ZANELLA, Riccardo
Nacque il 27 giugno 1875 a Fiume/Rijeka, città allora appartenente all’Impero austro-ungarico ma amministrata dal Regno d’Ungheria, e nella quale metà della popolazione era di lingua italiana e un quarto di lingua croata.
Il padre di Zanella, Giovanni Battista, era originario della provincia di Vicenza; la madre, Terezija Antončič (Teresa Antoncich nella trascrizione italiana), veniva dalla zona di Lubiana: era quindi di lingua madre slovena. Degli altri familiari di Riccardo, allo stato attuale della documentazione si conosce solo il nome di una sorella minore, Ida.
I genitori di Zanella, benché di condizione sociale modesta, riuscirono a fare i sacrifici economici necessari per permettere al figlio di proseguire gli studi anche dopo le elementari: egli quindi poté frequentare prima, a Fiume, una Realschule (scuola tecnica) e poi, a Budapest, il biennio iniziale dell’Accademia di commercio (Handelsakademie/Kereskedelmi Akadémia), un prestigioso istituto di istruzione superiore con corsi in tedesco e in ungherese.
Tornò a Fiume nel 1895. Nell’estate di quell'anno ottenne un incarico annuale di insegnante (non è noto per quale materia) nella Scuola cittadina maschile di via Ciotta, un istituto di istruzione secondaria di lingua italiana. Ma nell’estate del 1896 il contratto non gli venne rinnovato, perché le autorità ungheresi ritenevano Zanella politicamente pericoloso in quanto vicino agli ambienti ‘autonomisti’.
Per meglio combattere il nazionalismo croato, il governo di Budapest fino alla metà degli anni Ottanta si era appoggiato agli italiani di Fiume, ma in seguito aveva cambiato linea a causa del progressivo aumento, tra loro, delle idee favorevoli alla completa autonomia della città, seppure nell’ambito di una futura Austria-Ungheria ‘federalizzata’.
Nell’autunno del 1896, l’armatore e industriale Luigi Ossoinack – principale finanziatore del Partito autonomista fiumano (PAF), comunemente chiamato Partito autonomo – assunse Zanella come impiegato negli uffici della propria compagnia di navigazione, la Oriente.
Trovata una stabilità in campo lavorativo, Zanella si dedicò all’attività politica, e si iscrisse al PAF.
Nel 1897 il Partito vinse le elezioni municipali e fu nominato podestà il suo segretario politico, l’avvocato Michele Maylender. Gli succedette Zanella, e si aprì così nel PAF una sorta di diarchia tra Zanella e Maylender, che sarebbe durata per diversi anni e avrebbe visto anche momenti di conflitto.
Nel 1899 Zanella entrò nel Comitato di redazione dell’organo di stampa del Partito, il settimanale La difesa. Nel gennaio del 1901 il PAF vinse le elezioni municipali, e a Maylender venne di nuovo assegnata la carica di podestà. Zanella, diventato consigliere comunale, fu nominato presidente del Consiglio scolastico cittadino.
Nell’autunno del 1901 i contrasti interni al PAF giunsero al culmine: per le elezioni al Parlamento di Budapest, l’ala radicale del Partito, guidata da Ossoinack, presentò la candidatura di Zanella, mentre l’ala moderata, capeggiata da Maylender, decise di appoggiare il deputato uscente, il conte Tivadar Batthyány, ungherese ma favorevole a una ‘conciliazione’ tra il governo di Budapest e gli italiani di Fiume.
Zanella risultò sconfitto, seppure per poche centinaia di voti; questo esiguo margine fece nascere accuse di brogli e provocò manifestazioni di protesta. Nel gennaio del 1902 Maylender, deluso dall’atteggiamento sempre più intransigente del governo ungherese, si dimise dalla carica di podestà e si ritirò a vita privata. Zanella divenne così il capo indiscusso del PAF e assunse anche la direzione del quotidiano di tendenza autonomista La voce del popolo (fondato nel 1889 da Maylender, e fino ad allora da lui diretto). Nel gennaio del 1905, in un’elezione suppletiva, Zanella concorse di nuovo per la carica di deputato, e questa volta vinse.
A Fiume, in quel periodo, alcuni giovani italiani si radicalizzarono indirizzandosi verso posizioni ‘irredentiste’, ovvero sostenitrici dell’annessione della città all’Italia. Questo provocò da parte del governo una recrudescenza della repressione, inizialmente diretta soprattutto contro gli irredentisti.
In un primo tempo Zanella criticò l’idea dell’annessione. Ma negli anni successivi, a causa dell’acutizzarsi delle tensioni tra le nazioni europee, entrò in crisi quella immutabilità del quadro internazionale che costituiva la premessa della visione autonomista; entrò quindi in crisi anche la politica del PAF, che si spostò, seppure gradualmente e parzialmente, verso l’irredentismo.
