RIBEIRO DA SILVA, Ana Maria
RIBEIRO DA SILVA, Ana Maria (Anita). – Nacque a Morrinhos, nell’attuale Stato di Santa Catarina (Brasile), il 30 agosto 1821, da Bento, mandriano, e da Maria Antonia de Jesus Antunes.
La sua vita trascorse senza eventi rilevanti e documentati fino al 30 agosto 1835, quando – a quattordici anni – fu data in moglie a un calzolaio della vicina Laguna, dove la famiglia si era trasferita nel 1834: Manuel Duarte de Aguiar. In quel momento, erano già morti di tifo il padre e alcuni fratelli maschi; Ana Maria aveva cinque sorelle e quattro fratelli.
Sembra che il matrimonio fosse stato combinato dalla madre per domare il carattere ribelle della ragazza: ma ciò risponde al cliché della rivoluzionaria, a cui aderirono tutte le ricostruzioni posteriori. Pare simpatizzasse (ma si trattava pur sempre di un’adolescente) per la rivolta dei farrapos, ossia degli ‘straccioni’: così erano denominati dal governo legittimo i gauchos e il ceto commerciale e intellettuale degli attuali Stati di Rio Grande do Sul e di Santa Catarina, i più meridionali del Brasile. Avversi al pugno di ferro imperiale e alle pesanti misure fiscali, i farrapos avevano dato vita a una guerra di secessione, che durò circa un decennio, dal settembre del 1835 al marzo del 1845, nel corso della quale fu fondata la República Rio-Grandense. Il carattere repubblicano dell’impresa, che aveva trovato in Bento Gonçalves da Silva il proprio esponente di punta, attrasse le simpatie degli esuli politici italiani, in particolare del bolognese Livio Zambeccari, presso i quali gli ideali rivoluzionari a sfondo democratico e quelli protonazionali erano ben vivi.
Fu in quel contesto, liberale e massonico, che Giuseppe Garibaldi divenne, nel settembre del 1838, capitão-tenente, comandante della Marinha farroupilha. Incontrò Anita nell’estate del 1839, durante le operazioni navali che portarono a un’estensione della rivolta riograndense nel vicino territorio di Santa Catarina. Nonostante le tempeste, i naufragi, le fortunose ritirate e le fulminee azioni belliche, per quattro mesi proprio Laguna fu capitale dell’effimera República Juliana, fondata da Davi Canabarro e Garibaldi, con Luigi Rossetti (1800-1840) – un altro mazziniano – segretario di Stato. Il motto della nuova realtà politica (Liberdade, Igualdade, Humanidade) non lasciava dubbi circa la derivazione ideologica dalla Giovine Italia. Fu allora che avvenne l’incontro fra Ana Maria e Garibaldi, poi trasformato nelle Memorie autobiografiche di quest’ultimo in un classico coup de foudre:
«Io passeggiavo sul cassero dell’Itaparica ravvolgendomi nei miei tetri pensieri, e dopo ragionamenti d’ogni specie conchiusi finalmente di cercarmi una donna […] Gettai a caso lo sguardo verso le abitazioni […] Là coll’aiuto del cannocchiale […] scopersi una giovine, ordinai mi trasportassero in terra nella direzione di lei […] Era Anita! La madre de’ miei figli! La compagna della mia vita, nella buona e cattiva fortuna! La donna il cui coraggio mi sono desiderato tante volte! Restammo entrambi estatici e silenziosi, guardandoci reciprocamente, come due persone che non si vedono per la prima volta, e che cercano nei lineamenti l’una dell’altra qualche cosa che agevoli una reminiscenza. La salutai finalmente, e le dissi “Tu devi esser mia”. Parlavo poco il portoghese, ed articolai le proterve parole in italiano. Comunque, io fui magnetico nella mia insolenza» (Garibaldi, 1888, 1920, pp. 55 s.).
