RICCARDO da Venosa
RICCARDO da Venosa. – Nacque a Venosa, probabilmente nell’ultimo decennio del XII secolo. La maggior parte delle notizie a lui relative si ricavano dalla sua stessa opera, la commedia elegiaca De Paulino et Polla.
Al termine del breve prologo l’autore si presenta con queste parole: «...Venusine gentis alumpnus / iudex Richardus tale peregit opus» (vv. 13-14), facendo sapere di provenire da Venosa e di essere giudice; più specificamente, possiamo aggiungere che era giudice ad contractus, ovvero uno di quei magistrati cittadini che avevano il compito di conferire certezza all’azione giuridica, garantendone la fides insieme con i notai, e che in epoca sveva, pur essendo di nomina regia, venivano designati annualmente dagli homines loci. Nei versi immediatamente precedenti, si legge anche la dedica all’imperatore Federico (v. 11: «Hoc acceptet opus Fredericus Cesar...»): il primo editore, Édélstand du Méril, aveva supposto che si trattasse di Federico III, mentre Rudolph Peiper (Die profane Komödie des Mittelalters, in Archiv für Literaturgeschichte, 1876, vol. 5, p. 540) aveva pensato a Federico I Barbarossa. Tali identificazioni, tuttavia, sono certamente da rigettare, perché il dedicatario è senza dubbio Federico II di Svevia, come rendono evidente non solo la provenienza dell’autore, difficilmente compatibile con altri contesti geografici, ma soprattutto un espediente narrativo presente nella parte finale della commedia, in cui uno dei personaggi, Fulcone, condannato a morte, decide di ricorrere all’appello del duca Rainaldo, che viene qualificato come reggente del Regno (vv. 1109-1110: «Raynaldi mox Fulco ducis regnum moderantis / provocat examen»). Il duca è sicuramente identificabile in Rainaldo di Urslingen, signore di Spoleto, che tenne la reggenza del Regno durante l’assenza di Federico II, quando partì alla volta della Terrasanta per compiere la sua crociata incruenta; Rainaldo, successivamente, nel maggio del 1231 fu incarcerato dall’imperatore e bandito dal Regno. La presenza di tale personaggio ci permette di datare l’opera con una certa precisione: infatti, secondo le minuziose informazioni contenute nel Breve chronicon de rebus Siculis (a cura di W. Stürner, in MGH, Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, LXXVII, Hannover 2004), Federico II salpò da Brindisi il 28 giugno 1228 e fece ritorno nello stesso porto il 10 giugno dell’anno successivo; dunque, collocabili in quel preciso lasso di tempo (tra il luglio del 1228 e il maggio del 1229, ma più probabilmente tra il luglio e l’agosto del 1228, quando Rainaldo di Spoleto plausibilmente si trattenne ancora nelle zone tra Puglia e Basilicata) sono l’ambientazione cronologica e, forse, anche la composizione della commedia. Non è, tuttavia, da escludere l’ipotesi – avanzata da Giustino Fortunato (1918, pp. 29-31) – che essa sia stata portata a compimento in occasione di una sosta dell’imperatore nei territori prossimi a Venosa, nell’estate del 1232.
In effetti, un ramo della tradizione manoscritta del testo omette il distico di dedica all’imperatore: potrebbe essere, dunque, suggestiva la supposizione che esso sia stato aggiunto in un secondo momento dall’autore, in occasione della consegna al dedicatario, pur se potrebbe essere parimenti giustificabile il caso inverso, ovvero che quei versi siano stati soppressi nel corso della successiva tradizione testuale, in un’epoca in cui la nuova dominazione angioina rendeva conveniente dimenticare il passato regime svevo. D’altra parte, lo stesso ramo della tradizione che omette la dedica a Federico II trasmette, invece, i versi finali (vv. 1119-1140), che contengono l’appello di Fulcone al duca Rainaldo e la nuova sentenza emessa da quest’ultimo: potrebbe, dunque, essere lecito supporre che lo stesso Riccardo abbia eliminato tali versi in un momento successivo, quando Rainaldo era già caduto in disgrazia, anche se altrettanto plausibile rimane la possibilità della lacuna meccanica, dal momento che dal testo non scompaiono del tutto le tracce del duca di Spoleto, che, in ogni caso, al v. 1114 è chiamato magnificus.
La formazione dimostra studi superiori – ma non necessariamente universitari – di tipo sia retorico, come rivela la competenza poetica, sia giuridico, come testimoniano non solo il titolo di giudice, ma anche la conoscenza approfondita del diritto, resa evidente dalle frequenti citazioni del Corpus iuris civilis e dei brocardi. Altre notizie tratte da fonti esterne al testo della commedia sembrano attestarlo ancora attivo fino agli anni Sessanta del XIII secolo: il 27 giugno 1255, infatti, un Riccardus regalis Venusinorum iudex controfirma un atto di donazione (edito in Fortunato, 1918, pp. 103-105, doc. I); e il 4 agosto 1267 un iudex Riccardus de Venusio firma (con grafia simile a quella del documento del 1255) come testimone per la trascrizione di antichi privilegi in favore del monastero della Ss. Trinità di Venosa (edito in G. Del Giudice, Codice diplomatico del Regno di Carlo I e II d’Angiò, I, Napoli 1868, Appendice, pp. XXIV-XXVII, doc. X; Fortunato, 1918, pp. 108-114, doc. III). Se si ammette la plausibilità di tali – comunque assai aleatorie – identificazioni, Riccardo dovrebbe dunque essere morto in data successiva. Del tutto infondata, comunque, è l’identificazione (sostenuta da A. De Stefano, La cultura alla corte di Federico II imperatore, Bologna 1950, p. 199, n. 83, sulla base di G. Crudo, La Ss. Trinità di Venosa: memorie storiche diplomatiche archeologiche, Trani 1899, p. 258) con il Ricardus Paulinus che nel 1267 era priore della Ss. Trinità di Venosa.
