RICAMO
Termine, derivato dall'arabo raqam ('disegno, segno'), con il quale si intende la rifinitura di materiali tessili eseguita manualmente mediante il lavoro ad ago utilizzando filati di seta, cotone, lino, lana ma anche perle e pietre preziose.I punti base più frequentemente utilizzati nei r. medievali sono il punto filza, la serie dei punti a croce, il punto erba, il punto spaccato, il punto catenella, il punto serrato o punto gobelin, tutti realizzati mediante l'inserimento dell'ago sia dal dritto sia dal rovescio delle stoffe (Schuette, Müller-Christensen, 1963, figg. 1-14). Esisteva tuttavia un altro procedimento utilizzato nei r., la c.d. tecnica di applicazione, consistente nell'utilizzazione di due diversi filati, uno dei quali veniva poggiato sul verso del tessuto, mentre l'altro risultava impiegato nel recto per assicurare al tessuto l'altro soprastante, semplicemente adagiato sulla superficie. Esempi di tale tipo di tecnica sono il punto lanciato, reperibile nel r. di Bayeux (v.; Bayeux, Tapisserie de Bayeux), della fine del sec. 11°, ma anche nei più tardi esemplari a opus anglicanum, dove compaiono anche il punto teso e il punto teso rientrato (Schuette, Müller-Christensen, 1963, figg. 18-19), che fanno capo allo stesso tipo di procedimento e si rintracciano anche in prototipi bizantini e siciliani.Nei r. medievali fu frequente l'uso di filati in seta, oltre a quelli in lana e in lino, e di fili in oro e in argento, realizzati utilizzando un'anima di seta intorno alla quale venivano avvolte lamine metalliche. I lavori ad ago spesso furono realizzati su di una base anch'essa in seta, la cui fragile consistenza dovette frequentemente consigliare il ricorso a una fodera sottostante in lino. La facile usura cui andavano soggetti i preziosi tessuti serici dovette costituire la ragione per cui, anche in molti dei più preziosi r. liturgici due-trecenteschi, si preferì impiegare le più consistenti stoffe in lino come base per lavori, come quelli a opus anglicanum, nei quali la superficie degli esemplari sovente risulta interamente ricoperta da rifiniture ad ago. È in ogni modo importante precisare che, mantenendosi le tecniche invariate per un lunghissimo arco temporale e relativamente ad aree geografiche assai diverse - tra le quali sono comprese quelle dell'Europa occidentale, ma anche i territori coinvolti nelle conquiste islamiche, nonché quelli soggetti alla giurisdizione di Bisanzio -, la loro identificazione non sempre costituisce di per sé un elemento probante per la classificazione dei lavori a r. medievali. Per un vaglio attento degli esemplari risulta indispensabile procedere, contestualmente a un esame tecnico preliminare che studi soprattutto la specifica interpretazione che dei comuni punti base viene fornita nei diversi manufatti, a un'analisi stilistica e iconografica degli stessi esemplari, tenendo anche conto che - e questo vale per tutta la produzione tessile in generale - per molte stoffe, nelle quali siano adottati specifici parametri decorativi, quali per es. quelli di matrice bizantina a loro volta legati a repertori sasanidi, spesso non è possibile esprimersi in sede definitiva, riguardo sia alla datazione sia alla provenienza dei pezzi stessi.Tra i più antichi r. occidentali si possono ricordare alcuni pezzi provenienti dall'Inghilterra, quali, relativamente alla produzione degli Anglosassoni (v.), i bordi che rifiniscono la c.d. casula delle ss. Erlinde e Reinilde, prime badesse di Aldeneik, in Belgio (Maaseik, Mus. Kerkschat St. Katharinakerk), in lino con r. in oro e seta a punto teso e con raffigurazioni di animali entro orbicoli, e della stola e del manipolo di s. Cutberto, vescovo di Lindisfarne (Durham, Cathedral Treasury; Dodwell, 1993). Realizzati in seta con rifiniture in seta e oro a punto erba e punto teso e raffiguranti immagini di santi e profeti, questi ultimi pezzi sono databili alla prima metà del sec. 10°, come si ricava dall'iscrizione che vi compare, nella quale si fa riferimento al vescovo Fridestal di Winchester (m. nel 931). Celeberrimo è poi il più tardo r. di Bayeux, opera monumentale che si sviluppa su di una superficie tessile in lino lunga complessivamente m 63, con r. in lana a punto catenella, erba, spaccato, lanciato, celebrante la conquista dell'Inghilterra da parte di Guglielmo, duca di Normandia (m. nel 1087). A questo r. sono stati insistentemente rapportati alcuni tra i più antichi esemplari ricamati che si conservino in Italia: si tratta di tre frammenti in tela di lino con r. in seta e oro a punto piatto, punto spaccato e punto teso, pertinenti allo stesso originario pezzo, provenienti dalla tomba di s. Ambrogio e databili alla prima metà del sec. 11° (Milano, Mus. Sacro di S. Ambrogio; Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Applicata); i brani di stoffa ricamati risultano di estremo interesse anche in virtù del programma decorativo prescelto, che prevede una rappresentazione di argomento laico - caso piuttosto raro, soprattutto nei manufatti tessili altomedievali - con la raffigurazione di personaggi curtensi dislocati all'interno di arcatelle a tutto sesto che si dispongono lateralmente rispetto all'immagine di un sovrano, il quale sembrerebbe affiancato da una regina (Poggi Colussi, 1993).Uno tra i lavori di r. più originali e preziosi realizzati in Occidente, per il quale è possibile risalire al luogo di fabbricazione e alla datazione, è il manto dell'incoronazione del Sacro romano impero (Vienna, Kunsthistorisches Mus., Schatzkammer), che, assieme ai più tardi indumenti imperiali, l'alba, la dalmatica di Guglielmo II, detto il Buono (1166-1189), i guanti, le scarpe e le calze, tutti rifiniti con lavoro ad ago, è un pezzo di probabile fattura araba. Proveniente dalle officine annesse alla corte normanna di Palermo del re di Sicilia Ruggero II (1130-1154), dove furono attivi artigiani arabi specializzati proprio nell'arte del r. (Monneret de Villard, 1946), il mantello, realizzato in seta rossa con r. in oro a punto teso rientrato e in seta di diversi colori e rifinito lungo il bordo da una doppia fila di perle, è corredato da una scrittura araba in caratteri naskhī, nella quale si fa riferimento