PERUCOLO, Riccardo
PERUCOLO, Riccardo. – Nacque a Zoppè di Conegliano, località del Trevigiano, da Antonio, mastro murario, e da una non meglio identificata Cecilia. Ignota è la data di nascita, plausibilmente da fissare tra il 1515 e il 1520 sulla base dei riscontri documentari disponibili (Puppi, 1995, p. 29).
Figura sconosciuta alla letteratura artistica antica, la riscoperta di questo pittore è avvenuta solo in tempi recenti, a seguito della segnalazione del suo processo inquisitoriale conservato nel fondo Santo Uffizio dell’Archivio di Stato di Venezia (Stella, 1967; Seidel Menchi, 1987), e della sua successiva pubblicazione da parte di Lionello Puppi (1995) e Giuliano Galletti (2002, pp. 209-269). Il suo recupero s’inquadra all’interno del forte interesse verso il rapporto tra arti figurative e dissenso religioso che ha caratterizzato la storiografia italiana negli ultimi decenni e che proprio per l’area veneta ha prodotto importanti risultati (un primo bilancio in Firpo, 2001). In questo contesto, la vicenda di Riccardo Perucolo – artigiano-pittore processato e condannato a morte per le sue posizioni eterodosse – è stata in genere interpretata come rappresentativa delle tensioni identitarie e professionali che hanno governato il campo della produzione artistica negli anni centrali del Cinquecento.
Non si conoscono i dettagli sulla sua formazione pittorica, verosimilmente già conclusa entro l’ottobre 1539, quando il suo nome veniva citato con la qualifica di «maistro pitore» in un documento notarile stilato a Conegliano (Cagnin, 1993, p. 90). Secondo l’ipotesi formulata da Puppi, è possibile che egli avesse svolto il proprio apprendistato nella bottega del maestro locale Alvise Bianchettini (noto per aver collaborato con Lorenzo Lotto a Treviso nel 1542-44: Puppi, 1995, p. 32), specializzandosi in particolare nel genere dell’affresco e della decorazione parietale. In seguito, nell’ottobre 1544, prese a livello per cinque lire annue una casa con orto presso la pieve di S. Martino di Borgo Vecchio a Conegliano, dove avrebbe risieduto per il resto della sua vita. A quel periodo dovrebbe risalire il matrimonio con Antonia Voltolina, originaria di Venezia e figlia del «mensurator bladarum» Sebastiano (Puppi, 1995, p. 35), che gli portò una dote cospicua di cento ducati, e dalla quale ebbe quattro figli: Angelo Giovanni, nato nel 1546 e in seguito anch’egli documentato come pittore, Gedeone, Dario e Persilia, questi ultimi nati dopo il 1550 (Cagnin, 1993, p. 90).
È probabile che alla metà del quinto decennio si debba collocare anche il suo progressivo avvicinamento alla figura di pre’ Gottardo Montenaro, carismatico sacerdote vicino alle posizioni eterodosse di Pier Paolo Vergerio, attorno al quale si andavano raccogliendo in quegli anni numerosi esponenti del ceto artigiano e mercantile di Conegliano. La familiarità di Perucolo con questa conventicola eterodossa gli costò una pesante incriminazione di «luteranesimo», formalizzata dal procuratore fiscale della diocesi, Giovanni Andrea Caronelli, il 25 maggio 1549 al termine di un’inchiesta promossa dalle stesse autorità veneziane, preoccupate dalla diffusione di idee ereticali nell’area prealpina.
Le accuse si fondavano non solo sulle delazioni di alcuni concittadini, ma anche sul ritrovamento in casa del pittore di alcuni libri sospetti, tra cui un «testamento novo vulgare», delle «epistole di S. Paulo in vulgare» e una copia delle Requisitioni contra Hebreos del convertito Samuel Marochitanus (Puppi, 1995, p. 36).
Arrestato assieme al falegname Nicolò dalle Monache, Perucolo fu in un primo momento condotto nelle carceri di Conegliano, dove lo stesso 25 maggio fu sottoposto a un primo interrogatorio da parte del podestà Alvise Tagliapietra. Qualche giorno più tardi, a seguito delle pressioni provenienti dalle autorità veneziane, fu trasferito nei «cameroti» dei Signori di Notte di Palazzo ducale a Venezia, dove fu messo a disposizione del locale tribunale dell’Inquisizione (Galletti, 2002).
