RIABILITAZIONE
. La riabilitazione del condannato. - Per quanto si trovino elementi anche nel diritto antico e nel diritto medievale, che attestano l'esistenza di provvedimenti per restituire ai condannati meritevoli il diritto di partecipare alla vita pubblica, tuttavia il vero e proprio istituto della riabilitazione si è affermato negli ordinamenti giuridici, da che si riconobbe la necessità di assegnare alle leggi penali la finalità di emendare il colpevole quanto è possibile. Si vide allora la necessità di assicurare al condannato, il quale dopo l'esecuzione della pena serbava buona condotta e dimostrava di essersi riadattato, che la società avrebbe messo nel nulla gli effetti della condanna. Ne conseguì il riconoscimento del principio che la riabilitazione non dovesse costituire una graziosa concessione degli organi politici, ma un atto del potere giudiziario da compiersi entro ì limiti e con forme preriste dalla legge.
Questo risultato fu raggiunto in Francia con la legge 14 agosto 1885. Con la legge 10 marzo 1898 in Francia fu ammessa la riabilitazione anche per i condannati che non avevano eseguito la pena per prescrizione, e con legge 1899 fu introdotta la cosiddetta riabilitazione di diritto, secondo la quale il condannato conseguiva senz'altro la riabilitazione, se per un certo numero di anni serbava buona condotta.
Glì ordinamenti italiani vigenti all'epoca della pubblicazione del codice penale del 1930 si ispiravano agli ordinamenti francesi. Il nuovo codice penale non ammette invece la riabilitazione di diritto, perché questa contraddice a quel processo di individualizzazione della giustizia penale, che è fondamentale nella criminologia moderna, e regola con larghezza di vedute la riabilitazione giudiziaria, così che questo istituto concorre alla profonda opera risanatrice che esso si propone, armonizzando la repressione con la prevenzione dei reati. La nozione dell'istituto è data dall'art. 178, secondo il quale la riabilitazione estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti. Al condannato viene nuovamente riconosciuta la capacità giuridica che aveva prima della condanna. È da segnalare che, in ordine agli effetti penali, il nuovo codice allarga l'oggetto della riabilitazione del codice del 1889 che si limitava a tener conto delle incapacità perpetue.
Data la larghezza della nuova concezione dell'istituto, deve ritenersi che la condanna, per la quale si è pronunciata la riabilitazione, non può essere tenuta presente ai fini della recidiva, della dichiarazione di abitualità o della professionalità del reato, dell'amnistia e dell'indulto, quando fossero subordinati alla mancanza di precedenti condanne, del possesso ingiustificato di chiavi alterate, grimaldelli e valori preveduti negli articoli 707 e 708. La riabilitazione estingue pure la dichiarazione di abitualità o di professionalità o di tendenza a delinquere (art. 109), nonché le incapacità ai diritti successorî (art. 541). Restano salve le pene accessorie e gli effetti penali, quando la legge dispone diversamente. Uno di tali casi è costituito dalla impossibilità di ottenere per la seconda volta la sospensione condizionale della pena.
È intuitivo che la riabilitazione non ha efficacia retroattiva, ossia non fa riacquistare quello che in precedenza si era perduto per effetto della condanna, e perciò rimangono salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto dell'incapacità del condannato.
Perché la riabilitazione possa essere concessa, è necessario (art. 179) che sia stata eseguita la pena o questa si sia in altro modo estinta; che il condannato abbia dato prova effettiva e costante di buona condotta; che sia decorso un termine vario secondo la personalità del condannato.
La riabilitazione non può essere concessa quando il condannato: sia stato sottoposto a misura di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione dello straniero dallo stato, ovvero di confisca, e il provvedimento non sia stato revocato; non abbia adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nell'impossibilità di adempierle.
La riabilitazione può essere anche concessa più di una volta ed è revocata di diritto, se la persona riabilitata commette entro cinque anni un delitto non colposo per il quale sia inflitta la pena della reclusione per un tempo non inferiore ai tre anni, o un'altra pena più grave. La competenza a concedere la riabilitazione è della Corte d'appello del distretto in cui fu pronunciata la condanna o l'ultima condanna. Negli articoli 597, 598 e 599 del codice di procedura penale sono indicate le modalità del procedimento. L'art. 600 dello stesso codice stabilisce la competenza a provvedere sulla revoca della sentenza di riabilitazione, secondo varie ipotesi.
