QUARTARARO, Riccardo
– Nacque a Sciacca (Agrigento) nel 1443 e, trasferitosi a Palermo, nell’ottobre del 1458 entrò come apprendista nella bottega del poco noto Pietro Lanzarotto, rimanendovi per i successivi quattro anni (Meli, 1965, p. 378, doc. 1). Se Quartararo può essere riconosciuto nel «juvene» citato in alcuni documenti riguardanti il suo maestro, bisogna concludere che in occasione del Natale del 1460 fece ritorno a Sciacca e che, in qualità di aiutante del Lanzarotto, nel 1462 partecipò alla realizzazione di una cona destinata alla chiesa di S. Giacomo a Trapani (Trasselli, 1948; Bresc-Bautier, 1979).
Un argomento cruciale che divide la critica riguarda la possibile presenza del pittore nel 1472 a Valenza, dove sarebbe giunto per concorrere all’assegnazione di un ciclo pittorico da affrescare nella cappella maggiore della cattedrale. Raccogliendo una comunicazione orale di Ferdinando Bologna, fu Raffaello Delogu (1962; poi Bologna, 1977, pp. 161-169) il primo a identificare Quartararo con l’oscuro «mestre Riquart» presentatosi, insieme a Francesco Pagano e a Paolo da San Leocadio, ingaggiati a Roma dal cardinale Rodrigo Borgia, al Capitolo valenzano per dimostrare tutt’e tre le proprie capacità di frescanti. Come attestano i documenti, la prova fu superata solo dai due pittori del cardinale Borgia, che fino al dicembre del 1481 lavorarono alla decorazione del coro, mentre il «mestre Riquart» fu licenziato, a causa, forse, delle sue scarse abilità nel praticare l’affresco. Contro la possibilità di identificare il «Riquart» valenzano con Quartararo sono intervenute in particolare Teresa Pugliatti (1998, p. 27) e Adele Condorelli (2001 e 2006), ma una sua conoscenza diretta delle esperienze artistiche di quella parte della Spagna sembra confermata dallo stile della Madonna del baldacchino, di ubicazione sconosciuta, restituita al pittore da Ilaria Toesca (1953; Sricchia Santoro, 2015, p. 46), e della quale esiste una copia nella collezione Navarro a Novelda.
È a Trapani che Quartararo risulta certamente attestato per la prima volta come maestro autonomo nel 1484 (Meli, 1965, p. 376). L’anno successivo lo si ritrova di nuovo a Palermo, intento a cedere a Nicolò da Catania la realizzazione di un gonfalone in legno per la Confraternita di S. Elena in Corleone, promettendo però al collega di fornirgli «yconam confaloni ipsius» (Di Marzo, 1899, p. 190 nota 1). Il 15 settembre 1489 sarebbe stato invece Nicolò da Randazzo (da identificare forse nello stesso Nicolò da Catania) ad assumere l’incarico di ingessare e dorare «yconam Castriboni pictorandam per ipsum magistrum Reccardum» (Meli, 1965, p. 379, doc. 3); cona, questa, che è stata riconosciuta da Maria Andaloro in un polittico di medie dimensioni con la Madonna e il Bambino tra i ss. Antonio Abate e Agata, attualmente conservato nella matrice Nuova di Castelbuono (Andaloro, 1974-1976 [1977], pp. 86-95; ripresa da Pugliatti, 1998, p. 21; mentre Abbate, 2011, sostiene che l’opera, verosimilmente commissionata dalla famiglia Ventimiglia, non fu mai realizzata). Poco convincente appare il tentativo di legare al Quartararo, sulla scorta di un confronto con il suddetto polittico, la portella d’organo di provenienza napoletana raffigurante il Martirio di s. Sebastiano e con s. Caterina d’Alessandria (Roma, Galleria nazionale di arte antica-Palazzo Barberini), che va piuttosto nella direzione del Pagano (Sricchia Santoro, 2015, pp. 29, 31, con bibliografia).