alla manifattura di provenienza, il 'tesoro palatino', e alla data di confezione (528 a.E./1133). Sulla base di seta rossa sono ricamate in oro due superbe, speculari figure di leoni che abbattono ciascuna un cammello ai lati di una palma stilizzata, immagini che si ricollegano a repertori figurativi islamici, a loro volta legati a schemi decorativi sasanidi e siriaci.L'immissione all'interno degli opifici regi palermitani di maestranze greche, particolarmente esperte nella tessitura, reclutate in occasione della spedizione effettuata dall'ammiraglio Giorgio di Antiochia per conto del re di Sicilia Ruggero II nel Peloponneso nel 1147, consentì il sodalizio tra operai bizantini, particolarmente esperti nella tessitura, e artigiani arabi, specializzati nei ricami. Ed è proprio alla luce di questa realtà storica che si può più chiaramente comprendere la persistenza, al contempo, di motivi di estrazione bizantina e di matrice islamica all'interno di molti esemplari tessili rifiniti a r., la cui provenienza può in taluni casi, a ragione, fissarsi proprio da territori dell'Italia meridionale. Così è da ritenersi con ogni probabilità siciliano il parato c.d. di Bonifacio VIII, databile alla seconda metà del sec. 13° (Anagni, Tesoro del Duomo; v. Anagni). Negli indumenti vengono riproposti testualmente, nella regolarità nella distribuzione dei clipei ricamati in oro sulla stoffa di fondo, con immagini di grifoni, aquile bicipiti e pappagalli addossati, schemi desunti dal repertorio decorativo tessile bizantino, la cui estrema diffusione, oltre che dall'osservazione dei disegni dei manufatti superstiti, si evince anche dalle testimonianze figurative, dove sovente gli indumenti dei dignitari greci appaiono decorati proprio secondo questi schemi 'rotati'.Lo schema con volatili inseriti entro cornici si ritrova ugualmente nel dossale conservato ad Assisi (Tesoro Mus. della Basilica di S. Francesco), sempre databile al sec. 13°, realizzato in seta gialla con r. in oro e seta a punto teso, piatto, erba e catenella, proveniente con buone probabilità ancora dalle stesse officine sicule. In esso alle rotae bizantine degli esemplari di Anagni si sostituiscono cornici polilobate, nelle quali parrebbe di ravvisare una più marcata ascendenza islamica. Dalla Sicilia potrebbe provenire anche il piviale c.d. di Carlo Magno (Metz, tesoro del duomo), realizzato in seta rossa con r. in oro a punto teso e seta, databile intorno al 1200, dove nelle maestose aquile imperiali si ritrova di nuovo eco dei repertori decorativi peculiari dei manufatti bizantini (Pferschy-Maleczek, 1992). Da artigiani attivi nei territori dell'Italia meridionale, molto probabilmente campani, è probabile sia stata realizzata anche la mitra detta di s. Paolino (Capua, Tesoro della Cattedrale), databile intorno alla fine del sec. 12°, con bordi ricamati in oro e seta; nell'idea del bordo ornamentale che vede una sequenza di riquadri comprendenti immagini sacre a mezzo busto raccordati da motivi decorativi, si evidenzia un'idea originale bizantina, mentre nei volti di alcune figure, come quella di S. Paolo, si rilevano tratti inequivocabili dell'iconografia orientale del santo.Alcuni esemplari lavorati ad ago potrebbero costituire la prova che non pochi dovettero essere gli artigiani provenienti da territori bizantini, attivi in manifatture italiane, che poterono con ogni probabilità anche addestrare maestranze locali, soprattutto in Italia meridionale o nei territori gravitanti intorno a Venezia. Lo dimostrerebbero, tra gli altri, l'antependium Grandson (Berna, Bernisches Historisches Mus.), ascrivibile al sec. 13°, realizzato in seta rossa con r. in oro a punto teso e in seta a punto spaccato, piatto, erba e gobelin, raffigurante la Madonna in trono con il Bambino, nella versione Glykophilúsa aderente proprio ai prototipi orientali, e due angeli, e anche una mitra (Norimberga, Germanisches Nationalmus., K. G 709), con bordi clipeati con immagini di santi e due bande con santi entro arcatelle e orbicoli con pappagalli affrontati.Relativamente ai lavori a r., preziose informazioni possono trarsi dagli inventari medievali, nei quali erano in uso definizioni specifiche che al sostantivo opus, indicante in linea generale il manufatto, affiancavano diversi aggettivi, quali cyprense, anglicanum, romanum, theotonicum (Molinier, 1882-1888), allusivi a specifiche caratteristiche delle stoffe ricamate inerenti, per es., un tipo peculiare di materiale utilizzato, come i lavori ciprensi - nei quali presumibilmente si sarebbe utilizzato il filo d'oro importato da Cipro -, o la provenienza degli stessi, come i tessuti a opus anglicanum, di origine soprattutto inglese, ma anche realizzati in Francia, caratteristici per un'interpretazione delle tecniche di base del tutto specifica. Tuttavia, in alcuni casi esiste discussione se le definizioni inventariali traessero origine dalla provenienza dei pezzi o piuttosto dalle tecniche utilizzate. La definizione opus theotonicum, presente per es. nell'inventario di Bonifacio VIII conservato nel duomo di Anagni (Mortari, 1963), dovrebbe alludere, oltre che alla provenienza nordica, a una specifica categoria di tessuti, realizzati in lino bianco con r. nello stesso colore, spesso utilizzati per confezionare tovaglie d'altare, tant'è che come tobalea de Alemania è descritta, all'interno dell'inventario della Santa Sede del 1295, una stoffa ricamata che risponde alla tipologia dei lavori descritti (Molinier, 1882-1888); una delle più antiche tovaglie d'altare ritenibili a opus theotonicum (Roma, BAV, Mus. Sacro) è databile intorno al 1200 (Volbach, 1942, nr. 178). Tuttavia è evidente che tale tecnica di realizzazione non fu esclusiva di laboratori d'Oltralpe, come mostra il tessuto ricamato della beata Benvenuta Boiani (1251-1292; Cividale, Mus. Archeologico Naz.), proveniente dall'Italia settentrionale, rifinito mediante il punto piatto e il punto serrato con filati in lino bianco su tela bianca.Un capitolo significativo è costituito dai r. duecenteschi di origine italiana definiti negli inventari a opus romanum e provenienti dall'Italia centrale. Si tratta di manufatti realizzati in area romano-laziale e