Abstract
L’azione revocatoria, disciplinata dagli artt. 2901-2904 c.c., costituisce uno dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale apprestato dall’ordinamento in favore del creditore, consistente nella facoltà per il creditore di ottenere l’inefficacia in suo favore dell’atto dispositivo compiuto dal debitore, allo scopo di rendere possibile la realizzazione del diritto di credito mediante l'esperimento dell'azione esecutiva sui beni alienati a terzi dal debitore.
L'azione revocatoria ha funzione cautelare e conservativa del diritto di credito, di per sé strumentale alla fase, successiva ed eventuale, dell'esecuzione forzata. Tale funzione si attua rendendo possibile la realizzazione del diritto di credito mediante l'esperimento dell'azione esecutiva sui beni, al fine di ovviare al pregiudizio che l'attività dispositiva del debitore arreca alle ragioni del creditore, intesa come possibilità di trovare soddisfazione sul patrimonio del debitore stesso. Lo scopo dell'azione revocatoria consiste nel ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ex art. 2740 c.c., la cui consistenza si sia ridotta, per effetto dell'atto dispositivo posto in essere dal debitore, al punto da pregiudicare la realizzazione del diritto del creditore con l'azione espropriativa. Lo scopo non è dunque quello di far ritornare il bene nel patrimonio del debitore, poiché l'atto revocato conserva comunque in capo all'acquirente la sua efficacia traslativa o costitutiva del diritto, ma più semplicemente quello di fare accertare, in favore del creditore che la esercita, l'inefficacia dell'atto dispositivo compiuto dal debitore a sottrarre il bene all'azione esecutiva.
Ne consegue che tale azione non può essere esperita dal promissario acquirente per acquistare la proprietà del bene con l'azione intesa ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo, avente ad oggetto il trasferimento della proprietà del bene stesso alienato a terzi (Cass., 25.5.2001, n. 7127, in Mass. Giur. It., 2001; Cass., 19.12.1996, n. 11349, Giust. civ. Mass., 1996, 1770). In dottrina si parla a tal proposito di inefficacia relativa in quanto l'esito dell'azione giova solamente al creditore che l'ha esercitata, e parziale in quanto non impedisce l'acquisto del diritto in capo all'acquirente ma, più semplicemente, che il bene alienato venga sottratto all'azione esecutiva dei creditori chirografari dell'alienante.
Presupposti per l'esercizio dell'azione revocatoria sono: a) la sussistenza di un diritto di credito verso il debitore; b) un pregiudizio arrecato dall'atto di disposizione alla garanzia patrimoniale di tale credito (così detto eventus damni); c) un certo atteggiamento soggettivo del debitore e, quando si tratti di atti a titolo oneroso, anche del terzo (scientia damni o consilium fraudis) (Cass., 17.1.2007, n. 966, in Mass. giur. it., 2007; Cass., 23.2.2004, n. 3546). Perché possa esperirsi l'azione revocatoria è necessario che l'attore in revocatoria sia titolare di un diritto di credito nei confronti del debitore la cui responsabilità patrimoniale debba essere reintegrata (Cass., 25.5.1994, n. 5081, in Giust. civ. Mass., 1994, 710).
Può trattarsi di un credito di qualsiasi natura, chirografario, presidiato da un diritto di prelazione o da altra garanzia, sottoposto a condizione o a termine (Cass., 25.5.1965, n. 490), non necessariamente certo, liquido ed esigibile (Cass., 18.2.1998, n. 1712, in Giust. civ., 1998, I, 1262), né di facile determinazione. La definizione dell'eventuale controversia sull'accertamento del credito non costituisce dunque antecedente logico-giuridico indispensabile della pronuncia sulla domanda revocatoria, sicché il giudizio relativo a tale domanda non è soggetto alla sospensione necessaria prevista dall'art. 295 c.p.c. (App. Bologna, 17.3.2008; Cass., 10.3.2006, n. 5246, in Giust. civ. Mass., 2006, 3; Cass., 6.10.2005, n. 19492, in Giust. civ. Mass., 2005, 10). Anche il titolare di un diritto di credito meramente eventuale, quale il fideiussore, l'avvallante o il terzo datore di ipoteca, risulta legittimato all'esperimento dell’azione revocatoria (Cass., 26.2.1986 n. 1220, in Giust. civ. Mass., 1996, 2).
Taluna dottrina ritiene che gli eredi possano chiedere la revoca degli atti dispositivi compiuti dal loro autore solamente se hanno accettato l'eredità con beneficio di inventario e siano al tempo stesso creditori del de cuius (si veda sull’argomento Bigliazzi Geri, L., Della tutela dei diritti, in Comm. c.c. Gabrielli, Torino, 1980, 111). I titolari di diritti assoluti o di interessi legittimi, potranno agire in revocatoria qualora un atto lesivo di tali situazioni protette faccia sorgere a loro favore un diritto di credito per il risarcimento del danno. La legittimazione ad agire in revocatoria viene riconosciuta anche agli aventi causa di uno dei comunisti contro la divisione effettuata senza il loro intervento. In tal caso potranno agire in qualità di creditori per il risarcimento del danno pari alla differenza tra il valore del bene assegnato al loro dante causa e quello cui avrebbe avuto diritto, in proporzione alla quota di partecipazione alla comunione. La giurisprudenza esclude, invece, la legittimazione dell'assegnatario della casa coniugale ad agire in revocatoria al fine di inibire, agli acquirenti dell'immobile venduto dal coniuge titolare del bene, di chiedere la consegna dello stesso in conseguenza dell'atto di acquisto (Cass., 8.4.2003, n. 5455, in Giust. civ. Mass., 2003, 4).
Incombe sull'attore l'onere di fornire la prova del credito, che può essere raggiunta con qualunque mezzo. Si ammette comunque che l'accertamento dell'esistenza del credito possa formare oggetto specifico della causa di revoca.
