Abstract
Sia la legge di riforma di diritto internazionale privato che il diritto uniforme europeo convergono sul principio del riconoscimento automatico di sentenze straniere in materia civile e commerciale. Tale indicazione - che segna un deciso superamento della teoria dualista all'origine della tradizionale procedura di delibazione - riflette un'esigenza di armonia di regolamentazione nello spazio anche per rispetto del diritto acquisito dal privato con la decisione a lui favorevole. Il diritto uniforme europeo conferisce però al principio in esame una maggiore portata sia per la tipologia di provvedimenti interessati, sia per la profondità applicativa allorché stabilisce l'equivalenza tra titoli esecutivi di Stati membri. Parimenti si affievoliscono nel diritto uniforme europeo le condizioni ostative al riconoscimento ed all'efficacia di decisioni straniere, come anche le opportunità procedurali per farle valere.
Nel diritto internazionale privato, quale emerge dalla tradizione italiana e dal diritto uniforme europeo, il fine della certezza delle situazioni giuridiche nello spazio viene perseguito principalmente attraverso due distinti ed autonomi percorsi che talora possono anche risultare complementari.
La prima soluzione è la determinazione del diritto applicabile ad opera del giudice del foro secondo le proprie norme di diritto internazionale privato. Indipendentemente se nazionali o di diritto uniforme, queste norme sono deputate a definire – in modo obiettivo e tendenzialmente predeterminato – il diritto applicabile alla fattispecie, attingendolo se del caso da un ordinamento straniero richiamato. Con determinati accorgimenti, la localizzazione della fattispecie nello spazio può essere resa flessibile tramite la formulazione di circostanze di collegamento che permettono di individuare una regolamentazione la più aderente possibile alle caratteristiche di una specifica situazione o al tipo di interessi che vi sono sottesi. In modo sempre più diffuso, l’obiettivo della uniformità viene meglio perseguito favorendo la scelta della legge ad opera dei privati, di modo che il diritto applicabile non risulti controverso.
Una seconda soluzione, che meglio si attaglia all’obiettivo dell’uniformità di regolamentazione nello spazio, è di rimetterla del tutto al modo in cui la situazione sia già stata concretamente regolata da uno Stato straniero, in specie con sentenza. Se sussistono le condizioni che verranno di seguito esaminate, opera nell’ordinamento italiano il principio del riconoscimento automatico della sentenza straniera o di un provvedimento ad essa equivalente secondo quanto stabilito negli artt. 64 ss. della legge di riforma di diritto internazionale privato (l. 31.5.1995, n. 218). La determinazione giudiziale avvenuta in uno Stato estero resa efficace nell’ordinamento italiano quale foro richiesto può benissimo essere stata adottata nell’ordinamento di origine in base ad un diritto materiale diverso da quello che avrebbe potuto richiamare il giudice italiano in ragione delle proprie norme di diritto internazionale privato. Tuttavia la decisione straniera, espressione di una funzione giurisdizionale sovrana (e ciò ovviamente non vale per le sentenze canoniche o i lodi arbitrali), viene ugualmente assunta come strumento di regolamentazione della fattispecie ed espressione di certezza del diritto perché questa è comunque già acquisita in un ordinamento straniero a seguito di una procedura a ciò preposta. I vantaggi che nel foro richiesto l’avente diritto acquisisce sulla base di un titolo giuridico straniero discendono altresì dal vincolo costituzionale ed internazionale sul giusto processo, il quale include per l’avente diritto l’efficacia di provvedimenti giudiziari anche se riconducibili ad una giurisdizione statale estranea. Costituendo un diritto fondamentale della persona, il rispetto della sentenza straniera nel foro richiesto non può essere subordinato ad una condizione di reciprocità secondo che il provvedimento riguardi cittadini dello Stato richiesto o stranieri. Il ‘principio personalista’ dell’ordinamento si espande quindi sul diritto processuale civile internazionale, a tal punto da flettere la logica dualista tradizionale, affermatasi nell’ordinamento italiano oltre un secolo fa, che escludeva qualunque rilevanza della sentenza straniera nel foro richiesto se questa non fosse stata preventivamente ‘delibata’ ad opera dell’autorità giudiziaria italiana. Nella misura in cui si rimette alla decisione straniera la regolamentazione materiale della fattispecie, si comprime tanto la funzione legislativa quanto quella giurisdizionale del foro richiesto. Il diritto nazionale modula in vario modo il grado di apertura verso le sentenze straniere. In base al combinato disposto degli artt. 64 e 67, l. n. 218/1995, il diritto italiano limita il riconoscimento automatico alle sentenze straniere rispettose di determinate condizioni ed ai soli effetti inerenti all’accertamento del diritto contenuto nel titolo mentre il suo utilizzo per l’esecuzione forzata richiede l’autorizzazione preventiva del giudice nazionale.
