CANUDO, Ricciotto
Nacque a Gioia del Colle (Bari) il 2genn. 1877 da Eugenio e da Emilia Stampacchia. Conseguita la licenza presso la sezione fisicomatematica dell'istituto tecnico di Bari, interruppe gli studi e a 18 anni sostituì il fratello Raimondo, come volontario, nel servizio militare, seguendo il corso degli allievi ufficiali a Bari e continuando a studiare i suoi autori prediletti, fra i quali Dante, Poe, Baudelaire.
Nel 1898 riuscì a farsi pubblicare dall'editore Cappelli, a Bologna, sotto lo pseudonimo di Karola Olga Edina (Karola e Dina erano i nomi di due giovanette da lui amate, Olga era la sigla di "onore, lavoro, gloria, amore"), Le piccole anime senza corpo, una raccolta di versi che suscitò un discreto interesse. Intraprese lo studio della lingua cinese e di quella giapponese prima presso l'istituto superiore di magistero di Firenze, poi presso l'università di Roma; a Firenze frequentò la chiesa evangelica e a Roma coltivò la teosofia; qui partecipò a un concorso dell'amministrazione delle ferrovie del Lazio e, vincitore, fu destinato agli uffici di Portonaccio. Il suo primo scritto giornalistico reperibile, Ode a Verdi, apparve sul Corriere delle Puglie di Bari del 27 gennaio 1902. Lasciato improvvisamente l'impiego, nel maggio 1902 si trasferì a Parigi, dove visse dapprima di espedienti, poi, aiutato dal sociologo G. Tarde, s'inserì nella redazione de L'Europe artiste, della quale, nel giugno 1904, era redattore capo (agli inizi del 1905 diverrà direttore de Laplume fusa con la precedente).
Già nel 1904 fu esaltato da E. Corradini su Il Regno di Firenze perché i suoi scritti diffondevano tra i Francesi gli ideali imperialistici dell'Italia e nel 1905 una corrispondenza su César Franck e la giovane scuola musicale francese fu accolta ne La Nuova Antologia di Roma (1º apr. 1905).
Il C., che si dichiarerà poeta essenzialmente "musicista" e dirà che l'uomo moderno "persegue la musicalizzazione di tutte le arti", era stato, da ragazzo, pianista di talento; dopo la parentesi degli studi frenetici e disordinati, la musica ridivenne oggetto di meditazione e nel 1905uscì, per le Editions de La plume, La IX symphonie de Beethoven e, sul Mercure musical,La musique italienne contemporaine. Ma l'opera forse più significativa, nel campo musicologico, è Le livre de l'évolution: L'Homme. Psychologie musicale des civilisations, dedicato a G. D'Annunzio, edito nel 1908 a Parigi, imperniato sulla figura di Beethoven.
In esso il C., con una visione personalissima, intende ripercorrere la storia dell'umanità, in marcia da Oriente a Occidente, non attraverso i grandi avvenimenti, ma seguendo l'evoluzione della musica, dall'origine della danza e della parola fino alle grandi fioriture musicali dei tempi moderni; vi sostiene la tesi che la musica sarà la religione dell'avvenire e nel capitolo su "Il dramma e la musica dell'avvenire" formula un'anticipazione, di stampo orfico, di quella che sarà una delle configurazioni del teatro dei nostri giorni.
Sull'argomento il C. torna in Music asreligion of the future, tradotto dal francese da Barnett J. Conlan e pubblicato a Londra nel 1913:il saggio consacra la stima del D'Annunzio nei confronti del C., che da allora si lega al poeta di devota amicizia.
Del suo amore per Dante testimoniano Nacque al mondo un sole (Saggio sul poema di un'epoca) e Dante e San Francesco d'Assisi, editi a cura della Società Dante Alighieri, a Parigi, nel 1906: il primo non è altro che la conferenza introduttiva a un corso di letture dantesche che fu tenuto in principio nella sala di rappresentanza dell'ambasciata italiana a Parigi, poi presso l'Ecole des hautes études sociales, con la partecipazione di attori drammatici invitati per declamare brani dei canti che il C. aveva tradotto in versi "euritmici" (il santo è riguardato come l'Homo novus del Rinascimento e Dante come il più grande degli "eretici" nella storia del pensiero).