Il secondo presupposto per l'esperimento dell'azione revocatoria è costituito dall'eventus damni, che, a differenza del primo presupposto, deve sussistere solo al momento di compimento dell'atto e si sostanzia nelle conseguenze di questo sul patrimonio del debitore che costituisce la garanzia dei creditori. Esso consiste nel pregiudizio arrecato dall'atto di disposizione alla garanzia patrimoniale che assiste il credito e ricorre non solo quando l'atto determini un danno effettivo, ma anche quando comporti un semplice pericolo di danno, quale una maggiore difficoltà, incertezza o dispendiosità nell'esazione coattiva del credito, non rilevando la valutazione circa la eventuale solvibilità del debitore (Cass., 9.2.2012, n. 1896; Cass., 17.7.2007, n. 15880, in Mass. giur. it., 2007; Cass., 29.7.2004, n. 14489; Cass., 15.6.1995 n. 6777, in Giust. civ. Mass., 1995, 6; Cass., 22.3.1990, n. 2400, in Foro it., 1990, I, 2871).
Il danno o pericolo di danno possono concernere sia l'entità della responsabilità patrimoniale, che può essere pregiudicata da diminuzioni o pericoli di diminuzione di beni, sia la qualità dei beni su cui cade, che può essere pregiudicata dalla sostituzione di beni facilmente aggredibili esecutivamente e non distraibili dal debitore, con beni distraibili (denaro), oppure non facilmente aggredibili dai creditori. Inoltre, sono assoggettabili all'azione revocatoria non solamente gli atti dispositivi in grado di determinare sul momento una diminuzione del patrimonio del debitore, ma anche quelli che possono eventualmente comprometterne in futuro la consistenza.
L'accertamento del pregiudizio costituisce un giudizio di fatto, come tale riservato al giudice di merito ed insindacabile in Cassazione laddove correttamente motivato (Cass., 9.5.2008, n. 11577, in Mass. giur. it., 2008; Cass., 21.4.2006, n. 9367, in Mass. giur. it., 2006; Cass., 21.9.2001, n. 11916, in Mass. giur. it., 2001; Cass., 10.5.1995, n. 5095, in Giust. civ. Mass., 1995, 975). Esso deve avvenire con riferimento al caso di specie e all'esclusivo patrimonio del debitore, valutando la maggiore difficoltà o incertezza nell'esazione del credito alla data dell'atto dispositivo e non a quella futura dell'effettiva realizzazione del credito dell'attore in revocazione (Cass., 10.8.2007, n. 16986).
Nel caso di obbligazione solidale, il pregiudizio in esame andrà valutato con esclusivo riferimento alla situazione patrimoniale del debitore convenuto. Costituiscono dunque pregiudizio revocatorio tutti gli atti dispositivi in grado di escludere i beni del debitore dall'azione esecutiva dei creditori, anche nel caso in cui la quantità permanga invariata, quali ad esempio la vendita di un immobile, ancorché a giusto prezzo; l'alienazione della sola nuda proprietà con riserva di usufrutto; il conferimento dei beni in un fondo patrimoniale. La giurisprudenza ritiene inoltre pregiudizievole il conferimento di beni in società di capitali, anche se previsto in sede di costituzione di essa, poiché con esso viene sostituito al bene un titolo di partecipazione a capitale di rischio (Cass., 22.11.1996, n. 10359, in Giust. civ. Mass., 1996, 1578). Ancora, sono ritenuti pregiudizievoli gli atti dispositivi del fideiussore successivi all'apertura di credito ed alla prestazione della fideiussione quale l'accreditamento di denaro in conto corrente (Cass., 27.6.2002, n. 9349, in Giust. civ. Mass., 2002, 1109). Non sussiste invece l'eventus damni qualora al tempo dell'alienazione di un bene siano presenti nel patrimonio del debitore altri beni non già vincolati, idonei a soddisfare le ragioni dei creditori, ancorché tali beni vengano successivamente sottoposti ad esecuzione forzata.
Tra l'atto dispositivo del debitore e l'evento pregiudizievole deve sussistere uno specifico nesso di causalità, di modo che l'insolvenza del debitore dovrà dipendere dall'atto ed esserne conseguenza diretta. La prova dell'eventus damni è a carico del creditore e può essere fornita con ogni mezzo, anche presuntivo, in grado di convincere il giudice che l'esecuzione forzata darebbe esito negativo, o anche insufficiente, ovvero sarebbe sensibilmente ostacolata, a seguito dell'atto dispositivo compiuto dal debitore. L'onere probatorio del creditore è dunque ristretto alla dimostrazione della variazione patrimoniale, senza che sia necessario fornire la prova dell'entità e della natura del patrimonio del debitore dopo l'atto di disposizione; compete invece al debitore provare che, nonostante l'atto di disposizione, il suo patrimonio ha conservato valore e caratteristiche tali da garantire senza difficoltà il soddisfacimento delle ragioni del creditore (Cass., 4.7.2006, n. 15265, in Giust. civ. Mass., 2006, 7-8; Cass., 27.3.2007, n. 7507, in Giust. civ. Mass., 2007, 3).
Il terzo requisito per l'esperimento dell'azione revocatoria, anch'esso attinente ai presupposti sostanziali dell'inefficacia, è costituito dalla scientia damni o consilium fraudis, ossia dall'atteggiamento soggettivo del debitore, per gli atti a titolo gratuito, e anche del terzo acquirente, per gli atti a titolo oneroso, che deve essere presente al momento della stipulazione dell'atto. La norma in commento richiede una differente misura dell'intento fraudolento a seconda che si tratti di atti di disposizione compiuti dal debitore anteriormente o successivamente al sorgere del diritto di credito.