Il progressivo cambiamento ideologico del PAF comportò dei costi: nelle elezioni parlamentari del giugno 1910, Zanella venne largamente superato da Maylender, tornato per l’occasione alla vita politica come rappresentante di uno schieramento eterogeneo – riuniva tutte le minoranze etniche di Fiume e gli italiani moderati – ma nettamente maggioritario sul piano numerico. Zanella fu poi di nuovo sconfitto nel marzo del 1911 – in un’elezione suppletiva indetta in seguito all’improvvisa morte di Maylender – da un italiano moderato, Antonio Vio, ma questa volta per poche decine di voti e in un clima che vide, da parte delle autorità, aperte minacce di trasferimento contro i funzionari recalcitranti e manomissioni delle liste elettorali.
Nelle elezioni municipali del febbraio 1914 il Partito autonomo vinse largamente, soprattutto grazie all’appoggio degli irredentisti. Zanella fu nominato podestà, ma – quando ancora si attendeva la ratifica da parte delle autorità – nella notte tra il 1° e il 2 marzo una bomba scoppiò nel giardino del Palazzo del governo. Anche se presto si scoprì che si trattava di una montatura della polizia, il 10 aprile la nomina di Zanella venne annullata da un veto personale dell’imperatore Francesco Giuseppe.
Dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale (28 luglio 1914), a Fiume la repressione governativa si inasprì, colpendo anche gli autonomisti; tra l’altro, il 1° settembre venne chiusa d’autorità La voce del popolo.
Zanella fu richiamato alle armi in settembre; inviato per breve tempo sul fronte serbo, venne poi trasferito in un campo militare in Ungheria, a Pécs. Il 24 maggio 1915 – giorno dell’ingresso in guerra dell’Italia – fu imprigionato per rappresaglia. Liberato e arruolato in un reggimento ‘di disciplina’ ungherese, fu inviato al fronte in Polonia, contro l’esercito russo; lì venne strettamente sorvegliato, e fu assegnato alle missioni più pericolose. In settembre disertò e si consegnò ai russi. Per tornare, intraprese attraverso l’Europa un periplo lungo e complesso (quattordici mesi durante i quali passò per Polonia, Russia, Svezia, Norvegia, Gran Bretagna e Francia), svolgendo attività propagandistica e diplomatica. Infine, nel novembre del 1916 arrivò in Italia e si stabilì a Roma. Proprio in quei giorni, un tribunale di Budapest lo processò in contumacia per alto tradimento, e il 16 lo condannò a morte e alla confisca dei beni.
A Roma, nel 1918, conobbe Maria Sirola detta Mary (? - 1989) – una giovane fiumana di famiglia agiata – che sposò nel 1920; da lei ebbe Riccardo jr (1921-2003) e Vittorio (1923), morto di poliomielite poco dopo la nascita.
Nel corso del suo soggiorno romano, Zanella divenne aperto sostenitore della necessità di annettere Fiume all’Italia e a questo scopo entrò nei comitati direttivi di vari organismi irredentisti.
La questione era tuttavia politicamente delicata, perché in realtà il Trattato di Londra – sottoscritto il 26 aprile 1915 da Francia, Russia e Gran Bretagna per convincere l’Italia a entrare in guerra – prevedeva che Fiume facesse parte di un futuro Stato ‘slavo’, all’epoca non ancora ben definito. Alla fine dell’ottobre 1918, in seguito alla disgregazione delle strutture statuali austro-ungariche, si creò a Fiume una situazione di ‘doppio potere’, perché si formarono due distinti organismi di autogoverno – l’italiano Comitato (poi Consiglio) nazionale fiumano e il Consiglio nazionale croato – che proclamarono subito l’annessione di Fiume rispettivamente all’Italia e al nuovo Stato degli sloveni, croati e serbi (dal 1° dicembre Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, meglio noto come Iugoslavia).
In seguito a questi avvenimenti, il 14 novembre Zanella si presentò nell’ufficio del presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando, e vi rimase tre giorni lavorando al suo fianco per ottenere dagli Alleati un accordo per l’occupazione militare congiunta della città, che iniziò infine il 17.
Il 18 dicembre Zanella tornò a Fiume, accolto da migliaia di persone che inneggiavano al suo nome, in quanto simbolo dell’italianità della città.
Poche settimane dopo riaprì la sede de La voce del popolo, di cui riassunse la direzione. In vista dell’apertura della Conferenza di pace di Parigi, nel gennaio del 1919 si vide affidare dal Consiglio nazionale – data la vasta esperienza degli affari europei da lui acquisita durante la guerra – l’incarico di rappresentare la città di Fiume, ma prese progressivamente le distanze da questo organismo perché vi sedevano, accanto ad autonomisti e irredentisti, personaggi coinvolti con il passato regime, diventati improvvisamente annessionisti.
