RICERCA SCIENTIFICA
. Con la locuzione "ricerca scientifica" comunemente s'intende l'insieme delle attività destinate alla scoperta e utilizzazione delle conoscenze scientifiche. Essa comprende sia la "r. fondamentale", che è lo studio sistematico della natura e delle sue leggi a fini puramente conoscitivi a prescindere da scopi immediatamente pratici, sia la "r. applicata", volta invece a individuare e sperimentare le possibili applicazioni pratiche delle conoscenze acquisite, sia infine l'attività di "sviluppo", legata alla produzione su scala industriale delle innovazioni tecnologiche.
La sigla di derivazione anglosassone R & D (Research and Development) è oggi usata internazionalmente per indicare tutti e tre i tipi di attività. Del resto essi possono essere chiaramente distinti solo in via formale perché nella pratica quotidiana non è raro che campi d'indagine e risultati tendano a sovrapporsi.
Di origine più recente, legata all'intervento pubblico nel settore, è la "r. finalizzata", che indica un'attività di studio orientata secondo determinate priorità, stabilite anche in altra sede, pur senza essere immediatamente legata a scopi pratici.
Cenno storico e politica della ricerca. - Molti studiosi sono concordi nell'affermare che uno degli elementi che caratterizzano la storia del 20° secolo è dato proprio dal ridursi, sempre più rapido, del periodo intercorrente fra una determinata scoperta scientifica e la sua applicazione pratica nella vita di tutti i giorni. Più di un secolo è passato dalla scoperta del principio della fotografia alla sua realizzazione su scala industriale, per il telefono sono bastati cinquantasei anni, per la radio trentacinque, per la televisione quattordici, per il transistore cinque.
Tale fenomeno, sviluppatosi grazie a un contesto storico-sociale favorevole, è stato largamente determinato dalle caratteristiche strutturali del sistema industriale; infatti, per riprodursi e svilupparsi, esso ha bisogno di accrescere continuamente la quota di capitale fisso, cioè d'impianti e di macchinari, sia in assoluto sia in proporzione alla forza-lavoro impiegata. L'aumento di capitale fisso, in una prima fase di ordine prevalentemente quantitativo, si avvale di fattori strettamente legati all'immissione, in dosi sempre più massicce, della scienza nel processo produttivo. La ricerca di nuove tecniche di utilizzazione delle risorse umane e materiali, l'ampliamento dei tradizionali settori produttivi attraverso l'individuazione di nuovi mercati e la realizzazione di nuovi prodotti, spingono l'impresa privata a occuparsi attivamente della r. scientifica e tecnologica.
I governi invece tendono a non intervenire direttamente nell'organizzazione del settore. Anche in campo scientifico, come già in campo economico, si è convinti che il massimo grado di produttività sia raggiungibile solo attraverso un libero sistema di mercato. Lo stato lascia perciò la promozione e l'orientamento della ricerca in mano all'iniziativa privata e si limita a regolarne i rapporti giuridicoformali attraverso provvedimenti legislativi quale, per es., il primo accordo internazionale per la tutela dei brevetti, sancito a Parigi nel 1883. In seguito però, mano a mano che i riflessi del progresso scientifico e tecnologico si fanno sentire in tutti i settori della vita nazionale e la sua promozione richiede investimenti di risorse umane ed economiche sempre più ingenti e a lunga scadenza, è inevitabile che i governi intervengano sempre più direttamente e diffusamente.
Nel corso degli anni Trenta vengono istituiti nei paesi industrializzati più progrediti i Consigli nazionali delle r., con funzioni prevalentemente di coordinamento amministrativo e di sostegno della r. fondamentale nelle università.
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, i governi, impegnati nei programmi di ricostruzione e ripresa economica, avvertono con sempre maggiore chiarezza il ruolo, ormai centrale, della scienza come "forza produttiva" e la necessità di orientarne lo sviluppo in base a scelte più generali di politica governativa, soprattutto in materia economica.