Nel caso in cui l'atto sia anteriore al sorgere del diritto di credito è richiesto l'animus nocendi, ossia una dolosa preordinazione al fine di pregiudicare il soddisfacimento del creditore (dolo specifico). Il creditore dovrà dunque dimostrare che l'autore dell'atto, alla data della sua stipulazione, aveva l'intenzione di contrarre debiti, ovvero era consapevole del sorgere della futura obbligazione; che lo stesso soggetto ha compiuto l'atto dispositivo in funzione del sorgere dell'obbligazione, per porsi in una situazione di totale o parziale impossidenza, in modo da precludere o rendere difficile al creditore l'attuazione coattiva del suo diritto (Cass., 27.2.1985, n. 1716, in Giust. civ. Mass., 1985, 2).
Nel caso in cui l'atto dispositivo sia posteriore al sorgere del credito, è ritenuta sufficiente la semplice conoscenza, nel debitore e nel terzo acquirente, del pregiudizio che l'atto arreca alle ragioni del creditore. Tale conoscenza può aversi anche in assenza dell'intenzione di arrecare un danno ai creditori, ritenendosi sufficiente la previsione del danno che ad essi potrà derivare dall'atto dispositivo posto in essere (Cass., 4.11.1995, n. 11518, in Giust. civ. Mass., 1995, 11; Cass., 21.4.2006, n. 9367, in Giust. civ. Mass., 2006, 4).
Tale consapevolezza si può ricavare da una serie di elementi quali ad esempio la lunga dilazione di pagamento, senza interessi, di oltre la metà del prezzo di una compravendita o l'esenzione del notaio rogante dalle ordinarie visure ipotecarie e catastali (Cass., 18.10.2011, n. 21503, in Giust. civ. Mass., 2011, 1542). In tema di azione revocatoria di un contratto definitivo di compravendita di un bene promesso in vendita, la sussistenza della scientia damni in capo all'acquirente va valutata in relazione al momento della stipula del contratto preliminare (Cass., 11.8.2011, n. 17365, in Giust. civ. Mass., 2011, 1176). Qualora autore dell'atto sia unente, il requisito della scientia damni va accertato avendo riguardo all'atteggiamento psichico della persona fisica che lo rappresenta, in forza del principio stabilito dall'art. 1391 c.c., applicabile all'attività delle persone giuridiche (Cass., 4.7.2006, n. 15265, in Giust. civ. Mass., 2006, 7-8).
Per integrare il presupposto del consilium fraudis in capo al terzo acquirente, nell'ipotesi di atto dispositivo anteriore al sorgere del diritto di credito, è sufficiente che questi abbia avuto conoscenza dell'intento fraudolento del debitore e abbia ciò nonostante approfittato dell'atto, senza che sia necessaria la specifica intenzione di danneggiare i futuri creditori del dante causa. Nell'ipotesi contraria di atto dispositivo posteriore al sorgere del credito, è invece ritenuta sufficiente la consapevolezza in capo al terzo che per mezzo dell'atto stesso il debitore avrebbe diminuito il proprio patrimonio e di conseguenza la garanzia spettante ai propri creditori, in modo da arrecare pregiudizio alle loro ragioni. La giurisprudenza ha in ogni caso ritenuto non necessario, nell'ipotesi di atto successivo al sorgere del credito, che il creditore revocante dimostri la conoscenza in capo al terzo del credito specifico a tutela del quale egli agisce, né la conoscenza della sua collusione con il debitore (Cass., 18.3.2005, n. 5972, in Guida dir., 2005, 17, 48; Cass., 23.3.2004, n. 5741, in Mass. giur. it., 2004; Cass., 4.11.1995, n. 11518, in Giust. civ. Mass., 1995, 11). Diversamente, nell'ipotesi di atto anteriore al sorgere del credito, è comunque necessaria la prova della conoscenza da parte del terzo della dolosa preordinazione ad opera del disponente rispetto al credito futuro (Cass., 21.9.2001, n. 11916, in Giust. civ. Mass., 2001, 1687; Cass., 22.3.2007, n. 6962, in Giust. civ. Mass., 2007, 3). Come per l'eventus damni, l'accertamento dell'esistenza della scientia damni costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, la cui prova può essere fornita anche tramite presunzioni (Cass., 23.5.2008, n. 13404, in Mass. giur. it. 2008; Cass., 1.12.1987, n. 8930, in Giust. civ. Mass., 1987, 12). La giurisprudenza ritiene potersi ravvisare elementi indiziari rilevanti nel grado di parentela fra il debitore e gli acquirenti (Cass., 9.4.2009, n. 8735, in Guida dir., 2009, 31, 72), nel pagamento di un prezzo inferiore a quello di mercato, nell’acquisto contestuale di una pluralità di beni da parte di un unico soggetto esercente l'attività di notaio (Cass., 23.5.2008, n. 13404, in Giust. civ. Mass., 2008, 5, 798)
Per quanto riguarda la determinazione degli atti soggetti alla revocatoria, il ricorso all'azione presuppone lavalidità dell'atto dispositivo in quanto idoneo a modificare la situazione patrimoniale del debitore e creare un pregiudizio alle ragioni del creditore. Nel caso di atto nulloex art. 1418 c.c. il creditore può tutelare le proprie ragioni mediante l'esperimento dell'azione di nullità. Qualora, invece, l'atto sia affetto da invalidità relativa, si ritiene che il creditore possa agire in surrogatoria per l'annullamento di esso e, solo se ciò non sia possibile e la causa di annullabilità non ne escluda i presupposti, agire in revocatoria. Nell'ambito della simulazione assoluta, il pregiudizio alle ragioni del creditore può essere neutralizzato mediante l'esperimento dell'azione ex art. 1416 c.c. diretta a far accertare la simulazione. Tuttavia, nel caso di terzi subacquirenti in buona fede questa risulta inefficace, dovendosi pertanto fare ricorso all'azione revocatoria. L'esperimento dell'azione revocatoria contro gli atti dispositivi è ammesso dalla giurisprudenza nello stesso giudizio sia in alternativa che in subordine all'azione di simulazione, il cui esame dovrà in ogni caso precedere quello della revocatoria (Cass., 22.8.2007, n. 17867, in Giust. Civ. Mass., 2007, 7-8; Cass., 22.2.1974, n. 536, in Rep. Foro it., 1974, 1796, 183). In caso di simulazione relativa, taluna dottrina ritiene improponibile l'azione revocatoria, alternativa o subordinata alla domanda di simulazione, non producendo il suo accertamento la rimozione degli effetti pregiudizievoli dell'atto. Se ne ammette invece la proponibilità in via cumulativa o congiuntiva, con precedenza all'indagine di accertamento (si veda al riguardo Cosattini, L., La revoca degli atti fraudolenti, Padova, 1950, 128).
