ricevere; recepere [partic. pass. ricetto]
II verbo ricorre in tutte le opere di D., ma con varia frequenza: piuttosto scarse le occorrenze nella Vita Nuova, nelle Rime, nella Commedia, nel Fiore; più numerose quelle del Convivio.
Nella sua accezione più ampia, indica l'azione e la condizione del soggetto che prende ciò che gli viene donato, consegnato od offerto Cv IV XVII 4 Liberalitade ... è moderatrice del nostro dare e del nostro ricevere le cose temporali.
Gli esempi più frequenti compaiono in I VIII, dov'è svolta la tesi che, per quanto sia bene donare anche cose non utili, la pronta liberalità esige che il dono sia utile: §§ 6 lo dono... conviene essere utile a chi riceve (si noti l'uso assoluto), 5 (ricevente, con valore di sostantivo, nella '21; ricevitore in Busnelli-Vandelli e nella Simonelli), 7 (due volte), 11 e 13; al § 15 la '21 e Busnelli-Vandelli hanno ricevente, anche qui con valore di sostantivo, mentre la Simonelli adotta ricevitore. Altri esempi in Rime LXXXIII 115; Cv I III 8 (seconda occorrenza), IX 2, XIII 2, II V 8, III VI 10, IV XXVII 8, XXIX 2 (prima occorrenza).
In senso estensivo, con il significato di " raccogliere ": IV II 10 Ecco lo agricola aspetta lo prezioso frutto de la terra, pazientemente sostenendo infino che riceva lo temporaneo [i frutti primaticci] e lo serotino [quelli tardivi], che traduce Iac. Epist. 5, 7 " donec accipiat temporaneum et serotinum ".
In molti casi, il verbo sottolinea in misura più evidente il concetto di passività che è implicito nel suo valore fondamentale. Questa sfumatura semantica risulta chiara allorquando l'oggetto è un sostantivo astratto, tanto che alcune fra le locuzioni formate da r. e dall'oggetto potrebbero essere tradotte con un verbo passivo; ma anche in altre attestazioni, all'idea di " prendere " ciò che è dato, si sostituiscono quelle più generiche dell' " essere oggetto " dell'azione altrui, del " percepire " uno stimolo esterno, del " venir modificati " da un'azione qualsiasi, e così via.
L'idea della passività è molto attenuata allorquando il contesto evidenzia in ugual misura il valore dell'azione compiuta da chi dà e di quella subita da chi riceve Cv IV XXVI 8 avendo ricevuto da Dido tanto di piacere... [Enea] si partio; § 10 [alla gioventù] conviensi amare li suoi maggiori, da li quali ha ricevuto ed essere e nutrimento e dottrina; Vn XIX 20 lo saluto di questa donna... fue fine de li miei desiderii mentre ch'io lo potei ricevere. È invece prevalente quando nel sintagma si allude a una lesione fisica inferta al soggetto: Rime LXXXVII 22 io recevetti tal ferita / da un [Amore] ch'io vidi dentro a li occhi sui [dell'angiolella, v. 19] / ch'i' vo' piangendo (la metafora è topica nella lirica d'amore, con attestazioni in Odo delle Colonne, Pier della Vigna, G. Cavalcanti, ecc.); If XII 23 il toro... si slaccia in quella / c'ha ricevuto già 'l colpo mortale (per le possibili fonti, cfr. Aen. II 223-224; Seneca Oed. 341). E vadano qui anche gli esempi di Fiore XXXII 4 contra ciascuno star a le difese I e per donar e per ricever morte; CCV 7.
Per questa disponibilità a esprimere la disposizione del soggetto a subire l'effetto di un'azione altrui, r. regge spesso sostantivi astratti, originando così sintagmi nei quali il valore dell'oggetto prevale su quello del predicato.
Si veda Vn XII 6 la donna... ricevea da te alcuna noia, " soffriva danno " nella sua reputazione a cagione delle tue dimostrazioni d'amore; Cv II XV 6 non dee l'uomo, per maggiore amico, dimenticare li servigi ricevuti dal minore. Analogamente: r. beneficio (I XIII 2 e 3, II VI 4, IV XXI 11 [due volte]); r. diletto (III VI 9); r. fatica (Pg XII 120; qui l'effetto subito dal soggetto è il risultato di circostanze esterne); r. inganno (Cv I I 3, III 9, If XX 96, Pd IX 3); r. martirio (Vn XXXIX 4); r. onore (XXVI 12, XLI 11 6); r. paura del disnore (Cv IV XIX 10); r. salute (III Amor che ne la mente 31). Con due oggetti: r. onore e reverenza (IV XXIX 2); anche di significato antitetico: r. beneficio o vero ingiuria (II VI 4); r. non onore ma disnore (IV XXIX 6); r. gioie e noie (Fiore XLIV 7).