Il 6 novembre 1489 Quartararo s’impegnò a realizzare un dipinto su tavola per la chiesa di S. Vito ad Agrigento (Di Marzo, 1899, p. 191, doc. I), mentre due anni dopo rinunciò all’esecuzione di altri due gonfaloni, riallogati anch’essi a Nicolò da Catania (Meli, 1965, pp. 376, 379 s. doc. 4).
Tra il 1491 e il 1492 si colloca l’intensa parentesi napoletana del maestro originario di Sciacca, che, secondo un’ipotesi avanzata da Vincenzo Abbate (2011, p. 244), potrebbe essere giunto nella capitale del Regno al seguito di Enrico III Ventimiglia, marchese di Castelbuono, il quale lo avrebbe introdotto, come suo pittore di fiducia, nella cerchia degli artisti attivi per re Ferrante d’Aragona. Al gennaio del 1492 datano infatti i pagamenti della Tesoreria aragonese a favore del Quartararo per le «pitture nella camera del Castelnuovo dove sta il Re» (Barone, 1885, p. 12) e per un arazzo con figure «simili a quelli della maestà del signor Re» (Filangieri di Candida, 1938, p. 266 nota 2).
A Napoli, con un rogito notarile del 10 ottobre 1491, il pittore siciliano sciolse la società olim contracta con il ferrarese Costanzo de Moysis, insieme al quale, forse in occasione di un precedente soggiorno in loco non altrimenti documentato, aveva eseguito opere per il Duca di Calabria e altri committenti (Santucci, 1996, p. 54, doc. 1). In base agli accordi intercorsi tra i due artisti per il completamento di alcuni lavori già avviati, Quartararo portò a compimento una cona (perduta o non ancora identificata) per il nobile Francino Pastore, dipinse la Trasfigurazione di Cristo destinata al monastero dei Ss. Marcellino e Festo (la cui lunetta con la Resurrezione, unico elemento superstite dell’intera composizione, era stata eseguita invece dal suo sodale), e completò la cona con S. Giovanni Battista tra i ss. Giovanni Evangelista e Girolamo, e, in alto, la Madonna col Bambino commissionata dal priore della chiesa di S. Giovanni a Mare.
Quest’ultimo dipinto, oggi nei depositi del Museo nazionale di Capodimonte, sebbene ridotto a uno stato quasi larvale, costituisce ancora una delle poche opere certe del Quartararo, a partire dalla quale si può ricostruire la fisionomia artistica assunta dal pittore dopo essersi lasciato alle spalle le premesse siciliane, che difficilmente possono essere individuate a causa della perdita delle più antiche sue opere documentate. Se del possibile passaggio per Valenza non esistono ancora riscontri inconfutabili, è certo che i lavori databili dopo il 1491 sono piena espressione dell’incrocio di quelle diverse culture che, seguendo le rotte del Mediterraneo occidentale, nel secondo Quattrocento trovarono a Napoli il principale centro d’incontro. Dalla pittura del Quartararo – contraddistinta da tinte vive e luminose, dall’attenzione per i dettagli preziosi, da pesanti panneggi mossi da pieghe dalla consistenza metallica, e da un evidente verismo delle figure – emergono infatti componenti ispano-fiamminghe, ferraresi e romane.
Sempre al 1491, e precisamente al 4 novembre, risale il contratto col nobile Matteo Ferrillo conte di Muro, da cui Quartararo fu incaricato di dipingere una pala d’altare da collocare, entro la successiva settimana delle Palme, nella cappella dell’Assunzione della Vergine posta nella chiesa di S. Maria la Nova, alla sinistra liturgica dell’altar maggiore. Il dipinto in questione, consegnato al committente solo nel novembre del 1492, è stato riconosciuto da Donato Salvatore (1998, pp. 16 s. nota 27) nella Dormitio et Assumptio Virginis del Museo nazionale di Capodimonte, già restituita al Quartararo come «parziale autografo» da Giuseppe Alparone (1988, p. 220) e poi come «autografo totale, assoluto» da Bologna (1989, p. 35; anticipato, nel 1987, da una comunicazione orale al convegno di Girona sul Rinascimento in Catalogna), senza tuttavia poterne cogliere il legame col contratto del 1491, che è stato pubblicato integralmente più tardi (Santucci, 1996, pp. 54 s., doc. 2).
