a proposito della revoca dei diritti reali, che ricorre quando un diritto reale, acquistato in virtù di un negozio giuridico valido, viene a perdersi per l'avverarsi di una condizione risolutiva o per il sopraggiungere del termine apposti a quel negozio. E a questo proposito si parla di revoca reale o ipso iure di un diritto reale, in ispecie della proprietà, quando questa, trasferita a termine o sotto condizione risolutiva, ritorna immediatamente all'alienante, senza bisogno di un apposito atto di trasmissione da parte dell'acquirente. Tale specie di revoca si contrappone a quella obbligatoria, per cui al giungere del termine o al verificarsi della condizione, l'alienante acquista un credito verso l'acquirente perché costui gli restituisca la cosa nei modi richiesti. A proposito della revoca dei diritti reali poi bisogna distinguere l'ipotesi ch'essa operi con effetto retroattivo o senza quest'effetto; nella prima, la cosa ritorna all'antico proprietario nella condizione in cui si trovava nel momento stesso dell'alienazione, mentre nella seconda ritorna nella sua condizione giuridica, cioè con i gravami su essa costituiti durante il tempo ch'è rimasta presso l'acquirente. Per lo stato delle fonti del diritto romano è sorto il problema se questo diritto abbia ammesso oppure no la revoca reale. La questione si pone specialmente a proposito della vendita sotto condizione risolutiva (in diem addictio e lex commissoria), della dote, della donazione a causa di morte, della donazione nuziale, di quella modale.
La dottrina moderna, nella grande maggioranza, argomentando dal carattere di perpetuità del dominio e da alcune interpolazioni (v. sopra tutto Cod., VIII, 54 [55], de donat. q. sub modo, ecc., 2), ritiene che il diritto classico riconosceva soltanto la revoca obbligatoria, e che il diritto giustinianeo, invece, accanto all'obbligatoria, ammette nei casi suddetti la revoca reale con effetto retroattivo e pone nella volontà delle parti il criterio per stabilire se nel caso concreto debba ricorrere l'una o l'altra.
Diritto moderno. - Sul significato di revoca valgono le distinzioni già poste per il diritto romano.
a) Revoca del mandato. - Il mandante può revocare il mandato, quando voglia, e costringere il mandatario a restituire lo scritto comprovante il mandato. Questa facoltà spetta al mandante anche quando abbia promesso al mandatario un onorario, giacché questo non trasforma il mandato in un contratto bilaterale. Nel mandato commerciale la revoca senza giusta causa dà luogo al risarcimento dei danni. La revoca può avvenire in modo espresso o tacito, ad es., con la nomina dì un nuovo mandatario per il medesimo affare; in tal caso essa ha efficacia dal giorno in cui è stata notificata al mandatario precedente. Se la revoca è notificata solo al mandatario, essa non si può opporre ai terzi che, ignorandola, avessero contrattato in buona fede con quello (articoli 1758-1760 e 1762 cod. civ.; 366 cod. comm.).
b) Revoca della donazione. - Per principio generale le donazioni sono irrevocabili. Eccezionalmente si possono revocare: 1. per inadempimento degli oneri imposti al donatario; 2. per ingratitudine del donatario; 3. per sopravvenienza di figli. In tutti e tre questi casi l'annullamento della donazione avviene per pronuncia dell'autorità giudiziaria, in seguito a domanda proposta dal donante entro i termini di legge: articoli 1082 e 1090 cod. civ.; essa, inoltre, non importa pregiudizio ai terzi che abbiano acquistato dei diritti sugli immobili anteriormente alla trascrizione della domanda di revoca: art. 1080 cod. civ. La revoca per ingratitudine del donatario, come disposizione di diritto eccezionale, non ammette estensione analogica; per ciò si può proporre solo nei seguenti casi espressamente designati dalla legge: 1. se il donatario abbia attentato alla vita del donante; 2. se si sia reso colpevole verso di esso di altri delitti, sevizie, ingiurie gravi; 3. se gli neghi, quando ne sia obbligato, gli alimenti. L'azione relativa si prescrive in un anno, ed essendo personalissima, così attivamente come passivamente, non può proporsi dal donante contro gli eredi del donatario, né di regola dagli eredi del donante contro il donatario: articoli 1081 e 1082 cod. civ. La revoca per sopravvenienza di figli si può chiedere efficacemente quando al donante, che non aveva figli o discendenti legittimi al tempo della donazione, nasca un figlio legittimo anche postumo (non importa che fosse già concepito al tempo della donazione) purché vivo e vitale, oppure quando il donante abbia legittimato per susseguente matrimonio un figlio naturale, purché nato dopo la donazione: art. 1083 cod. civ. L'azione relativa si prescrive in cinque anni: art. 1090 cod. civ. Non sono revocabili per ingratitudine né per sopravvenienza di figli le donazioni remuneratorie né quelle fatte in considerazione di un determinato matrimonio: art. 1087 cod. civ.
