Revocazione per contrasto con pronuncia di Corte di giustizia
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato pone nuovamente all’attenzione della Corte costituzionale il problema del possibile ampliamento delle ipotesi di revocazione al caso del contrasto di una pronuncia giurisdizionale non più appellabile con sopravvenuta pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia accertato la violazione dell’art 46 della Convenzione, confermando il ruolo attivo del giudice amministrativo nell’elaborazione dei principi comuni di diritto processuale. L’ingresso nel nostro ordinamento della revocazione per errore di diritto consistente nella violazione, accertata dalla Corte europea, del diritto al giudice o all’equo processo modificherebbe significativamente l’equilibrio attualmente garantito dall’istituto della revocazione al rapporto tra i valori, entrambi costituzionalmente protetti, del rispetto dell’esigenza di giustizia sostanziale e di preservazione del valore e dell’efficacia della cosa giudicata.
Se nei tempi meno recenti il terreno di elezione per l’elaborazione dei principi di diritto processuale comune è stato praticamente rappresentato dal solo processo civile, alla disciplina del quale il processo amministrativo ha spesso attinto per completare le proprie lacune, ciò non toglie che anche il processo amministrativo sia stato e sia sede appropriata per l’elaborazione dei principi processuali di diritto comune, a maggior ragione dopo l’esplicito riconoscimento da parte della pronuncia C. cost. 6.7.2004, n. 204 che la specialità del giudice amministrativo non significa che questi non abbia «piena dignità di giudice ordinario per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, delle situazioni soggettive non contemplate dall’art. 2 della legge del 1865».
Nell’ormai mutato scenario del rapporto tra processo amministrativo e principi comuni o generali del processo appare significativo il fatto che sia oggi il giudice amministrativo che torni a sottoporre all’attenzione della Corte costituzionale il problema del possibile ampliamento delle ipotesi di revocazione al caso del contrasto, di una pronuncia giurisdizionale non più appellabile, con sopravvenuta pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia accertato la violazione di un diritto fondamentale, quale il diritto al giudice o all’equo processo (o è da ritenere più in generale di una norma interposta creata dall’interpretazione vincolante della Corte di giustizia internazionale, che lo Stato italiano è tenuto ad osservare in virtù dell’obbligo derivante dalla adesione o sottoscrizione di trattati o convenzioni internazionali).
Il che è quanto viene appunto fatto dall’A.P. con la pronuncia 4.3.2015, n. 2, con la quale ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità degli artt. 106 del Codice del processo amministrativo (d.lgs. 2.7.2010, n. 104) e 395 e 396 del c.p.c., in relazione agli artt. 117 co. 1, 111 e 24, Cost., nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46, par. 1, della CEDU, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo1.
Per comprendere l’importanza della citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria è opportuno premettere che, differentemente da altri Stati membri del Consiglio d’Europa, l’Italia non ha adottato una disciplina generale appositamente volta a garantire la riapertura dei processi ritenuti non equi dalla Corte europea, come pur richiesto dalla Raccomandazione R(2000)2 del 19.1.2000 del Comitato dei Ministri; e che ciò ha avuto come conseguenza il fatto che la Corte costituzionale sia stata già chiamata per ben due volte a pronunciarsi sulla questione dell’ammissibilità a tal fine del rimedio revocatorio: una prima con specifico riferimento al processo penale; una seconda con riferimento al processo civile.
2.1 Il precedente C. cost. 7.4.2011, n. 113 (processo penale)
Con riferimento al processo penale, la questione viene accolta con la sentenza 7.4.2011, n. 1132.