La pala, precedentemente accostata in una scheda della Soprintendenza al veronese Cristoforo Scacco (Alparone, 1988, p. 220), ha una storia conservativa piuttosto travagliata: nel tardo Seicento fu vista da Carlo de Lellis (ante 1689, 2013) su una delle pareti laterali di quella che era stata la cappella dei Ferrillo; alcuni decenni dopo, Bernardo de Dominici (1742-1745 circa, 2003), attribuendola al fantomatico Simone Papa il Vecchio, ne segnalò la presenza nella sala del Capitolo di S. Maria la Nova; nel 1833, a seguito delle soppressioni napoleoniche, giunse a Torre Annunziata come dono di Ferdinando II di Borbone alla locale chiesa dello Spirito Santo (o del Carmine); infine, in occasione della mostra dedicata al Polittico di S. Severino, fu riportata a Napoli e per esigenze conservative rimase poi in deposito a Capodimonte, dove è ancora esposta (Bologna - Cerasuolo, 1989).
Al periodo napoletano, Federico Zeri (1962; seguito da Santucci, 1996, p. 46, ma smentito da Pugliatti, 1998, p. 40) assegnò pure un S. Michele Arcangelo che pesa le anime (ubicazione sconosciuta), ricomparso sul mercato antiquariale newyorkese nei primi anni Sessanta del Novecento, che secondo Fiorella Sricchia Santoro rappresenta «i tempi più antichi della ‘società’ olim contracta tra Costanzo [de Moysis] e Quartararo» (2015, p. 58).
È sempre un documento steso a Napoli a offrire uno spaccato della vita privata del Quartararo: da un rogito del 24 settembre 1492 sappiamo infatti che a Palermo il pittore aveva sposato una tale Antonella Siscorsa (citata pure in due atti del 1500 e del 1502: Meli, 1965, pp. 377, 381 doc. 6, 382 doc. 9) e che, non avendo avuto figli, i coniugi avevano deciso di mettere in comune i loro beni. L’accordo fu stretto alla presenza dei pittori Pietro Buono, Niccolò del Perrino e Martino de Luca, ai quali evidentemente il Quartararo era legato da rapporti di fiducia e collaborazione (Mauceri, 1903, pp. 128 s.).
Rientrato a Palermo, nel 1494 la Confraternita di S. Pietro la Bagnara gli assegnò la realizzazione di una pala con i Ss. Pietro e Paolo, già commissionata al pittore Pietro Ruzzolone ma da questi non ultimata entro i tempi previsti dal contratto (Di Marzo, 1896, pp. 40 s.; Id., 1899, pp. 175-177); la tavola, oggi nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis, risulta resecata nel margine inferiore, lì dove nel Settecento il canonico Antonino Mongitore poté leggere la firma «Richardus operis auctor. MCCCCLXXXXIIII» (Di Marzo, 1896, p. 41). Allo stesso periodo risalgono il disegno del soffitto a ventiquattro lacunari per la chiesa di S. Caterina all’Olivella (Di Marzo, 1880) e l’Incoronazione della Vergine di Palazzo Abatellis, che, pur non essendo documentata, può considerarsi lavoro autografo eseguito dopo l’esperienza a Napoli.