Sintagmi analoghi si hanno anche quando il soggetto non è un nome di persona: Pd VIII 69 'l golfo / che riceve da Euro maggior briga, " è più tempestato " (Ottimo); Vn XXXVII 5 [questo sonetto] Potrebbe... ancora ricevere più divisioni, ma sariano indarno, " potrebbe essere suddiviso in un numero maggiore di parti ". Benché non del tutto pertinenti, vadano qui anche due esempi nei quali, in armonia con la nozione aristotelica di alterazione o cangiamento, il valore del sintagma è meglio espresso dall'oggetto che non dal predicato: Cv II XIV 3 con ciò sia cosa che, dal diece in su, non si vada se non esso diece alterando con gli altri nove e con se stesso, e la più bella alterazione che esso riceva sia la sua di se medesimo... la prima che riceve è venti; III IX 11 avvegna che la stella sia sempre d'un modo chiara e lucente, e non riceva mutazione alcuna se non di movimento locale... per più cagioni puote parere non chiara e non lucente.
In rapporto alla dottrina aristotelica e neoplatonica secondo la quale agente è tutto ciò che opera producendo un effetto in una realtà detta ‛ paziente ', in modo tale che il paziente viene assimilato all'agente, r. assume un significato tecnico, corrispondente a quelli che, nel linguaggio filosofico, hanno πάσχειν in greco e dati in latino.
Esplicita conferma di questo valore si ha in Cv IV XX 7 dice lo Filosofo nel secondo de l'Anima, " le cose convengono essere disposte a li loro agenti, e a ricevere li loro atti ", che traduce Anima II 2 " Videtur... in patiente et disposito activorum inesse actio ", ulteriormente chiarito dal commento tomistico (II lect. IV n. 272): " Semper activorum actus, idest formae quae inducuntur ab agentibus in materia, videntur esse in patiente ". Con la medesima accezione tecnica ricorre in Cv III II 4 Ciascuna forma sustanziale procede da la sua prima cagione, la quale è Iddio... e non ricevono diversitade per quella, che è semplicissima, ma per le secondarie cagioni e per la materia in che discende (circa i problemi connessi con la fonte del passo, cfr. Busnelli-Vandelli, ad l., e B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca, Firenze 19672, 106). E ancora in II XIV 15, IV II 6 e 7, XXI 5 e 8 (tre volte), XXIII 5, Pg XXI 4.
Un secondo gruppo di occorrenze è offerto dai passi del Convivio nei quali è esposta la dottrina intorno al modo onde la bontà divina discende nelle creature: III VII 2 avvegna che questa bontade si muova da semplicissimo principio, diversamente si riceve, secondo più e meno, da le cose riceventi, e 5 la bontà di Dio è ricevuta altrimenti da le sustanze separate, cioè da li Angeli... e altrimenti da l'anima umana. E così III II 4 (seconda occorrenza) e 6, VI 9, 11 e 12, VII 3 (prima occorrenza) e 6.
Alla dottrina concernente la disposizione del paziente all'azione dell'agente si collegano anche altri esempi: II X 6 pietade non è passione, anzi è una nobile disposizione d'animo, apparecchiata di ricevere amore e altre caritative passioni; Pd XXIX 65 [per gli angeli] ricever la grazia è meritorio, " è conseguente al merito "; e si vedano inoltre Cv II IX 7 (prima occorrenza), IV XX 7 (prima occorrenza), Pd XIX 59.
Con la medesima accezione ricorre anche quando indica l'effetto di cause agenti nel mondo fisico: Cv IV XX 7 se una pietra margarita è male disposta, o vero imperfetta, la vertù celestiale ricever non può; e così in II IX 7 (seconda occorrenza), III III 3.
Sviluppando in tutt'altra direzione il suo significato fondamentale, e ponendo in evidenza la disposizione del soggetto, r., seguito da oggetto di persona, esprime la concessione dell'ospitalità o l'accoglimento in un determinato gruppo; con questo valore compare però solo nel Fiore: CLXXX 2 Sì de' la donna... / quando ricever dovrà quell'amante, / mostralli di paura gran sembiante; LXXXVI 13.
