RICCARDO DA VENOSA
R., o, come egli stesso si definisce, "Venusine gentis alumpnus / iudex Richardus" (vv. 13-14), è l'autore della commedia elegiaca De Paulinoet Polla, composta fra il giugno del 1228 e il giugno del 1229 e dedicata all'imperatore Federico II (vv. 11-12 "Hoc acceptet opus Fredericus Caesar et illud / maiestate iuvet atque favore suo"). È uno dei prodotti più singolari, tanto per l'argumentum prescelto quanto per la struttura portante della fabula, nell'ambito di questo genere letterario d'età tardomedievale, di cui costituisce, in un'area geografica (l'Italia meridionale) diversa da quelle consuete d'appartenenza specifica (la Francia nordoccidentale e, in misura minore, l'Inghilterra), una delle attestazioni più tarde, insieme al De uxore cerdonis del contemporaneo Jacopo da Benevento (v.). Si tratta d'un prolisso componimento drammatico in cinquecentosettanta distici elegiaci, costituito da una serie ininterrotta di lunghe tirate moraleggianti, la cui matrice stilistica si può ricondurre in buona sostanza al modello espressivo ovidiano, con frequenti riprese, oltre che dalle Sacre Scritture, da Virgilio e Orazio (specie per taluni nuclei contenutistici).
Naturalmente R. allude anche esplicitamente in diversi luoghi ai più significativi tra i testi che compongono quel particolarissimo genere letterario che costituisce il suo modello evidente, cioè la cosiddetta commedia elegiaca (v.). Ecco perché fino al v. 500 il testo segue, parodiandola, la falsariga del Pamphilus, mentre un importante episodio finale (quello in cui, ai vv. 1039-1078, i vicini, scambiandolo per un lupo, tentano di lapidare il protagonista, Fulcone, precipitato in una fossa) è modellato, sia stilisticamente sia nella ripresa letterale di alcune battute, su un episodio analogo del Geta di Vitale di Blois (vv. 185-208, in cui Geta finge di lapidare Birria, nascosto in una caverna), già ripreso nell'anonimo Baucis et Traso (vv. 215-246).
D'altronde R., nella sua veste di giudice, non rinuncia a collocare la farsa nel proprio ambiente professionale, costruendo un testo estremamente originale (benché spesso monotono e noioso) tipico della cultura federiciana e adatto a essere letto, fra divertiti ammiccamenti, dagli eruditi funzionari della Magna Curia. E questo proprio per le frequenti allusioni in chiave satirica e retorico-giuridica all'arsdictandi e all'ars notaria.
Vediamo ora di riassumere la trama: i primi duecentonovanta versi sono tutto un susseguirsi di complimenti, lusinghe, lungaggini e luoghi comuni. Solo al v. 295 comincia l'argumentum vero e proprio; la vecchia Polla informa l'avvocato Fulcone: "Est tibi vicinus, Paulinus nomine, qui me / diligit et nuptam, querit habere sibi".
Polla termina la sua esposizione al v. 316, chiedendo a Fulcone di aiutarla a condurre a buon fine questo matrimonio, al quale Paolino non sembra più tenere molto, mentre ora è lei, Polla, a desiderarlo. Dopo un fitto dialogo sulle modalità del progettato matrimonio, in cui la vecchia rivela il proprio nome, spiegandone il significato sulla base della teoria etimologica medievale secondo cui nomina sunt consequentia rerum (v. 411: "Nomine Polla vocor, quia polleo moribus altis"), Fulcone congeda la vecchia e, dopo avere riflettuto a lungo sui pro e sui contro del digiuno, decide alfine di prepararsi il pranzo; quand'ecco far ingresso in casa sua Paolino che, vedendolo in procinto di mettersi a tavola, educatamente si allontana. Rimasto solo, Fulcone va incontro a una serie di peripezie: un gatto gli ruba l'arrosto e gli rovescia il vino; mentre, pieno d'ira, scaglia una pietra contro l'animale, il maldestro avvocato spezza una giara piena d'olio, imbrattando il letto. Infuriato, il causidicus insegue il gatto, ma inciampa e cade nel fango; rialzatosi a fatica, rientra in casa in tempo per scorgere che un cane gli ha rubato il pane, mentre un maiale sta riducendo a brandelli la tovaglia. Allora maledice quel giorno e pronunzia parole tristemente lamentose sull'instabilità della sorte umana (vv. 495-562): un tema topico, d'ascendenza biblica e boeziana, rivisitato qui in una beffarda chiave parodica.
A questo punto rientra in scena Paolino e il dialogo fra i due riprende (vv. 563-978), ma il vecchio contadino si esprime con una tale proprietà terminologica e con tanta disinvoltura retorica da indurre Fulcone a credere di stare sognando; allora, per verificare se si tratta o meno di un'allucinazione, l'avvocato prende a schiaffi l'interlocutore, che reagisce e replica con durezza: ne nasce così una breve rissa a suon di ceffoni e bastonate, finché Fulcone si convince d'essere sveglio. Allora supplica Paolino di risparmiargli altre botte, si scusa con lui per l'increscioso episodio e, fra una digressione morale e l'altra, giunge a esporre al vecchio vicino di casa la ragione per cui desiderava parlargli: una vecchia di nome Polla lo domanda in sposo (vv. 731-732). Paolino si mostra dapprincipio indeciso, ma sostanzialmente incline al rifiuto, soprattutto per via dell'avvilente impotenza, sopraggiunta con l'età (vv. 751-760). Fulcone obietta che la solitudine è dura da sopportare; ridimensiona poi il problema della frigiditas maschile, riconducendolo a un fattore psicologico di mera perdita d'abitudine al corpo e alle sensuali lusinghe muliebri: anche la sua carne, benché "mortificata" (v. 784), riacquisterà il primigenio vigore virile al corroborante contatto con il corpo di Polla (vv. 777-796). Dopo due nuove interminabili controversiae, la prima sulla litigiosa e pettegola petulanza delle donne (vv. 811-886), la seconda sull'essenza autentica della nobiltà (vv. 887-964), e dopo l'ennesima esortazione di Fulcone, che invita l'anziano vicino di casa a valutare i meriti di Polla, esaminandone non la stirpe, "genus", bensì i costumi, "mores" (vv. 965-966), Paolino s'arrende al rigore dialettico delle argomentazioni del causidico-sensale e decide di ottemperare docilmente ai suoi consigli. Poi, siccome s'è fatto buio, Fulcone lo accompagna a casa, ma, rimasto solo per strada, è ancora vittima della malasorte: assalito da un branco di cani selvatici, precipita in una lurida fossa, in cui rimane immerso sino a giorno inoltrato, gridando e lamentandosi invano. Intanto ripercorre con la mente i fatti accadutigli e teme di aver commesso peccato occupandosi di nozze sterili, contratte solo per il piacere della carne e non per generare figli, quali quelle di Paolino e Polla.