toscano-senese, notevoli sia sul piano dello stile sia su quello relativo alle tecniche, interpretate in maniera del tutto specifica nella definizione, per es., degli incarnati, ottenuti mediante il punto serrato, o dei tratti somatici degli stessi personaggi, rifiniti a punto erba. Pezzi quali il paliotto della Beata Vergine e dei santi (Anagni, Tesoro del Duomo), realizzato su lino con r. in seta a punto teso rientrato e in oro a punto spaccato, databile intorno agli anni novanta del Duecento, attestano che spesso artisti di primissimo livello furono impiegati nell'ideazione dei disegni preliminari ai r. stessi. Estrema importanza sul piano iconografico riveste il paliotto, fatto che lo rende un utilissimo tassello in rapporto alla ricostruzione dei perduti cicli apostolici realizzati a Roma nella seconda metà del secolo (Lauria, 1995). Tra gli esemplari più antichi di tali lavori a opus romanum possono citarsi lo scapolare di Gregorio X (Arezzo, Mus. Statale di Arte Medioevale e Moderna), rinvenuto nella tomba del papa e databile intorno agli anni settanta del Duecento, con S. Anna che allatta Maria bambina, e i fregi che decorano una dalmatica (Lubecca, St. Annen-Mus.), realizzati in seta rossa con r. in seta, argento e oro. Sono poi da menzionare i r. eseguiti per le rifiniture degli indumenti che hanno relazione con il papa Benedetto XI (1303-1304): si tratta dei fregi della pianeta e del piviale (Perugia, S. Domenico, sacrestia), realizzati in lino con r. in seta, e dello stolone a croce che rifinisce la parte anteriore della pianeta c.d. di Benedetto XI, con Cristo entro una mandorla polilobata e figure di santi entro arcate archiacute, conservato a Velletri (Mus. Capitolare) assieme ad altri frammenti dello stesso tipo. A Uppsala (tesoro della cattedrale) si trovano poi alcuni r. che rifiniscono gli indumenti liturgici appartenuti all'arcivescovo Nicola Alloni, databili entro la fine del 1200; si tratta di un fregio dislocato lungo il lato rettilineo di un piviale, nel quale è presente, nella parte centrale, sopra allo scudo attuale dell'indumento, una raffigurazione della Déesis, con le immagini di Cristo, della Vergine e di s. Giovanni Battista inserite ciascuna entro arcatelle polilobate, assolutamente simile a un frammento un tempo cucito lungo il bordo del paliotto della Beata Vergine di Anagni poc'anzi citato, e ai lati, disposte in senso verticale guardando l'indumento aperto, figure di santi inserite sempre entro arcatelle che ricordano da vicino proprio quelle disegnate nel registro superiore dello stesso paliotto. Sullo stolone a croce della pianeta, sempre appartenuta allo stesso vescovo, compaiono cornici polilobate, entro le quali sono inserite figure di santi e nella parte alta la raffigurazione della Madonna affiancata da due angeli inquadrati entro arcatelle archiacute. Ai pezzi di Uppsala possono ricollegarsi due bordi in lino conservati a Orvieto (Mus. dell'Opera del Duomo), ascrivibili alla metà del sec. 14°, rifiniti solo in minima parte con lavoro ad ago, in maniera peraltro piuttosto grossolana, che tradisce vistosamente la notevole qualità del disegno a penna sottostante, visibile sulla quasi totalità della superficie dei due brani di stoffa e dovuto con buone probabilità a un artista umbro operante intorno alla metà del Trecento (Degenhart, Schmitt, 1968).Grande interesse suscita poi l'analisi dei tessuti a opus anglicanum, straordinariamente ricchi quanto a repertori iconografici e a modulazioni di stile, sì da poter essere studiati parallelamente e contestualmente, oltre che alla pittura monumentale, soprattutto alla produzione miniaturistica francese e inglese della seconda metà del Duecento e del Trecento. L'estrema notorietà di questo genere di r. e la conseguente diffusione sono attestate dalle numerosissime menzioni rintracciabili negli inventari dell'epoca (Molinier, 1882-1888). È dai laboratori inglesi - la produzione francese di questo genere di lavori appare di minore vastità - che dovette uscire, a partire dalla seconda metà del sec. 13°, la gran parte dei r. medievali a destinazione ecclesiastica, come dimostra l'elevato numero di indumenti sacri di grandi dimensioni, attestato sia dalle fonti sia dagli esemplari tuttora superstiti, lavorati proprio secondo le modalità tecniche utilizzate nelle prestigiose manifatture europee. Avvalendosi del repertorio standard offerto dalla serie dei punti base di r., quali il punto catenella, il punto spaccato, il teso, il teso rientrato, i ricamatori, attivi soprattutto in laboratori londinesi, riuscirono a fornirne un'interpretazione del tutto originale, usando per es. per gli incarnati o per le capigliature dei personaggi raffigurati procedimenti del tutto peculiari, che andarono raffinandosi con il trascorrere del tempo sino a giungere ai virtuosismi tecnici degli esemplari trecenteschi, dove la minuziosità del lavoro rende spesso poco distinguibili i punti stessi del ricamo. Quanto agli esemplari a opus anglicanum provenienti dall'Inghilterra, tra i pezzi ascrivibili alla seconda metà del Duecento è possibile ricordare la casula Clare (Londra, Vict. and Alb. Mus.), realizzata in seta azzurra con r. in seta a punto spaccato e in oro a punto teso rientrato, databile tra il 1272 e il 1294 (King, 1963, pp. 19-20, nr. 30), decorata nella zona centrale con cornici polilobate che ospitano le raffigurazioni della Crocifissione, della Madonna in trono, dei Ss. Pietro e Paolo e la Lapidazione di s. Stefano; la pianeta con le Storie di s. Nicola, con ogni probabilità ricavata da una precedente dalmatica, e il piviale con Storie della Vergine (entrambi ad Anagni, Tesoro del Duomo), realizzato in lino con r. in oro e argento, la cui superficie è spartita da cornici circolari entro le quali sono inquadrate le raffigurazioni sacre.I progetti decorativi connessi ai tessuti a opus anglicanum trovano la massima esplicazione soprattutto nei piviali (v.), dove l'ampia superficie a disposizione consente di realizzare complesse raffigurazioni, generalmente presentate, quanto ai pezzi duecenteschi, entro cornici circolari, polilobate, stellari. Negli esemplari databili tra gli ultimi anni del Duecento e la seconda