La commedia De Paulino et Polla.è stata edita per la prima volta da É. du Méril, in Poésies inédites du Moyen-Âge, Parigi 1854, pp. 374-416; poi, ancora, da R. Briscese, Melfi 1903; da M. Rigillo, Trani 1906 (con ampie note di commento); da G. Pinto, Como 1930; da G.G. Monaco, Napoli 1984; da S. Pittaluga, in Commedie latine del XII e XIII secolo, V, Genova 1986, pp. 106-227 (ed. critica di riferimento); da A. Vaccaro, Venosa 2005. Nonostante i nomi del titolo, il vero protagonista dell’opera – di matrice formalmente ovidiana, come le altre commedie che si riconnettono al medesimo genere – è Fulcone, un maldestro e sventurato causidicus, al quale l’anziana Polla si rivolge, perché la aiuti a condurre a buon fine il progettato matrimonio con l’altrettanto anziano Paolino, il quale sembra aver raffreddato i suoi buoni propositi precedenti. Dapprima recalcitrante, Fulcone si lascia infine coinvolgere come mediatore per le nozze tra i due. Da qui cominciano una serie di peripezie, che portano Fulcone a digiunare, perché gli animali domestici gli divorano il pranzo approfittando di un momento di disattenzione; a essere malmenato da Paolino, creduto un sogno e schiaffeggiato perché, pur essendo un umile contadino, parla con eccelsa perizia retorica; a essere inseguito da un branco di cani selvatici che lo fanno cadere in una fossa piena di fango, dove rimane un’intera notte; a essere preso a pietrate dai contadini, che credono che nella fossa sia rimasto intrappolato un lupo; a essere condannato alla decapitazione, perché un rusticus lo accusa di essere uno dei ladri che lo hanno derubato. Fulcone, disperato per la condanna, ricorre al duca Rainaldo di Urslingen, che cassa sì la sentenza di morte, ma ordina che Fulcone sia frustato e che non si occupi ulteriormente del matrimonio fra i due vecchi, la cui unione è destinata a essere sterile. La commedia, composta in distici elegiaci, nella sua redazione più completa conta 1140 versi: all’incirca fino al v. 500 segue la falsariga del Pamphilus, opera di autore anonimo, risalente forse all’inizio del XII secolo, che, ritenuta erroneamente di Ovidio, godette di ampia e lunga fortuna. Il modello, tuttavia, nel quale il giovane Panfilo, innamorato della ritrosa Galatea, riesce a conquistarla grazie agli uffici di una vecchia mezzana, viene volto in chiave farsesca e paradossale, pur con forti accenti moralistici; e l’ambientazione viene adattata al contesto giuridico, più familiare all’autore. L’esito è certamente originale, trattandosi di uno dei componimenti poetici più rilevanti dell’epoca sveva, la cui matrice culturale è piuttosto caratterizzata dalla produzione retorico-epistolare dei dictatores che operarono all’interno della cancelleria imperiale.
Fonti e Bibl.: G. Fortunato, R. da Venosa e il suo tempo, Trani 1918; C.H. Haskins, Latin literature under Frederick II, in Speculum, III (1928), pp. 134 s., 147 s.; G. Pepe, Una farsa del secolo XIII in latino, in Archivum Romanicum, XIX (1935), pp. 387-396; G. Monaco, Note su R. da Venosa, in Antiche civiltà lucane, a cura di P. Borraro, Galatina 1975, pp. 195-200; Id., Il Libellus di R. da Venosa. L’eroismo borghese e la nascita della comoedia humana, Napoli 1984; G. Caserta, R. da Venosa: un episodio della fortuna di Orazio nel Medioevo, in Discipline classiche e nuove secondarie, a cura di V.F. Cicerone, Foggia 1986-1987, pp. 239-244; F. Doglio, Rapporti fra le diverse esperienze drammatiche europee nel Medioevo: la commedia elegiaca, ambito italiano, in Id., Il teatro scomparso. Testi e spettacoli fra il X e il XVIII secolo, Roma 1990, pp. 161-181; A. Bisanti, Note ed appunti sulla commedia latina medievale e umanistica, in Bollettino di studi latini, XXIII (1993), pp. 365-400 (in partic. pp. 379-386); S. Pittaluga, L’abito buono di R. da Venosa, in Il Paese di Cortesia. Omaggio a Federico II nell’VIII centenario della nascita, Genova 1995, pp. 70-82 (poi in Id., La scena interdetta, Napoli 2002, pp. 46-57); F. Bertini, La tematica dell’amore senile nei secoli XII-XIV: spunti di ricerca a margine del De Paulino et Polla di R. da Venosa, in Pan, XVIII-XIX (2001), pp. 33-42; M. Giovini, L’‘equus’ di Paolino, i ‘calcaria’ di Polla e la notte di tregenda dell’avvocato Fulcone: i ‘promessi sposi decrepiti’ di R. da Venosa, in Maia, LIV (2002), pp. 351-371; A. Bisanti, Studi recenti su R. da Venosa, in Quaderni medievali, LVI (2003), pp. 244-267; F. Bertini, R. da Venosa, in Federico II. Enciclopedia fridericiana, Roma 2005, ad vocem; E. D’Angelo, La letteratura, in Basilicata medievale. La cultura, a cura di E. D’Angelo, Napoli 2009, pp. 91-94; A. Bisanti, L’‘interpretatio nominis’ nelle commedie elegiache latine del XII e XIII secolo, Spoleto 2009, pp. 254-262.