Alla fine del 1918 si aprì, sulla questione dell’annessione italiana di Fiume, un complesso ciclo di trattative, che vide la Gran Bretagna cautamente ‘possibilista’ ma nettamente contrari – per differenti motivi – Stati Uniti, Francia e Iugoslavia. Il rapporto di forze era quindi chiaramente sfavorevole all’Italia.
Zanella si convinse del fatto che, essendo inattuabile per il momento l’annessione all’Italia, la creazione di uno Stato libero di Fiume avrebbe rappresentato il ‘male minore’ – rispetto a un’annessione alla Iugoslavia – sul piano politico ed etnico, e addirittura un bene sul piano economico, perché avrebbe fatto di Fiume uno sbocco marittimo ideale per Iugoslavia, Ungheria, Austria e Cecoslovacchia.
A Fiume nel corso del 1919 la situazione si fece sempre più tesa, e avvennero diversi scontri, anche armati.
Entrò in campo a quel punto Gabriele D'Annunzio, che venne coinvolto in un complotto tendente a far occupare Fiume da uno schieramento composto da militari (o ex militari), irredentisti e nazionalisti. Il 12 settembre D’Annunzio, alla testa di circa mille uomini armati, entrò nella città e ne proclamò l’annessione all’Italia.
Inizialmente Zanella vide nell’impresa un’occasione per risolvere la ‘questione di Fiume’.
In realtà, «per Zanella e i suoi seguaci l’unico punto essenziale fu sempre la tutela […] dell’identità culturale italiana della città: la soluzione politica annessionista sembrò loro in un determinato momento storico soltanto il modo migliore per realizzare questa tutela, senza che ciò comportasse l’esclusione in linea di principio di opzioni politiche diverse» (Stelli, 2010, pp. 202 s.).
Il 18 settembre, nel Palazzo del governo, avvenne il primo incontro tra D’Annunzio e Zanella. Quest’ultimo disse che approvava l’occupazione di Fiume, purché si limitasse nel tempo e nei fini. D’Annunzio rispose che, al contrario, l’impresa fiumana costituiva secondo lui solo il punto di partenza di un futuro movimento di dimensione nazionale, avente come obiettivo l’instaurazione di una dittatura militare.
La gravità di queste dichiarazioni indusse Zanella a recarsi il giorno dopo a Roma, per denunziare le idee di D’Annunzio al presidente del Consiglio, Francesco Saverio Nitti.
L’8 ottobre Zanella tornò a Fiume; venne subito convocato da D’Annunzio, che lo accusò di creare «un centro di disgregazione», minacciando di prendere nei suoi confronti «tutti i provvedimenti necessari»; il giorno successivo, infatti, venne ufficialmente comunicato a Zanella che D’Annunzio lo considerava «nemico della patria» e che «alla minima[sua] azione, o al minimo [suo] atto contrario agli interessi della causa farà funzionare per [lui] il tribunale di guerra» (Fondo Riccardo Zanella, b. 14, f. 3.2.13). Impossibilitato a svolgere l’attività politica, Zanella fuggì a Roma; comunque, nei mesi successivi continuò a esercitare nella sua città natale, attraverso i suoi seguaci e il suo giornale, un’azione di critica a ogni mossa politica di D’Annunzio. Fu infatti lui che suggerì a Nitti di avanzare ai fiumani una proposta (poi nota come Modus vivendi) con la quale il governo italiano si impegnava a impedire l’annessione della città alla Iugoslavia; consigliò inoltre di organizzare un referendum cittadino su tale proposta. Il 15 dicembre il Consiglio nazionale fiumano (in cui gli ‘zanelliani’ erano ancora in maggioranza) accolse in linea di principio il Modus vivendi; D’Annunzio invece lo respinse, ma accettò l’idea del referendum, nella convinzione di vincerlo. Tuttavia lo spoglio delle schede, iniziato la sera del 18, mostrò sin da subito un andamento favorevole all'accoglimento della proposta italiana; allora i ‘legionari’ (i seguaci di D’Annunzio) sequestrarono le urne. D'Annunzio annullò il referendum perché, secondo lui, erano state commesse irregolarità da entrambe le parti. Questo provocò proteste all’interno stesso del ‘fronte dannunziano’, accompagnate da una prima ondata di defezioni. L’ostilità di D’Annunzio e dei suoi seguaci per Zanella giunse al punto da organizzare vari tentativi di assassinio, tutti falliti.