metà del secolo successivo divenne poi peculiare il ricorso a una griglia decorativa costituita da moduli architettonici goticheggianti, interamente ricoprente la superficie delle stoffe, come mostrano, tra gli altri, il piviale di Bologna (Mus. Civ. Medievale), ascrivibile alla fine del Duecento, il piviale c.d. di S. Silvestro (Roma, S. Giovanni in Laterano, tesoro), due piviali, rispettivamente con Storie della Passione e con Storie della Vergine, conservati in Guascogna (Saint-Bertrand-de-Comminges, cattedrale di Notre-Dame de Saint-Bertrand, tesoro), databili tra il 1310 e il 1320, e il piviale c.d. di Pio II (Pienza, Mus. della Cattedrale), risalente al primo trentennio del 14° secolo.Generalmente realizzati su stoffe di lino a trama spinata, con una tela di rinforzo sottostante, i r. in seta, argento e oro furono talvolta eseguiti su superfici tessili in velluto, come mostrano alcuni esemplari trecenteschi quali il bordo lavorato a r. con scene evangeliche entro arcate, forse pertinente in origine a un'alba (Londra, Vict. and Alb. Mus.), e la pianeta Chichester-Constable (New York, Metropolitan Mus. of Art), databile intorno agli anni trenta del 14° secolo. Per evidenti affinità di ordine stilistico e di carattere iconografico, nonché per precisi riscontri tecnici con quest'ultimo pezzo, il piviale Butler-Bowdon (Londra, Vict. and Alb. Mus.), realizzato come i due esemplari precedenti in velluto rosso con r. in oro, deve ritenersi proveniente con ogni probabilità dal laboratorio inglese, dove furono i medesimi artigiani a mettere in atto la confezione sia del piviale sia della pianeta. Tra i pezzi più originali ascrivibili al sec. 14° va segnalata la casula Melk (Vienna, Öst. Mus. für angewandte Kunst), databile intorno al primo ventennio del Trecento (King, 1963, p. 23, nr. 39), che, pur fuori dai prototipi canonici degli indumenti a opus anglicanum con le caratteristiche suddivisioni delle superfici tessili mediante moduli geometrizzanti o architettonici, risulta tuttavia completamente ricoperta sul tessuto di fondo da una trama decorativa vegetale di estrema originalità, sulla quale campeggia un'efficacissima scena di Crocifissione.Sebbene la maggior parte dei tessuti a opus anglicanum provenga dall'Inghilterra, tuttavia anche in Francia dovettero essere attivi laboratori parimenti qualificati nella produzione di stoffe ricamate, con requisiti del tutto affini rispetto agli esemplari inglesi. Lo dimostrano il piviale di Uppsala (tesoro della cattedrale), realizzato in seta, con rifiniture in seta e oro, datato intorno alla metà degli anni settanta del Duecento (Geijer, 1966), e quello nella sagrestia della basilica della Sainte-Madeleine a Saint-Maximin-la-Sainte-Baume (dip. Var), in lino con r. in seta e oro, di poco più tardo, ambedue concepiti secondo uno schema che prevede la spartitura complessiva delle superfici tessili mediante medaglioni circolari che inquadrano le consuete raffigurazioni sacre e concordemente ascritti a manifatture francesi. Sempre dalla Francia, in una data prossima a quella nella quale dovette essere realizzato il piviale di Saint-Maximin, dovrebbe provenire anche un antependium (Tolosa, Mus. Paul Dupuy), confezionato in lino con r. in seta, con un disegno a cornici polilobate che inquadrano Storie di Cristo e della Vergine.Tra i r. tardoduecenteschi vanno poi ricordati quei lavori di provenienza italiana, conosciuti come opus florentinum (come si evince dalle definizioni inventariali dell'epoca), di cui esemplari particolarmente rappresentativi sono individuabili nel r. della Passione firmato da Geri di Lapo e conservato in Catalogna (Manresa, Mus. Històric de la Seu), riconducibile alla metà del Trecento e il cui disegno si è voluto ricondurre a qualche allievo di Bernardo Daddi (Toesca, 1951), e in quello datato 1336 dovuto a Jacopo di Cambio (Firenze, Palazzo Pitti, Mus. degli Argenti), realizzato in lino con r. in seta a punto spaccato e catenella e in oro e argento a punto teso. In quest'ultimo tessuto quattordici immagini di santi inserite entro edicole archiacute si dispongono ai lati della raffigurazione dell'Incoronazione della Vergine. Lo stesso tema è riproposto nel c.d. paliotto di Giovanni di Nicosia (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo), in seta con r. in oro e seta, di fattura meno raffinata rispetto ai precedenti, con ogni probabilità contemporaneo a quello di Firenze, proveniente sempre dall'Italia centrale, forse da Pisa, e databile anch'esso intorno agli anni trenta del 14° secolo. Accostabili sul piano stilistico al paliotto di Jacopo di Cambio sono poi alcuni r. con Storie del Redentore, parti di uno o più paliotti smembrati, databili all'ultimo quarto del sec. 14°, conservati per la quasi totalità in musei americani e raccolti in occasione di una mostra tenutasi a Hartford nel 1965 (An Exhibition, 1965). Ascrivibile all'Italia centrale e databile al Trecento inoltrato è poi una serie di stoloni, alcuni dei quali poco noti ma interessanti per la raffinatezza dell'esecuzione del lavoro di r. e per i dati stilistici. Tra gli altri si possono ricordare un frammento a Stoccarda (Württembergisches Landesmus.), con figure di santi entro cornici polilobate e angeli negli interstizi, messo in relazione proprio con il paliotto di Jacopo di Cambio (Grönwoldt, 1989) e ascrivibile al sec. 14°, e un più tardo pezzo a Chicago (Art Inst.; Mayer, 1969, fig. 96), dove immagini sacre si alternano entro moduli mistilinei a grifoni con straordinarie e immaginifiche figure di animali che animano gli spazi intermedi tra le inquadrature.La produzione di r. fu piuttosto vasta in epoca medievale anche nell'Europa centro-orientale. Intorno al primo ventennio del sec. 11° possono datarsi due pezzi realizzati in Germania per la corte imperiale: il mantello stellato dell'imperatore Enrico II, detto comunemente Sternmantel (1014-1020), e il manto della regina Cunegonda (Bamberga, Diözesanmus.), realizzati in seta violacea il primo, in seta azzurra il secondo e ambedue rifiniti con r. in oro a punto teso e in seta. Negli indumenti è evidente l'impronta orientale nella selezione del repertorio decorativo, dove compaiono elementi