Tra il 1495 e il 1502 le carte d’archivio ricordano altri numerosi lavori commissionati al Quartararo, distrutti o irrintracciabili: il gonfalone ornato da Lorenzo Guastapane per la Confraternita palermitana di S. Luca (1495; Meli, 1965, p. 377); gli affreschi da eseguire «in tribus quatris muri, ubi erit altare majus», nella chiesa di Montevergine a Palermo, richiesti dalla vedova del giureconsulto Nicolò Settimo (1495; Di Marzo, 1899, pp. 194 s.); il disegno del Castellammare di Palermo, pagatogli dal tesoriere del Regno, Alferio de Leofante (1496; ibid., p. 195 nota 3); la pala con S. Maria della catena tra i ss. Sebastiano, Rocco, Antonio e Francesco per il convento di S. Francesco a Collesano (1498; Meli, 1965, p. 381, doc. 7); una Vergine col Bambino incoronata da due angeli, tra i ss. Girolamo e Luca per Luca Piresti di Sciacca (1499; ibid., pp. 381 s., doc. 8); un quadro per il soffitto della chiesa di S. Caterina all’Olivella con la santa titolare (1501; ibid., p. 382, doc. 10); una pala per la chiesa di S. Ludovico a Mussomeli (1501; ibid., pp. 382 s., doc. 11); una cona pagata dal viceré Juan de Lanuza (1501; ibid., p. 377); e infine una Madonna col Bambino tra i ss. Giovanni, Bonaventura, Ludovico e Francesco promessa al nobile Carlo Funtinera (1502; ibid., p. 383, doc. 12). Nel 1501 il pittore fu pagato altresì per l’esecuzione di «varî quadri su tela con telai e cornici dorate» per la distrutta cappella di S. Cristina nel duomo palermitano (Di Marzo, 1899, pp. 125 s. e nota 2; per una possibile identificazione di alcune di queste tele cfr. Pugliatti, 1998, pp. 41-45).
Dal complesso dell’Olivella proviene il tardo dipinto con l’Apparizione dell’immagine della Vergine a s. Rosalia della Galleria regionale di Palazzo Abatellis, iniziato intorno al 1506 dal Quartararo ma completato da altra mano (Pugliatti, 1998, pp. 35 s., e 40, con bibliografia).
Nel catalogo delle opere siciliane attribuite al maestro in persona o alla sua bottega figurano pure quattro Croci dipinte: la più vicina ai modi del Quartararo è quella del duomo di Enna (Fazio, 2013-2014 [2015]). Risultano invece ormai pienamente superati i collegamenti con la S. Barbara (o S. Cecilia) del Museo diocesano di Palermo (migrata nel corpus di Cristoforo Faffeo: Travagliato - Sebastianelli, 2016), con le Storie di s. Benedetto affrescate nel chiostro del Platano ai Ss. Severino e Sossio di Napoli (Serra, 1906, pp. 208, 210-212) e con il polittico con S. Michele arcangelo tra s. Giovanni Battista e s. Omobono (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte, ma appartenente in origine alla Confraternita dei sartori; Zeri, 1962; attribuito poi da Bologna, 1977, pp. 190-193, a Francesco Pagano, e da Sricchia Santoro, 2015, pp. 41 s., a Costanzo de Moysis); così come è stata respinta l’ipotesi (proposta da Alparone, 1988, p. 218) di un intervento del Quartararo nel notevole Polittico di S. Severino (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte, dalla chiesa dei Ss. Severino e Sossio). Al contrario, per la critica risulta ancora incerta la paternità del polittico di Giordano Caetani ora nel Museo diocesano di Gaeta, ma proveniente da Fondi (cfr. da ultimo Sricchia Santoro, 2015, pp. 47-58, e 94 s. nota 73), e di quello conservato nella chiesa di S. Maria Maggiore a Piedimonte Matese (attribuito al Quartararo da Alparone, 1969).
L’ultimo documento che attesta il pittore in vita data al 30 agosto 1502 e riguarda la vendita di una casa di sua proprietà, determinata dall’esigenza di far fronte ad alcuni debiti (Meli, 1965, p. 381, doc. 6). È verosimile che la sua morte avvenisse tra il 1506 e l’inizio dell’anno successivo, poiché il 24 febbraio 1507 i pittori Andrea Comes e Bartolomeo Blanco s’impegnarono a completare i quadri per il soffitto della navata di S. Caterina all’Olivella, «laborata et facta per quondam magistrum Reccardum de Quartararo» (ibid., pp. 383 s., doc. 13).
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