Tra aprile e ottobre, Zanella rivolse più volte al governo e al Parlamento dell’Italia la proposta di invadere militarmente Fiume perché, secondo lui, D’Annunzio era politicamente indebolito e sempre più isolato (cfr. lettera a Nitti, 11 aprile; petizione al Parlamento, 20 giugno; lettera a Giovanni Giolitti, nuovo presidente del Consiglio, 5 ottobre). Tuttavia ottenne solo risposte vaghe e interlocutorie. Il 20 aprile, con l'appoggio dei socialisti, organizzò anche uno sciopero generale a Fiume.
In risposta a queste iniziative, all’inizio di luglio D’Annunzio ordinò l’arresto di diversi zanelliani, e all’inizio di agosto fece diffondere in città (in circa mille copie) un suo violentissimo opuscolo contro il loro capo, Chi è Riccardo Zanella; l’8 settembre, infine, proclamò la Reggenza italiana del Carnaro.
Alla fine di novembre, Giolitti decise che la nuova situazione internazionale rendeva ormai possibile accedere alle richieste di Zanella. Infatti, il 12 novembre era stato firmato il Trattato di Rapallo, con il quale Italia e Iugoslavia si accordavano sulla definizione del confine e sull’istituzione di uno Stato di Fiume. D'Annunzio rifiutò il trattato; gli venne allora inviato un ultimatum, che respinse, e il 24 dicembre le truppe italiane sferrarono l'attacco. Il 31 dicembre venne firmata la resa della Reggenza, e nei giorni seguenti lasciarono la città sia D’Annunzio sia molti legionari (ma ne rimasero alcune centinaia).
Il 5 gennaio 1921 venne formato un governo provvisorio cittadino, in cui però erano presenti solo esponenti del Blocco nazionale, che riuniva i partiti italiani dichiaratamente annessionisti (nazionalisti, fascisti, repubblicani, liberali, popolari, democratici); erano quindi assenti gli zanelliani, i partiti italiani di sinistra e quelli croati. In febbraio tale governo nominò podestà l’irredentista Salvatore Bellasich, senza alcuna consultazione elettorale.
Ma alle successive elezioni per l’Assemblea costituente (24 aprile), il Partito autonomo (per cui votarono anche le sinistre e i croati) ottenne una vittoria schiacciante: 6558 voti, contro i 3443 del Blocco nazionale.
Era tuttavia sempre presente la ‘minaccia dannunziana’, e avvennero diverse violenze. Il 27 fu tentato un colpo di mano contro lo stesso Zanella: legionari e fascisti armati prima assalirono la sua casa e poi gli impedirono di insediarsi nel Palazzo del governo; ne seguirono scontri a fuoco con i carabinieri e con alcuni zanelliani.
Per la situazione di continuo e grave pericolo fisico, Zanella decise di rinviare all’autunno l’apertura della Costituente – nell’attesa, le autorità italiane nominarono Bellasich commissario straordinario – e si trasferì ‘in esilio’, accompagnato da alcune centinaia di seguaci, nella vicina Buccari/Bakar (in territorio iugoslavo), dove rimase per alcune settimane. Inoltre si recò a Roma per chiedere un appoggio esplicito a Giolitti, ma senza successo. Le violenze, comunque, continuarono anche dopo il suo rientro a Fiume.
Tra luglio e settembre si svolsero complesse trattative tra Zanella, il nuovo presidente del Consiglio, Ivanoe Bonomi, e l’ala moderata del Blocco nazionale fiumano. Finalmente, il 5 ottobre poté aprirsi la Costituente, che proclamò la nascita dello Stato libero di Fiume (un Paese di 21 km2, con 52.000 abitanti) e il giorno 8 nominò Zanella suo presidente. In entrambe le occasioni la città venne ‘militarizzata’, con un largo schieramento di truppe italiane a difesa delle cerimonie; questo non impedì che il giorno 8 venisse lanciata contro l’auto di Zanella una bomba a mano, che entrò da un finestrino ma non esplose. Vista l’evidente (e persistente) complicità dei carabinieri italiani con legionari e fascisti, Zanella istituì a Fiume una polizia autonoma, chiamata Guardia di Stato (formata da circa settecento elementi), che incontrò il boicottaggio delle autorità italiane; queste, tra l’altro, pur concedendo che alla Guardia di effettuare arresti, imposero che gli arrestati dovessero essere poi consegnati ai carabinieri, e che a questi ultimi rimanesse il potere di controllare l’ordine pubblico in città.