orbicolari - alternati nel primo pezzo a motivi stellari -, tant'è che per un indumento da vicino rapportabile ai due pezzi ora citati, il c.d. mantello da cavaliere di Enrico II (Bamberga, Diözesanmus.), realizzato in seta azzurra con r. in oro, e nel quale la stoffa di fondo è spartita con regolarità da rotae all'interno delle quali è replicata l'immagine di un sovrano a cavallo - ritenuto talora lavoro bizantino vero e proprio (Schmidt, 1963, col. 863) -, si è pensato, piuttosto che a un'origine locale, a una provenienza dall'Italia meridionale, dove appare forte nella produzione tessile la persistenza di motivi legati al patrimonio artistico bizantino. Dalle stesse manifatture nordiche dalle quali proverrebbero i due pezzi citati inizialmente è generalmente creduto originario anche il mantello di s. Stefano. Utilizzato per l'incoronazione dei re d'Ungheria (Budapest, Magyar Nemzeti Múz.), realizzato in seta azzurro scuro con r. in oro a punto serrato e in seta, coevo rispetto ai pezzi precedenti, è stato di recente dalla critica ritenuto lavoro bizantino o addirittura islamico (Muthesius, 1997, p. 190).Dai territori sudoccidentali della Germania dovrebbe provenire una casula a campana conservata a St. Paul im Lavanttal (Benediktinerstift St. Paul, tesoro), in Carinzia, databile alla fine del sec. 12°, con scene veterotestamentarie collocate all'interno di cornici quadrangolari, realizzata in lino e rifinita con un lavoro ad ago che si distingue per il particolare procedimento tecnico utilizzato. L'unico modulo base prescelto per il r. è il punto a croce orientale, se si eccettua il punto erba impiegato per i contorni, interpretato con tale minuziosa regolarità nel campire le superfici da sortire quasi un effetto di tessitura.Dalla Bassa Sassonia proverrebbe un antependium databile intorno alla metà del Duecento (Helmstedt, convento di St. Marienberg), con fondo di tela grezza con r. a punto gobelin, erba e piatto. Nell'organizzazione della decorazione - che prevede un tema centrale, in questo caso Cristo in mandorla, ai lati del quale entro arcatelle si collocano personaggi sacri - propone uno schema che ebbe fortuna nei paliotti ricamati europei soprattutto nel 13° e 14° secolo. Interamente spartito da cornici circolari con scritte che compaiono entro i bordi è un altro antependium databile intorno al 1300, assegnabile a laboratori della Germania meridionale (Monaco, Bayer. Nationalmus.), sul quale compaiono la figura della Madonna in trono con il Bambino e i re Magi. Clipei con iscrizioni perimetrali, al cui interno sono inserite raffigurazioni di santi, si ritrovano in un altro pezzo, piuttosto guasto, il paliotto con l'albero della vita (Anagni, Tesoro del Duomo). Databile entro il sec. 13° e forse proveniente dalla Renania, interessante per l'originalissima formulazione iconografica dell'arbor vitae, che va peraltro considerata una delle più antiche raffigurazioni del tema, il paliotto è interamente ricamato mediante il punto teso, steso con un'assoluta regolarità sulla superficie tessile. Ancora dalla Bassa Sassonia potrebbero provenire due antependia, la cui singolarità, peraltro non così inconsueta nei r. di provenienza nordica, consiste nell'essere per la gran parte ricamati con piccolissime perle. Il primo (Halberstadt, Domschatz), databile al sec. 14° e realizzato in seta rosa ricamata con coralli e perline, raffigura l'Incoronazione della Vergine; il secondo (Hannover, Kestner-Mus.), databile alla fine del secolo, presenta al centro di una superficie tessile in seta rossa con r. con perle di fiume, coralli, pietre semipreziose, perline di vetro dorate, Cristo in mandorla con i simboli degli evangelisti inquadrato su di uno sfondo disseminato di motivi decorativi stellari e figure di volatili.Tra i non molti tessuti medievali superstiti lavorati a r. raffiguranti temi profani, alcuni possono citarsi proprio in rapporto a manifatture nordiche, come il c.d. tappeto Malterer (Friburgo in Brisgovia, Augustinermus.), databile tra il 1320 e il 1330 e proveniente dall'Alto Reno.Quanto alla Spagna, uno dei r. medievali più conosciuti proveniente da manifatture locali è il Tapís de la Creació (Gerona, Mus. de la Catedral), ascrivibile al sec. 11° e proveniente con ogni probabilità da manifatture catalane, realizzato su di una base tessile in lana con r. in lana, raffigurante scene tratte dalla Genesi. Sempre all'interno di laboratori attivi in Catalogna dovrebbe essere stato confezionato un altro tessuto, rovinatissimo (Londra, Vict. and Alb. Mus.), proveniente dalla Seu d'Urgell (Catalogna), databile al sec. 12° e realizzato in lino con r. in seta, con la raffigurazione di Cristo in maestà con i dodici apostoli e i simboli degli evangelisti. Ancora dalle stesse zone della Spagna potrebbe provenire l'antependium con scene del Nuovo Testamento inserite entro riquadri quadrangolari, degli inizi del sec. 14° (Gerona, Mus. de la Catedral), con r. in seta su una stoffa in lino a trama spinata.
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Sono numerose le testimonianze figurative e letterarie che attestano la consuetudine di ricamare sia vesti imperiali sia indumenti ecclesiastici bizantini (Ebersolt, 1923, pp. 40-44). Dell'epoca altomedievale, tuttavia, non rimane un numero di stoffe bizantine lavorate ad ago proporzionale sia ai numerosi esemplari di provenienza occidentale lavorati a r. - che si considerano una loro diretta imitazione - sia al numero ben più consistente di tessuti propriamente detti, la cui realizzazione è esclusivo frutto di lavoro su telaio. I mosaici della chiesa di S. Vitale a Ravenna, dove gli abiti indossati tanto dai dignitari della corte di Giustiniano quanto dallo stesso sovrano e dalla reale sua consorte sono decorati proprio con lavoro ad ago, documentano nel sec. 6° una produzione di r. piuttosto raffinata, destinata non solo a ricoprire le parti più propriamente ornamentali ma anche a rifinire rappresentazioni più complesse, come mostra il brano con la raffigurazione dell'Adorazione dei Magi ricamata sull'abito di Teodora.Per le epoche successive, attestazione indiscussa dell'esistenza di un gran numero di lavori a r. bizantini giunge dalle