c) Revoca delle disposizioni testamentarie. - Anche per il diritto italiano la revocabilità è caratteristica essenziale e inderogabile delle disposizioni testamentarie. La revoca può essere espressa, tacita e presunta; inoltre può essere generale e parziale. Si ha la revoca espressa (totale o parziale) in due casi: 1. quando in un testamento successivo di qualsiasi forma, il testatore dichiari espressamente di voler revocare in tutto o in parte il testamento anteriore valido (tale revoca è efficace ancorché insieme con essa nello stesso testamento revocatorio esistano altre disposizioni che rimangono poi ineseguite per premorienza, incapacità, rinuncia dell'erede o del legatario); 2. quando in un atto notarile, alla presenza di quattro testimoni che lo sottoscrivano, il testatore personalmente dichiari di revocare in tutto o in parte il testamento anteriore. Non si ammette, però, agli effetti della revoca che un testamento nullo possa valere come atto notarile: art. 917 cod. civ. Si ha revoca tacita: 1. quando il testamento posteriore, anche inefficace, contenga ìn tutto o in parte disposizioni contrarie o incompatibili col precedente, sicché di questo sopravvivono solo quelle disposizioni che non siano contrarie al nuovo; 2. quando il testatore volontariamente distrugga, laceri o cancelli in tutto o in parte il testamento olografo; 3. quando il testatore ritiri il testamento segreto (e anche l'olografo se fu depositato) dalle mani del notaio presso cui si trova. Si parla di revoca presunta nei casi in cui la legge annulla le disposizioni a titolo universale o particolare del testatore, ritenendo che ragionevolmente in quei casi il testatore avrebbe revocato. Ciò ricorre precisamente quando si presentino queste circostanze: a) che il testatore al tempo del testamento non avesse o ignorasse di avere figli e discendenti; b) che invece questi esistessero a quel tempo; o gli sopravvenisse poi un figlio o discendente legittimo, benché postumo, oppure legittimato o adottivo: art. 888 cod. civ. La revoca avviene anche se il figlio era concepito al tempo del testamento e, trattandosi di figlio naturale o legittimato, ancorché fosse già stato riconosciuto prima del testamento. Questa presunzione legale è assoluta (iuris et de iure) e in base ad essa il testamento è revocato ipso iure, quindi non occorre dichiarazione del magistrato. Tuttavia la revoca non ha luogo e il testamento ha pieno effetto: 1. quando il testatore nello stesso testamento abbia provveduto al caso che esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi: art. 888 cod. civ.; 2. quando i figli o discendenti premuoiano: art. 889 cod. civ. La disposizione, revocata in modo espresso, non può farsi rivivere se non con un nuovo testamento (art. 919 cod. civ.) e non basta ritirare o annullare l'atto precedente di revoca.
d) Revoca del legato. - Valgono naturalmente le cose dette a proposito della revoca delle disposizioni testamentarie. Però una speciale forma di revoca tacita si ha quando il testatore aliena la cosa legata a persona diversa dal legatario. L'alienazione produce quest'effetto a qualunque titolo essa sia fatta, né importa ch'essa avvenga con patto di riscatto, oppure sia nulla; importando sopra tutto la manifesta volontà del testatore di revocare il legato. Per lo stesso motivo si considera revocato il legato se il testatore abbia trasformato la cosa legata in un'altra, in modo che quella abbia perduto la precedente forma o la primitiva denominazione: art. 892 cod. civ.