Nella suddetta pronuncia la Corte, ribadendo che rimane affidata alla discrezionalità del legislatore la scelta dei limiti e dei modi nei quali eventualmente valorizzare le indicazioni della Raccomandazione R(2000)2 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa e che l’intervento additivo nell’occasione operato dalla Corte medesima si giustifica attesa la perdurante inerzia del legislatore nel prevedere un meccanismo di adeguamento alle pronunce definitive della Corte di Strasburgo3, ritiene fondata la questione di costituzionalità, sollevata in riferimento all’art. 117, co. 1, della Costituzione e all’art. 46 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dell’art. 630 del codice di procedura penale «nella parte in cui non prevede la rinnovazione del processo allorché la sentenza o il decreto penale di condanna siano in contrasto con la sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia accertato l’assenza di equità del processo, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo». La pronuncia additiva si rende necessaria, come precisa la stessa Corte, attesa altrimenti «l’impossibilità di avvalersi, ai fini considerati, del mezzo straordinario di impugnazione storicamente radicato nel sistema processuale penale – cioè, la revisione – … non essendo l’ipotesi in questione riconducibile ad alcuno dei casi attualmente contemplati dall’art. 630 cod. proc. pen. … insieme di casi (che) riflette, d’altronde, la tradizionale configurazione dell’istituto quale strumento volto a comporre il dissidio tra la “verità processuale”, consacrata dal giudicato, e la “verità storica”, risultante da elementi fattuali “esterni” al giudicato stesso. Si tratta, in altre parole, di un rimedio contro il difettoso apprezzamento da parte del giudice del fatto storiconaturalistico: difetto che può emergere per contrasto con i fatti stabiliti da decisioni distinte da quella oggetto di denuncia (lettere a e b dell’art. 630 cod. proc. pen.); per insufficiente conoscenza degli elementi probatori al momento della decisione (lettera c), o per effetto di dimostrata condotta criminosa (lettera d)». In sostanza, è ritenuto incostituzionale non prevedere la possibilità di rimettere in discussione il giudicato già formatosi su vicenda giudiziaria nel caso di violazione accertata dalla Corte europea delle garanzie stabilite dall’art. 6 della Convenzione.
2.2 Il precedente C. cost. 22.10.2013, n. 238 (processo civile)
Con riferimento al processo civile la questione è invece oggetto della pronuncia 22.10.2014, n. 238, con la quale prima facie la Corte sembrerebbe negare la possibilità di estensione come generale del principio affermato da C. cost. n. 113/2011. Con la sentenza n. 238/2014 la Corte dichiara infatti l’incostituzionalità dell’art. 3 della l 14.1.2013, n. 5, che aveva introdotto la possibilità d’impugnare per revocazione le sentenze passate in giudicato per contrasto con la sentenza della Corte internazionale di giustizia che avesse affermato il difetto di giurisdizione del giudice civile. La sentenza n. 238/2014 sembrerebbe aver pertanto escluso la possibilità di introdurre in via generale il nuovo caso di revocazione anche nel processo civile (ed amministrativo), ma la lettura della motivazione consente di comprendere l’esatta portata della pronuncia e di circoscriverne la rilevanza con specifico riferimento alla questione dell’ammissibilità o meno della nuova ipotesi di revocazione. Al riguardo occorre iniziare con il precisare che la legge n. 5 del 2013 era volta ad autorizzare l’adesione e la piena esecuzione da parte dell’Italia della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, adottata a New York il 2 dicembre 2004; e che nel recepire nell’ordinamento interno la suddetta Convenzione, la legge 3/2013 non si limita ad autorizzare l’adesione (art. 1) e ad imporre la formula dell’ordine di esecuzione (art. 2), ma aggiunge alle suddette disposizioni il censurato art. 3, il quale disponeva testualmente che «1. Ai fini di cui all’articolo 94, paragrafo 1, dello Statuto delle Nazioni Unite, […] quando la CIG, con sentenza che ha definito un procedimento di cui è stato parte lo Stato italiano, ha escluso l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile, il giudice davanti al quale pende controversia relativa alle stesse condotte rileva, d’ufficio e anche quando ha già emesso sentenza non definitiva passata in giudicato che ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione, il difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo. 2. Le sentenze passate in giudicato in contrasto con la sentenza della CIG di cui al comma 1, anche se successivamente emessa, possono essere impugnate per revocazione, oltre che nei casi previsti dall’articolo 395 del codice di procedura civile, anche per difetto di giurisdizione civile e in tale caso non si applica l’articolo 396 del citato codice di procedura civile». Occorre ancora precisare che la disposizione del citato articolo 3 era diretta a garantire la esecuzione della sentenza della Corte internazionale di giustizia dell’Aja del 3.2.2012 che, con riferimento ad azioni risarcitorie proposte nei confronti della RFT per crimini di guerra e contro l’umanità lesivi di diritti inviolabili della persona commessi dal Terzo Reich nel territorio italiano, aveva escluso la possibilità di fare eccezione al principio di diritto internazionale che vuole la immunità degli Stati dalla giurisdizione degli altri Stati per gli atti compiuti jure imperii. Pur riconoscendo espressamente che il difetto di giurisdizione dei giudici italiani comportava un sacrificio dei diritti fondamentali dei soggetti che avevano subito le conseguenze dei crimini commessi dallo Stato straniero, nella sua pronuncia la Corte internazionale di giustizia aveva nondimeno ribadito che sul piano del diritto internazionale l’unico strumento per definire la questione era e rimaneva l’apertura di un nuovo negoziato da definire nelle sedi diplomatiche4.