Il processo (giudici Gherardo Busdraghi e Marino da Venezia, coadiuvati dai membri laici Francesco Longo, Alvise Contarini e Zuan Antonio Venier: Puppi, 1995, p. 65) ebbe inizio l’11 giugno 1549, e durò fino all’inizio del mese successivo, per un totale di quattro udienze.
Sulla base del materiale raccolto, Perucolo fu chiamato a rispondere di diversi capi d’imputazione: rifiuto del dogma trinitario e del culto dei santi («basta solamente pregar Christo perché lui è cappo»); negazione della mediazione ecclesiastica, del purgatorio e del sacrificio della messa («l’hostia consecrata è uno pezzo de pasta», Puppi, 1995, p. 73). Le accuse andavano a colpire atteggiamenti cronicamente diffusi tra i ceti artigiani, in cui convivevano tensioni evangeliche, radicalismo anabattista e moderazione vergeriana. La strategia difensiva adottata dall’inquisito, basata su una cauta ammissione degli addebiti, dovette risultare convincente per gli inquisitori, che l’11 luglio 1549 emisero la sentenza: la pronuncia pubblica dell’abiura, l’obbligo di presentarsi alla messa «con una coreza al colo in segno d’humiltà» per i successivi diciotto mesi, nonché la residenza coatta nella città di Conegliano per lo stesso periodo (p. 75).
Oltre ai dati legali, le carte processuali forniscono sintetiche informazioni relative ad alcuni lavori pittorici, oggi perduti, eseguiti da Perucolo a Conegliano nel corso degli anni Quaranta. In particolare, vengono menzionate due immagini di S. Leonardo e s. Benedetto in affresco (non è chiaro se in un campo unico, o in campi distinti), definite dallo stesso Perucolo «doi santacci» (p. 51), realizzate nella primavera 1547 per la «lozeta» del Palazzo pubblico, su commissione del podestà Benedetto Soranzo; alcune scene evangeliche dipinte ad affresco l’anno seguente nella casa di Pietro Pasqualina; altri affreschi di soggetto non precisabile, eseguiti tra il maggio 1548 e la primavera seguente nelle abitazioni di Latino da Collo, Gianpietro Calza e Bernardino Vezzati (p. 35). Di un certo interesse è anche la testimonianza del maggio 1549 di Agnese Sarcinelli, moglie del notabile locale Simone Sarcinelli, nella cui residenza a Conegliano Perucolo «zà ben molti anni lavorò a depenzer» (p. 33). Sulla base di questa notizia, è stato proposto (pp. 124 s.) di identificare la mano del pittore nel fregio monocromo di gusto pordenoniano con figure allegoriche e finti intagli vegetali presente in alcuni ambienti di palazzo Sarcinelli, già in passato attribuito a Francesco Beccaruzzi (Fossaluzza, 1998). Più di recente sono stati assegnati a Perucolo anche alcuni graffiti databili al XVI secolo, raffiguranti una Madonna con Bambino e una Crocifissione con santi, individuati in una cella dei cosiddetti Pozzi di Palazzo ducale, la cui effettiva paternità resta tuttavia alquanto dubbia e problematica (Romanelli, 2014, pp. 17-28).
Tornato a Conegliano e scontata la pena, Perucolo riprese a svolgere la propria attività professionale con successo, come sembrano attestare indirettamente alcuni acquisti di terreni effettuati nel corso del sesto decennio nelle vicinanze di Conegliano (Puppi, 1995, pp. 86 s.). Nel 1561 egli inoltre compare come testimone di un contratto di garzonato stipulato presso la bottega del pittore Antonio di Armano da Trento (Cagnin, 1993, p. 100). Nello stesso periodo ulteriori prove e delazioni a suo carico furono raccolte da Camillo Speziari, vicario del vescovo di Ceneda, al quale era stato affidato l’incarico di sorvegliare Perucolo e i suoi familiari. In un dispaccio inviato all’inquisitore Valerio Faenzi nell’agosto 1567, Speziari formulò nuove infamanti accuse verso il pittore, evidenziando, tra l’altro, il ruolo di copertura («fautor et receptor», Wickersham, 2012, p. 53) da lui svolto per favorire la fuga in Moravia dell’anabattista Alessio Todeschi, nonché il possesso di volumi proibiti di Pier Paolo Vergerio (Pierce, 2003, p. 112).