Una decisa semplificazione tanto delle condizioni che delle procedure per l’efficacia di decisioni straniere – e dunque un maggior indice di libera circolazione delle stesse – si riscontra nei rapporti tra Stati tra i quali vige una reciproca fiducia sull’esercizio della funzione giurisdizionale. Per incrementare la certezza del diritto nello spazio, lo Stato si vincola con obblighi sul mutuo riconoscimento di sentenze ed altri provvedimenti giudiziari fino a configurare all’interno della UE un vero e proprio ‘spazio giudiziario’ integrato. Lo sviluppo è stato avviato inizialmente con la Convenzione di Bruxelles del 1968 e le successive convenzioni di modifica concluse con gli Stati membri di nuova adesione, quindi con vari regolamenti nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile sulla base della competenza rimessa alla CE prima (art. 65 TCE) e quindi alla UE ora (art. 81 TFUE). Su questa base giuridica la disciplina uniforme convenzionale è stata ripresa e modificata dal reg. CE n. 44/2001 (‘Bruxelles I’) poi sostituito dal reg. UE n. 1215/2012 (‘Bruxelles I-bis’), che sarà pienamente applicabile dal 10.1.2015 ed al quale si farà di seguito riferimento. La disciplina regolamentare è intesa in una logica di continuità con la stessa Convenzione di Bruxelles (considerando n. 34 del reg. n. 1215/2012); questa resta tuttora in vigore limitatamente ai territori d’oltremare (considerando n. 9 del reg. n. 1215/2012). Il reg. n. 1215/2012 (che opera per tutti gli Stati membri, anche se per la Danimarca occorre una specifica procedura nazionale: v. Accordo tra la Comunità europea e il Regno di Danimarca concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, in GUUE, 21.3.2013, n. L-79, 4) si applica in generale alla circolazione di sentenze e provvedimenti stranieri in materia civile e commerciale, con esclusione di determinati settori indicati nell’art. 1. Per alcuni di essi già sono stati adottati specifici atti: il reg. CE n. 1346/2000 per l’insolvenza, il reg. CE n. 2201/2003 in materia familiare, il reg. CE n. 4/2009 per gli alimenti, il regolamento UE n. 650/2012 per le successioni. Vi sono numerose affinità tra questi strumenti di settore e la disciplina generale ora rappresentata dal reg. n. 1215/2012. Per tutti opera il principio del riconoscimento automatico delle decisioni straniere, ancorché nel rispetto di talune condizioni.