e) Revoca dei diritti reali. - Questa può verificarsi ipso iure (revoca reale) o dietro domanda giudiziale. Si ha la prima, se la causa della revoca era stata espressamente presa in considerazione dalle partì al momento del trasferimento o della costituzione del diritto. Si ha la revoca giudiziale, quando la causa, che produce la revoca, non era stata nel contratto prevista dalle parti. La revoca, d'altra parte, può avvenire con effetto retroattivo e senza questo effetto. Il criterio per stabilire ciò è da ricercare nella volontà delle parti. In genere va ritenuto che la revoca avverrà con effetto retroattivo, se il diritto reale venga revocato per una causa già prevista dalle parti al momento del contratto. Sono cause di revoca dei diritti reali, secondo il diritto civile italiano: 1. la condizione risolutiva espressa che, aggiunta all'atto di acquisto, fa sì che al suo avverarsi la revoca del diritto reale avvenga ipso iure con effetto retroattivo; 2. il patto di riscatto, aggiunto alla vendita, che importa revoca reale con effetto retroattivo; 3. la condizione risolutiva tacita, per cui l'adempiente in un contratto può chiedere la risoluzione di quei diritti reali trasferiti o costituiti sulla cosa, quando l'altra parte sia inadempiente. Finalmente anche la revoca delle donazioni può produrre la revoca di diritti reali.
Effetti della revoca fra le parti: chi riceve il diritto reale, ad es., la proprietà revocabile, ha la più assoluta disponibilità della cosa, ma non può costituire a favore dei terzi che diritti soggetti alla medesima eventualità del suo: art. 1976 cod. civ. Circa gli atti di amministrazione, dovranno ritenersi validi tutti quelli da lui compiuti; inoltre, con la cosa non dovrà restituire i frutti percepiti, potrà esigere il rimborso delle spese necessarie e utili, e infine avrà un diritto di ritenzione per le migliorie apportate alla cosa. Dovrà invece sopportare il perimento totale e fortuito della cosa mentre la diminuzione e il deterioramento della medesima saranno a carico di colui a cui favore la revoca avviene.
Riguardo ai terzi il principio è che la buona fede dei terzi deve essere sempre salvata, sia che la revoca abbia effetto retroattivo, sia che non abbia quest'effetto.
Bibl.: Diritto romano: C. F. Glück, Commentario alle Pandette, trad. it., XVII, Milano 1904, p. 89; B. Windscheid e T. Kipp, Lehrbuch des Pandektenrechts, 9ª ed., Francoforte sul M. 1906, II, p. 537; inoltre, par. 367, 411, 564, 565 e 640; S. Perozzi, Istituzioni di diritto romano, 2ª ed., I e II, Roma 1928, passim; E. Cuq, Manuel des institutions juridiques des Romains, 2ª ed., Parigi 1928, passim; H. Siber, Römisches Privatrecht, Berlino 1928, passim; P. Bonfante, Corso di dir. rom., II, sez. 2ª, Roma 1928, p. 297 segg.; id., Ist. di dir. rom., 9ª ed., Milano 1932, passim; F. Messina Vitrano, Sulla dottrina romana della revoca tacita dei legati e dei fedecommessi, in Annali del Seminario giuridico di Palermo, 1914; id., Ancora sulla dottrina romana della revoca tacita dei legati e dei fedecommessi, ibid., 1919; id., L'alienazione della cosa legata o fedecommessa da Celso a Giustiniano, in Annali dell'Università di Perugia, 1920; E. Albertario, Sulla revoca tacita dei legati e fidecommessi, in Studi nelle scienze giurid. e sociali della Facoltà di Pavia, 1919; P. De Francisci, La revocatio in servitutem del liberto ingrato, in Mélanges de droit Romain dédiés à G. Cornil, I, Parigi 1926, p. 297 segg.; V. Scialoja, Teoria della proprietà in diritto romano, II, Roma 1931, p. 329 segg. - Diritto moderno: R. De Ruggiero, Istituzioni di diritto civile, 6ª ed., Messina s. a., III, pp. 446, 689; V. Vitali, Della revoca nel concorso di più testamenti della stessa data, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, I (1886), p. 409; A. Ascoli, Revoca delle disposizioni testamentarie per sopravvegnenza di figli, in Rivista di diritto civile, I (1909), p. 12 segg.; A. Corvinelli, La rivocazione della donazione per sopravvegnenza di figli legittimi, in Riv. di dir. civile, VI (1914), p. 729 seg.; F. Talassano, Sulla revoca delle donazione per sopravvegnenza di figli, in Filangieri, 1915, p. 678; M. Allara, Il testamento, I, Padova 1934, p. 173; A. Guarneri-Citati, Appunti sull'art. 919 cod. civ., in Circolo giuridico di Palermo, 1931, fasc. 2°; id., La reviviscenza delel disposizioni testamentarie revocate, in Rivista di diritto civile, XXIII (1931), p. 221 segg.; S. Romano, La revoca degli atti giuridici privati, Padova 1935; R. Midiri, La revoca espressa dei testamenti e le condizioni impossibili, in Scritti per Ascoli, Messina s. a., p. 725 segg.; G. Cerri, in Enciclopedia giuridica italiana, XIV (1906), parte 2ª, p. 237 seg.