documentazioni inventariali che ne confermano, oltre che la presenza in quantità rilevante in territori orientali - desumibile, per es., dall'inventario del tesoro della Santa Sofia costantinopolitana del 1396 (Ebersolt, 1923, p. 118) -, la notorietà e conseguente diffusione anche in area occidentale, come si evince dalle numerose menzioni dei tessuti di origine orientale, spesso definiti de opere Romanie, e sovente rifiniti con fili d'oro, presenti nell'inventario di S. Pietro del 1295 (Molinier, 1888).Tra i r. bizantini più antichi che si conservano in Italia, sono da citare la casula detta di S. Giovanni Angheloptes (Ravenna, Mus. Arcivescovile), ascrivibile al sec. 10°, con figure di aquilotti e mezze lune rifinite in oro su di un tessuto con motivi decorativi romboidali, e i tre bordi in lino rifiniti in oro e seta appartenenti al c.d. velo di Classe (Ravenna, Mus. Naz.), databile tra la fine del sec. 8° e gli inizi del 9°, nei quali l'organizzazione della decorazione - che prevede una serie di orbicoli inquadranti ritratti di alcuni tra i più antichi vescovi di Verona -, pur costituendo un prototipo ancora estremamente semplificato, propone uno schema che perdurò in tutti gli stoloni ricamati di area bizantina e che andò via via complicandosi e arricchendosi soprattutto relativamente alla decorazione, di tipo vegetale o a intreccio, che spesso funge da raccordo alle cornici, nelle quali trovano posto immagini di Cristo, della Vergine e dei santi. Su bordi pertinenti alla casula c.d. di S. Villibaldo (Eichstätt, Diözesanmus.), databili alla fine del sec. 12° e realizzati in sciamito con r. in seta e in oro a punto teso, si trova un altro schema che ebbe straordinario successo nel repertorio tessile bizantino, persistendo in termini pressoché invariati anche in epoca moderna: figure di apostoli sono inserite all'interno di arcatelle a tutto sesto, disposte verticalmente rispetto alle fasce, inframmezzate da motivi decorativi geometrizzanti che si dispongono in orizzontale. Sempre al sec. 12° dovrebbe potersi datare un brano di stoffa in sciamito rosso (Lione, Mus. Historique des Tissus, inv. nr. 9185), proveniente con buone probabilità da manifatture attive a Bisanzio, raffigurante Cristo in mandorla tra i simboli degli evangelisti con r. in oro a punto teso.Al sec. 12° appartengono due aéres (teli ricamati poggiati sul calice e la patena durante l'offertorio nel corso del rito ortodosso), sui quali è raffigurata la Comunione degli apostoli (Halberstadt, Domschatz). Realizzati in seta nera con r. in oro, i due pezzi vennero probabilmente confezionati nel tardo sec. 12°, epoca alla quale potrebbe ricondursi l'esecuzione anche di due immagini di angeli, ritagliate dal contesto originario e cucite su di una tovaglia di età successiva (Venezia, Tesoro di S. Marco; Theocaris, 1963).Al sec. 13° è riconducibile il 'pallio' con scene della Vita dei ss. Lorenzo, Sisto e Ippolito (Genova, Gall. di Palazzo Bianco), realizzato in seta rossa con r. in seta, in oro e argento, eseguito con buone probabilità tra il 1262 e il 1267 e dato in dono dall'imperatore d'Oriente Michele VIII Paleologo (1258-1282) alla città di Genova.Un esempio delle tipiche strutture orbicolari bizantine, che tanta diffusione ebbero in epoca medievale anche nei tessuti occidentali, si può rintracciare in due frammenti serici applicati sul mantello di Filippo di Svevia (m. nel 1208), raffiguranti rispettivamente Cristo benedicente e Maria orante (Spira, Dom- und Diözesanmus.). Realizzate in seta marrone chiaro con r. in seta e in oro a punto spaccato e teso rientrato, le due rotae, che includono le sacre immagini, presentano un bordo entro il quale si trovano motivi a croce rintracciabili sia in esemplari provenienti dall'Italia meridionale sia in stoffe islamiche. Realizzato su un supporto tessile in seta con r. in oro è un epigonátion raffigurante l'Anastasi (Atene, Byzantine Mus.), databile tra la fine del sec. 13° e gli inizi del 14°, dove compaiono disseminati sullo sfondo - come accade in molti altri esemplari lavorati a r. - numerose cornici circolari contenenti al loro interno emblemi di croce greca. Probabilmente contemporaneo è un altro epigonátion conservato nel monastero di Tismana, in Romania, in seta con r. serici a punto teso, punto spaccato e punto catenella, con tracce di una rifinitura con perle ora quasi del tutto perduta; il tema della Discesa agli inferi, visto nell'esemplare precedente, subisce qualche variazione iconografica, ma del tutto simile è il motivo decorativo con volute vegetali che rifinisce il bordo della stoffa. Ai primi anni del sec. 14° possono datarsi un paio di aéres (Castell'Arquato, Mus. della Collegiata) donati da Ottobone Robario de' Feliciani, patriarca di Aquileia (m. nel 1314), alla collegiata di Castell'Arquato (prov. Piacenza); raffiguranti ambedue la Comunione degli apostoli, i tessuti, realizzati in seta color porpora con r. in seta e in oro a punto spaccato, punto lanciato e punto teso, potrebbero provenire da manifatture costantinopolitane. Anche un altro aér ascrivibile con ogni probabilità al sec. 14° (Atene, Benaki Mus.), realizzato su seta blu con r. in oro e argento, ripropone il tema della Comunione, pensato tuttavia senza la presenza degli apostoli e concepito in maniera del tutto originale con Cristo collocato al di sotto di un ampio ciborio, affiancato da due immagini di serafini dalle imponenti ali.Rimane un numero piuttosto cospicuo di epitáphioi, ampi veli, rifiniti a r., raffiguranti centralmente la figura di Cristo morto, portati in processione nel rito ortodosso in occasione del Venerdì Santo. Tra i pezzi più antichi pervenuti meritano di essere citati due esemplari ascrivibili a un'epoca compresa tra la fine del sec. 13° e gli inizi di quello successivo: uno, proveniente dalla chiesa di S. Clemente a Ocrida e del quale si ignora l'ubicazione attuale (Johnstone, 1967, p. 117), con i quattro simboli degli evangelisti collocati agli angoli entro porzioni di cornici circolari, e un altro (Belgrado, Muz. Srpske Pravoslavne Crkve) con figure di angeli che affiancano il corpo disteso di Cristo. In un altro epitáphios (Atene, Byzantine Mus.) lo schema si