Nell’occasione la Corte costituzionale, nel rileggere la propria precedente giurisprudenza e richiamando in particolare le sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001 e le sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007 e n. 1146 del 1988, assume una posizione molto netta e decisa5 nell’affermare che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso […] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione» ed operino quali “controlimiti” all’ingresso delle norme dell’Unione europea, precisando che «essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale». Una volta chiarito e ribadito in linea generale che spetta alla Corte costituzionale di accertare se la norma del diritto internazionale sull’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri possa entrare nell’ordinamento costituzionale, e che l’operatività del rinvio alla norma internazionale va pertanto esclusa per la parte confliggente con i principi fondamentali ed i diritti inviolabili, la Corte ha poi ritenuto che la norma consuetudinaria di diritto internazionale recata dall’interpretazione vincolante della pronuncia Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012 non potesse entrare nell’ordinamento italiano, in quanto fra i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale vi è il diritto di agire e di resistere in giudizio a difesa dei propri diritti, riconosciuto dall’art. 24 Cost., da ritenere inviolabile specie nei casi in cui è strumentale alla tutela dei diritti fondamentali della persona. Avendo in tal modo escluso la possibilità che la norma recata dall’interpretazione vincolante della Corte internazionale di giustizia potesse operare come norma interposta del giudizio di costituzionalità, la Corte ha conseguentemente concluso nel senso della incostituzionalità della norma recata dall’art. 3 della l 5 del 2013 che imponeva al giudice nazionale di declinare la giurisdizione nella causa civile di risarcimento del danno per crimini di guerra, travolgendo con ciò la norma anche nella parte in cui introduceva il nuovo caso di revocazione per le sentenze passate in giudicato ma in contrasto con sentenza della Corte internazionale di giustizia successivamente emessa.
2.3 Il contributo dell’A.P. all’elaborazione di principi processuali comuni
Il quid novi e l’importanza della pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 2/2015 si colgono quindi se solo si considera che la questione (dell’ammissibilità del nuovo caso di revocazione per contrasto della sentenza del giudice nazionale passata in giudicato con quella resa da una corte internazionale di giustizia cui lo Stato è obbligato a dare esecuzione) viene adesso riproposta all’attenzione della Corte costituzionale nei suoi termini assoluti, scevra cioè dai profili di costituzionalità derivanti dalla norma interposta creata dalla interpretazione vincolante della Corte internazionale di giustizia.
Nel caso oggetto della pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 2/2015 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato che il difetto di giurisdizione dichiarato con sentenza passato in giudicato dal giudice amministrativo (con riferimento ad una situazione giuridica non altrimenti tutelabile se non dal giudice amministrativo stesso) concreta la violazione dell’art. 6, par. 1 della Convenzione che vuole garantito il diritto di accesso al giudice. Muovendo dalla constatazione che qualora non fosse ammissibile la revocazione del giudicato, l’ordinamento italiano non fornirebbe ai ricorrenti alcuna possibilità per veder rimediata la violazione dei diritti fondamentali dagli stessi subita, e che le norme processuali vigenti non contemplano tra i casi di revocazione quella che si renda necessaria per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Adunanza Plenaria ritiene di dover sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 106 c.p.a. e 395 e 396 c.p.c. in relazione agli artt. 117 co. 1, 111 e 24 Cost. nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46 par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il percorso motivazionale si può riassumere nell’osservazione che «anche davanti al giudice amministrativo, così come a quello civile, viene in rilievo la tutela di diritti fondamentali che, in caso di vizi processuali o sostanziali, possono essere compressi o limitati in modo da non risultare tollerabile per uno stato di diritto e generare una responsabilità dello Stato per violazione degli obblighi convenzionali assunti» e che «Qualora la Corte CEDU accerti che una tale violazione vi è stata … le norme processuali nazionali che disciplinano i casi di revocazione delle sentenze del giudice amministrativo – i.e. l’art. 106 c.p.a. e, in quanto richiamato dallo stesso, gli artt. 395 e 396 c.p.c. – si pongano in tensione con il vincolo per il legislatore statale di rispetto degli obblighi internazionali sancito dall’art. 117 co. 1 Cost. e che, nel caso di specie, viene in rilievo con riferimento all’impegno assunto dallo Stato – con la legge di ratifica ed esecuzione 4 agosto 1955, n. 848 – di conformarsi alle sentenze della Corte di Strasburgo».