Revoca degli atti fraudolenti.
Diritto romano. - Introdottasi sul finire della repubblica, come mezzo esecutivo delle sentenze, la missio in possessionem dei creditori sul patrimonio del debitore insolvente, l'editto del pretore provvide contro gli atti diminutivi del patrimonio, che il debitore avesse compiuto per frodare i creditori.
I mezzi dati a costoro per non vedere diminuita la garanzia offerta loro da tutti i beni del debitore furono: la restitutio in integrum, che rimetteva le cose nello stato in cui sarebbero state se quella diminuzione patrimoniale non avesse avuto luogo, e l'interdictum fraudatorium, che imponeva all'acquirente, conscio della frode, di restituire quanto avesse ricevuto. I compilatori riunirono questi mezzi revocatorî in un'unica azione personale, detta talvolta pauliana, avente però la funzione e il contenuto dell'interdetto. Nel diritto giustinianeo per potere esperimentare quest'azione occorre: 1. un atto giuridicamente valido col quale il debitore, senza esservi costretto, diminuisca il suo patrimonio. Tale atto può consistere in un'alienazione o in una omissione in conseguenza della quale il debitore perde diritti che facevano parte del suo patrimonio; 2. il consilium fraudis del debitore, cioè la consapevolezza che, compiendo l'atto, egli creerà o aggraverà la sua insolvibilità; 3. l'eventus dammi, ossia la sua effettiva insolvibilità, che nel diritto giustinianeo non potrà risultare se non dopo compiuta la vendita dei beni; 4. la scientia fraudis dell'acquirente, necessaria però solo negli acquisti a titolo oneroso. L'azione pauliana spetta alla massa dei creditori rappresentata dal curator bonorum, contro il terzo e anche contro il debitore stesso, nell'ipotesi che questi conservasse ancora il possesso dei beni alienati. Oggetto dell'azione, quando si agisca eontro colui che sia a parte della frode, è la restituzione integrale di quanto fu sottratto ai creditori e, in mancanza, il pieno risarcimento; contro il terzo, che ignori la frode, l'azione spetta nella misura dell'arricchimento. È un'azione arbitraria, che si prescrive entro l'anno dal giorno in cui fu terminata la distractio bonorum. Decorso questo periodo, l'acquirente è tenuto a restituire il lucrum; essa è intrasmissibile agli eredi, se non nella misura dell'arricchimento; non è nossale, né si cumula con altri mezzi.
Diritto moderno. - I creditori, danneggiati da atti che il debitore abbia fatto in frode delle loro ragioni, possono impugnare quegli atti mediante l'azione revocatoria o pauliana, la quale ha carattere e funzione di mezzo rescissorio, diretta com'è a togliere efficacia agli atti suddetti e non già a ottenere una condanna per risarcimento dei danni. Legittimato ad agire con la pauliana è il titolare di un diritto di credito chirografario o ipotecario o un suo rappresentante. Deve trattarsi però di un credito sorto anteriormente all'atto fraudolento, per i crediti sorti posteriormente la revoca non avrebbe ragione, giacché il creditore può fare assegnamento sui beni esistenti, non su quelli già usciti dal patrimonio del debitore. Il credito, inoltre, dev'essere esigibile, cioè l'azione non può esercitarsi da chi abbia un credito a termine.