Al mattino accorrono i vicini, ma, credendo che nella fossa sia caduto un lupo, scagliano pietre, fino a quando il povero Fulcone non trova la forza di chiedere pietà svelandosi. Allora i vicini, presa una fune, cercano di estrarlo dalla fossa, ma la fune si spezza e Fulcone ricade (vv. 1017-1072). Quando finalmente in qualche modo il causidicus viene tratto fuori, si fa avanti un rusticus, che lo accusa pubblicamente di essere uno dei ladri che lo hanno derubato e lo fa trascinare davanti al pretore, che, sentite le parti, condanna l'avvocato alla decapitazione. A questo punto, disperato, Fulcone si appella al duca Rainaldo di Urslingen (vicario imperiale in assenza di Federico II; vv. 1073-1110); dopo un ultimo breve monologo, consegnate al duca le carte processuali, Fulcone si inginocchia supplice davanti a lui e, riferendo le disgrazie occorsegli, lo scongiura di salvarlo dalla morte. Il duca cassa allora la sentenza del pretore, ma ordina che Fulcone sia frustato e gli vieta di occuparsi ulteriormente del matrimonio fra i due vecchi, perché da loro non può nascere nuova prole. Ecco in conclusione i provvedimenti presi dal vicario imperiale, con i quali termina la 'commedia' (vv. 1137-1140): "Iudicis examen Dux cassans, iure favente, / precipit ut Fulco verbera dira ferat, / neve senum tractet sponsalia cepta deinceps, / cum nequeant steriles fructificare Deo".
In definitiva, nel dare veste poetica a una raccolta di sentenze classiche o bibliche, presentate in un linguaggio appesantito dagli artifici desunti dalla retorica scolastica, R. ha inserito l'esile trama di una vicenda forse autobiografica: l'episodio, rimasto a lungo impresso nella sua memoria di avvocato, dell'insolita richiesta di far da sensale in occasione delle progettate nozze di due vecchi compaesani.
L'avere dato a questo singolare documento di vita contemporanea una veste drammatica lo colloca, sia pure a notevole distanza, sullo stesso piano innovativo di Jacopo da Benevento che, operando nello stesso ambiente professionale e culturale, col suo De uxore cerdonis prefigurava la struttura della futura commedia umanistica e rinascimentale.
Fonti e Bibl.: edizioni: R. Briscese, Paolino e Polla, pseudo-commedia del secolo XIII, Melfi 1903; M. Rigillo, Paolino e Polla, poemetto drammatico-giocoso del secolo XIII di Riccardo da Venosa, Trani 1906 (con ampie note di commento, ancora oggi preziose per dovizia di rimandi e di suggestioni ermeneutiche); S. Pittaluga, De Paulino et Polla, in Commedie latine del XII e XIII secolo, a cura di F. Bertini, V, Genova 1986, pp. 106-227 (Notizieintroduttive alle pp. 83-105). G. Pepe, Una farsadel secolo XIII in latino, "Archivum Romanicum", 19, 1935, pp. 387-396; G. Monaco, Note su Riccardo da Venosa, in Antiche civiltà lucane, a cura di P. Borraro, Galatina 1975, pp. 195-200; G. Caserta, Riccardo da Venosa: un episodio della fortuna di Orazionel Medioevo, in Discipline classiche e nuove secondarie, a cura di V.F. Cicerone, Foggia 1986-1987, pp. 239-244; F. Doglio, Rapporti fra le diverse esperienze drammatiche europee nelMedioevo: la commedia elegiaca, ambito italiano, in Id., Il teatro scomparso. Testi e spettacoli fra il X e il XVIIIsecolo, Roma 1990, pp. 161-181; A. Bisanti, Note ed appunti sulla commedia latina medievale eumanistica, "Bollettino di Studi Latini", 23, 1993, pp. 365-400, in partic. pp. 379-386; G. Fortunato, Riccardo da Venosa e il suo tempo, Osanna 1994 (Trani 1918); S. Pittaluga, L'abito buono di Riccardo da Venosa, in Il Paese di Cortesia. Omaggio a Federico II nell'VIII Centenario della nascita, Genova 1995, pp. 70-82; F. Bertini, La tematica dell'amore senile nei secoli XII-XIV: spunti di ricerca a margine del 'De Paulino et Polla' di Riccardo da Venosa, "Pan", 18-19, 2001, pp. 33-42; M. Giovini, L''equus' di Paolino, i'calcaria' di Polla e la notte di tregenda dell'avvocato Fulcone: i'promessi sposi decrepiti' di Riccardo da Venosa, "Maia", 54, 2002, pp. 351-371.