Il 29 marzo 1911, all'Ecole, nel presentare il film L'inferno di F. Bertolini e U. M. Del Colle, egli approfittò delle sequenze interpretate da G. De Liguoro per illustrare visivamente la sua conferenza intercalata dalle declamazioni di R. Joubé dell'Odéon e di M. Marcelly del Vaudeville (G. Sadoul ricorda che il C., in quell'occasione, parlò del cinema come d'una sesta arte, formula ripresa l'anno dopo, in un manifesto, dal suo giovane amico A. Gance). Sulla scia del successo ottenuto con queste iniziative, egli terrà una serie di conferenze presso l'università libera di Bruxelles, alla vigilia della grande guerra, e approfondirà le sue riflessioni su Dante ne L'heure de Dante et la nôtre. 1321-1921, pubblicato come estratto del Mercure de France nel 1921e, soprattutto, ne L'âme dantesque. Essai sur l'évangile moral méditerranéen, pubblicato, postumo, nel 1924 a Parigi.
Il 1º ag. 1907 apparve su La revue un articolo intitolato Le théátre en plein air, in cui lo scrittore afferma che vi è molto probabilmente un legame tra il ritorno all'antico delle pièces e la voga dei teatri all'aperto, memore del progetto dannunziano del teatro di Albano.
Accanto a questo breve saggio è da porre Lo spettacolo e la lezione estetica del musichall scritto nel maggio 1921 per Cronache di attualità di Roma su invito di A. G. Bragaglia: il C. considera questa forma cosiddetta minore di spettacolo di fondamentale importanza per il rinnovamento del teatro, perché in "nessun luogo, come là, l'imagine della vita moderna appare più completa, nella sua molteplicità,... e in nessun luogo lo spettacolo, ricco di colori, di decorazioni, costumi, si mostra così favorevolmente completo di visioni e di ritmi abituali ed esotici, con l'aiuto della Scienza più recente della Luce dai giuochi innumerevoli".
A monte di tale attività di teorico teatrale si rinvengono una trilogia drammatica (di cui Le délire de Clytemnestre [Tragédie historique] fu stampato su L'Europe artiste nel 1904 - e rappresentato a Torino -,Dionysos [Tragédie mythique] fu pubblicato a Roma, su Vita letteraria, nel 1909, e La mort d'Hércule fu soltanto annunciata) e due saggi sul D'Annunzio, il primo, Gabriel D'Annunzio, pubblicato nel 1906 sul n. 13 de L'art et les artistes e il secondo, Gabriele d'Annunzio et son théâtre, pubblicato nel 1911, che gli attirò l'attenzione del tragediografo.
In quest'ultimo il C., attraverso il comune denominatore del misticismo sensuale" dei protagonisti, passa in rassegna l'opera narrativa e drammatica dannunziana e ravvisa una condizione spirituale "collettiva" ne La figlia di Iorio, la corrispondenza del moderno all'antico (Corrado Brando, in Più che l'amore, superiore alla potenza del destino, ha "l'angoscia epica dei greci"), la quintessenza del "tragico mediterraneo" ne La nave, "tragedia della razza neolatina e cristiana", la grande virtù evocatrice della Fedra.Pienamente inserito nella vita culturale parigina, il C. visitò mostre di pittura e di scultura, ricavandone dieci corrispondenze per Vita d'arte di Siena negli anni 1908-1909: nelle prime quattro dette, tra i primi, ampie notizie in Italia dei maestri dell'impressionismo e, nella quarta, ragguagliò sull'arte negra (Apollinaire gli riconoscerà la capacità di "vedere per primo", quando lo citerà come l'unico che, in Francia, nel 1911, parli di Chagall).
Di un certo interesse è l'attività del C. narratore: nel 1910 uscì a Parigi La ville sans chef, da lui definito, in una lettera del 26 ottobre dello stesso anno al D'Annunzio, un "romanzo tragico" nel quale "vive una moltitudine di cui discopre le origini del sentimento religioso e del principio gerarchico"; P. Adam affermò che esso rivelava "un grande sforzo di vigore spirituale" e V. Blasco-Ibañez, nel prologo alla traduzione di E. A. Leyra dal titolo Ciudad sin jefe apparsa a Valencia nel 1924, lo qualificò come "bolscevico", anticipatore di atmosfere e sentimenti che ancora nessuno poteva prevedere.
Nel 1911 furono pubblicati Les liberés (Mémoires d'un aliéniste), nella cui prefazione l'Adam paragonò il collettivismo del romanzo alle tragedie greche, ai poemi classici, addirittura al Faust di Goethe, in quanto non è "analisi dell'individuo", ma "sintesi di molteplici e numerose anime trasformate in correnti di pensiero". Les transplantés (La ville visage du monde), dedicati al D'Annunzio ed editi nel 1913, hanno per protagonista Trismat, un trapiantato da Roma a Parigi, cioè il narratore stesso, la cui anima è divenuta francese.