Questo principio, alquanto discusso, è stato accolto dal progetto di riforma: art. 107. In materia commerciale il soggetto attivo dell'azione pauliana è l'insieme dei creditori, collettivamente rappresentati di diritto dal curatore. L'azione spetta contro colui che scientemente, se a titolo oneroso, o anche senza questa scienza, se a titolo gratuito, abbia acquistato qualcosa, appartenente al patrimonio del debitore. Essa mira a impugnare gli atti che diminuiscano il patrimonio di costui in misura tale da rendere impossibile o almeno molto difficile la soddisfazione del creditore. Si considerano tali quegli atti che trasmettano o facciano acquistare ad altri una cosa o diritto del debitore, quindi che importino un'effettiva e attuale diminuzione del suo patrimonio, e inoltre quegli atti, come l'assunzione di obbligazioni e di altri pesi patrimoniali che, comunque, ne aggravino la condizione economica. Invece, si deve escludere che la pauliana possa farsi valere per semplici rinunce che il debitore abbia fatto di acquisti, giacché queste non riducono quel patrimonio che i creditori ebbero presente quando acquistarono i loro crediti. Ugualmente non sono impugnabili quegli atti diminutivi, come il pagamento di obbligazioni già scadute, perché avendo essi la loro causa in vincoli anteriormente assunti, già rappresentavano una virtuale diminuzione di patrimonio quando il creditore acquistò il suo credito. Occorre che l'atto importi un danno effettivo; sicché, se nell'intervallo fra l'atto fraudolento e il momento in cui il creditore chiede il pagamento, il debitore ha fatto altri acquisti, il creditore non potrà più agire. Per provare l'insolvenza non occorrono mezzi speciali di prova, e non occorre neanche la previa e infruttuosa escussione del debitore. L'atto dev'essere compiuto in frode dei creditori. Per questo concetto di frode, che dev'essere provata da chi agisce, vale quanto si è già detto per il diritto romano. Il creditore, con la pauliana, agisce in nome proprio e non, come nella surrogatoria, per il debitore; quindi il terzo non può opporgli le eccezioni personali del debitore. L'azione pauliana non mira ad annullare l'atto compiuto dal debitore, ma solo a togliergli efficacia di fronte al creditore istante, il quale, nella misura del danno subito può agire sui beni usciti dal patrimonio del debitore in forza dell'atto fraudolento di poi revocato, come se ancora ne facessero parte. L'azione si dirige solo contro il terzo acquirente e contro gli eredi suoi. Se l'atto fraudolento contiene un'alienazione immobiliare e il terzo acquirente immediato abbia a sua volta alienato o concesso diritti reali a un altro, quest'ultimo, ove sia partecipe della frode, perde i diritti acquistati sull'immobile anche anteriormente alla trascrizione della domanda di revoca: articoli 1235 e 1933. Per i debitori commerciali si attua un regime più rigoroso che per i debitori civili, poiché per essi la legge presume fatta in frode tutta una serie di atti diminutivi del patrimonio. Queste presunzioni si riferiscono sia agli atti compiuti dopo la data della cessazione dei pagamenti, sia agli atti compiuti nel periodo dei dieci giorni anteriori alla dichiarazione di fallimento. Gli atti compiuti posteriormente alla data della cessazione dei pagamenti si presumono in frode (praesumptio iuris tantum) quando si tratti: 1. di atti, pagamenti e alienazioni a titolo oneroso e il terzo conosca lo stato di cessazione dei pagamenti in cui si trova il commerciante, benché non ancora dichiarato fallito; 2. di atti e contratti commutativi in cui i valori dati o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassino notevolmente ciò che a lui è stato dato o promesso; 3. di pagamento di debiti scaduti ed esigibili che non siano eseguiti con denaro o con effetti di commercio; 4. di pegni, anticresi e ipoteche costituiti sui beni del debitore. Invece, si presumono fatti in frode dei creditori gli atti, i pagamenti e le alienazioni a qualunque titolo avvenuti nei dieci giorni anteriori alla dichiarazione di fallimento, anche in difetto degli estremi sopra enunciati: art. 709 cod. comm. Sono, inoltre da tenere presenti per questa materia l'art. 711 cod. comm., l'art. 9 della legge 24 maggio 1903, n. 197, sul concordato preventivo e la procedura dei piccoli fallimenti, e l'art. 9 della legge 10 luglio 1930, n. 995, sul fallimento.