Alla luce di queste incriminazioni, il tribunale veneziano spiccò un mandato di cattura nei confronti di Perucolo, che nel dicembre 1567 fu arrestato e condotto nel castello di Conegliano; qui, dopo essere stato sottoposto a ulteriori interrogatori e dopo una confessione estorta sotto tortura, fu dichiarato «veramente et realmente relapso, et incorso nelle pene statuite sulli santi canoni contro i relapsi» (Puppi, 1995, p. 108). Il 4 febbraio 1568, a seguito dell’intervento rocambolesco dei figli, riuscì a evadere dal carcere e a rifugiarsi in Cadore, dove fu nuovamente arrestato qualche giorno dopo e ricondotto a Conegliano. Nonostante il pentimento raccolto in carcere il 19 febbraio e la manifestata intenzione di riconciliarsi con la Chiesa cattolica, fu infine deferito al braccio secolare il 21 febbraio 1568 e morì sul rogo.
L’esecuzione pubblica fu eseguita a Conegliano, in un giorno compreso tra il 22 febbraio e il 20 marzo 1568, quando la comunicazione della morte di Perucolo veniva registrata in un dispaccio dell’inquisitore Valerio Faenzi (Puppi, 1995, p. 118).
Fonti e Bibl.: A. Stella, Dall’anabattismo al socinianesimo nel Cinquecento veneto: ricerche storiche, Padova 1967, p. 120; S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia, 1520-1580, Torino 1987, p. 105; G.P. Cagnin, Per una storia di Conegliano nel XVI secolo. Schede d’archivio, in La Madonna della Neve tra le mura di Conegliano, a cura di S. Armellin - G. Fossaluzza, Treviso 1993, pp. 77, 90, 100; L. Puppi, Un trono di fuoco. Arte e martirio di un pittore eretico del Cinquecento, Roma 1995 (in particolare pp. 130 s. per un regesto delle fonti archivistiche); A. Olivieri, Dipingere ed immaginar: arte ed eresia nel Cinquecento veneto: R. P., in Odeo Olimpico, XXII (1995-96), pp. 99-109; A. Diano, Recensione a L. Puppi, Un trono di fuoco, in Venezia arti, X (1996), pp. 177 s.; G. Galletti, Prime note sui processi dell’inquisizione a Conegliano (1549-1568), in Studi trevisani, 8 (1997), pp. 95-111; G. Fossaluzza, Treviso 1540-1600, in La pittura del Veneto, II, Milano 1998, p. 646; M. Firpo, Artisti, gioiellieri, eretici. Il mondo di Lorenzo Lotto tra Riforma e Controriforma, Roma-Bari 2001, pp. 233, 235, 323 s.; G. Galletti, Gli atti del processo agli eretici coneglianesi (1549), in Storiadentro. Rivista di studi storici, n.s., I (2002), pp. 199-269; R. Pierce, Pier Paolo Vergerio. The propagandist, Roma 2003, pp. 112, 122; G. Fossaluzza, Gli affreschi della Scuola dei Battuti di Conegliano, Conegliano 2005, pp. 359, 369, 374, 386, 399; L. Puppi, Il re delle Isole Fortunate…, Costabissara 2010, pp. 67-74; J.K. Wickersham, Rituals of prosecution. The Roman inquisition and the prosecution of philo-Protestants in sixteenth-century Italy, Toronto 2012, pp. 53 s.; L. Puppi, R. P. vent’anni dopo, in Un Cinquecento inquieto. Da Cima da Conegliano al rogo di R. P. (catal., Conegliano), Venezia 2014, pp. 41-47; G. Romanelli, Il pittore prigioniero, Venezia 2014.