L'azione revocatoria è esperibile solamente nei confronti degli atti dispositivi a contenuto patrimoniale in grado di ledere la garanzia generica dei creditori. Non rientrano tra di essi, dunque, gli atti relativi a beni non suscettibili di valutazione economica ovvero non assoggettabili all'esecuzione forzata. In tal senso non è suscettibile di revoca la rinunciao il mancato esercizio del diritto di opzione relativo all'aumento di capitale di una società a meno che l'opzione non costituisca un bene in sé, dotato di autonomo valore di mercato (Cass., 11.5.2007, n. 10879, in Foro it., 2007, I, 3449).
In ogni caso, non sono revocabili per consolidato orientamento le disposizioni patrimoniali per causa di morte e la divisione testamentaria. Secondo alcuni in dottrina, l'atto dispositivo dovrebbe rivestire la caratteristica di negozialità: l'azione revocatoria sarebbe dunque esperibile solamente nei confronti dei negozi giuridici veri e propri e non anche dei meri atti giuridici (Bigliazzi Geri, L., Della tutela dei diritti, cit., 130). Perché l'atto dispositivo sia revocabile è richiesto che il pregiudizio patrimoniale da esso creato sia conseguenza di comportamenti attivi del debitore, tra di essi facendosi rientrare anche le rinunce, le assunzioni di debito e gli atteggiamenti inerti che risultino comunque finalizzati a produrre un effetto pregiudizievole (accettazione tacita). In dottrina si ritengono non assoggettabili all'azione revocatoria gli atti di mera amministrazione che tendono alla conservazione del bene, gli atti di godimento diretto del bene e gli atti materiali con i quali si distrugge il bene o lo si trasforma sul piano funzionale e qualitativo. Secondo la giurisprudenza, al contrario, sono revocabili gli atti di concessione in locazione o in affitto di beni, in quanto idonei a determinare una diminuzione della garanzia patrimoniale offerta ai creditori (Cass., 22.6.1985, n. 3757, in Giust. civ., 1986, I, 850), così come l’atto di concessione di ipoteca volontaria (Cass., 9.2.2012, n. 1893, in Giust. civ. Mass., 2012, 2), le prestazioni di garanzia in generale, anche per debiti altrui, contestuali al sorgere del credito garantito (Cass., 4.2.2010, n. 2610, in Giust. civ. Mass., 2010, 160) e la vendita con patto di riservato dominio (Cass., 24.11.2010, n. 23818, in Giust. civ. Mass., 2010, 1502).
Allo stesso modo sono revocabili gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell'uno nei confronti dell'altro e concernenti beni mobili o immobili (Cass., 13.5.2008, n. 11914, in Riv. not., 2008, 490; Cass., 12.4.2006, n. 8516, in Giur. it., 2007, 8/9, 1939; Cass., 14.3.2006, n. 5473, in Guida dir., 2006, 21, 51; Cass., 23.3.2004, n. 5741, in Riv. dir. comm., 2004, II, 283).
La giurisprudenza ritiene che non sia esperibile l'azione revocatoria da parte del creditore del promittente venditore, contro il contratto preliminare di compravendita, in quanto non riveste il carattere dell’atto di disposizione patrimoniale, nonché delle sentenze emesse, ai sensi dell'art. 2932 c.c., nei confronti del debitore, sulla base di un preliminare stipulato preordinatamente o scientemente in suo danno, essendo il creditore medesimo soggetto all'efficacia della sentenza, fatto salvo il caso in cui sia provato il carattere fraudolento del negozio con cui il debitore ha assunto l'obbligo poi adempiuto (Cass., 28.9.2011, n. 19804, in Giust. civ. Mass., 2011, 1358). L’azione revocatoria non può essere esperita nei confronti di un fallimento e, se esperita deve essere dichiarata inammissibile, poiché contrasta con il principio di cristallizzazione della massa passiva alla data dell'apertura del concorso e con il carattere costitutivo dell'azione (Cass., 12.5.2011, n. 10486, in Giust. civ. Mass., 2011, 740). Nel disposto del terzo comma dell'articolo in commento si individua la prescrizione dell'irrevocabilità, dipendente dalla mancanza di carattere dispositivo, degli atti dovuti, cioè di quegli atti posti in essere in adempimento di un obbligo del debitore. Secondo la giurisprudenza sono irrevocabili anche le alienazioni di beni e tutti gli atti dispositivi preordinati a fornire la provvista per il pagamento del debito scaduto, nel caso tali atti costituiscano il solo mezzo per soddisfarlo (Cass., 6.8.2002, n. 11764, in Giust. civ. Mass., 2002, 1477). Sono invece revocabili gli atti di vendita di immobili locati ad uso non abitativo, per i quali venga esercitato il diritto di prelazione da parte del conduttore; in tal caso infatti il locatore è obbligato a vendere al conduttore che si avvalga del diritto di cui all'art. 38, l 27.7.1978, n. 392, in quanto decida liberamente di cedere la proprietà del bene (Cass., 4.7.2006, n. 15265, in Giust. civ., 2007, 2187). È altresì revocabile l’atto di cessione pro solvendo di crediti presenti e futuri, in quanto costituendo modalità anomala di estinzione dell'obbligazione, integra gli estremi di un atto discrezionale per il quale l'estinzione dell'obbligazione è l'effetto finale di un negozio, soggettivamente ed oggettivamente, diverso da quello in virtù del quale il pagamento è dovuto (Cass., 10.12.2008, n. 28981, in Giust. civ. Mass., 2008, 1758). Secondo l'opinione tradizionale (Nicolò, R., Conservazione della garanzia patrimoniale, Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1962, 235), contrastata da una più recente dottrina (Maffei Alberti, A., Il danno nella revocatoria, Padova, 1970, 51) i pagamenti effettuati prima della scadenza, o con mezzi differenti da quelli convenuti originariamente, sarebbero revocabili in quanto frutto di una scelta arbitraria. Non si ritengono compresi nella prescrizione del terzo comma della norma in commento gli atti estintivi di obbligazioni diversi dal normale adempimento. Sono dunque revocabili la datio in solutum, la cessio solvendi causa, la compensazione convenzionale e gli atti novativi.