Differentemente dal caso oggetto della pronuncia C. cost. n. 238/2014, nel quale la norma interposta creata dall’interpretazione vincolante della Corte di giustizia internazionale finiva con il negare il diritto al giudice e nel quale l’introduzione del nuovo caso di revocazione risultava strumentale alla vanificazione dei giudicati che tale accesso avevano già garantito, nel caso oggetto dell’A.P. n. 2/2015 l’ampliamento delle ipotesi di revocazione (al contrasto della sentenza passata in giudicato con sentenza Corte europea dei diritti dell’uomo che abbia riconosciuto la violazione dell’art. 46 della Convenzione ad opera della sentenza del giudice nazionale) si pone nella prospettiva di garantire l’effettività del diritto al giudice ai sensi dell’art. 46 della Convezione; così come nell’ottica di garantire il diritto al giudice o all’equo processo sempre ai sensi dell’art. 46 della Convenzione si è posto anche il caso deciso da C. cost. n. 113/2011 con la pronuncia additiva che ha introdotto nell’ordinamento nazionale la possibilità di revisione del processo penale già definito con pronuncia passata in giudicato in caso di contrasto con successiva pronuncia della Corte di giustizia europea.
Se, come sembrerebbe, l’evoluzione degli ordinamenti tende ad introdurre nell’ordinamento nazionale un principio di diritto processuale comune secondo il quale deve essere garantita la possibilità di rimettere in discussione il giudicato già formatosi su una sentenza che la decisione della Corte internazionale ritenga però emessa in violazione delle garanzie dell’art. 6 della Convenzione, è ragionevole ritenere che la Corte costituzionale non avrà questa volta difficoltà ad emettere pronuncia additiva nei confronti degli articoli 395 e 396 c.p.c. e dell’art. 106 c.p.a.
Rimarrebbe in ogni caso il fatto che l’introduzione del nuovo caso di revocazione porrebbe seri problemi d’inquadramento sistematico all’interno dell’istituto ed imporrebbe altresì la riconsiderazione di natura e funzione dello stesso istituto processuale.
Internamente all’istituto si è soliti distinguere tra revocazione ordinaria e straordinaria con riferimento alla tipologia delineata dall’art. 395 c.p.c.6. Rientrerebbero nella prima (revocazione ordinaria) i casi contemplati sub 4 e 5 (ovvero : «4 se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare»; «5 se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione»). Nella seconda (revocazione straordinaria), i casi sub 1, 2, 3 e 6 (ovvero: «1se sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra; 2 se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza; 3 se dopo la sentenza sono stati trovati uno o piu’ documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario; 6 se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato»). Nei casi di revocazione straordinaria i motivi d’impugnazione della sentenza si rendono deducibili per la scoperta di fatti sopravvenuti alla sentenza ed al suo passaggio in giudicato e che portano a ritenere che il giudizio sia stato falsato. Nei casi revocazione ordinaria il motivo sarebbe invece immediatamente deducibile dalla sentenza, o perché la sentenza contrasta con altra sentenza già passata in giudicato oppure perché v’è stata una svista nella lettura degli atti processuali prodotti dalle parti in punto di rappresentazione dei fatti per cui è causa. In quest’ultimo caso, come suol dirsi, l’errore deve però cadere sugli atti in quanto tali, e non può trasmodare in un errore di giudizio, in un errore di diritto cioè denunciabile come motivo di ricorso in cassazione ai sensi dell’art 360, n. 57; come avverrebbe se si denunciasse un errore nell’interpretazione del fatto o nella valutazione delle prove raccolte8.
È evidente che l’ipotesi di revocazione, di sentenza passata in giudicato per contrasto con successiva sentenza della Corte internazionale che abbia riconosciuto la violazione del diritto al giudice o all’equo processo, non è riconducibile né ad un nuovo caso di revocazione ordinaria, né ad un nuovo caso di revocazione straordinaria. Il contrasto con sentenza passata in giudicato è espressamente contemplato tra i vizi di revocazione ordinaria, ma suppone che il giudicato si sia formato anteriormente alla sentenza; così come il secondo caso di revocazione ordinaria consente l’impugnativa per errore di fatto e non di diritto, ed è tipicamente di diritto la questione sul diniego della giurisdizione. I motivi di revocazione straordinaria, dal canto loro, attribuiscono rilevanza ad un fatto sopravvenuto solo se questo è in grado di provare che il giudizio di diritto si è formato con riferimento ad una rappresentazione dei fatti falsata o in presenza del fattore inquinante del dolo di una delle parti del processo (giudice compreso), mentre nel nuovo caso il fatto nuovo non viene soltanto scoperto ma viene a maturare esso stesso successivamente al passaggio in giudicato della sentenza.