In una lettera non datata, ma certamente del 1911, al D'Annunzio, si apprende che il C. stava riducendo per il cinema tre soggetti dell'amico, La Gioconda,L'Innocente e Giovanni Episcopo, ma le riduzioni non piacquero al poeta che le definì "deformazioni"; ne L'usine aux images si fa cenno di 6.000 franchi ricevuti per la vendita ad una casa cinematografica dei diritti de La ville sans chef, ai fini di una pellicola forse mai realizzata. Nel 1924 l'Andréani diresse un film da L'autre aile, un romanzo pubblicato due anni prima e ridotto per lo schermo dal C., e, nello stesso anno, vide la luce la traduzione letteraria, ovvero "roman filmé", de La roue di A. Gance (in Italia La rosa sulle rotaie).
I numerosi movimenti d'avanguardia, spesso interferentisi o addirittura elidentisi sotto il segno di una vita breve e travagliata, ma feconda, destarono, ovviamente, piena adesione nel C. che nel 1913 fondò, con J. Reboul e G. Boissy, la rivista Montjoie, durata fino all'anno successivo; il 9 febbr. 1914 apparve sul Figaro il Manifeste de l'art cérébriste le cui teorie furono riprese con maggiore ampiezza in Hélène,Faust et nous - Précis d'esthétique cérébriste, pubblicato a Parigi nel 1920.
Il cerebrismo, di cui Montjoie divenne la divulgatrice, è un'estetica che rifiuta l'arte nata dal sentimento per un'arte che è "cerebrale" e "sensuale" e che raggiunge il suo vertice con la musica; ispirata al dinamismo, si esprime attraverso il ritmo, "suggerisce" e non intende definire. Le ripercussioni di questi moduli estetici sul dannunzianesimo del C. facevano evolvere le sue idee verso un approdo che, in qualche tratto, fa pensare al futurismo.
Il primo giorno della mobilitazione generale il C. redasse un manifesto agli stranieri residenti in Francia, convocandoli per costituire una legione; grande ne fu la risonanza, specialmente tra gli artisti. Il ministero della Guerra autorizzò lo scrittore a prestare la sua collaborazione per il reclutamento degli stranieri che si offrivano a migliaia, ma il suo temperamento "sportivo e latino non poteva adattarsi" a questo tipo di attività, quando "era la causa della latinità in giuoco" difesa dai francesi "con le armi in mano"; appoggiato da M. Barrès e A. Mithonard, presidente del Consiglio municipale di Parigi, l'11 ag. 1914 chiese al ministro della Guerra di partire per la Legione straniera, vantando i trascorsi militari degli antenati, e ricevette il battesimo del fuoco sul fronte delle Argonne nel gennaio 1915.Raggiunto dal richiamo dell'esercito italiano nell'imminenza dell'intervento, il C. telegrafò pregando di combattere accanto ai camerati francesi e il ministero della Guerra, con decreto speciale e per l'interessamento del D'Annunzio, gli concesse di continuare a prestare servizio nel suo reggimento impegnato sul fronte balcanico. Sulle opere scritte in questo periodo (Combats d'Orient, Paris 1917; Mon âme pourpre - Roman de la forêt et du fleuve - L'Argonne et le Vardar, ibid. 1918; S.P. 503 - Le poème du Vardar - Action aérochoréographie [suivi par La sonate à Salonique], ibid. 1924), che riportano diversi episodi della sua vita di combattente, tra cui i temerari salvataggi di compagni feriti, fa spicco Le poème du Vardar.
Secondo il Blasco-Ibañez, questa è una delle cose più sincere che abbia ispirato la guerra: "non vi si incontrano referti guerreschi né falsi sentimentalismi epici". Gli stilemi, specialmente nelle parte intitolata Sonate à Salonique, sono un'applicazione di procedimenti puramente musicali alla poesia da parte di un poeta di cultura musicale. Il poema, che come Mon âme pourpre e altre opere del C., è dedicato a Elena B., fu ultimato all'Hôpital n. 3 di Zeitenlick (Macedonia) e reca come introduzione Quinze versets liminaires au poème du Vardar S. P. 503. È di pura essenza cerebrista; il lirismo vi si rinnova e trova la sua sorgente nelle serie spontanee delle sensazioni.