Per i beni immobili e mobili registrati, l'ultimo comma della norma in commento, nel fare salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione, ha portato a ritenere salvi i diritti del subacquirente solamente nel caso di trascrizione, anteriore a quella della citazione in revocazione, di un atto di acquisto a titolo oneroso compiuto in buona fede.
La revoca presso il subacquirente presuppone dunque la possibilità di dichiarare inefficace il primo acquisto. Diversamente, in nessun caso il secondo acquisto può essere assoggettato ad azione revocatoria, qualunque fosse il titolo o lo stato psicologico del subacquirente.
La legittimazione ad agire in revocatoria, che compete al creditore, è riconosciuta anche al suo successore sia a titolo universale che particolare. Se la successione avviene a giudizio iniziato, la legittimazione a continuare sarà regolata dagli artt. 110 e 111 c.p.c. Secondo la giurisprudenza, tuttavia, non assume la condizione di successore a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c. il soggetto che abbia acquistato un bene dal subacquirente del medesimo bene convenuto in giudizio ai fini della dichiarazione dell'inefficacia del suo acquisto ai sensi dell'art. 2901, ult. co., c.c. (Cass., 17.11.2005, n. 23255, in Giust. Civ. Mass., 2005, 11).
La giurisprudenza dominante ha ritenuto che, nel caso in cui dopo la proposizione dell'azione revocatoria sopravvenga il fallimento del debitore, la legittimazione processuale alla prosecuzione dell'azione spettasse in via esclusiva e per tutta la durata della procedura al curatore fallimentare, il quale subentra al creditore originario che perde il proprio interesse all'azione (Cass., 5.12.2003, n. 18607; Cass., 6.8.2002, n. 11760, in Giust. civ. Mass., 2002, 1476). A tale orientamento, se ne è contrapposto altro che ha ipotizzato invece la possibilità per il creditore di proseguire il giudizio, a prescindere dall'iniziativa del curatore (Cass., 19.5.2006, n. 11763, in Giust. civ., 2007, 1702). Preso atto del contrasto sorto fra le sezioni semplici, la questione è stata da ultimo rimessa al vaglio delle sezioni unite (Cass., ord. 25.2.2008, n. 4717, in Nuova giur. civ., 2008, 1053), le quali hanno infine precisato che qualora nel corso di un giudizio di revocatoria ordinaria promosso da un creditore, sopravvenga il fallimento del debitore convenuto, il curatore, in veste si sostituto processuale della massa, ha facoltà sia di subentrare nel relativo processo sia di proporre ex novo la medesima azione, ex art. 66 l. fall.; in entrambi i casi la legittimazione processuale dell'organo concorsuale è esclusiva, non potendo cumularsi a quella del creditore singolare, data la finalità tipica ed essenziale dell'azione revocatoria di consentire il soddisfacimento esecutivo a vantaggio di tutti i creditori concorsuali. Di conseguenza, la domanda individualmente proposta dal creditore, divenuto privo di interesse e di titolo per proseguire il giudizio, va dichiarata improcedibile, ancorché trascritta anteriormente alla dichiarazione di fallimento (Cass., S.U., 17.12.2008, n. 29420, in Guida dir., 2009, 6).
Tuttavia, le sezioni unite hanno altresì precisato che il sopravvenuto fallimento del debitore non determina l'improcedibilità dell'azione revocatoria ordinaria promossa dal singolo creditore qualora il curatore non manifesti la volontà di subentrare in detta azione, né altrimenti risulti aver intrapreso, con riguardo a quel medesimo atto di disposizione, altra analoga azione a norma dell'art. 66 l. fall. (Cass., S.U., 17.12.2008, n. 29421, in Foro it. 2009, I, 1063).
La domanda revocatoria promossa dal creditore dell'alienante, ove sia stata trascritta anteriormente alla dichiarazione di fallimento dell'acquirente, non si pone in contrasto con il divieto di azioni esecutive individuali posto dall'art. 51 l. fall., risultando con ciò procedibile. In questo caso il creditore viene a trovarsi, rispetto all'immobile ormai acquisito all'attivo fallimentare, in posizione analoga a quella del titolare di diritto di prelazione su bene compreso nel fallimento e già costituito in garanzia per credito verso debitore diverso dal fallito (Cass., 2.12.2011, n. 25850, in Giust. civ. Mass., 2011, 1720).