Nel D. canonico, invece, ricorre solo con soggetto di cosa, per esprimere la capacità a trattenere o contenere persone o cose che provengano dall'esterno: lo profondo inferno non riceve gli angeli rimasti neutrali in occasione della rivolta di Lucifero contro Dio (If III 41); pute la terra che... riceve la mescolanza di neve, pioggia e grandine che si riversano sul cerchio dei golosi (VI 12); molto larga dovrebbe essere la bigoncia / che ricevesse il sangue degli esuli ferraresi vittime del tradimento di Alessandro Novello (Pd IX 56). Di qua anche la locuzione r. lo seme, presente in Cv I III 7, IV II 7.
Per spiegare il modo con il quale la Luna aveva accolto lui e Beatrice nell'interno della sua compatta sostanza, D. si serve di una similitudine genialmente illusoria: Pd II 35 Per entro sé l'etterna margarita / ne ricevette [nel Casella ne recepette], com'acqua recepe / raggio di luce permanendo unita. Per la sua finalità di aiutare il lettore a intuire un fatto di per sé incomprensibile, l'immagine aderisce alla tecnica della poetica scolastica; ma per l'uso del verbo r. e del suo allotropo ‛ recepere ' (v. oltre) applicati ai fenomeni della luce, essa è del tutto conforme a una tendenza ampiamente attestata nel lessico dantesco.
Ogni volta, infatti, che vuole indicare la condizione di un corpo reso luminoso dalla luce proveniente da un'altra sorgente, D. si serve del verbo r.: Cv III XIV 3 lo sole... reduce le cose a sua similitudine di lume, quanto esse per loro disposizione possono da la [sua] virtude lume ricevere (dove, anzi, proprio per la presenza di r., è possibile percepire un richiamo implicito alla dottrina degli effetti prodotti sulla realtà paziente da un agente); e così II IX 5, III IV 2 (dove però la locuzione ha senso metaforico), V 21, VII 3 (seconda occorrenza) e 4 (due volte).
R. può quindi essere usato anche come sinonimo di " percepire " uno stimolo esterno qualsiasi: Cv I I 3 quando le parti [del corpo] sono indebitamente disposte... nulla ricevere può, sì come sono sordi e muti e loro simili; Pg XXVIII 17 li augelletti... / con piena letizia l'ore prime, / cantando, riceviano intra le foglie (né, agli effetti di una definizione semantica del verbo, importa qui precisare quale sia il valore di ore). Più frequentemente esprime l'idea che un ascoltatore presta vigile attenzione a ciò che ode e si dispone a serbarne con cura il ricordo: Cv II XIII 24 sl è l'anima intera, quando... ode [la musica], e la virtù di quasi tutti corre a lo spirito sensibile che riceve lo suono; Pg XXV 35 Se le parole mie, j figlio, la mente tua guarda e riceve...; altri due esempi in Cv IV II 8.
Dopo aver affermato che la fama buona è generata dalla mente di un amico, per mostrare come essa cresca passando di bocca in bocca, D. aggiunge che la seconda mente che ciò riceve... a la dilatazione de la prima sta contenta (Cv I III 9); qui il verbo sembra usato con il valore di " avere notizia di una cosa ", " esserne informato ", e lo stesso accade in IV 11 l'uomo buono dee la sua presenza dare a pochi... acciò che 'l nome suo sia ricevuto, ma non spregiato (B. Cordati interpreta sia ricevuto come " conosciuto "). Altri esempi, dove però all'idea della semplice conoscenza si unisce quella di un apprezzamento positivo, si hanno in II 14, IV II 16.