Bibl.: Oltre le opere generali, cfr. S. Solazzi, La revoca degli atti fraudolenti nel diritto romano, Napoli 1934; A. Butera, Dell'azione pauliana o revocatoria, Torino 1934; entrambe con ricchissima bibliografia.
Diritto pubblico.
In diritto pubblico, la revoca è una manifestazione di volontà, discrezionale e spontanea, con cui per motivi di opportunità e di convenienza si fanno cessare, dalla data della emanazione, gli effetti di un precedente atto giuridico. S'incontra con larghissima frequenza nel diritto amministrativo, tanto che da alcuni la revocabilità è stata elevata a carattere essenziale degli atti amministrativi. Per le leggi, e per gli atti equivalenti, un istituto in parte analogo è costituito dall'abrogazione e dalle deroga (v. legge); per gli atti giurisdizionali, o almeno per il più importante di essi, la sentenza, non esiste invece alcunché di affine, e la revocazione (cfr. art. 494 segg. del cod. proc. civ.) presenta aspetti troppo diversi, perché se ne possa tentare il raffronto.
Degli elementi contenuti nella definizione, la discrezionalità significa che è in potestà dell'organo amministrativo valutare le concrete esigenze del pubblico interesse, in relazione alle quali togliere di mezzo un provvedimento che a quelle più non risponde: ciò, anche quando la legge si spinga a determinare i presupposti della revoca, perché, se in questo caso, risulta limitato il possibile contenuto dell'atto di revoca, l'effetto normale non è mai di obbligare l'amministrazione a disporre per la revoca nella ricorrenza di quei presupposti. Spontanea è la revoca, anche quando si procede ad essa dietro denuncia. I motivi della revoca sono generalmente motivi di opportunità e di convenienza amministrativa, cioè valutazione dei mezzi più idonei a soddisfare i bisogni collettivi secondo criterî di buona e ordinata amministrazione: quando l'atto, che si vuole togliere di mezzo, presenta vizî di legittimità, cioè irregolarità di forma e di sostanza dal punto di vista della sua conformità al diritto obiettivo, si ricorre all'annullamento, che è istituto con modalità ed effetti notevolmente diversi. Ciò nonostante è opinione comune, confermata dalla prassi amministrativa, che in taluni casi si possa procedere alla revoca per motivi di legittimità. Infine, ultimo elemento specifico della revoca è il carattere costitutivo dei suoi effetti: l'atto revocato cessa di esistere solo dal momento in cui l'autorità dichiara in modo valido ed efficace la sua volontà di revocare. Il che si può esprimere dicendo che la revoca "non dispone che per l'avvenire; essa non ha effetto retroattivo". Appunto questa sua limitazione nel tempo consiglia di servirsi della revoca piuttosto che dell'annullamento - per sua natura dichiarativo e retroattivo - quando per la particolarità delle circostanze gli effetti di quest'ultimo sarebbero sensibilmente gravosi.