Quando, a metà novembre del 1839, i repubblicani dovettero ritirarsi, anche a causa della reazione popolare allo stato di guerra che aveva bloccato gli scambi, Ana Maria seguì il comandante italiano, abbandonando definitivamente il marito, forse arruolato fra gli imperiali. Ricominciarono gli scontri e i combattimenti. Artefice del mito del temperamento di Ana Maria, ormai Anita, fu lo stesso Garibaldi, il quale, soprattutto nelle Memorie autobiografiche, ricostruì il profilo morale della ‘giovine eroina’ romantica: «Io avevo una sciabola ed una carabina, che portavo attraversata sul davanti della sella. La mia Anita era il mio tesoro, non men fervida di me per la sacrosanta causa dei popoli e per una vita avventurosa» (p. 65). In effetti, nell’estate del 1840, Anita cadde prigioniera dei regolari nella battaglia di Curitibanos, ma riuscì poi a fuggire, rubando un cavallo e compiendo, incinta, una lunga corsa per riprendere contatto con gli uomini di Garibaldi. Il 16 settembre 1840, a Mostardas, nacque il primogenito Domenico Menotti (1840-1903), la cui esistenza parve un «vero miracolo, poiché nel decorso della gravidanza la coraggiosissima donna avea assistito a molte pugne, sopportato molte privazioni e disagi ed una caduta da cavallo» (p. 86). Le prime settimane del piccolo furono terribili: la casa in cui Anita lo stava allevando fu attaccata da una banda ostile e di nuovo la giovane madre dovette fuggire con il neonato fra le braccia, finché non fu ritrovata dallo stesso Garibaldi. Lo stato di crisi e di prostrazione dell’esercito riograndense indusse quindi la famiglia a passare a Montevideo, dove si stabilì il 17 giugno 1841 in quella che poi divenne calle 25 de Mayo. In Uruguay sarebbero nati Rosa (1843-1845), Teresita (1845-1903) e Ricciotti (1847-1924). Giuseppe e Anita si sposarono il 26 marzo 1842 nella chiesa di S. Francesco d’Assisi di Montevideo: dovettero probabilmente dichiarare di ritenere scomparso il precedente marito di Ana Maria, anche se l’atto non recava informazioni in proposito. Per un breve periodo, fu recuperata una parvenza di normalità: Garibaldi si diede al commercio, poi cominciò a impartire lezioni di matematica, geografia, calligrafia. Anita si occupava dei ragazzi e non partecipò direttamente alle vicende politico-militari del marito. Questi, invece, assecondò ben presto la sua vocazione all’azione; agli inizi del 1842 era ufficiale di Marina e in giugno imbarcato su unità uruguayane in missione contro le forze del dittatore argentino Juan Manuel de Rosas.
Nel settembre-dicembre del 1845 scrisse le prime, laconiche lettere ad Anita: solo qualche riga di notizie dalla zona di operazioni a Salto. Qui lo raggiunse per breve tempo Anita, disperata dopo la morte di Rosita. Garibaldi fece ritorno a Montevideo nei primi giorni di settembre del 1846: prese forma allora, sulla scorta delle informazioni dall’Italia, l’idea di tornare in patria. Anita con i figli si imbarcò il 27 dicembre 1847 per Genova, dove arrivò il 2 marzo, quindi si recò l’8 marzo a Nizza, dove risiedeva la suocera Rosa Raimondi. Il 15 aprile 1848 la seguì lo stesso Garibaldi, con alcune decine di compagni d’avventura. Il ricongiungimento della famiglia avvenne il 21 giugno 1848; il patriota si recò subito dopo sui campi lombardi, mentre per Anita cominciarono mesi di difficile convivenza con Rosa, interrotti da un paio di viaggi tumultuosi per rivedere Giuseppe in cerca di un ruolo nel complesso dopoguerra della tarda estate e autunno del 1848. La giovane donna legò soprattutto con i coniugi Deideri, amici di famiglia, presso i quali fu ospitata. Garibaldi tornò a Nizza il 10 settembre in seguito alla sconfitta piemontese; dopo poche settimane di riposo, si portò in Liguria e Toscana con Anita, quindi, congedata la moglie, passò in Romagna con la sua legione. Fuggito Pio IX ed eletta nel gennaio del 1849 la Costituente romana, Garibaldi divenne progressivamente perno dell’organizzazione militare della Repubblica. Anita abbandonò Nizza a metà febbraio, arrivò a Roma il 23 e il 26 era con il generale a Rieti, dove rimase fino ai primi di aprile. In quel periodo restò incinta per l’ultima volta. Mentre il marito si dirigeva a Roma, ormai assediata, tornò a Nizza dalla famiglia, ma le notizie catastrofiche che giungevano dagli Stati romani la indussero, nonostante la gravidanza, ad affrontare ancora un viaggio per giungere, il 26 giugno 1849, a villa Spada, presso il quartier generale di Garibaldi, senza preavviso. Da quel momento, non si sarebbero più separati.
Anita affiancò le forze repubblicane durante l’ultima fase della resistenza ai francesi, quindi, spossata, con il marito e con una forza di alcune migliaia di reduci, abbandonò Roma in vista di un ipotetico ripiegamento su Venezia. Le vicende della ritirata garibaldina, dell’arrivo a San Marino e poi della ‘trafila’ romagnola, dal 2 luglio al 4 agosto 1849, alimentarono in presa diretta l’epica risorgimentale. Anita aveva seguito lo sfaldamento delle truppe garibaldine, nonostante le pessime condizioni di salute, distinguendosi per il consueto coraggio; il 2 agosto, scendendo in Romagna dal monte Titano, si era imbarcata a Cesenatico sui bragozzi presenti in porto, sequestrati per trasportare le ormai poche decine di volontari rimasti verso Venezia. Intercettata da un brigantino austriaco, la flottiglia aveva dovuto desistere dal progetto iniziale e arrendersi, in parte prendendo terra sul litorale di Comacchio. Garibaldi e Anita vennero soccorsi a Magnavacca da Nino Bonnet, un patriota che aveva partecipato alle vicende della Repubblica Romana e furono quindi protetti e portati lungo le valli verso sud, cioè verso Ravenna, nella prospettiva di varcare il confine toscano sull’Appennino. Accompagnava la coppia Giovan Battista Culiolo, detto Leggero, ufficiale delle camicie rosse.