Diversamente, la domanda revocatoria svolta dal creditore dell'alienante (anche) nei confronti del terzo acquirente dell'immobile, dichiarato fallito, non trascritta anteriormente al fallimento, risulta inopponibile ai creditori concorsuali, ex art. 51 l. fall., (Cass., 2.12.2011, n. 25850, in Giust. civ. Mass., 2011, 1720. La giurisprudenza ammette l'intervento principale o adesivo autonomo in causa di altro creditore, vietando, invece, l'intervento adesivo dipendente (Cass., 14.1.1982, n. 238, in Giur. it., 1982, I, 1771). Soggetti legittimati passivamente nell'azione revocatoria sono il debitore ed il terzo acquirente, fra i quali si configura un'ipotesi di litisconsorzio necessario. Una parte minoritaria della dottrina estende la necessità del litisconsorzio anche al sub acquirente (Betti, E., Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1955, 212), mentre la dottrina predominante, così come la giurisprudenza, ritiene solamente possibile l'estensione dell'azione a questi (Nicolò, R., Conservazione della garanzia patrimoniale, cit., 254; Cass., 17.3.2004, n. 5402).
In tema di azione revocatoria dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, la legittimazione passiva spetta ad entrambi i coniugi, anche se l'atto costitutivo sia stato stipulato da uno solo di essi, salvo che nell'atto sia stabilito che la costituzione del fondo non comporti un effetto traslativo dei beni che costituiscono oggetto della convenzione (Cass., 27.1.2012, n. 1242, in Giust. civ. Mass., 2012, 87).
La proposizione di più azioni revocatorie da parte di creditori diversi per il pregiudizio arrecato ai loro rispettivi crediti, ancorché dirette alla dichiarazione di inefficacia dello stesso atto, non dà luogo ad una causa inscindibile, bensì a tante cause distinte, la cui eventuale riunione, per ragioni di connessione, determina il litisconsorzio facoltativo tra le parti dei singoli procedimenti (Cass., 20.11.2009, n. 24546, in Giust. civ. Mass., 2009, 1619). La competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale è determinata dal criterio di collegamento stabilito dall'art. 5 n. 1, Convenzione di Bruxelles del 27.9.1968 secondo il quale, in materia contrattuale, il convenuto può essere citato davanti al giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita, in quanto applicabile anche quando a proporre l'azione revocatoria nei confronti delle parti del contratto sia un terzo estraneo al rapporto contrattuale (Cass., S.U., 7.5.2003, n. 6899, in Giust. civ. Mass., 2003, 5). Sono devolute alla giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti le azioni dirette alla conservazione della garanzia patrimoniale che possono essere esercitate dai procuratori regionali nei confronti degli atti dispositivi compiuti da pubblici dipendenti (Cass., 22.10.2007, n. 22059, in Foro it., 2008, I, 116).
La competenza per territorio, regolata dai criteri di cui agli artt. 18 e 33 c.p.c., spetta al giudice del luogo in cui uno dei convenuti o litisconsorti necessari ha la propria residenza. Nel caso di chiamata in giudizio anche del terzo subacquirente, l'accessorietà della domanda nei suoi confronti fa sì che si tenda a negare la competenza del giudice del luogo dove questi ha la residenza. La competenza per valore si determina in base al valore del credito per cui si agisce in revocatoria, e non in base al valore dei beni oggetto dell'atto dispositivo impugnato (Cass., 17.3.2004, n. 5402; Cass., 13.9.2004, n. 18348 (obiter dictum); Cass., 5.3.1988, n. 2307, in Mass. giur. it. 1988; Cass., 8.2.1971, n. 329, in Rep. Foro it., 1971, 461). Il rientro nel patrimonio del debitore dei beni oggetto dell'atto dispositivo impugnato in revocatoria comporta l'esaurimento dell'interesse ad agire e, di conseguenza, la cessazione della materia del contendere (Trib. Milano, 18.7.1988, in Giur. It. 1989, I, 129).
Il co. 1 dell’art. 2902 c.c. conferma il carattere conservativo dell'azione revocatoria nel garantire la soddisfazione delle ragioni del creditore mediante l'esercizio di azioni esecutive o conservative sui beni oggetto dell'atto dispositivo vittoriosamente impugnato. Dal disposto secondo cui tali azioni vanno esercitate nei confronti del terzo acquirente, si ricava l'esclusione di qualsiasi potenzialità recuperatoria dei beni al patrimonio del debitore. L'esercizio delle azioni esecutive o conservative in parola è subordinato all'ottenimento della dichiarazione di inefficacia dell'atto dispositivo impugnato oltre che alla necessaria ricorrenza di quei presupposti oggettivi che ne rendono possibile, di volta in volta, l'esperimento contro il terzo, non costituendo la sentenza dichiarativa di inefficacia dell'atto titolo sufficiente.
La dottrina ritiene necessaria la partecipazionedel debitore – al quale dovranno essere notificati i titoli e gli atti introduttivi – al processo esecutivo o conservativo contro il terzo; non solamente poiché è nei confronti di quest'ultimo che dovranno essere accertati i presupposti dell'azione esecutiva contro il terzo, ma anche per consentirgli di non essere esposto all'eventuale azione di rivalsa del terzo nei sui confronti, provvedendo direttamente al soddisfacimento delle pretese creditorie (D'Ercole, S., L'azione revocatoria, in Tratt. Rescigno, Torino, 1985, 163).
L'azione revocatoria giova solamente al creditore che l'ha esperita. Agli altri creditori non è dunque consentito promuovere le ulteriori fasi conservative ed esecutive, né intervenire nelle relative procedure instaurate contro il terzo acquirente. Poiché il bene oggetto dell'atto dispositivo revocato rimane comunque nel patrimonio del terzo acquirente, i creditori personali di quest'ultimo potranno intervenire nelle procedure instaurate, ma saranno posposti ai creditori revocanti. Nell'ipotesi in cui l'azione esecutiva sui beni oggetto dell'atto revocato sia stata esperita dai creditori del terzo acquirente, il creditore revocante, titolare di un credito esigibile, può perseguire i beni presso l'aggiudicatario, tranne nel caso in cui il pignoramento sia stato trascritto successivamente alla trascrizione della domanda di revoca o, se trascritto anteriormente, in caso di mala fede dell'aggiudicatario. In tale ultima ipotesi il creditore può soddisfarsi con precedenza rispetto ai creditori dell'espropriato, sul prezzo del bene, salvi i diritti acquisiti in forza del titolo trascritto anteriormente alla domanda di revocazione. Nel caso in cui, invece, il credito non sia esigibile, il creditore revocante ha il diritto di intervenire nell'esecuzione per ottenere l'accantonamento della somma spettantegli.