arricchisce con due rappresentazioni laterali raffiguranti la Comunione degli apostoli; le modalità di esecuzione del r. raggiungono livelli di ineguagliabile raffinatezza, come si evince dall'osservazione dei volti degli stessi apostoli, ricoperti da un fittissimo e assai vario lavoro ad ago che segue le indicazioni di un disegno sottostante certamente dovuto a un artista di notevole qualità.La persistenza degli stessi repertori decorativi, le minime oscillazioni in merito agli stili e i connotati tecnici piuttosto ripetitivi hanno fatto sì che spesso, in sede critica, si siano avute sensibili oscillazioni riguardo all'inquadramento cronologico di molti esemplari bizantini lavorati a ricamo. Pertanto, se si è ritenuto medievale un pezzo come l'omophórion dell'abbazia di Grottaferrata (Mus. dell'abbazia), con ogni probabilità da datarsi più verosimilmente al sec. 17°, per il sákkos del metropolita Fozio (Mosca, Cremlino, Oružejnaja palata) si discute ancora se possa essere ritenuto un pezzo tardomedievale o piuttosto un esemplare di epoca moderna. Controversa è anche la cronologia della dalmatica c.d. di Carlo Magno (Roma, Tesoro di S. Pietro), con ogni probabilità riconducibile al sec. 14°, anche se qualcuno ha voluto ritardarne la datazione al secolo successivo (Braun, 1901) o addirittura anticiparla tra la fine del sec. 11° e i primi anni del 12° (Colasanti, 1902). Realizzata su un tessuto a trama spinata in seta blu con r. in seta a punto spaccato, lanciato ed erba, e in oro a punto teso, riproduce sulla parte anteriore una grandiosa raffigurazione del Giudizio universale e in quella posteriore la Trasfigurazione di Cristo. Impareggiabile è la qualità del lavoro ad ago, dove i punti base sono interpretati in maniera assolutamente diversa nelle varie aree da campire, cambiando la lunghezza dei moduli del r. ma anche la direzione, come è evidente, per es., nei panneggiamenti degli abiti dei personaggi raffigurati, ricoperti da una fittissima trama di fili che assecondano con il loro vario articolarsi il ricco snodo delle pieghe (Wilckens, 1991, p. 212, fig. 241).
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Dovendo delineare un breve profilo del r. islamico, non si può prescindere, per evidenti ragioni di carattere storico, dal considerare tutta la produzione tessile copta (v. Copti), strettamente correlata alla storia delle stoffe islamiche, poiché l'Egitto divenne, a partire dal 640, territorio soggetto alla dominazione araba. Tuttavia, il controllo da parte di Bisanzio dei territori egiziani, prima della conquista musulmana, spiegando gli stretti legami parimenti esistenti tra la produzione tessile bizantina e quella legata a manifatture attive in Egitto, può chiarire al contempo gli altrettanto evidenti rapporti istituibili tra i manufatti islamici e quelli provenienti dai territori soggetti alla giurisdizione della capitale orientale. Ne risulta in molti casi, in ragione della circolazione di tipologie, tecniche, impiego degli stessi materiali, una conseguente difficoltà a classificare numerose stoffe, siano esse intessute o lavorate ad ago. In numerosi frammenti provenienti da regioni dell'Egitto, lavorati ad ago e raffiguranti temi cristiani, si trova l'organizzazione delle immagini entro strutture orbicolari, come in alcuni clipei o porzioni di clipei (Londra, Vict. and Alb. Mus.; Kendrick, 1922, nrr. 777-784) riproducenti, tra gli altri temi evangelici, l'Annunciazione, l'Ultima Cena, l'Adorazione dei pastori, riconducibili al sec. 7°-8° e realizzati in lino con r. in seta a punto spaccato e a croce, caratterizzati da una certa grossolanità del disegno,vistosamente approssimativo nella definizione, per es., delle mani dei personaggi. Strutture orbicolari che inquadrano scene evangeliche si trovano ancora in un esemplare con raffigurazione della Sacra Famiglia (Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire) risalente al sec. 7°-8°, dove nel motivo a intreccio che rifinisce la cornice quadrangolare inscritta entro il clipeo che inquadra la rappresentazione si coglie già eco dei repertori decorativi arabi. Temi cristiani tornano in uno stolone proveniente dall'Egitto (Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire) che evince, a evidenza, da stoffe bizantine l'idea delle strutture orbicolari che incorniciano immagini di santi e che, come l'esemplare precedente, dovrebbe provenire da Panapoli (od. Akhmīm), che con Antinoe fu tra i massimi centri produttori di stoffe in seta.A epoca fatimide risalgono alcune stoffe lavorate ad ago, nelle quali il disegno si articola mediante l'alternanza di immagini zoomorfe - spesso inserite entro cornici di varia foggia - a elementi di tipo vegetale, associati in maniera tale da creare un fitto tessuto decorativo, spesso articolato in moduli circolari o polilobati. Rientra in questa tipologia un frammento in seta databile tra il sec. 11° e il 12° (Atene, Benaki Mus.), che potrebbe provenire dalla Mesopotamia o dall'Egitto, con una decorazione che si snoda orizzontalmente, nella quale l'immagine di un'arpia, inserita entro cornici ovaleggianti con moduli a punta aggettanti rispetto ai lati curvi, si alterna a emblemi ornamentali costituiti da piccole volute vegetali in oro, con profilo quadrilobato. Sempre dall'Egitto provengono due bordi in lino con r. in oro (Riggisberg, Abeggstiftung), riconducibili alla metà del sec. 11°, nei quali è presente una fitta ornamentazione stilizzata di genere esclusivamente vegetale, rispondente appieno all'aniconismo peculiare di molti esemplari tessili islamici e tendente a geometrizzare certi moduli decorativi tipici anche del repertorio figurativo bizantino, come i motivi a cuore, spesso utilizzati nelle cornici delle rotae orientali, presenti anche nel citato esemplare di Atene.I progetti decorativi relativi ad alcune stoffe, ancora pertinenti a epoca fatimide, come una coperta di tela di lino con r. in seta (Atene, Benaki Mus.), proveniente con ogni probabilità dall'Egitto e databile tra il sec. 11° e il 12°, e nella quale compaiono figure di leoni inserite entro strutture orbicolari, attestano l'assorbimento di schemi iranici, confluiti poi nel patrimonio artistico di