RHAGAI
Le rovine di R. (o Rhages,oggi Rayy) giacciono a 10 km S-E di Teheran, lungo il percorso della antica via carovaniera che dagli emporî del Mediterraneo conduceva in Asia centrale.
L'acropoli della città sorgeva su uno degli speroni rocciosi che i monti Alburz protendono nella pianura, in un luogo ideale per dominare e controllare un'ampia sezione dell'altopiano iranico. Oltre ai resti della città alta, rimangono tracce di un quartiere più basso, difeso da mura turrite d'epoca islamica, ed alcuni tell di minore importanza.
Prima che si compissero scavi regolari, il sito era noto nel mondo dell'antiquariato orientale per le ceramiche selgiuchidi estratte senza metodo da cacciatori di antichità clandestini. Nel 1912-13 e nel 1925 Rayy fu visitata da J. de Morgan e nel 1924 da M. Daydet. Entrambi però non fecero che qualche superficiale assaggio.
Nel 1934-36 i principali tell della zona furono scavati con metodo dalla Joint Expedition del Boston Museum of Fine Arts e della William Boyce Tompson Foundation of the University Museum di Philadelphia. Attraverso tali scavi è stato possibile determinare la presenza, a R., di stanziamenti preistorici della più grande antichità. Sono infatti venute alla luce tracce di culture che risalgono alla seconda metà del V millennio e possono considerarsi contemporanee alle culture di Tepe Siyalk I-II.
Le prime notizie scritte riguardanti R. compaiono con l'occupazione dell'altopiano da parte dei Medi, alla fine del II millennio a. C. Tra il IX e il VII sec. a. C. gli Assiri occuparono più volte la città, durante le loro ripetute campagne in territorio iranico. Probabilmente furono proprio costoro a trapiantare nella zona una colonia ebraica. Nel 550 a. C. R. fu presa da Ciro e fece parte dell'impero achemènide fino al 330 a. C., quando cadde nelle mani d'Alessandro. Nel 280 a. C. la città fu distrutta da un terremoto e venne ricostruita da Seleuco Nicatore con il nome di Europos. Durante il periodo parthico divenne la residenza primaverile dei sovrani Arsacidi.
Sotto i Sassanidi il centro abitato fu spostato probabilmente verso E e la città divenne sede di un vescovado nestoriano. Nel 645 d. C. R. fu conquistata dagli Arabi. Il suo periodo di massimo splendore coincide con la dominazione selgiuchide e termina bruscamente con le totali distruzioni di Gengis Khan e Tamerlano.
I ritrovamenti preistorici sono emersi in massima parte dallo scavo della collina artificiale di Chasmah-i Alì, immediatamente al disotto di resti architettonici d'epoca parthica. Lo strato più antico, a contatto con il terreno vergine, ha rivelato qualche frammento di ceramica di tipo Tepe Siyalk I e varia ceramica di tipo Tepe Siyalk II. Si tratta di vasellame fatto ancora a mano, di colore rosso bruno, sul quale i disegni neri alternano filiformi e nervose stilizzazioni animali con motivi geometrici.
Subito dopo appare una ceramica più raffinata, imparentata strettamente con le produzioni di Tepe Siyalk III e Hissar I. Essa testimonia l'introduzione in Iran della ruota da vasaio e del forno a grata. Sono vasi a grana fine, di forme svariate, con le pareti molto sottili e ben cotte. I disegni, dipinti in nero come i precedenti, si stagliano ora su un fondo meno scuro. La varietà dei soggetti rimane grandissima. Abbondano soprattutto racemi stilizzati in eleganti volute o palmette verticali. Non mancano tuttavia rappresentazioni di animali, colti, con acuto ed essenziale realismo, nei loro piu tipici aspetti ed in questi poi stilizzati talvolta fino all'astrazione.
Al disopra dei resti preistorici della collina di Chasmah-i Alì, i Parthi costruirono un tempio, databile, per mezzo di numerosi ritrovamenti numismatici, tra il I sec. a. C. ed il I d. C. Nelle stanze laterali dell'edificio è stata trovata una discreta quantità di vasellame che illustra gli indirizzi della ceramica parthica all'inizio dell'èra volgare. Le giare, le coppe, le anfore, i rhytà, mostrano forme spesso originali e tradiscono indubbi contatti con il vasellame coevo delle regioni del N-E iranico (Makran). Di un certo interesse è anche una maschera terrifica in stucco, a carattere evidentemente apotropaico. Essa, a quanto pare, rappresenta Pazuzu (v.) uno dei principali dèmoni della mitologia mesopotamica.
A 12 km a S della città, vicino al moderno villaggio di Chal Takhan, la spedizione americana ha portato alla luce i resti di un complesso architettonico d'epoca sassanide. Si tratta probabilmente di un casino di caccia degli ultimi sovrani della dinastia. Le nicchie, le colonne, gli archivolti del palazzo principale erano coperti abbondantemente di stucchi i cui disegni assomigliano a quelli dei palazzi di Damghan, Ctesifonte, Kish. Particolarmente importante è stato il ritrovamento di un gruppo di bassorilievi in stucco, di varia grandezza e forma, con scene di caccia. Essi probabilmente appartenevano ad uno o a due grandi pannelli che adornavano uno od entrambi i lati di un iwān. In uno dei riquadri centrali è modellato un re (probabilmente Firuz I) che caccia un branco di cinghiali. Il monarca, rigidamente frontale, monta un cavallo al passo e pare disinteressarsi totalmente all'azione in cui è coinvolto. Non vi è, in tutta la sua persona, la minima traccia di partecipazione o di sforzo. Ciò dimostra che il vero significato della scena prescinde in realtà dall'elemento narrativo rappresentato. La caccia vale dunque solo in quanto serve a costruire, assommata ad altri elementi tradizionali (come la frontalità, la ricca corona con i simboli del sole e della luna, ecc.), quell'idea quasi divina della regalità che l'artista intendeva esaltare nel personaggio.
Altri rilievi dello stesso gruppo rappresentano un secondo principe sassanide che caccia la gazzella con l'arco.
Bibl.: R. de Mecquenem, Notes sur la céramique peinte archaïque en Perse, in Mémoires de la Délégation en Perse, XX, 1928, pp. 115-121; E. F. Schmidt, The Persian Expedition at Ravy, in Bulletin of the University Museum of Pennsylvania, V, n. 5, 1935, pp. 41-49; id., in Bulletin of the Museum of Fine Arts of Boston, XXXIII, 1935, p. 55 ss.; id., Excavations at Ravy, in Ars Islamica, II, 1935; A. U. Pope, Discoveries at Harun ar Rashid's Birthplace, in Ill. London News, n. 5018, 1935, p. 1122 s.; E. Herzfeld, A Keith Iran as a Prehistoric Centre, in Survey of Persian Art, Oxford 1938, p. 56; A. U. Pope, Èasanian Stucco. B) Figure, ibid., Oxford 1938, IV, p. 631 s.; R. Ettinghausen, Parthian and Sasanian Pottery, ibid., p. 646 s.; ibid., p. 673, tav. 176 (A), 178 (E); E. F. Schmidt, Flights over Ancient Cities of Iran, Chicago 1940, p. 33; R. Ghirshman, Iran, Parigi 1951, pp. 42; 115; 140; 226; L. Van den Berghe, Archéologie de l'Iran ancien, Leida 1959, pp. 121; 122; 137.