Unico esempio di lezione controversa è quello di Cv IV XIII 8 nel primo de l'Etica [Aristotele] dice che " 'l disciplinato chiede di sapere certezza ne le cose, secondo che [ne] la loro natura di certezza si riceva ". L'integrazione è un'aggiunta congetturale proposta dalla '21 e accolta anche da Busnelli-Vandelli. Nel commento invece si dimostra una certa propensione a correggere in che da loro natura... si riceva o, addirittura, in che la loro natura in sé riceva, correzioni, queste, che il commentatore giudica più corrispondenti al testo aristotelico (Eth. Nic. I 2, 1094b 25 " inquantum rei natura recipit "). Da parte sua, la Simonelli torna risolutamente alla tradizione manoscritta (che la loro natura... si riceva), mossa dalla convinzione che il si possa considerarsi o pleonastico o atto a tradurti il " patitur " che si legge nel commento tomistico al passo dell'Etica aristotelica. B. Nardi invece (Dal Convivio alla Commedia, Roma 1960, 79) accetta la correzione del Witte, che aveva stampato che la loro natura di certezza riceva. Quale che sia il testo adottato, il significato del passo non muta: " colui che studia deve chiedere di conoscere le cose nella loro verità, secondo quella verità che le cose stesse possiedono ". Per ulteriori notizie, cfr. Busnelli-Vandelli, ad l., l'appendice del Quaglio (II 520) e i Contributi della Simonelli, in " Studi d. " XXXII (1954) II 126 ss.
La forma ‛ recepere ' compare in tre passi dottrinari della Commedia e mira a imprimere gravità al dettato con la sua struttura fonetica, più vicina al latino " recipere " di quella del normale " ricevere ".
È riferito al fenomeno dell'acqua che " accoglie " un raggio di luce entro la propria massa: Pd II 35 Per entro sé l'etterna margarita [la Luna] / ne ricevette [ne recepette nel Casella], com'acqua recepe / raggio di sole permanendo unita. Quando Beatrice, con arduo discorso, chiarisce a D. che la luce di Dio penetra negli angeli in misura diversa l'uno dall'altro, il verbo, mentre assolve con estrema puntualità alla funzione didattica del passo, ne eleva il tono lirico dando il senso di una realtà precisa e insieme infinita: Pd XXIX 137 La prima luce, che tutta la raia, / per tanti modi in essa si recepe, / quanti son li splendori a chi s'appaia. Probabilmente il participio ‛ ricetto ' sarà da riferirsi più a ‛ recepere ' che a ‛ ricevere ': è usato una sola volta con riferimento alla sfera delle esperienze sensoriali: la mente di D. era talmente intesa alla visione di esempi di iracondia punita, che di fuor non venìa / cosa che fosse allor da lei ricetta (Pg XVII 24), cioè " percepita ".
Per descrivere il fragore con cui le acque del Flegetonte si riversano per una ripa scoscesa nell'ottavo cerchio, D. paragona la cascata del fiume infernale a quella che fa il Montone, presso San Benedetto dell'Alpe nell'Appennino emiliano: Come quel fiume... / rimbomba là sovra San Benedetto / de l'Alpe per cadere ad una scesa / ove dovea [dovria nella '21 ] per mille esser recetto... (If XVI 102).
Il passo riusciva oscuro già ai più antichi commentatori del poema, come comprovano l'incertezza della tradizione manoscritta e gli emendamenti proposti da Pietro e dal Buti (v. Petrocchi, ad l.). Tra i commentatori moderni, il Torraca, il Del Lungo e il Sapegno intendono ove per " laddove " avversativo e spiegano: " invece il fiume dovrebbe esser ricevuto non da una, ma da mille scese, e non rimbomberebbe così ". Altri invece (Mattalia) riferiscono ove a San Benedetto e vedono nel verso 102 un'allusione allo spopolamento di quel monastero, segno di diradatesi vocazioni alla vita monastica; altri ancora (Scartazzini-Vandelli; Bassermann, Orme 187 ss.) vi scorgono un accenno ironico alla grassezza delle rendite del monastero, illecitamente godute da pochi monaci; il Chimenz accoglie l'interpretazione escogitata dal Boccaccio, da Benvenuto e dall'Anonimo, secondo la quale D. alluderebbe a un progetto vagheggiato dai conti Guidi di costruire là un forte castello, capace di accogliere gran numero di persone. Secondo queste interpretazioni, ove sarebbe avverbio di luogo e recetto sostantivo con il significato di " alloggio ", " luogo di ricovero ". Il Petrocchi, pur considerando più accettabile la prima interpretazione, ritiene possibile che recetto sia un sostantivo; il verso tormentatissimo dovrebbe quindi essere spiegato " laddove doveva essere vaso, letto sufficiente per mille fiumi ".
‛ Recetto ' occorre nella canzone Morte, poich'io non truovo a cui mi doglia (v. 20), attribuita a D. anche dalla Giuntina e dal Fraticelli, ma ormai concordemente assegnata a Iacopo Cecchi (cfr. N. Sapegno, Poeti minori del Trecento, Milano-Napoli 1952, 181-182, 1143).