Il secondo comma dell’art. 2902 c.c. consente al creditore, una volta ottenuta la declaratoria di inefficacia, di promuovere nei confronti dei terzi acquirenti azioni esecutive o conservative sui beni oggetto dell'atto impugnato. Il terzo può evitare l'esecuzione adempiendo il debito ai sensi dell'art. 1180 c.c., ovvero provando che la situazione patrimoniale del debitore è mutata in meglio, onde la garanzia del debitore è stata ricostituita. Essendo il recupero del bene necessario solamente per rendere possibile, con la sua vendita, il soddisfacimento del credito nei limiti del pregiudizio sofferto e senza che occorra una vera e propria restitutio in integrum, al terzo, titolare del bene acquistato, è consentito trattenere l'eventuale residuo successivo alla soddisfazione del creditore procedente (Cass., 18.11.1961, n. 2691, in Foro it., 1962, I, 1538).
Esperita con successo l'azione, all'acquirente deve essere restituito il prezzo con gli interessi che, secondo la giurisprudenza, per essere di carattere corrispettivo, decorrono dalla data dell'atto dispositivo revocato (Cass., 23.2.1942, n. 1515, in Giur. it., 1942, I, 432). Parte della dottrina ritiene che il terzo acquirente o subacquirente sia responsabile verso il creditore, per averne impedito, anche solo parzialmente, la possibilità di soddisfazione delle proprie ragioni, mediante il compimento di un atto in grado di determinare l'uscita del bene dal patrimonio, la sua distruzione, consumazione ovvero diminuzione di valore, nel caso in cui l'atto del terzo sia posteriore alla sentenza di revoca. Nel diverso caso di anteriorità dell'atto rispetto alla sentenza di revoca, la responsabilità del terzo potrebbe risultare solamente da una sua qualifica illecita desumibile unicamente da una partecipazione all'atto fraudolento del debitore, antecedente alla nascita del credito (in questo senso si veda Nicolò, R., Conservazione della garanzia patrimoniale, cit., 262). Un'altra parte, per converso, ritiene impossibile distinguere tra anteriorità e posteriorità (rispetto alla sentenza di revoca) dell'atto del terzo, preclusivo della soddisfazione creditorea. In tal senso viene aggiunta alla sanzione specifica dell'inefficacia dell'atto dispositivo, quella della responsabilità per danni ex art. 2043 cod. civ. derivante da un ulteriore fatto lesivo del diritto di credito (in questo senso Bigliazzi Geri, L., Della tutela dei diritti, cit., 229).
Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale il principio di responsabilità del terzo acquirente per la sottrazione della garanzia patrimoniale dei creditori si applica anche nel caso in cui acquirente sia stata la pubblica amministrazione e l'impossibilità della restituzione del bene acquistato dipenda dalla sua utilizzazione per la realizzazione di un'opera pubblica.
La giurisprudenza ha altresì precisato che nel caso in cui il fine perseguibile con l'esercizio dell'azione revocatoria non sia più realizzabile per fatto illecito successivo del terzo acquirente del bene, il creditore possa agire direttamente nei confronti del terzo per il risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ., senza dover preventivamente esperire l'azione revocatoria. In tal senso è rimesso al giudice l'accertamento della sussistenza dei presupposti dell'azione revocatoria e dell'irrealizzabilità del suo scopo per fatto illecito del terzo (Cass., 13.1.1996, n. 251, in Foro it., 1996, I, 1279).
La responsabilità del terzo verso il creditore viene limitata alla diminuzione di valore del bene. In giurisprudenza e dottrina il valore cui fare riferimento è controverso tra quello attuale (Cass., 28.4.1973, n. 1169, in Foro it., 1973, I, 1350) e quello al tempo dell'atto dispositivo ovvero della citazione introduttiva del giudizio (Bigliazzi Geri, L., Della tutela dei diritti, cit., 179). Il terzo acquirente non è responsabile dei frutti del bene, né è tenuto a restituirli, se non dal momento del pignoramento nel caso in cui ne sia nominato custode ex art. 559 c.p.c.
Il decorso della prescrizione quinquennale dipende da un atto estraneo all'interessato prescindendo dalla conoscenza che questi ne abbia. Il dies a quo coincide con il momento in cui è compiuto l'atto dispositivo, con ciò intendendosi il momento in cui l'atto diviene giuridicamente perfetto (Cass., 15.2.2007, n. 3379, in Giust. iiv. Mass., 2007, 2).
Secondo una contraria pronuncia, la disposizione deve essere interpretata nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell'atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da questo momento il diritto può esser fatto valere e l'inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo (Cass., 19.1.2007, n. 1210, in Giust. civ. Mass., 2007, 1).
Tale termine prescrizionale decorre anche se il credito da tutelare non è esigibile, è contestato o soggetto ad accertamento, e si applica anche al caso in cui l'azione revocatoria sia esercitata nei confronti del subacquirente.
