RICHINI (o Richino, Ricchini, Righini)
Famiglia di architetti e ingegneri milanesi, che operarono dalla fine del sec. XVI a tutto il XVIII. Ne fu capostipite Bernardo (nato circa il 1549, morto nel 1639), ingegnere militare al servizio di Spagna, che insegnava l'arte sua in una scuola o accademia frequentata dall'aristocrazia lombarda e da ufficiali italiani e stranieri; fra questi lo spagnolo Lechuga, autore di un noto trattato di materia militare. Dopo aver frequentato la scuola paterna, Francesco Maria (nato a Milano il 13 febbraio 1584, morto ivi il 24 aprile 1658), lavorò qualche tempo sotto la disciplina del barnabita padre Lorenzo Binago (v. binago), finché il cardinale Federico Borromeo, che lo aveva preso a ben volere, lo inviò a Roma a compiere la sua educazione artistica. Al suo ritorno, nel 1603, dedicò al suo protettore un primo disegno per il compimento della fronte del duomo, poi disegni per la Biblioteca Ambrosiana (ma furono preferiti i piani di Lelio Buzzi). Eletto nel 1605 "capomastro del duomo" disegna il sepolcro di Carlo Borromeo, e presenta poi altri disegni e proposte per la facciata. Nel 1607 dà inizio alla costruzione della chiesa di S. Giuseppe, poco dopo alla basilica di S. Giovanni Battista a Busto Arsizio. Esperimenta la gelosia dei rivali meno fortunati, riuscendo solo nel 1611 a ottenere l'ammissione al collegio degl'ingegneri e architetti, vivacemente a lui contrastata e già negata al padre Bernardo. Da questo momento la fortuna lo assiste e beneficiando della protezione del governo spagnolo, come di quella del cardinale arcivescovo, è presente in qualunque impresa d'architettura appena importante che si inizii o si svolga in Lombardia. Attese alla ricostruzione di una serie di chiese di origine vetusta, a cui nel fervore della Controriforma si voleva conferire ampiezza e dignità maggiori. Ma poco è rimasto, oltre al ricordo, delle chiese di S. Maria di Loreto, di S. Uldrico alle Cinque vie, di S. Eusebio, di S. Lazzaro alla Pietra Santa, di S. Vittore al Teatro, di S. Bartolomeo a Porta Nuova e di altre. Tali costruzioni, condotte con innegabile abilità, erano tuttavia di scarso valore artistico, risentendo dell'affrettata esecuzione e della scarsità dei mezzi disponibili in una città immiserita dal malgoverno e dalle pubbliche calamità. Tipica, a questo riguardo, la chiesa di S. Vito al Carrobbio o l'interno di S. Giorgio al Palazzo.
Meditò la demolizione e il rifacimento, nelle pompose forme del tempo, della basilica di S. Ambrogio; la proposta fortunatamente non fu accolta, e il R. limitò la sua opera ad alcuni restauri, che, almeno nell'atrio, si presentano condotti con inaspettata intelligenza delle caratteristiche architettoniche del tempio.
Maggiore interesse presentano le sue architetture civili: il rifacimento del palazzo Annoni, del palazzo Durini, la fronte del Collegio Elvetico e il palazzo di Bartolomeo Arese, che nel 1649 ospitò la regina di Spagna. All'Ospedale Maggiore fece il suntuoso edificio d'ingresso, la chiesa e il bel cortile, al seminario arcivescovile il pittoresco arco d'ingresso, alla Certosa di Pavia lavori varî. Attese in pari tempo, a lavori molteplici di carattere militare, operando al Castello e ai bastioni di Milano, ai forti di Alessandria e di Tortona, alla piazza di Fontanella, al castello di Como e altrove.
L'esercizio fortunato della professione gli aveva conferito ormai largo censo, cosicché, quando ebbe incarico della fabbrica di S. Giovanni Decollato e poi, nel 1648, degli adattamenti del palazzo regioducale per la venuta della regina Maria Anna d'Austria, sposa a Filippo IV, egli poté anticipare i fondi necessarî, e per quest'ultima opera fu compensato con la cessione di alcuni fondi camerali. L'opera maggiore di F. M. Richini fu il palazzo di Brera, a cui pose mano fin dal 1615: nel vasto cortile svolse felicemente il motivo lombardo del loggiato a due ordini sovrapposti su colonne binate. Lui morto, i lavori vennero continuati dal figlio Gio. Domenico e dal Rossone.
Conoscitore profondo dei mezzi dell'arte sua, il R. risolve da maestro, particolarmente nelle costruzioni religiose, i problemi dello spazio e della luce: importa nel Milanese le forme esuberanti e fortemente chiaroscurate, che erano maturate a Roma, per opera anche di maestri lombardi, agli albori del Seicento. Ma nelle sue opere migliori sembra piegare a un ritmo più semplice ed austero, di cui una forte corrente artistica lombarda, influenzata dal Palladio, attraverso il Meda e il Mangone, aveva conservato la tradizione fino ai tempi suoi.
Dei figli di F. M., il maggiore, Celso Bernardo, autore della demolita chiesa di S. Marta, morì l'anno seguente al padre (1659), il minore Gio. Domenico (nato nel 1618, morto l'11 giugno 1701), continuò le numerose opere lasciate interrotte dal padre e particolarmente il palazzo di Brera, in collaborazione cogli architetti Quadrio e Rossone, e la chiesa di S. Giovanni Decollato: il bel cortile della canonica può riguardarsi interamente opera sua. Nelle scarse sue opere originali le forme si fanno più sciolte e meno grevi, secondo i caratteri del tempo.
Lo studio dei Richini, dedito quasi per intero dopo la morte di Gio. Domenico all'ingegneria militare e civile, continua ancora per oltre un secolo attraverso la sua discendenza finché questa si spegne, agli ultimi del secolo XVIII con Giuseppe, pronipote di Gio. Domenico.
Bibl.: F. Argelati, Bibliotheca scriptorum mediolanensium, Milano 1795; G. Borsieri, Supplemento della nobiltà di Milano, ivi 1619; A. Ceruti, La chiesa di S. Giovanni alle Case Rotte, in Arch. stor. lomb., I (1874), p. 170; L. Beltrami, F. M. R. autore di un progetto per la facciata del duomo di Milano rimasto sconosciuto, Milano 1906; P. Mezzanotte, Di alcuni disegni inediti di F. M. R., ivi 1914; P. Arrigoni, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVIII, Lipsia 1934 (con ampia bibl.).