Intorno agli anni Sessanta infine si comincia a guardare alla r. scientifica non solo come fonte di benessere materiale ma anche come mezzo per migliorare la "qualità della vita". Ciò implica scelte complesse che devono riuscire a conciliare interessi diversi e spesso contrastanti, come quelli delle imprese private, dei poteri pubblici e dei diversi gruppi sociali di pressione, e che coinvolgono settori diversi, non sempre abituati a collaborare, come: difesa, industria, agricoltura, istruzione, sanità, ecc. È proprio la complessità del sistema e l'importanza della posta in gioco che spinge i governi a modificare la propria struttura organizzativa, istituendo specifici organi competenti in merito alla cosiddetta "politica della ricerca". Con questo termine s'intende oggi l'insieme delle attività che in ogni paese il governo intraprende sia per incoraggiare lo sviluppo della scienza e della tecnica (politica per la r.) sia per utilizzarne i risultati a fini politici generali (politica attraverso la ricerca).
Tuttavia i criteri teorico-pratici cui s'ispira l'azione dei governi non sono sempre i medesimi. Schematicamente potremmo affermare che le principali differenze nelle politiche della r. nazionali sono da attribuirsi all'adozione di un modello di organizzazione più o meno centralizzato.
Negli Stati Uniti, per es., si è sempre cercato di mantenere nel sistema della r. una struttura decentrata che si sforza di massimizzare la produttività in campo scientifico attraverso la molteplicità delle fonti di elaborazione, finanziamento e realizzazione dei programmi.
A livello di promozione generale nelle aree più diverse e nella formazione di personale specializzato agiscono organi come la National academy of science, il National research council e la National science foundation, che sono composti in maggioranza da scienziati e tecnici, affiancati in misura minore da rappresentanti del governo e dell'industria privata.
A livello di finanziamento operano soprattutto le Federal agencies che distribuiscono la maggior parte dei fondi pubblici ai vari enti interessati. In media il 47% del totale va al dipartimento della Difesa che si occupa della sicurezza nazionale, il 32% alla NASA (National Aeronautic and Space Administration) che si dedica ad aeronautica e volo spaziale, l'8% all'AEC (Atomic Energy Commission) per l'energia nucleare, il 7% all'HEW (department of Health, Education md Welfare) per la sanità e il rimanente 6% ad altri centri minori. Questi enti usano solo un quinto dei fondi per svolgere ricerche in proprio, per il resto si affidano a industrie private (63%), università (15%) e laboratori di vario tipo.
Infine negli Stati Uniti operano in campo scientifico anche istituti privati e fondazioni a scopi non di lucro come il Battelle memorial institute, la Rockefeller foundation, la Ford foundation, ecc.
Per tenere aggiornato il presidente degli Stati Uniti sull'andamento di tutte queste attività, nel 1957 è stata istituita la carica di Special assistant to the president for science and technology che dirige il PSAC (President's Science Advisory Committee) e l'OST (Office for Science and Technology) che valutano i programmi scientifici nell'interesse generale.
Anche se la maggior parte della r. scientifica statunitense è realizzata in laboratori privati, tuttavia è chiaro che poiché la parte più consistente dei finanziamenti proviene dal settore pubblico, in realtà questo ne segna gli orientamenti fondamentali. Si potrebbe parlare quasi di una "pianificazione a posteriori", di fatto esercitata attraverso gli obbiettivi prefissati nel bilancio.
In Francia invece la politica della r. è attuata in base a un modello di organizzazione opposto: sistema centralizzato e orientato direttamente dal governo in stretta connessione con la programmazione economica.
Infatti tutti gl'istituti di r. francesi devono tenere conto, a qualsiasi livello decisionale operino, delle scelte indicate dal governo, per opera del ministro delegato con incarichi relativi alla r. scientifica e alle questioni atomiche e spaziali e della Délégation générale à la recherche scientifique et technique presso la segreteria del primo ministro. Incaricato di coordinare le attività dei vari ministeri interessati alla r. è il Comité interministériel de la recherche scientifique et technique e il Comitato dei dodici saggi, con funzioni consultive.
Dal 1954, data in cui ha avuto inizio in Francia la pianificazione economica, opera anche la Commissione per il piano della r. scientifica e tecnica, che elabora dati relativi alla scienza di base, allo sviluppo economico e industriale, alla politica sociale, al fine di consentire un'utilizzazione equilibrata ed efficace della ricerca.