Data la disastrosa condizione delle finanze del nuovo Stato, il 30 ottobre Zanella si recò a Roma per trattare con Bonomi la possibilità di un prestito. Questo venne concesso (per duecentocinquanta milioni di lire da versare in rate mensili), ma a due condizioni: lo Stato di Fiume doveva accettare la lira come unica moneta legalmente circolante (fino ad allora erano in uso anche le valute austriaca e ungherese), e il controllo del porto e della stazione ferroviaria doveva passare ufficialmente all’Italia (che lo deteneva già di fatto).
Nei due mesi successivi, le prime rate dei fondi promessi da Bonomi non arrivarono, per cui il 31 dicembre Zanella firmò un contratto con la società statunitense Standard oil of New Jersey (SONJ), a cui cedeva in affitto, per venti milioni di lire, una zona del porto, in cui costruire un grande stabilimento per il commercio di petrolio con la Iugoslavia e l’Oriente. Tuttavia le autorità italiane, che occupavano il porto e la ferrovia abusivamente – non avevano infatti soddisfatto le condizioni dell’accordo con Zanella del 30 ottobre – rifiutarono di dar corso ai lavori. La situazione economica della città divenne quindi difficilissima; inoltre, dopo quattro mesi di relativa tregua le violenze di fascisti e legionari ripresero.
Il 31 gennaio 1922, in occasione della terza seduta della Costituente, al termine della riunione vennero lanciate contro Zanella tre bombe a mano, una delle quali esplose, ferendolo. L’attentatore (il cui nome è tuttora sconosciuto) venne arrestato dalla Guardia fiumana e consegnato (secondo gli accordi con l’Italia) ai carabinieri, i quali però lo rilasciarono, rifiutando persino di aprire un’inchiesta. Da quel momento le sedute della Costituente vennero sospese, e Zanella finì per vivere, praticamente prigioniero, nel Palazzo del governo. La situazione precipitò definitivamente quando, nella notte del 28 febbraio, venne ucciso per strada a revolverate il fascista pisano Alfredo Fontana; i responsabili non furono individuati, ma i fascisti accusarono la Guardia e lanciarono sette bombe contro il Palazzo del governo, ferendo un agente della Guardia. Il giorno successivo costrinsero alla chiusura con la forza, mediante incursioni di squadre armate, tutti gli uffici, le fabbriche e le scuole, assalendo inoltre una sede di quartiere della Guardia.
Zanella, sospettando che si stesse preparando l’attacco finale allo Stato di Fiume, inviò telegrammi urgenti, con richieste di aiuto, alle massime autorità politiche e militari italiane; queste assicurarono che sarebbe stata garantita la sicurezza del governo di Fiume. Ciò nonostante, nella notte del 2 marzo, con il permesso del Comando dei carabinieri di Fiume, circa duecento tra fascisti e legionari occuparono gli uffici pubblici, compresi quelli del telegrafo e del telefono; all’alba del 3 sferrarono l’attacco contro il Palazzo del governo, in cui si trovavano Zanella, diversi ministri e decine di guardie fiumane. Quando Zanella vide che anche alcuni reparti militari italiani si erano schierati contro di lui, ordinò la resa. Zanella sfuggì al linciaggio solo grazie all’intervento di due ufficiali dei carabinieri, che lo arrestarono ma, per salvargli la vita, lo portarono subito al porto, da dove una motosilurante lo condusse nella base navale italiana di Pola, in Istria. Rilasciato, partì il giorno dopo in auto – insieme al suo ex ministro degli Interni, Mario Blasich – con l’intenzione di dirigersi verso Parigi, dov’era riunito in quel momento il Consiglio degli ambasciatori delle potenze dell’Intesa. Ma poco dopo la partenza i due, mentre attraversavano la cittadina di Canfanaro/Kanfanar, furono oggetto di un tentativo di assassinio a revolverate a opera di fascisti venuti da Trieste, a cui scamparono fortunosamente. Giudicarono allora più prudente dirigersi verso Belgrado, dove il governo iugoslavo garantì loro, in quanto dirigenti legittimi dello Stato di Fiume, il proprio sostegno. Zanella tornò poi sulla costa adriatica, insediandosi in una località dell’Istria appartenente all’Italia e molto vicina a Fiume, Abbazia/Opatija. Lì fu raggiunto da sessanta dei settantacinque membri della ex Costituente, da quasi tutti i settecento agenti della ex Guardia di Stato e da circa 2200 semplici cittadini. Forte di questi appoggi, ricostituì ufficialmente la Costituente. In seguito, dopo un fallito attentato di fascisti triestini contro alcuni deputati fiumani, decise di trasferire la Costituente in territorio iugoslavo (ma sempre vicino a Fiume), a Porto Re (o Portoré; in croato Kraljevica). Poco tempo dopo (probabilmente in aprile), scrisse un memoriale indirizzato al presidente del Consiglio Luigi Facta, Libro rosso sui rapporti del governo di Fiume col regio governo d’Italia, con speciale riguardo ai precedenti del colpo di mano del 3 marzo 1922, che ripercorreva l’intera storia dello Stato di Fiume e che – benché da accogliere con la dovuta cautela – è un importante documento per ogni studio sul tema. Zanella aveva intenzione di scrivere su questo argomento un’opera più vasta e meditata, di cui lasciò però solo un abbozzo di alcune pagine.
