ricchezza (riccezza)
Il sostantivo, mai presente nelle Rime e nella Vita Nuova, compare solo quattro volte nella Commedia, mentre le occorrenze del Convivio sono 38, quasi tutte comprese nel IV trattato e, in particolare, nei capp. X-XIV di esso (29 esempi). È bene attestato anche nel Fiore e nel Detto.
La scarsa uniformità di questa distribuzione non è occasionale. In Cv IV Le dolci rime 17 D. aveva ricordato, per confutarla, l'opinione di quei che voglion che di gentilezza / sia principio ricchezza o, come meglio si precisa ai vv. 23-24, che sia antica possession d'avere / con reggimenti belli. Nella canzone (v. 21) e nel commento che se ne dà nel trattato, questa definizione è attribuita a Federico II di Svevia (III 6 Federigo di Soave... domandato che fosse gentilezza, rispuose ch'era antica ricchezza e belli costumi).
Forse, al momento di comporre il Convivio, D. ignorava che in realtà la massima era di Aristotele (Pol. IV; lect. VII del comm. tomistico), cui è rettamente assegnata in Mn II III 4 (Est... nobilitas virtus et divitiae antiquae; iuxta Phylosophum in Politicis). La divergenza, nell'attribuzione, tra le due opere e la non perfetta identità lessicale fra le due citazioni sono state variamente spiegate; qui sarà sufficiente aver accennato alla questione, rinviando per una più ampia disamina a Busnelli-Vandelli II 26, 373-374 e a B. Nardi, La filosofia di D. (citato in bibliografia).
A confutare la sentenza pseudo-federiciana, e a maggior ragione l'interpretazione volgare che nobiltà fosse solo possessione d'antica ricchezza (Cv IV III 7, seconda occorrenza), sono appunto dedicati i capp. X-XIV di Cv IV; la più alta frequenza con la quale, rispetto alle altre parti del trattato e alla Commedia, r. ricorre in questi passi, si spiega quindi con la posizione centrale che il tema della nobiltà ha nella speculazione dantesca.
Contro la definizione federiciana e l'opinione del volgo D. conduce una polemica serrata, ricca di argomentazioni in più punti suffragate dalla ‛ auctoritas ' degli scrittori antichi: le ricchezze sono vilissima parte de le cose (XI 3; la fonte è Lucano III 120-121 " pars vilissima rerum / ... opes "), nel loro accrescimento sono imperfette (XII 3), e pera vili (§ 11); mentre nel desiderare de la scienza successivamente finiscono li desiderii e viensi a perfezione... in quello de la ricchezza no (XIII 5, seconda occorrenza); sono maladette (§ 9); colui che appo sé sente ricchezza ha paura non pur di perdere l'avere ma la persona per l'avere (§ 11; il termine è ripetuto, al plurale, nello stesso paragrafo); intenso odio è quello che ciascuno al possessore de la ricchezza porta (§ 13).
Come risulta dagli esempi citati, sia al singolare sia al plurale r. è usato in senso concreto, per indicare in modo generale ogni bene temporale di cui sia misura la moneta.
Con la stessa accezione compare in Cv IV Le dolci rime 31, III 7 (prima occorrenza), X 2 e 5, XI 5 (due volte), XII 1, 6 (due volte; la seconda nella traduzione da Cic. Par. 1 " numquam ego... pecunias istorum... in bonis rebus aut expetendis esse du XI "), 9, 13, 16 e 20, XIII 2, 5 (prima occorrenza) e 16, XIV 1 (due volte), Fiore CLXIII 4. In due esempi, invece, la parola è intesa con valore causativo, indica cioè le fonti da cui la r. proviene: XI 8 più volte a li malvagi che a li buoni le celate ricchezze [e cioè i tesori e i metalli preziosi e le gemme rinvenuti fortunosamente]... si rappresentano; e così al § 12.
Al di fuori di questa tematica restano due citazioni, l'una da Boezio (Cons. phil. II m. II 1 ss. " Si quantas... / pontus versat harenas / ... tantas fundat opes... / pleno Copia cornui... ", tradotto in XII 7 Se a quanta rena volve lo mare... la dea de la ricchezza largisca...), l'altra da Lucano (V 528-529 " o munera nondum / intellecta Deum ! ", resa in XIII 12 oh non ancora intese ricchezze de li Iddei!), nelle quali il vocabolo aderisce al senso dei corrispondenti termini latini,(" abbondanza " per XII 7; " doni " per XIII 12).
Molto meno significative sono le altre occorrenze del. D. canonico. Oltre che nel consueto valore di " beni materiali " (Cv II X 10, Pg XX 27), il vocabolo ricorre in senso figurato per indicare beni intellettuali o spirituali: sempre liberalmente coloro che sanno porgono de la loro buona ricchezza a li veri poveri (Cv I I 9); per le virtuose operazioni le grandezze... de le vere ricchezze... e acquistate e conservate sono (X 8); la povertà francescana è ignota ricchezza (Pd XI 82); i beati comparsi a D. nel cielo delle Stelle fisse, differente- / mente danzando, de la sua ricchezza / mi facieno stimar, offrivano un segno palese del diverso grado della loro beatitudine. Altri esempi in Cv IV XXVIII 11, Pd XXVII 9..
Nel Fiore Ricchezza è personaggio allegorico corrispondente a " Richece " del Roman de la Rose (v. voce seguente). Così anche nel Detto, dov'è protagonista di un episodio (vv. 281 ss.) che culmina nel discorso da lei pronunciato contro Povertà.
Com'è noto, l'aspra polemica condotta nel Fiore contro gli ordini mendicanti si concreta anche nell'accusa che questi abbiano tradito i loro voti di povertà; a questo tema si collegano gli esempi di XC 2 E' sì vanno lodando la poverta, / e le ricchezze pescan co' tramagli, CIX 3 (dove compare nella forma riccezza; che riproduce una pronuncia gallicheggiante), 7 e 9: esempi tutti tratti dal discorso di Falsembiante, che dell'ipocrisia monastica è evidente raffigurazione. Il termine ricorre poi anche in LXXXV 12, CXCIII 14, Detto 375.
Bibl.-B. Nardi, La filosofia di D., in Grande antologia Filosofica, IV, Milano 1954, 1237.