La politica della ricerca in Italia. - Il modello di organizzazione del nostro paese è certamente più vicino a quello francese che a quello statunitense. Naturalmente esistono determinate peculiarità nazionali e va inoltre tenuto conto che l'attuazione dell'ordinamento regionale, previsto dalla Costituzione e realizzato a partire dal 1970, comporta una graduale redistribuzione dei poteri che, in una certa misura, favorirà il decentramento di alcuni livelli decisionali.
Gli organi o enti ai quali la legislazione italiana affida poteri d'indirizzo generale e di coordinamento di politica della r. scientifica sono i seguenti:
a) Il Parlamento, investito di specifici poteri dalla legge n. 283 del 1963, con la quale si stabilisce che la relazione generale del presidente del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) sullo stato della r. scientifica e tecnologica in Italia venga allegata alla Relazione economica presentata annualmente al Parlamento dal ministro per il Bilancio.
b) Il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE), istituito con la l. 27 febbr. 1967, n. 48, che oltre a predisporre gl'indirizzi della vita economica nazionale, in particolare ha il compito di accertare le condizioni e le esigenze della r. scientifica, stabilire le direttive generali per il suo potenziamento, promuovere la formulazione e il coordinamento di programmi di r. d'interesse nazionale e sovrintendere alla loro attuazione.
c) Il ministro che ha l'incarico del coordinamento della r. scientifica e tecnologica; il ministro esprime parere preventivo sulla relazione annuale del presidente del CNR, partecipa alle sedute del Comitato dei ministri preposto alle attività del CNEN (Comitato Nazionale per l'Energia Nucleare), ma non ha specifici compiti di amministrazione o controllo in materia di ricerca.
d) Il CNR, istituito con r.d. 18 nov. 1923, n. 2895, e più volte riordinato in seguito, esercita poteri di coordinamento e di direttiva; svolge compiti di promozione e d'incentivazione e attività dirette di r. attraverso i suoi numerosi laboratori e istituti. Nell'ordinamento vigente il CNR si pone come l'organo di stato investito dei più rilevanti poteri in merito alla r. scientifica e tecnica.
e) Ministeri, alcuni dei quali (Pubblica Istruzione, Industria e Commercio, Sanità, Poste e Telecomunicazioni, Agricoltura e Foreste, Difesa, Trasporti, Partecipazioni Statali) svolgono una duplice funzione di orientamento della r., nell'ambito della loro specifica competenza, e di r. attiva attraverso stazioni sperimentali o istituti specializzati.
Nonostante le modifiche istituzionali avvenute e il dibattito in corso ormai da anni, si può dire che in Italia come all'estero la politica della r. è ancora una disciplina poco conosciuta che, data la sua origine relativamente recente, non dispone di un numero sufficiente di cultori ed esecutori né di adeguato materiale di studio e verifica. È stato giustamente notato come attualmente sia più chiara la consapevolezza della necessità di elaborare una politica scientifica e delle enormi possibilità che essa è in grado di offrire, che non la consapevolezza degli strumenti da usare, delle decisioni da prendere e delle competenze da organizzare per realizzare tali possibilità.
Riassumendo, possiamo distinguere quattro questioni principali cui gli studi di politica della r. scientifica e tecnologica si sono finora sforzati di dare una risposta:
a) come determinare la quota "ideale" di risorse sociali ed economiche che in certe condizioni storico-economiche un determinato paese dovrebbe investire per trarre il massimo beneficio dall'attività di r. e sviluppo svolta nell'ambito del paese stesso o anche all'estero: è questo un problema assai complesso, basti ricordare come in molti casi, a cominciare dal Regno Unito, si sia dimostrato che la relazione tra risorse destinate alla r. e incremento del grado di sviluppo economico non è così lineare come si era inizialmente portati a credere;
b) dato il carattere limitato delle risorse a disposizione, in base a quali criteri scegliere di realizzare determinati programmi di r. e sviluppo piuttosto di altri: non è raro che proprio i progetti che inizialmente apparivano come i più rischiosi si siano in seguito rivelati come i più vantaggiosi;
c) come prevedere e tenere sotto controllo lo sviluppo tecnologico evitandone le conseguenze negative sul piano sociale, senza però arrestarne la continua evoluzione: a questo proposito H. Brooks notava come il sistema di mercato, dimostratosi piuttosto efficiente nel soddisfare i consumi privati, qualche volta addirittura superflui, si sia invece rivelato insufficiente nel soddisfacimento di determinati bisogni collettivi o consumi sociali;
d) come creare nei tempi lunghi le condizioni sociali più favorevoli alla realizzazione dei programmi scientifici prestabiliti: ci sono fattori come la formazione di personale specializzato o la costruzione d'impianti che richiedono previsioni a lunga scadenza e che, una volta avviati, si dimostrano spesso irreversibili.
