PETRONI, Riccardo
PETRONI, Riccardo (Ricardus de Senis). – Nacque da famiglia di oscure origini, presumibilmente intorno alla metà del XIII secolo.
Non si può provare che suo padre, di nome Pietro, fosse, come hanno sostenuto alcuni eruditi senesi, quel Pietro di Dietisalvi che nel 1252 fece parte del Consiglio generale del Comune di Siena, mentre è certo che suo fratello Maffeo, detto Meschiato, si arricchì notevolmente, durante l’ultimo decennio del Duecento, giovandosi delle relazioni commerciali e finanziarie mantenute con importanti piazze come Chiarenza nel Peloponneso dove, nel medesimo periodo, condusse i suoi affari un altro membro della famiglia, appartenente a un ramo collaterale, Petrone che, in quanto vassallo dei principi d’Acaia (o Morea), poteva godere della protezione accordatagli da Fiorenzo di Hainaut, al quale re Carlo II d’Angiò aveva conferito quel principato dandogli in sposa Isabella di Villehardouin, vedova del fratello Filippo.
Che vi fossero legami dei Petroni (il cognome si consolidò durante il secondo decennio del Trecento) con gli Angioini è, del resto, confermato dalle vicende giovanili di Riccardo che, dopo avere studiato presumibilmente a Bologna, insegnò con tutta probabilità diritto civile a Napoli, come si apprende da una testimonianza di Cino da Pistoia e si può dedurre da glosse e additiones apposte in diversi manoscritti del Codex, Digestum vetus e Digestum novum riconducibili per lo più alla scuola civilistica partenopea, nonché dalle tracce dei rapporti culturali, anche di natura giuridica, che egli intrattenne con persone e istituzioni ecclesiastiche di quella città. L’ipotesi che avesse insegnato a Napoli «circa il 1270» (Iuris interpretes, 1924, p. 217) non trova riscontro nelle fonti, mentre sembra più probabile che il magistero di Petroni si sia svolto più tardi, tra gli anni Settanta e Ottanta, ovvero prima che egli si impegnasse a fondo nella carriera ecclesiastica, come di sicuro avvenne, sempre con il favore dell’aristocrazia angioina, a partire dal 1290. Il 28 febbraio di quell’anno, infatti, era canonico di Cambrai, diocesi affidata al vescovo Guglielmo di Hainaut, fratello del principe d’Acaia, e in tale veste ebbe mandato da papa Niccolò IV di curare l’assegnazione al vescovo di Périgueux delle rendite triennali di tutti i benefici vacanti ubicati in quella diocesi, per consentire al presule di pagare le spese sostenute in diversi giudizi contro potenti del luogo.
In seguito, dal 1293 e forse sino al 1298, fu incaricato di tutelare gli interessi della città di Bruges presso la Curia pontificia. Inoltre, almeno dal luglio 1296 fu canonico di Rouen e papa Bonifacio VIII gli concesse di percepire per intero le rendite del suo canonicato senza dovervi risiedere. Nel dicembre dello stesso anno rivestiva anche il ruolo di capicerius della Cattedrale di Poitiers sempre con la dispensa dall’obbligo di residenza, ma l’incarico più prestigioso lo aveva ricevuto pochi mesi prima, tra il 15 maggio e il 13 agosto, allorché era succeduto al cardinale Pietro da Piperno nell’ufficio di vicecancelliere di Santa Romana Chiesa.
Alla rapida ascesa in ambiente curiale contribuì di sicuro la completezza della sua preparazione giuridica che papa Caetani, per cultura e lunga esperienza personale, sapeva apprezzare pienamente e che non era limitata al diritto civile, ma si estendeva al canonico, come si evince dalle additiones alla Glossa ordinaria al Decretum di Graziano e alla Glossa ordinaria al Liber extravagantium di Gregorio IX, sparse in manoscritti che non solo avvalorano la tesi del suo magistero napoletano, ma inducono inoltre a ipotizzare un insegnamento impartito nello Studio bolognese nella prima metà degli anni Novanta. Certo è che, dal novembre 1296 al febbraio 1298, Petroni, insieme ai vescovi Guglielmo di Mandagout e Berengario Fredoli, venne chiamato a partecipare, oltre che come vicecancelliere, anche in qualità di doctor utriusque iuris, ai lavori della commissione incaricata dal pontefice di redigere una collezione di decretali che fosse di completamento alla raccolta promulgata da Gregorio IX.
Il compito di Petroni si esplicò certamente nell’esercizio delle funzioni proprie del vicecancelliere, ruolo che lo impegnava nella ricerca e nella selezione dei testi originali da includere nella raccolta, ma nello stesso tempo, come dotto giureconsulto, collaborò alla parte più impegnativa dell’opera svolta dalla commissione, quella che si risolse nel modificare e coordinare i contenuti delle fonti normative in modo da consentire a Bonifacio VIII di promulgare, il 3 marzo 1298, il Liber Sextus decretalium, che risultò non solo più organico e coerente rispetto alle precedenti collezioni canoniche, ma talmente innovativo da presentarsi come una sorta di codice. Il buon esito dell’impresa agevolò sicuramente la sua promozione alla dignità cardinalizia, che il papa gli conferì pochi mesi dopo, il 4 dicembre 1298, nominandolo titolare della diaconia di S. Eustachio.