Al di là dei profili d’inquadramento puramente sistematico, il problema maggiore impatta sulla natura e sulla funzione del rimedio revocatorio, che vengono sicuramente forzate nel momento in cui il rimedio revocatorio si apre nei confronti dell’errore di diritto9. Per quanto con riferimento alla tipologia dei motivi di revocazione si distingua tra revocazione straordinaria e ordinaria, a seconda che i motivi di revocazione possano essere fatti valere o meno successivamente alla formazione del giudicato, sta di fatto che l’istituto di per sé considerato rappresenta un mezzo d’impugnazione straordinario delle sentenze10. Se ed in quanto l’ingiustizia della sentenza venga dedotta non per un supposto errore di diritto ma per la scoperta di fatti di per sé tali da produrre un effetto rescindente della sentenza e da condurre ad una diversa formulazione del conseguente giudizio di diritto, l’impugnazione consente di riaprire il giudizio di merito anche se la sentenza è passata in giudicato. Nel sistema delle impugnazioni la revocazione rappresenta un rimedio “straordinario” perché consente di rimettere in discussione il decisum a fronte dell’esigenza, parimenti tutelata dal principio del giusto processo, di garantire la ragionevole durata del processo11; o, meglio ancora, perché consente di rimettere in discussione il decisum laddove nella creazione di certezza giuridica risiedono la stessa ragion d’essere della funzione giurisdizionale “ne paene lites fiant immortales” e la quintessenza dell’effettività della tutela giurisdizionale12.
Allo stato, il difficile e delicato rapporto tra tutela dell’esigenza di giustizia sostanziale e preservazione del valore e dell’efficacia della cosa giudicata, valori entrambi costituzionalmente protetti ed entrambi espressione del medesimo principio di effettività della tutela giurisdizionale, trova proprio nell’istituto della revocazione il suo punto di equilibrio. Il riconoscimento della possibilità di proporre la revocazione della sentenza per un motivo tipicamente di diritto è destinato pertanto a ridisegnare il confine tra i due valori costituzionalmente protetti, rendendo sicuramente più difficile la ricerca di un nuovo punto di equilibrio; specie se alla dilatazione della revocazione verso il motivo di diritto si accompagna la crescente tendenza dell’ordinamento a prevedere e legittimare forme di decisione semplificata, abbreviata o accelerata della lite a scapito della pienezza dell’accertamento giurisdizionale.
1 Sulla revocazione nel processo amministrativo, in generale, prima del d.lgs. 2.7.2010, n. 104, v. Carullo, A., La revocazione nel processo amministrativo, Padova, 1978; Cassarino, S., Il processo amministrativo nella legislazione e nella giurisprudenza, Milano, 1987, 775; Stella Richter, P., Impugnazioni (diritto processuale amministrativo), in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1989, 4; Consolo, C., La revocazione nel processo amministrativo, i suoi odierni limiti e le sue supposte peculiarità nel concorso con l’appello, in Dir. proc. amm., 1992, 841 ss.; Caianello, V., Diritto processuale amministrativo, II ed., Torino, 1993, 740; Domenichelli, V., Diritto amministrativo, Bologna, 1993, vol. 2, 1993, 1737; Francario, F., Commento all’art 46 t.u. Cons Stato (r.d. 26.6.1924, n.1054), in Commentario breve alla leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, 2009, 1577 ss.; Cons. St., A.P., 25.3.2009, n. 2; successivamente all’entrata in vigore del codice, v. D’Orsogna, M., Le impugnazioni straordinarie contro le decisioni dei giudici amministrativi, in Giustizia amministrativa, a cura di F.G. Scoca, Torino, 2011, 423 ss.; Luiso, F.P., Le impugnazioni, in Il codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, a cura di B. Sassani e R. Villata, Torino, 2012, 1217; Travi, A., Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2010, 325 ss.; Tarullo, S., Giudizio revocatorio e “forza della prevenzione”, in Giur. It., 2014, 940.