Molti strumenti d'indagine sono stati elaborati per permettere di prendere in considerazione tutte le parti costituenti un sistema tanto complesso, quale quello dell'organizzazione della r. scientifica e tecnologica, nell'ambito degli obbiettivi di politica generale di un paese. Possiamo citare, per es., l'analisi dei sistemi, l'analisi dei costi e dei benefici, i diversi metodi di valutazione e previsione tecnologica. Queste tecniche, tuttora in corso di sperimentazione, si sono rivelate assai utili, soprattutto se usate tenendo conto di un loro limite intrinseco: quello di essere appunto "strumenti" e come tali di non poter sostituire, ma solo facilitare, le scelte politiche che il sistema di gestione della r. inevitabilmente comporta. Nel corso degli ultimi anni l'opinione pubblica ha preteso (in forma sempre più organizzata, per es., di associazioni di consumatori o per la salvaguardia dell'ambiente, ecc.) un ruolo più attivo nei processi decisionali che riguardano la scienza. È perciò necessario che un'accurata informazione su metodi e risultati della r. scientifica e tecnologica si diffonda sempre di più nel grande pubblico, affinché il necessario dibattito tra i vari protagonisti interessati al tema in questione si esprima secondo modalità competenti e costruttive.
Gl'investimenti destinati alla ricerca e allo sviluppo. - I criteri, più o meno espliciti, cui si sono ispirati i vari paesi nell'attuazione dei propri programmi di r., possono anche essere ricavati con procedimento empirico sulla base dei dati disponibili in merito al variare degl'investimenti economici destinati alla r. e allo sviluppo, nel corso degli anni e fra i vari settori interessati.
Alcune linee di tendenza comuni possono ritrovarsi in tutti i paesi del mondo occidentale (sugli altri paesi non disponiamo di dati sufficienti per simili considerazioni). Per es., nel periodo che va dal dopoguerra a oggi, è possibile individuare tre fasi principali (tab.1): a) una prima fase, corrispondente a quella della guerra fredda tra paesi capitalistici e paesi socialisti, in cui proporzionalmente la maggior quota d'investimenti è destinata ad attività scientifiche e tecnologiche in qualche modo connesse agli armamenti e alla sicurezza nazionale in genere; b) una seconda fase, che ha avuto inizio verso la fine degli anni Cinquanta, in cui le somme destinate alla r. crescono con progressione quasi geometrica in tutti i settori, con particolare riguardo all'area delle innovazioni tecnologiche; c) una terza fase, tuttora in corso, che ha avuto inizio verso la fine degli anni Sessanta, in cui il tasso di crescita degl'investimenti tende a stabilizzarsi e variano invece notevolmente i criteri di distribuzione delle spese con forti spostamenti a favore di aree quali la salute, la salvaguardia dell'ambiente, il benessere collettivo in genere.
Anche nel nostro paese le spese per la r. e lo sviluppo sono mediamente sempre aumentate, dal dopoguerra a oggi, anche se va tenuto conto che il perdurante processo inflazionistico ridimensiona tale valutazione (tab. 2).
Se confrontiamo però la spesa nazionale lorda per la r. e lo sviluppo in relazione al prodotto nazionale lordo o la spesa pro capite dell'Italia rispetto ad altre nazioni, ci rendiamo conto che lo sforzo che il nostro paese dedica alla r. è assai inferiore a quello delle nazioni più progredite. I 32 dollari pro capite, che venivano spesi in Italia nel 1975 per attività di r. e sviluppo, non solo ci collocano, com'è naturale aspettarsi, lontanissimi dai valori di paesi come gli Stati Uniti (165 $) o la Rep. Fed. di Germania (151 $), ma ci vedono agli ultimissimi posti in ambito europeo dopo i Paesi Bassi (128 $), la Francia (116 $), il Regno Unito (83 $), ecc., precedendo solo paesi dove la spesa è quasi inesistente, come il Portogallo (4 $) e la Spagna (8 $). Le conseguenze di tale situazione di arretratezza sono gravissime sul piano culturale come su quello economico, giacché pongono l'Italia in condizioni di sempre maggiore dipendenza dall'estero per l'acquisto di brevetti, tecnologie e prodotti finiti ad alto contenuto tecnologico, le cui implicazioni più gravi e decisive si profilano nel campo sociale e politico.