A Fiume, intanto, si era formato un governo provvisorio e, dopo varie vicende, nel gennaio del 1924 la città vene annessa all’Italia, in base al Trattato di Roma stipulato in quello stesso mese con la Iugoslavia. Zanella venne allora progressivamente abbandonato da gran parte dei suoi seguaci. Sempre più isolato anche a livello internazionale, nel marzo del 1924, dopo aver inviato a Parigi e a Londra un’ultima protesta contro la soppressione dello Stato libero, acconsentì infine a sciogliere la Costituente, ancora esule a Porto Re. Si trasferì poi con i familiari a Belgrado. Si hanno pochissime informazioni sui successivi dieci anni della sua vita. Si sa che, abbandonata la politica, si dedicò ad attività imprenditoriali, lavorando come rappresentante a Belgrado di ditte austriache e franco-iugoslave.
Nell’autunno del 1934 cominciò a sentirsi di nuovo in pericolo. Infatti, il 9 ottobre il re di Iugoslavia, Alessandro I Karađorđević, venne assassinato a Marsiglia da militanti dell’estrema destra croata (i cosiddetti ustaša, insorti), protetta e finanziata dal governo italiano. Poco dopo, inoltre, l’ex squadrista fascista Amerigo Dumini (l’assassino di Giacomo Matteotti nel 1924) effettuò a Belgrado un viaggio dai contorni sospetti (si presentò come commerciante di legname).
Zanella decise allora, per prudenza, di trasferirsi con la famiglia a Parigi, dove aveva molti contatti. Lì, oltre a lavorare come dirigente di aziende francesi, riprese l’attività politica ed entrò in contatto con ambienti dell’emigrazione italiana antifascista. Si legò in particolare con tre dirigenti del Partito repubblicano – Randolfo Pacciardi, Cipriano Facchinetti e Mario Bergamo – e con l’ex presidente del Consiglio Nitti. Creò, inoltre, un’Associazione Italia-Iugoslavia, con sede ‘provvisoria’ a Parigi (vi appartennero da parte italiana Nitti, Facchinetti, l’ex ministro degli Esteri Carlo Sforza e altre personalità), che tra i punti del suo programma aveva l’unione doganale dei due Paesi. A causa di queste iniziative, contro di lui ripresero le azioni del governo italiano. Nel luglio del 1938, in occasione della visita in Francia del re Giorgio VI di Gran Bretagna, Zanella venne fermato dalla polizia francese perché denunciato da quella italiana come ‘terrorista pericoloso’; poté essere liberato solo grazie all’intervento del ministero degli Esteri francese.
Qualche giorno dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale (1° settembre 1939), temendo di essere di nuovo arrestato, si trasferì con la moglie e il figlio a Montpellier, nell’estremo sud della Francia. Alla fine del giugno 1940 (poco dopo la resa della Francia ai tedeschi) venne fermato dalla polizia francese, su richiesta del governo Mussolini; non poté però essere consegnato alle autorità italiane, in quanto detentore di un passaporto diplomatico iugoslavo. Venne allora internato nel duro campo di Le Vernet, subito a nord dei Pirenei; in seguito, essendosi gravemente ammalato, fu trasferito nel più mite campo di Noé, presso Tolosa. Su intervento dell’ambasciata degli Stati Uniti (sollecitata da Sforza), nell’agosto del 1941 venne rilasciato (in tredici mesi aveva perso quarantadue dei suoi cento chili); tornò quindi dalla sua famiglia, a Montpellier. Pochi mesi dopo venne avvertito da un suo amico, commissario nella polizia francese, che stava per essere arrestato dai tedeschi; allora entrò in clandestinità, insieme ai familiari. Per due anni e mezzo visse ‘alla macchia’ nella Lozère, zona montagnosa a nord di Montpellier, passando da una residenza all’altra, sempre sotto la protezione della Resistenza francese, in cui era entrato il figlio. Essendogli infine stati forniti dei ‘buoni’ documenti falsi, nella primavera del 1944 tornò con la moglie a Parigi, ancora occupata dai tedeschi.
Nel dicembre del 1944 (pochi mesi dopo la liberazione di Parigi), dall’Italia Bonomi – in quel momento presidente del Consiglio – riprese contatto con Zanella e, dopo vari scambi epistolari, il 30 maggio 1945 lo fece giungere a Roma, su invito ufficiale di Alcide De Gasperi, allora ministro degli Esteri.