Dopo l’elevazione al cardinalato, Petroni continuò a svolgere le funzioni di vicecancelliere almeno fino al 28 giugno 1300, progettando forse la redazione vulgata del Formularium audientie litterarum contradictarum, che fu poi composta sotto la guida del suo successore Papiniano da Parma, ma ancora per altri tre anni e mezzo proseguì intensa la sua attività di giurista sia nel ruolo di uditore di Curia, conducendo inchieste e risolvendo controversie, sia nelle vesti di studioso impegnato a elaborare scritti destinati alla scuola, come i Casus Sexti Libri decretalium, redatti probabilmente tra il 1301 e il 1302. Nella tarda estate del 1303 Petroni si trovava ad Anagni insieme a Bonifacio VIII, che riteneva di essersi messo al riparo dalle trame di Filippo il Bello e dei Colonna e non si aspettava la grave umiliazione del sequestro per mano dei congiurati al seguito di Guglielmo di Nogaret. Appena il pontefice fu liberato dal popolo anagnino, Petroni, secondo l’autore della Cronica Urbevetana, si sarebbe cambiato d’abito e avrebbe preso la fuga con un bimbo in braccio per andare a chiedere asilo in un convento francescano: si è ritenuto, dunque, che egli avesse tradito il papa che lo aveva protetto ed esaltato, il quale doveva morire a Roma poche settimane dopo, mentre Petroni non patì le conseguenze del suo gesto e poté prendere parte al conclave dal quale uscì eletto, in prima votazione e all’unanimità, il cardinale domenicano Niccolò da Treviso. Il nuovo papa, Benedetto XI, consentì a Petroni di proseguire istruttorie già avviate ed esercitare le funzioni di uditore, ricevendo in cambio una prova sicura della sua fedeltà: il cardinale, infatti, allorché nell’aprile del 1304 restò coinvolto nell’azione intrapresa dagli emissari del re di Francia presso tutti i membri del Sacro collegio allo scopo di ottenere il loro consenso per costringere il pontefice alla convocazione di un concilio che giudicasse la condotta di Bonifacio VIII, non intese esaudire i desideri di Filippo il Bello, ma dichiarò di rimettersi alla volontà di Benedetto XI e contribuì, in questo modo, a spingere la maggioranza dei presuli verso un fermo diniego alle pretese del re.
Il 18 luglio 1304, undici giorni dopo la morte di Benedetto XI, i cardinali si chiusero in conclave in un palazzo di Perugia, dal quale Petroni volle uscire il giorno seguente affermando di essere ammalato. Il conclave durò quasi undici mesi, ma il cardinale diacono di S. Eustachio, che apparteneva alla fazione capeggiata da Napoleone Orsini, non vi rientrò: pur risiedendo fuori della clausura, era informato di quanto accadeva all’interno e sapeva di essere tra i papabili, ma la sua candidatura si scontrò con il rifiuto di Matteo Rosso Orsini, che guidava la fazione avversa. Nonostante si diffondesse tra i curiali il timore di uno scisma, il 5 giugno 1305 risultò eletto l’arcivescovo Bertrand de Got (Clemente V), con il quale Petroni instaurò, tra il gennaio 1306 e l’aprile 1313, un fecondo e ininterrotto rapporto di collaborazione seguendolo in tutti i suoi soggiorni tra Lione, Bordeaux, Poitiers, Vienne e Avignone e soprattutto nel priorato di Groseau, luogo prediletto dal nuovo papa.
La perizia tecnica acquisita operando in Curia a vario titolo per molti anni permise a Petroni non solo di assolvere i numerosi compiti che il papa gli affidava e che consistevano specialmente nell’istruire processi in sede di appello, proporre la soluzione di vertenze e controllare la regolarità delle elezioni di abati e vescovi, ma anche di continuare a occupare un ruolo di primo piano nelle questioni riguardanti i predecessori più discussi del pontefice regnante. Così nel 1310, allorché ebbe inizio il processo contro Bonifacio VIII accusato di eresia, Petroni assunse la difesa del pontefice defunto sostenendo che Clemente non poteva giudicare Bonifacio, in quanto suo pari ed essendo riservato tale giudizio soltanto a Dio, e che si doveva ritenere ammissibile la testimonianza di chiunque tutelasse la memoria dell’accusato, trattandosi di persona che non poteva più difendersi.
L’esigenza di applicare rigorosamente il diritto canonico avrebbe segnato il suo comportamento anche nel concistoro che si celebrò, con tutta probabilità, nell’aprile del 1313 per consentire la canonizzazione di Celestino V: Petroni, infatti, si mostrò assai scettico nei confronti di quasi tutti i miracoli attribuiti a Pietro da Morrone, giudicandoli non sufficientemente provati, e affermò la necessità di ripetere l’inchiesta.
Nel frattempo il suo stato di salute lo aveva costretto a chiedere al papa una licenza di due anni che gli permettesse di trasferirsi in Italia, dove sperava di trovare giovamento, e già dal 3 gennaio 1313 aveva ottenuto il salvacondotto con il privilegio di continuare a godere delle rendite derivanti dai suoi benefici, ma la sua partenza fu evidentemente impedita dalle ultime fasi del processo di canonizzazione di Celestino V. Un anno dopo, nel gennaio 1314, giunse finalmente in Italia, ma l’aggravamento delle condizioni di salute lo indusse, il 27 di quel mese, a dettare il suo testamento mentre soggiornava nel borgo di Bisagno, presso Genova, ospite della famiglia dei Camilla. Morì il 10 febbraio seguente e in marzo il suo corpo fu trasportato a Siena e sepolto in Cattedrale, dove gli venne eretto un grande monumento funebre, portato a compimento dallo scultore Tino da Camaino verso il 1318 e restaurato alla metà del XX secolo.
Oltre alle opere giuridiche menzionate, è stata attribuita a Petroni una breve Cronaca senese dall’anno 802 al 1194, che si diceva provenire dalla sua biblioteca e che fu trascritta, tra il XVI e il XVIII secolo, in almeno tre codici della Biblioteca comunale degli Intronati di Siena, di cui non è possibile provare chi sia stato l’autore.
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