2 C. cost. 7.4.2011, n. 113 con nota di A. Diddi, La “revisione del giudizio”: nuovo mezzo straordinario di impugnazione delle sentenze emesse in violazione della CEDU, in Giust. pen, 2011, I, 138 ss. e con nota di L. Parlato, Revisione del processo iniquo: la corte costituzionale getta il cuore oltre l’ostacolo, in Dir. pen. proc., 2011, 833 ss.
3 Crf. il par. 9 della pronuncia: «Giova ribadire e sottolineare che l’incidenza della declaratoria di incostituzionalità sull’art. 630 cod. proc. pen. non implica una pregiudiziale opzione di questa Corte a favore dell’istituto della revisione, essendo giustificata soltanto dall’inesistenza di altra e più idonea sedes dell’intervento additivo. Il legislatore resta pertanto e ovviamente libero di regolare con una diversa disciplina – recata anche dall’introduzione di un autonomo e distinto istituto – il meccanismo di adeguamento alle pronunce definitive della Corte di Strasburgo, come pure di dettare norme su specifici aspetti di esso sui quali questa Corte non potrebbe intervenire, in quanto involventi scelte discrezionali».
4 Per la ricostruzione dei termini generali della vicenda v. Consolo, C.Morgante, V., La immunità degli stati, dopo L’Aja, presidiata dalla revocazione, deferita al giudice costituzionale italiano, in Corr. giur., 2012, 449 ss. Con più specifico riferimento alla sentenza CIG 3.2.2012, v. Consolo, C. Morgante, V., La corte dell’Aja accredita la Germania dell’immunità (che le Sezioni Unite avevano negato), in Corr. giur., 2012, 597 ss.; Pisillo Mazzeschi, R., Il rapporto tra norme di jus cogens e la regola sull’immunità degli Stati: alcune affermazioni critiche sulla sentenza della Corte Internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012, in Diritti umani e diritto internazionale, 2012, 326 ss.; Salerno, F., Gli effetti della sentenza internazionale nell’ordinamento italiano: il caso Germania c. Italia, in Diritti umani e diritto internazionale, 2012, 350 ss.; Serranò, G., Considerazioni in merito alla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia nel caso relativo alle immunità giurisdizionali dello Stato, in Riv. Int. Dir. Priv. e Proc., 2012, 617 ss.
5 Posizione che non manca di spiazzare chi in dottrina aveva già prognosticato un diverso esito della pronuncia della Corte cost.: cfr. Consolo, C.Morgante, V., La immunità degli stati, dopo L’Aja, presidiata dalla revocazione, deferita al giudice costituzionale italiano, cit.
6 Sulla distinzione in generale v. Colesanti, V., Sentenza civile (revocazione della) in Nss.D.I., XVI, 1969; Fazzalari, E., Revocazione (diritto processuale civile), in Enc. dir., XL, 1989, 297 ss.
7 Sui confini tra revocazione ordinaria ex art. 395, n. 4 c.p.c. e ricorso per cassazione ex art. 360, n. 5 v. Consolo, C., Mancata considerazione di una decisione che ebbe ad annullare un regolamento: sentenza revocabile ex art 395 cod. proc. civ., per errore di fatto revocatorio o per contrasto con un precedente giudicato, in Giur. It., 1993, III, I, 976; Ferrari, F., L’errore di fatto tra cassazione e revocazione e il pregiudizio derivante dal vizio in procedendo, in Nuova giur. civ. comm., 2015, I, 513 ss.; Piccininni, L., I motivi di ricorso in Cassazione dopo la modifica dell’art 360 n. 5 cpc, in Riv. dir. proc., 2013, 2, 407 ss.
8 Sull’errore di fatto revocatorio nel processo amministrativo v. Cons. St., A.P., 22.1.1997, n. 3; Cons. St., A.P., 17.5.2010, n. 2; Cons. St., A.P., 24.1.2014, n. 5.
9 Cfr Francario, F., Revocazione ordinaria e processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1997, 830 ss.
10 Cfr.: Cerino Canova, A., Impugnazioni, I) diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989.
11 Ramajoli, M., Giusto processo e giudizio amministrativo, in Dir. proc. amm., 2013, 138 ss.
12 La necessità di ridisegnare sistematicamente un nuovo punto di equilibrio tra i valori della certezza e stabilità della cosa giudicata e dell’esigenza di giustizia sostanziale è ben presente alla più matura dottrina ; cfr. Colesanti, V., La revocazione è diventata un istituto inutile?, in Riv. dir. proc., 2014, 1, 26 ss.; Comoglio, L.P., Requiem per il processo “giusto”, in Nuova giur. civ., 2013, 1 ss.