Mentre nell'azione revocatoria ordinaria esercitata in sede fallimentare il termine prescrizionale decorre dalla data dell'atto revocando (Cass., 16.3.1977, n. 1041, in Foro it., 1977, I, 1120), nell'azione revocatoria fallimentare il termine decorre dalla dichiarazione di fallimento, per effetto del principio generale secondo il quale la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (Cass., 16.2.1998, n. 1635, in Dir. fall. soc. comm., 1998, II, 636). Tale principio si applica anche nell'ipotesi in cui il fallimento segua alla procedura di amministrazione controllata o di concordato preventivo (Cass., 9.5.1996, n. 4347, in Dir. fall. soc. comm., 1997, II, 45). Le azioni cautelari od esecutive dipendenti dal giudicato sulla revocatoria sono invece soggette alla normale prescrizione decennale.
Alla prescrizione dell'azione revocatoria si applicano le regole sulla proroga dei termini di decadenza a seguito del mancato funzionamento degli uffici giudiziari di cui all'art. 1, d.lgs. 9.4.1948, n. 437 ed al d.m. 24.3.1975 (Cass., 17.1.1984, n. 402, in Giur. it., 1984, I, 912).
L'azione revocatoria fallimentare è disciplinata dagli artt. 67 ss. l. fall. La legittimazione attiva dinanzi al tribunale fallimentare spetta al solo curatore cui è riconosciuta la facoltà di intraprendere l'azione ovvero anche di subentrare in quella promossa prima del fallimento da uno dei creditori. Tale ultima azione subisce la vis actractiva della competenza funzionale del tribunale fallimentare in tutte le azioni derivanti dal fallimento. Il curatore del fallimento che esperisca l'azione revocatoria ordinaria non può limitarsi a far genericamente valere le ragioni creditorie del fallimento, essendo, invece, tenuto, in caso di esplicita contestazione del convenuto, a fornire la prova che il credito di cui si tratta sia stato insinuato nella massa fallimentare (Cass., 6.8.2004, n. 15257, in Giust. civ. Mass., 2004, 9).
La legittimazione passiva è limitata al solo terzo a causa della perdita della capacità processuale del debitore fallito.
Il presupposto soggettivo dell'azione, determinato ex art. 2901 c.c., si ravvisa nella conoscenza del pregiudizio arrecato dall'atto da provarsi specificamente, nei confronti del terzo avente causa e del debitore fallito. La giurisprudenza ritiene che l'anteriorità del credito dell'atto dannoso non abbia alcun rilievo in sede fallimentare: il curatore, infatti, non è tenuto a provare, in relazione ai creditori posteriori all'atto revocato, che il negozio è stato dolosamente preordinato a pregiudicarne le ragioni (Cass., 3.5.1978, n. 2055, in Foro it., 1979, I, 2930). Il risultato dell'azione revocatoria fallimentare giova a tutti i creditori del fallito, anteriori o successivi all'atto dispositivo. Tale risultato non può comunque superare il limite del danno effettivamente subito dal patrimonio del debitore a causa dell'atto dispositivo. L'accoglimento dell'azione revocatoria fallimentare non determina alcun effetto restitutorio in favore del disponente fallito né, tantomeno, alcun effetto traslativo in favore della massa dei creditori, ma comporta, viceversa, l'inefficacia dell'atto rispetto alla massa dei creditori, rendendo il bene trasferito assoggettabile all'esecuzione concorsuale, senza peraltro caducare, ad ogni altro effetto, l'atto di alienazione nei confronti dell'acquirente (Cass., 15.9.2004, n. 18573, in Giust. civ. Mass., 2004, 9).
L'azione revocatoria penale, disciplinata dagli artt. 192-194 c.p., è un rimedio civilistico volto a conservare la garanzia patrimoniale del debitore autore del reato in favore dei titolari di crediti derivanti dal reato ex art. 189 c.p.
Essa non esclude l'esperibilità dell'azione ordinaria per la tutela dei medesimi crediti, sussistendone i presupposti oggettivi e soggettivi. La dichiarazione di inefficacia riguarda tutti gli atti gratuiti posteriori. Per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione a titolo oneroso e posteriori, è richiesta la prova della mala fede dell'avente causa mentre è presunta quella dell'autore del reato. La dichiarazione di inefficacia degli atti anteriori al reato resta invece subordinata alla prova della specifica intenzione del reo di pregiudicare il soddisfacimento dei crediti e, nel caso di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, anche della mala fede dell'avente causa del colpevole. L'azione promossa dal danneggiato nei confronti degli atti di disposizione patrimoniale posti in essere dall'autore di un reato dopo la sua commissione non richiede necessariamente che si sia giunti ad una dichiarazione di colpevolezza in sede penale; pertanto, nel caso in cui il giudizio penale sia stato dichiarato estinto per morte del reo, tale azione può essere proseguita in sede civile nei confronti degli eredi dell'imputato (Cass., 14.6.2007, n. 13972, in Giust. civ. Mass., 2007, 6). L'azione revocatoria penale promossa prima della condanna penale subisce la sospensione disposta dall'art. 295 c.p.c. in relazione all'art. 3 c.p.p. Il termine diprescrizione dell'azione è quinquennale e decorre ex art. 2903 c.c. dalla data dell'atto e non dalla data della sentenza penale definitiva che accerta la colpevolezza.
Artt. 2901-2904 c.c.; artt. 45, 51, 66 e 67, r.d. 16.3.1942, n. 267 (l. fall.); art. 1 d.lgs. 9.4.1948, n. 437; d.m. 24.3.1975.
Betti, E., Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1955, 212 ss.; Bigliazzi Geri, L., Della tutela dei diritti, in Comm. c.c. Gabrielli, Torino, 1980, 111 ss.; Cosattini, L., La revoca degli atti fraudolenti, Padova, 1950, 128; D'Ercole, S., L'azione revocatoria, in Tratt. Rescigno, Torino, 1985, 152; De Martini, A., Azione revocatoria, in Nss.D.I., Torino, 1958, 154; Maffei Alberti, A., Il danno nella revocatoria, Padova, 1970; Nicolò, R., Conservazione della garanzia patrimoniale, Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1962, 198 ss; Roselli, F., I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, Torino, 1997, 285 ss.