Brooks, Richard
Nome d'arte di Ruben Sax, scrittore, sceneggiatore e regista cinematografico statunitense, di origine russa, nato a Philadelphia il 18 maggio 1912 e morto a Los Angeles l'11 marzo 1992. Virtuoso della parola, B. si affermò nel corso della sua carriera come autore completo e attento alle qualità specifiche del linguaggio cinematografico al cui rinnovamento contribuì ininterrottamente dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta. Le profonde convinzioni democratiche, la costante attenzione rivolta alle oscure trame politiche, ai problemi relativi alla comunicazione e all'implicita responsabilità dei media, non stemperarono il cinismo e l'ironico pessimismo che percorrono tutte le sue opere, per lo più memorabili, in cui seppe conciliare le qualità dei dialoghi, agili e icastici, con quelle di una messa in scena caratterizzata dalla scelta di angoli di ripresa pregnanti. Nel 1961 vinse l'Oscar per la sceneggiatura non originale e la regia di Elmer Gantry (1960; Il figlio di Giuda).
Dopo essersi laureato alla Temple University, nel 1934 iniziò a lavorare come cronista sportivo, per diventare nel 1936 commentatore e programmista radiofonico alla NBC di New York, sviluppando una sempre maggiore propensione creativa. Si trasferì quindi nel 1941 a Hollywood dove, prima di essere arruolato nel corpo dei marines, iniziò la sua attività di dialoghista e sceneggiatore con due convenzionali film esotici interpretati da Maria Montez, White savage (1943; Selvaggia bianca) e Cobra woman (1944; Il cobra) di Robert Siodmak. Successivamente B. scrisse il suo primo romanzo, The brick foxhole (1945), da cui fu tratto Crossfire (1947; Odio implacabile) di Edward Dmytryk, e collaborò alle sceneggiature di alcuni grandi capolavori del noir duro, realistico e progressista dell'immediato dopoguerra quali The killers (1947; I gangsters), sempre di Siodmak, Brute force (1947; Forza bruta) di Jules Dassin e Key Largo (1948; L'isola di corallo) di John Huston. Ancora di rilievo nella sua carriera furono altri due romanzi, The boiling point (1948) e in particolare The producer (1951), in cui è facile riconoscere la controversa figura del produttore hollywoodiano Mark Hellinger, anche se nel 1950 era già iniziato il suo importante e duraturo percorso di regista con Crisis (La rivolta). Ma fu solo con Deadline ‒ U.S.A. (1952; L'ultima minaccia), superba apologia di un ormai tramontato modello rooseveltiano di giornalismo incorruttibile e controcorrente, che B. si impose come cineasta di talento, degno delle sue già note qualità di sceneggiatore. Seguirono poi The blackboard jungle (1955; Il seme della violenza), prototipo tutt'altro che datato di un intero filone incentrato sulle componenti sociologiche e antropologiche alla base dei difficili rapporti tra insegnanti e alunni violenti; The last hunt (1956; L'ultima caccia), intelligente western revisionista e filoindiano; il premiato Elmer Gantry, potente ritratto chiaroscurale di un eccentrico predicatore ciarlatano; The professionals (1966; I professionisti), romantica e disillusa elegia della rivoluzione sostenuta da individui senza scrupoli; In cold blood (1967; A sangue freddo), analisi impietosa dei meccanismi crudeli della violenza individuale e civile che conducono alla brutale e inutile condanna a morte inflitta dal sistema garantista. Anche negli anni Settanta e Ottanta B. non cessò mai di sorprendere, come stanno a dimostrare l'amorale parabola sulla furfantesca rapacità umana di Dollars (1971; Il genio della rapina), l'originale western animalista Bite the bullet (1975; Stringi i denti e vai!), l'algido racconto di una sventurata solitudine femminile di Looking for Mr. Goodbar (1977; In cerca di Mr. Goodbar) e il profetico ma trascurato thriller fantapolitico Wrong is right, noto anche come The man with the deadly lens (1982; Obiettivo mortale), dove la dietrologia della politica statunitense in Medio Oriente, capitalizzata dai network, scatena una serie di attentati terroristici che hanno come obiettivo il World Trade Center e l'intera città di New York. Questo regista colto, versatile e imprevedibile, più provocatorio che accattivante, si sentì sempre stimolato e persino attratto per i suoi film da testi preesistenti e da autori molto impegnativi, da F.S. Fitzgerald (The last time I saw Paris, 1954, L'ultima volta che vidi Parigi) a T. Williams (Cat on a hot tin roof, 1958, La gatta sul tetto che scotta, e Sweet bird of youth, 1962, La dolce ala della giovinezza), da F.M. Dostoevskij (The brothers Karamazov, 1958, Karamazov) a S. Lewis (Elmer Gantry), da J. Conrad (Lord Jim, 1965) a P. Chayefsky (The catered affair, 1956, Pranzo di nozze) e T. Capote (In cold blood). Si dedicò quindi anche alle trasposizioni letterarie e teatrali senza alcun complesso di inferiorità, conservando intatto lo spirito critico necessario ad affrontare questioni di vasta portata storica, civile e sociale, senza rinunciare a far esplodere le laceranti contraddizioni morali, culturali e professionali insite negli slanci ideali degli eroi della sua inimitabile galleria umana.