Nel frattempo, il 3 maggio, Fiume era stata occupata dai partigiani comunisti iugoslavi, che già il giorno dopo avevano fucilato senza processo i tre massimi dirigenti del Partito autonomo: Blasich, Giuseppe Sincich e Nevio Skull. La città venne di fatto annessa alla Iugoslavia. La repressione contro gli italiani di Fiume proseguì nei mesi e negli anni seguenti e, se ne furono oggetto anche alcuni fascisti e collaborazionisti, in realtà colpì in massima parte esponenti dei partiti antifascisti. La conseguenza fu il progressivo esodo degli italiani dalla città.
Fu dopo gli avvenimenti del 3-4 maggio che Zanella venne di nuovo coinvolto nel ‘caso Fiume’. Già l’11 maggio (quando ancora si trovava a Parigi) indirizzò all’Assemblea dei capi di governo per la fondazione delle Nazioni Unite, allora riunita a San Francisco, una lettera in cui ribadiva la piena esistenza, in linea di diritto, dello Stato libero di Fiume e, appellandosi agli articoli 2 e 3 della Carta atlantica, chiedeva la sua reintegrazione e la riattivazione delle sue funzioni di governo.
Fu su questa base che, dopo il ritorno a Roma, Zanella condusse la sua azione, sia a livello politico-diplomatico sia in materia di assistenza.
Sul piano politico-diplomatico (che si esaurì nel giro di un anno e mezzo), agì attraverso la stesura di memoriali, lettere e telegrammi, indirizzati alle conferenze di pace o a quelle del Consiglio dei ministri degli Esteri (settembre 1945, marzo 1946, luglio 1946), ai dirigenti di diversi Paesi e al governo italiano. Solo con quest’ultimo ottenne qualche risultato: dopo uno scambio di note con Zanella, il 9 settembre De Gasperi riconobbe ufficialmente, in linea di principio, il ristabilimento dello Stato libero; la cosa però non ebbe alcun effetto pratico. In dicembre Zanella prese persino contatto con alcuni dirigenti iugoslavi, allo scopo di ottenere per la città almeno uno statuto di autonomia all’interno della Iugoslavia; ma non ottenne alcuna risposta.
Nel settembre del 1946 fu tra i sostenitori del tentativo del governo italiano, ben presto fallito, di indire un referendum nelle città contese tra Italia e Iugoslavia, tra cui Fiume. Il suo ultimo, e ormai disperato, tentativo di tenere aperto il caso Fiume fu la lettera che nel dicembre del 1946 indirizzò al segretario generale delle Nazioni Unite, il norvegese Trygve Lie, per chiedergli di proporre all’Assemblea dell’organizzazione un riesame della questione di Fiume; anche in questo caso non ottenne risposta.
La nuova ‘questione di Fiume’ si chiuse definitivamente il 10 febbraio 1947, quando il governo italiano firmò il Trattato di pace, che tra l’altro ufficializzava l’annessione della città alla Iugoslavia.
In campo assistenziale, Zanella creò in diverse città italiane degli ‘Uffici Fiume’, finalizzati ad aiutare sul piano economico e organizzativo i fiumani (quelli costretti all’esodo e quelli rimasti in città); ne presiedette fino al 1949 l’Ufficio di coordinamento, situato a Roma. A tale scopo chiese, e ottenne, finanziamenti prima al governo Parri e poi al primo governo De Gasperi. Dal 1949 abbandonò gradualmente l’attività politica.
Nell’ottobre del 1955 scrisse una succinta autobiografia politica, intitolata Breve compendio dell'attività di pubblico servizio di Riccardo Zanella, che rimase inedita per quarant’anni.
Morì a Roma il 30 marzo 1959.
La principale fonte è il fondo Riccardo Zanella nell’Archivio-Museo storico di Fiume a Roma, gestito dalla Società di studi fiumani. Altra importante fonte di informazioni è il semestrale Fiume, stampato – sempre con lo stesso titolo ma con diversi sottotitoli a seconda dei periodi – a Fiume dal 1923 al 1940 (a cura della Società di studi fiumani) e a Roma dal 1952 (a cura prima dell’Associazione del Libero Comune di Fiume in esilio e poi, dal 2000, dell’Associazione per la cultura fiumana, istriana e dalmata nel Lazio).