Bisanzio, nei repertori figurativi dei tessuti e, specificamente, nei lavori a r. arabi. Del resto va tenuto anche conto che tra la civiltà islamica e il mondo bizantino non mancarono scambi reciproci di materiale tessile, in occasione per es. di ambascerie, e testimonianze precise, risalenti a epoca abbaside, documentano l'importazione di tessuti arabi, spesso anche di veri e propri indumenti, nei territori legati a Bisanzio e, viceversa, la presenza a Bisanzio di tessuti provenienti da Baghdad (Monneret de Villard, 1956, pp. 213-215).Sempre da laboratori egiziani dovrebbe provenire una serie di manufatti in lino, nei quali l'ornamentazione si articola mediante motivi geometrico-vegetali, generalmente organizzati entro strisce longitudinali che si alternano a motivi fitomorfi o zoomorfi, spesso associati, come avviene in un esemplare (Atene, Benaki Mus.), databile al sec. 11°-12° (Schuette, Müller-Christensen, 1963, p. 28, nr. 54), nel quale fasce con lepri divise da alberi si dispongono in orizzontale e specularmente rispetto a un motivo centrale organizzato secondo un disegno orbicolare. Lo stesso concetto, che spesso rende elementi zoomorfi e vegetali parte integrante di motivi decorativi, sempre compresi entro bande che si ripetono con regolarità, torna in alcuni esemplari, dove è sensibile la tendenza alla geometrizzazione delle immagini anche grazie all'impiego del punto filza e del punto quadrettato. Tra gli altri, è possibile ricordare alcuni lavori ad ago, databili tra il sec. 13° e il 14°, come un frammento di stoffa con r. in seta (Berlino, Staatl. Mus., Kunstgewerbemus., J. 3175).All'attività dei laboratori tessili attivi a Palermo si è voluta ricollegare (Shepherd, 1953) la confezione di due frammenti (Cleveland, Mus. of Art) realizzati in mulḥam (tipo di stoffa in seta e cotone) con r. in oro, riconducibili al sec. 12°, il cui repertorio formale appare strettamente correlato agli esemplari di età fatimide di provenienza egiziana o mesopotamica. Nel primo pezzo una maglia decorativa a volute vegetali ingloba immagini di volatili, nel secondo clipei si alternano a cornici ovaleggianti con terminazioni a punta, riproposte in termini assolutamente analoghi nelle rifiniture a r. della mitra c.d. di S. Valerio, vescovo di Saragozza (Roda de Isábena, Mus. Parroquial), ascrivibile anch'essa al sec. 12° e proveniente con ogni probabilità da laboratori attivi in Spagna durante la dominazione araba.Che nelle manifatture spagnole di età islamica si producessero, oltre che stoffe intessute, pregevoli esemplari ricamati, è documentato in maniera inequivocabile anche dalla casula c.d. di S. Tommaso Becket (Fermo, Mus. Diocesano), nella quale un'iscrizione a caratteri cufici dichiara avvenuta nel 510 a.E./1116/1117 la realizzazione dell'indumento ad Almería, uno dei centri della Spagna meridionale che, in epoca almoravide, fu sede assieme a Córdova di qualificatissime manifatture tessili alle quali è dovuta gran parte della produzione, c.d. ispano-moresca, di tessuti medievali. La superficie della stoffa in seta, con r. in seta a punto catenella e spaccato e in oro a punto teso, è interamente ricoperta da una fitta maglia di orbicoli che ospita diverse figure animali, tra le quali grifoni e aquile, e immagini di cavalieri. Caratteristiche simili nel disegno mostrano alcuni frammenti conservati nella chiesa parrocchiale di Oña (Burgos), databili al sec. 12°, che potrebbero provenire dagli stessi laboratori almeriensi. Un altro esemplare certamente proveniente da manifatture della Spagna - e che potrebbe essere più antico rispetto alla casula di Fermo, con la quale condivide un simile progetto decorativo e certe modalità tecniche - è il sudario c.d. di s. Lazzaro, ora in stato frammentario e diviso (Autun, Saint-Lazare; Lione, Mus. Historique des Tissus; Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny); realizzato in seta con r. in seta a punto erba e spaccato e in oro a punto teso, esso presenta cornici polilobate sui cui sottili bordi, ricamati in seta rossa, compaiono placchette in oro del tutto simili a quelle che decorano i clipei dell'esemplare di Fermo.Dalle necropoli musulmane delle valle del Nilo proviene poi gran parte delle tipiche stoffe arabe, decorate con bande e sovente con iscrizioni, sia intessute sia ricamate, la cui denominazione di ṭirāz è la stessa utilizzata per indicare le officine, statali o legate alla corte, all'interno delle quali venivano prodotti manufatti tessili. Sedi di importanti ṭirāz furono il Cairo e Baghdad, rispettivamente capitali degli imperi arabi dei Fatimidi e degli Abbasidi. Quanto agli esemplari con iscrizioni, la presenza del nome del califfo, quello del principe che ordinò la confezione del tessuto, il riferimento alla città di provenienza e alla data di fabbricazione, che costituiscono una sorta di autocertificazione utile per la classificazione degli esemplari stessi, attestano la larghissima diffusione nelle diverse aree geografiche controllate dagli arabi, relativamente a un ampio arco cronologico, di tali tipi di manufatti, gran parte dei quali furono realizzati proprio con rifiniture ad ago. Si è conservato un gran numero di ṭirāz con iscrizioni ricamate, molte delle quali pertinenti a età fatimide (per es. Londra, Vict. and Alb. Mus.; Kendrick, 1924, p. 36, nr. 948).Tra gli esemplari tessili rifiniti con r. riconducibili a epoca mamelucca (1250-1517), relativamente al periodo medievale, può essere menzionata la fodera di un cuscino in lino con r. in seta, ascrivibile al sec. 13° (Londra, Vict. and Alb. Mus.; Kendrick, 1924, pp. 36-37, nr. 949), che recupera schemi decorativi tipici delle stoffe a r. fatimidi, con bande decorative a motivi romboidali alternate ad aree animate da immagini zoomorfe ed emblemi di varia foggia, tra i quali si riconoscono quelli a cuore, qui fortemente stilizzati. L'opzione per repertori decorativi risultanti dall'intersezione di moduli geometrizzanti, che divenne peculiare di molti tardi esemplari tessili islamici, è riscontrabile in un bordo (Londra, Vict. and Alb. Mus.), pertinente sempre a epoca mamelucca, databile tra il 13° e il 14° secolo.
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