Anita, tuttavia, non sopravvisse: giunta alla fattoria Guiccioli di Mandriole nel Ravennate, e soccorsa dal fattore Stefano Ravaglia, nonostante l’intervento del dottor Pietro Nannini di Sant’Alberto, morì (probabilmente di malaria) nel tardo pomeriggio del 4 agosto 1849.
Garibaldi riprese subito la fuga con Leggero; il cadavere fu sommariamente seppellito, in tutta fretta, da Stefano e Giuseppe Ravaglia alla mota della Pastorara, un terreno sabbioso non distante dalla fattoria. Qui, il 10 agosto, fu individuato casualmente da due bambini: una mano sporgeva dalla sabbia. Il macabro ritrovamento diede origine a un verbale della polizia pontificia, che intervenne subito, nel pomeriggio. L’11 agosto, il giudice Giuseppe Francesconi, accompagnato dal professor Luigi Fuschini, chirurgo primario dell’ospedale di Ravenna, effettuarono il recupero del cadavere, in avanzato stato di putrefazione: Fuschini osservò segni sul collo che lo indussero a ritenere la deceduta vittima di uno strangolamento. Per questo motivo, i fratelli Ravaglia furono arrestati il 14 agosto: secondo l’accusa, avevano ospitato i coniugi Garibaldi, quindi, nel momento in cui il generale e Leggero avevano dovuto abbandonare Anita, si erano sbarazzati di lei, uccidendola. Fuschini ritrattò la prima versione, sostenendo che le condizioni del corpo lo avevano ingannato. Il 7 settembre, i Ravaglia furono scarcerati poiché il bando del generale austriaco Karl von Gorzkowski, durissimo contro chi avesse aiutato i fuggiaschi, era del 5 agosto: non applicabile, dunque, al caso di Mandriole. L’11 agosto, Anita era stata sepolta nel cimitero parrocchiale, e lì sarebbe rimasta fino al settembre del 1859, quando Garibaldi, con Teresita e Menotti, venne a Ravenna per recuperarla e portarla a Nizza. Nel 1931, il governo Mussolini chiese e ottenne dal sindaco di Nizza il trasferimento dei resti a Roma, dove – dopo una breve permanenza al cimitero di Staglieno di Genova – furono collocati alla base del monumento fatto erigere sul Gianicolo e inaugurato il 4 giugno 1932.
La figura di Anita, prototipo delle eroine risorgimentali, rappresentò una parte decisiva del mito garibaldino: da un lato, infatti, la sua esistenza anticonvenzionale, leggibile in chiave romantica, evocava di per sé contorni romanzeschi; dall’altro, la dedizione alla causa nazionale, e nello stesso tempo la difesa testarda della relazione con un uomo evidentemente poco disponibile a una vita di coppia intesa in senso tradizionale, ponevano in risalto valori – la famiglia – preziosi per la costruzione delle identità di genere nello Stato unitario. La fine di Anita, nell’estate del 1849, poté quindi essere letta alternativamente come un olocausto al patriottismo e all’amore coniugale: «martire dell’amore» (p. 371) l’avrebbe infatti definita Giuseppe Guerzoni fin dal 1882, nella sua biografia di Giuseppe Garibaldi pubblicata a Firenze per i tipi di Barbera.
Fonti e Bibl.: G. Garibaldi, Memorie autobiografiche, Firenze 1888, 1920, passim; Id., Epistolario, I, 1834-1848, Roma 1973, pp. 129; 155; II, 1848-1849, Roma 1978, ad indicem. G. Guerzoni, Garibaldi, Firenze 1882, passim; R. Belluzzi, La ritirata di Garibaldi da Roma nel 1849. Narrazione, Roma 1899, passim; G. Bandi, Anita Garibaldi, a cura di R. Viganò, Milano 1952; W.L. Rau, Anita Garibaldi. O perfíl de uma heroína brasileira, Florianópolis 1975; J. Ridley, Garibaldi, Milano 1975, ad ind.; A. Garibaldi, Ritratti di famiglia, Imola 1989, ad ind.; M. Addis Saba, Anita Garibaldi. Dentro e fuori del mito, Firenze 1999; A. Garibaldi, Nate dal mare. Le donne di Garibaldi: Anita, Costanza, Speranza, Milano 2003, pp. 9-112; I. Giuliani - A. Fogli, Anita Garibaldi. Vita e morte, Ravenna 2007; L. Riall, Garibaldi. L’invenzione di un eroe, Roma-Bari 2007, ad ind.; A. Possieri, Garibaldi, Bologna 2010, ad ind.; S. Tagliaventi, La guerriera, l’amante. Anita Garibaldi, in Donne del Risorgimento, Bologna 2011, pp. 51-64.