Tra il 1981 e il 2011 questa rivista ha pubblicato su Zanella otto saggi, e nel 1995 un numero monografico; i saggi sono: R. Dalma, Testimonianza su Fiume e Riccardo Zanella, n.s., 1981, n. 2, pp. 1-26 (testo già comparso sul bimestrale Il movimento di liberazione in Italia, 1965, n. 78, pp. 51-75); L. Peteani, Un episodio dell’odissea degli irredenti prigionieri in Russia: la condanna di R. Zanella per alto tradimento, n.s., 1987, n. 13, pp. 40-51; Id., Una petizione di R. Zanella al Parlamento italiano, n.s., 1989, n. 17, pp. 23-54; D. Massagrande, Un manoscritto inedito di Riccardo Zanella sulle vicende fiumane dal dicembre del 1920 al marzo del 1922, n.s., 1997, n. 33, pp. 32-47; E. Loria, Alcide De Gasperi e il movimento autonomista fiumano di Riccardo Zanella, 1945-47, n.s., 2002, n. 6, pp. 32-50; D. Massagrande, Settembre-ottobre 1919: cronaca di due incontri tra Gabriele d’Annunzio e Riccardo Zanella, n.s., 2010, n. 21, pp. 129-140; W. Klinger, Due memoriali inediti di Riccardo Zanella al Consiglio dei ministri degli Esteri di Londra del settembre 1945, n.s., 2011, n. 23, pp. 61-68; L. Peteani, I messaggi di Zanella per il ripristino dello Stato di Fiume (1944-1946), n.s., 2011, n. 24, pp. 131-132. Pubblicato nel 1995, il n. 30 è un Numero a carattere monografico nel 120° anniversario della nascita di Riccardo Zanella; contiene un vasta sezione di Scritti e documenti, relativa agli anni 1905-1953 (pp. 23-113) e quattro saggi: tre di A. Ballarini, Intervista con Riccardo Zanella jr, pp. 3-12 – poi ripubblicato, con il titolo Riccardo Zanella, presidente dello Stato libero di Fiume, nei ricordi del figlio, in La memoria che vive […], 2008, pp. 155-168 –; Profilo biografico di Riccardo Zanella (1875-1959), pp. 13-18, e Alcuni giudizi espressi sulla personalità e sulla attività politica di Riccardo Zanella, pp. 19-22; un saggio di L. Peteani, Tre messaggi di Zanella a Mussolini, pp. 114-116. Oltre a quanto comparso nella rivista Fiume, su Zanella sono stati pubblicati due libri e diversi saggi: L. Peteani, Lettere di Riccardo Zanella a Carlo Sforza [1948], in Il politico, 1990, vol. 55, n. 2, pp. 361-368; A. Ballarini, L'antidannunzio a Fiume: Riccardo Zanella, Trieste 1995 (la più importante recensione è L. Peteani, Note in margine a uno studio su Riccardo Zanella, in Quaderni giuliani di storia, 1997, vol. 13, n. 1, pp. 129-134); L'autonomia fiumana (1896-1947) e la figura di Riccardo Zanella. Atti del Convegno di studi, Trieste, Sala dell'Unione degli istriani, 3 novembre 1996, Roma 1997 (in partic.: D. Massagrande, Cenni sul “Breve compendio dell’attività di pubblico servizio” di Riccardo Zanella, pp. 51-58; E. Ledda, Riccardo Zanella nelle carte dell’Archivio Fiumano del Vittoriale, pp. 59-80); D. Massagrande, Riccardo Zanella e i politici italiani: frammenti di corrispondenza, 1944-1959, in Fiume nel secolo dei grandi mutamenti - Rijeka u stoljeću velikih promjena. Atti del Convegno internazionale di studi, Sala consiliare del Municipio, 1999, a cura di M. Sciucca, Fiume/Rijeka 2001; R. Palisca, Il “Libro rosso” che racconta la resa di Riccardo Zanella, in La voce del popolo, suppl. Storia e ricerca, 4 marzo 2006, pp. 1-3; G. Stelli, L’azione politica di Zanella e del Partito autonomo nella Fiume del periodo dannunziano, in Fiume, D’Annunzio e la crisi dello Stato liberale in Italia, a cura di R. Pupo - F. Todero, Trieste 2010, pp. 157-178; W. Klinger, Un’altra Italia: Fiume, 1724-1924, a cura di D. Redivo, Rovigno 2018 (Zanella e la riscossa kossuthista, 1905-1914, alle pp. 235-259). Una breve biografia è quella di S. Samani, Zanella, Riccardo, in Id., Dizionario biografico fiumano, Venezia 1975, pp. 145-152; cenni su Zanella in P. Alatri, Nitti, D'Annunzio e la questione adriatica, Milano 1976, pp. 64, 183, 244, 324, 332, 335, 492; vedi inoltre R. Pupo, Fiume città di passione, Roma-Bari 2018, pp. 26, 30, 32, 34, 37, 45, 69-70, 134-135, 145, 151-154, 171, 178, 218, 230, 255.