Prese parte alla ritirata in Serbia e per il suo eroico comportamento fu decorato infine con medaglia d'argento. Di ritorno dal fronte il C. declinò l'invito, rivoltogli da più parti, di ritornare in Italia e si stabilì di nuovo nella città d'adozione, dove riprese la sua frenetica attività di giornalista. Nel marzo 1921 fondò il primo circolo del cinema, il Club des amis du septième art, con sede in rue du Quatre-Septembre 12, che si propose di conferire dignità culturale alle manifestazioni cinematografiche e di catalogare e diffondere le pubblicazioni specializzate.
Il 20 genn. 1922 assistette, al Théâtre des Champs-Elysées, al balletto in un atto Skating Rink su libretto suo, coreografia di J. Borlin e musica di A. Honegger. Successivamente si adoperò affinché, al Salon d'automne, fossero riservate alcune sale all'arte cinematografica; lo stesso direttore, che in principio era stato riluttante, lo ringraziò, in una lettera aperta, dell'insperato contributo al successo della mostra.
Il 15 dicembre dello stesso anno il C. fondò la Gazette des sept arts, che svolse subito una rilevante funzione culturale: in essa apparvero, fino alla vigilia della sua morte, gli scritti che formano L'estetica della settima arte ed Esempi. Questi, insieme a Il manifesto delle sette arti, presumibilmente del 1911 sulla scorta di un accenno, peraltro vago, di J. Epstein, e il già citato Elena,Faust e noi del 1920 sono i testi esemplari in cui si precisa la teoria estetica della cinematografia sostenuta dal C.: il suo maggior titolo di raccomandazione alla nostra attenzione consiste nell'avere scoperto le possibilità del nuovo mezzo d'espressione e nell'averne preveduto gli sviluppi con grande intuito e sensibilità. Il C. fu apprezzato dagli studiosi francesi prima e più che dagli italiani almeno fino alla paziente opera di indagine di M. Verdone che curò la prima edizione italiana (Roma 1966) de L'officina delle immagini;occupa nella storia dell'estetica del cinema un posto di pioniere da cui non si può più prescindere.
Egli parte dal presupposto che le due arti fondamentali sono la musica e l'architettura, che hanno generato, direttamente o indirettamente, le due arti secondarie che da essa derivano: la musica ha generato la poesia e la danza, l'architettura ha generato la pittura e la scultura; questo "circolo in movimento" si conclude nella settima arte, la cinematografia, che è fusione delle sei arti precedenti e loro culmine, serie di quadri in movimento, arte plastica che si sviluppa secondo le norme dell'arte ritinica. Il cinema è nato per essere la rappresentazione totale dell'anima e del corpo, "un racconto visivo fatto con immagini, dipinto a pennellate di luce", e, se il teatro altro non è che un'espressione "individuale", esso sarà un'espressione "visuale e collettiva", per cui cesserà di essere la copia di quello, che a sua volta è la copia della vita.
Il 7 giugno 1923 si sposò con la collaboratrice Jeanne Janin; morì improvvisamente, a Parigi, il 10 novembre dello stesso anno.
Nel 1927 F. Divoire raccolse una serie di scritti del C. ne L'usine aux images che, nell'edizione italiana già citata, comprende: Introduzione del Verdone, Presentazione del Divoire, Il manifesto delle sette arti,L'estetica della settima arte,Esempi,Elena,Faust e noi - Compendio di estetica cerebrista (che non appartiene alla raccolta ordinata dal Divoire), e Appendice (comprendente indice dei principali film ricordati e nota bibliografica) del Verdone.
Bibl.: Necrologio in Il Messaggero, 16 nov. 1923; S.La Sorsa, Un grande pugliese scomparso, in Rassegna nazionale, s. 3, LVII (1935), pp. 221-226; J. Comin, Appunti sul cinema d'avanguardia, in Bianco e Nero, 31 genn. 1937, pp. 11-14; Id., R. C. - L'usine aux images,ibid., pp. 72-76 (recensione); J. M. Lo Duca, Il fondatore dell'estetica cinematografica - R. C., in Cinema, 10 genn. 1942, pp. 18-20; D. Turconi, La teorica del film nasce dalla poesia,ibid., febbraio 1954, pp. 75-78; J. Epstein, Le cinémat. vu par l'Etna, Paris 1926, pp. 45 ss.; R. Canudo, L'estetica della settima arte, in L. Chiarini-U. Barbaro, Problemi del film, Roma 1939, pp. 47-59; G. Sadoul, Hist. générale du cinéma..., II, Paris 1952, p. 318; R. Paolella, Storia del cinema muto, Napoli 1956, pp. 209 s.; R. Boussinot, L'encycl. du cinéma, Paris 1967, pp. 277-281; Enc. dello Spett., II, coll. 1702 s.; Filmlexicon…, I, Roma 1958, coll. 1064 s.