Un altro dato preoccupante che emerge da un esame dei confronti internazionali è il divario tecnologico enorme che separa non solo i paesi industrializzati da quelli in via di sviluppo ma anche, nell'ambito del mondo occidentale, gli Stati Uniti dai paesi europei. È questo un tema che ha concentrato l'attenzione di politici e scienziati soprattutto a partire dal 1965. Si constatava allora (tab. 3) che gli Stati Uniti spendessero per la r. e lo sviluppo tre volte e mezzo più dell'Europa occidentale (con una popolazione globale intorno a valori simili) e circa sei volte più dei paesi membri della Comunità Europea. J. Ben David, cui fu affidata la direzione di un approfondito studio sul tema, notò come le considerazioni di carattere economico non fossero sufficienti, da sole, a spiegare il notevole ritardo dei paesi europei.
Il gap non riguardava solo il settore tecnologico dello sviluppo ma coinvolgeva anche il settore più propriamente scientifico della r. fondamentale. Le cause affondavano le proprie radici nel periodo anteriore alla seconda guerra mondiale ed erano da attribuirsi a fattori quali l'inadeguatezza delle strutture universitarie alle esigenze della r. moderna e alla crescente popolazione studentesca, la lentezza delle procedure burocratico-amministrative, la centralizzazione e la scarsa flessibilità delle istituzioni scientifiche al rinnovamento, l'isolamento delle università e del mondo accademico ai bisogni dell'industria e della società in generale. Negli anni Settanta la situazione all'interno del gruppo dei paesi industrializzati non presenta più aspetti di squilibrio così marcato (tab. 4). A un diminuito impegno degli Stati Uniti (nelle ricerche spaziali e nel campo della difesa) fa riscontro uno sviluppo più dinamico di tutti i paesi dell'area industrializzata, specialmente la Rep. Fed. di Germania, il Giappone e la Francia.
Gli avvenimenti degli ultimi anni, fra cui la dilagante depressione economica e la crisi energetica, hanno fatto riemergere il problema del divario tecnologico, mutandone i termini di paragone e ampliandone la portata. Proprio nel momento in cui si fanno più evidenti i rapporti di stretta interdipendenza fra i vari paesi del mondo, emergono infatti con preoccupante urgenza i caratteri di profondo squilibrio tra paesi ricchi, industrializzati, e paesi poveri, in via di sviluppo.
È dunque evidente che la cooperazione internazionale è una condizione necessaria non solo al progresso scientifico e tecnologico ma anche al mantenimento della pace. Sforzi congiunti a livello sovranazionale sono indispensabili sia per la stretta connessione tra r. scientifica e sviluppo economico sia per l'evolversi di nuove discipline come quelle concernenti l'energia nucleare, la radioastronomia, ecc., che richiedono dimensioni organizzative e finanziarie (si è parlato di mega-science) sempre crescenti.
Numerosissime sono le organizzazioni internazionali che operano in campo scientifico. Nel 1963 si calcolava che fra intergovernative e non governative, ve ne fossero circa trecento. Purtroppo però, nonostante i progressi compiuti dal dopoguerra, le difficoltà, spesso di ordine politico generale o perlomeno "extrascientifico", sono ancora notevoli, tanto che oggi si tende a favorire piuttosto iniziative di tipo circoscritto, come, per es., cooperazioni a livello regionale fra paesi aventi caratteristiche comuni o complementari.
La questione della cooperazione scientifica internazionale resta comunque un tema d'importanza centrale per gli esperti di politica della r. ed è destinato in futuro a occupare sempre maggiore spazio anche nei problemi di politica internazionale.
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