La revoca è un atto amministrativo, e di questo deve presentare tutti i requisiti di validità e di efficacia; non rientra in questo concetto la revoca contenuta in atti formalmente o sostanzialmente legislativi e relativa così a una serie indeterminata di atti come a un singolo atto concreto, o quella predisposta nelle decisioni dei corpi di giustizia amministrativa. Parimenti, il suo oggetto è dato da atti amministrativi, subiettivamente, formalmente e sostanzialmente tali: osservazione, questa, in un certo senso superflua per la grande maggioranza degli organi amministrativi, ai quali sono affidate funzioni di carattere unitario, cioè soltanto esplicazione di attività amministrativa. Essa vale per i casi in cui uno stesso organo amministrativo esercita funzioni legislative e giurisdizionali, oltre quelle proprie della sua natura, non potendosi allora revocare con un atto amministrativo una disposizione regolamentare o un atto giurisdizionale: l'una e l'altro formalmente superiori in efficacia al primo. E importa mettere in luce l'unilateralità degli atti da revocare, perché l'amministrazione non può da sé distruggere un negozio che risulta dal coordinato volere suo e di un altro soggetto, privato o pubblico che sia: i possibili mezzi che la legge le concede a questo fine prendono altri nomi: risoluzione, denuncia, disdetta, ecc. Fondamento della revoca è il principio dell'esecutorietà degli atti amministrativi, in virtù del quale l'amministrazione si precostituisce da sola il titolo delle proprie pretese e queste conduce ad attuazione, ordinariamente, con mezzi proprî. Soggetti dell'atto di revoca possono essere, a seconda dei casi, la stessa autorità che ha emanato il provvedimento da revocare o l'autorità gerarchicamente superiore (potere di riforma): quest'ultima, secondo l'opinione migliore, quando la legge gliene dia espressamente o implicitamente il potere, come nei casi di delegazione, di obbligo dell'autorità inferiore di riferire a quella superiore; o quando la distribuzione della competenza in ordine a quella materia è fatta in modo indistinto o in norme interne, senza rilevanza giuridica nell'ordinamento generale dello stato. La revoca, quanto al suo contenuto, può essere totale o parziale (modifica) o limitata per un periodo più o meno determinato di tempo (sospensione). Per principio, essa incontra un ostacolo insuperabile nei diritti subiettivi incondizionati, sorti dall'atto che si vuole revocare. L'amministrazione dovrà allora valersi, per conseguire il suo intento, dell'istituto dell'espropriazione per pubblica utilità o procurarsi il consenso dell'interessato. Fuori di queste due vie, e se non ricorrono altri principî (ad es., lo stato di necessità), la revoca deve ritenersi illegittima. Nessun limite, invece, v'ha per i diritti cosiddetti affievoliti, per gl'interessi occasionalmente protetti, per gl'interessi semplici. A fortiori l'amministrazione potrà revocare tutti quegli atti che impongono obblighi ai suoi soggetti, salvo che, così facendo, non venga a rinunciare a diritti proprî che siano per loro natura irrinunciabili. Sono, inoltre, irrevocabili tutti gli atti in forza di un potere che può agire soltanto dietro iniziativa altrui e che si esaurisce una volta che è esercitato (autorizzazioni, visti, approvazioni). S'intende che i limiti descritti scompaiono se l'atto irrevocabile non è diventato ancora efficace. La revoca è soggetta alle stesse condizioni di forma dell'atto revocato, e in particolare deve seguire lo stesso procedimento prescritto per questo ultimo. Essa, a sua volta, è revocabile sotto le condizioni e con le modalità di cui si è detto.
Merita un cenno, infine, la revoca degli atti di diritto pubblico compiuti da privati. Sono irrevocabili, così il consenso dato a un contratto di diritto pubblico, che sia divenuto perfetto ed efficace, come gli atti strettamente unilaterali (es., rinuncia, conferma, acquiescenza). Degli atti che si appoggiano a un provvedimento amministrativo, quelli che, precedendolo, influiscono sulla sua validità, non possono più revocarsi quando l'amministrazione abbia emanato il provvedimento richiesto (domanda di dimissioni accettata); e quelli che influiscono sulla sua efficacia, seguendolo, sono irrevocabili tostoché portati a conoscenza dell'autorità (accettazione della nomina a un impiego).
Revoca nel diritto internazionale. - La maggior parte degli atti giuridiei nell'ordinamento internazionale è costituita da atti bilaterali, ai quali è manifestamente inapplicabile l'istituto della revoca: fra gli atti unilaterali, il riconoscimento incondizionato e la rinuncia sono ritenuti irrevocabili.
V. anche le voci atto: Atto amministrativo; gerarchia: Gerarchia amministrativa.
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