Speciali decreti luogotenenziali e poi la legge 18 giugno 1925, n. 937, disciplinarono una speciale riabilitazione nella quale era tenuto in conto il merito di guerra.
Una speciale riabilitazione per i minorenni che abbiano compiuto gli anni 18 e che non siano sottoposti ad esecuzione di pene o di misure di sicurezza, è preveduta nell'art. 24 del r. decr. legge 20 luglio 1934, n. 1404, sull'istituzione e sul funzionamento del tribunale per i minorenni. Tale riabilitazione istituita in aggiunta a quella stabilita dal codice penale può essere richiesta dall'interessato o dal Pubblico Ministero e può essere dichiarata di ufficio dal tribunale per i minorenni. Dalla dichiarazione di riabilitazione (in caso di insufficienza della prova dell'emenda il tribunale può rimandare l'indagine al compimento del 21° anno del minore) consegue la cessazione delle pene accessorie e di tutti gli altri effetti penali delle condanne riportate dal minore prevedute da leggi e regolamenti penali, civili e amministrativi.
Il provvedimento di riabilitazione è annotato nella sentenza di condanna ed è iscritto nel casellario giudiziario. Speciale rilievo merita l'importante disposizione, per la quale nel certificato penale, contrariamente al disposto dell'art. 606 del codice di procedura penale, non si fa alcuna menzione dei precedenti penali del minorenne, anche se la richiesta sia fatta da una pubblica amministrazione, salvo che abbia attinenza con procedimenti penali.
La riabilitazione del fallito. - Una forma speciale di riabilitazione è preveduta per il fallito dall'art. 816 del codice di commercio. È noto che gravi sono le conseguenze della sentenza dichiarativa di fallimento: il nome e il cognome del fallito sono iscritti in un albo affisso nella sala del tribunale che ha dichiarato il fallimento e nelle sale delle borse di commercio; coloro i quali sono iscritti in detto albo non possono entrare nei locali della borsa. L'art. 816 consente al fallito, il quale abbia pagato interamente il capitale e gl'interessi e le spese a tutti i creditori ammessi al fallimento, di ottenere dal tribunale che con sentenza venga disposta la cancellazione del suo nome dall'albo.
Cessano con tale dichiarazione tutti gli effetti della dichiarazione di fallimento e quindi anche l'eventuale procedimento penale iniziato contro il fallito, salvo che si tratti di procedimento per bancarotta fraudolenta, per falso, furto, appropriazione indebita, truffa o frode. Quando nel corso del fallimento sia intervenuto concordato, la riabilitazione del fallito meritevole di speciale riguardo può essere concessa dal tribunale nella sentenza di omologazione, sottoponendola alla condizione sospensiva che il fallito adempia a tutti gli obblighi assegnatigli col concordato (art. 839 cod. comm.).
L'art. 16 della legge 1° luglio 1930 ha posto dei limiti alla concessione di questo beneficio.
V. anche fallimento.
Bibl.: Art. Rocco, Riabilitazione e condanna condizionale, in Giustizia penale, XIII (1907), col. 1563; D. Rende, Condanna condizionale e riabilitazione, natura giuridica del provvedimento del magistrato che la pronuncia o la nega, in Rivista penale, 1908; F. Cammeo, Riabilitazione e pubblico ufficio, in Giurisprudenza italiana, 1908, III, col. 99; V. Manzini, Della riabilitazione dei condannati, in Rivista penale, Roma 1909; Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, i, Roma 1929; C. Saltelli, E. Romano Di Falco, Commento teorico pratico al nuovo codice penale, I, ii, Roma 1930, p. 768; U. Navarrini, Trattato elementare di diritto commerciale, II, Torino 1932, pagine 327, 337; E. Florian, Trattato di diritto penale, parte generale, II, Milano 1934, p. 1169; G. Novelli, Note illustrative al r. decr. legge sulla istituzione e sul funzionamento del tribunale per i minorenni, in Rivista di diritto penitenziario, Roma 1934, n. 4, p. 783.