I vari atti uniformi di diritto derivato europeo presentano un diverso grado di ‘profondità’ del riconoscimento automatico. Il reg. n. 1215/2012, innovando radicalmente rispetto al precedente reg. n. 44/2001, conferisce direttamente valenza esecutiva alla sentenza straniera di uno Stato membro se questa già lo sia nel suo ordinamento di origine. Simile orientamento, che comprime notevolmente la sovranità processuale dello Stato richiesto, è stato introdotto inizialmente dal reg. n. 2201/2003 limitatamente ai provvedimenti sul diritto di visita e sul ritorno del minore. Successivamente questa formula è stata utilizzata da tre regolamenti che rientrano nel campo di applicazione materiale della disciplina generale in materia civile e commerciale, vale a dire l’attuale reg. n. 1215/2012. Si tratta del reg. CE n. 805/2004 per crediti non contestati, del reg. CE n. 1896/2006, che disciplina il procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento sempre per crediti pecuniari non contestati, e del reg. CE n. 861/2007 che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità. La loro applicazione è sempre subordinata al carattere transfrontaliero della controversia, che si verifica allorquando una delle parti sia domiciliata o residente in uno Stato diverso da quello ove si è attivata la procedura. La disciplina processuale indicata in tali atti è incentrata su un rito sommario, seguendo due distinte tecniche. Il reg. n. 805/2004 è stato adottato in base al criterio delle ‘norme minime’, assumendo come equivalenti formule diverse previste nel diritto comune dei singoli Stati membri. I reg. n. 1896/2006 e n. 861/2007 seguono invece il modello del diritto uniforme stabilendo un vero e proprio ‘rito’ di diritto europeo. Comune ai tre regolamenti in questione è la loro applicazione su istanza del privato interessato in alternativa ai consueti modelli nazionali ma con i vantaggi correlati in fase di esecuzione anche rispetto alla più recente disciplina uniforme di portata generale. In altri termini, l’utilizzo in chiave supplementare della disciplina europea costituisce una facoltà dell’attore. Il provvedimento che accoglie la pretesa attoriale è immediatamente esecutivo nello Stato di origine e lo diventa anche nello spazio giudiziario europeo assimilandolo a decisioni nazionali dello Stato richiesto aventi pari efficacia esecutiva. Il regolamento n. 1215/2012 ha invece natura cogente (considerando n. 6) e il valore di titolo esecutivo per la sentenza straniera si fonda, in modo però solo parzialmente affine con il reg. n. 805/2004, su una presunta equivalenza dei sistemi processuali nazionali, né ha soppresso – a differenza dei tre regolamenti richiamati – l’eventuale ricorso ad una autonoma procedura di accertamento circa la sussistenza delle condizioni ostative all’efficacia del provvedimento nel foro richiesto (art. 45, § 4).
Al quadro alquanto articolato del diritto uniforme europeo si aggiungono le soluzioni autonome del diritto nazionale applicabile in via residuale. Ciò non impedisce tuttavia di configurare una certa unità sistemica della normativa di volta in volta applicabile all’efficacia di sentenze straniere. Infatti, oltre ai casi in cui il diritto comune è chiamato ad integrare funzionalmente il diritto uniforme europeo (v. infra, § 7), il condiviso principio del riconoscimento automatico delle sentenze straniere resta il valore assiologico unitario, facilitando il coordinamento tra norme di origine diverse.
Dal principio del riconoscimento automatico delle sentenze straniere discende – sia nel diritto comune che in quello uniforme – la presunzione di efficacia che accompagna la decisione straniera di modo che le condizioni ostative vanno intese alla stregua di eccezioni da interpretare in senso restrittivo. A prescindere dal diverso grado di apertura che le diverse discipline applicabili configurano per il riconoscimento automatico di sentenze straniere, ne va determinata preliminarmente la stessa natura del provvedimento per ricavarne gli effetti diretti nell’ordinamento del foro richiesto. Se si escludono le norme uniformi contenute nei reg. n. 1896/2006 e n. 861/2007, i singoli sistemi statali di procedura civile determinano in modo sovrano le regole del rito attraverso cui si perviene ad accertare il diritto e dalle quali discende una determinata conformazione del ‘prodotto’ giudiziario. Perciò il riconoscimento automatico e ancor più l’efficacia direttamente esecutiva di una sentenza o di un provvedimento giudiziario straniero obbligano lo Stato del foro richiesto a confrontarsi con l’ordinamento d’origine di quell’atto: dal raffronto tra i due sistemi possono emergere differenze anche rilevanti che vanno però composte nel rispetto del principio del riconoscimento automatico. Pertanto queste divergenze non possono essere composte unilateralmente evocando un conflitto di qualificazioni nel quale si premi inevitabilmente il modello legeforistico dello Stato richiesto. Tale approccio aveva senso e coerenza nella logica dualista tradizionale, in base alla quale è l’ordinamento dello Stato richiesto che dà rilevanza alla sentenza straniera assumendola come propria ed al limite «incorporandola» nel proprio ordinamento (Trib. Napoli, 8.11.1913, in Giur. It., 1914, I, I, 7 ss.). La tecnica del riconoscimento automatico preclude una simile incorporazione ed impone invece di valutare il prodotto giudiziario straniero quale esso è nel suo ordinamento di origine, salvo poi precluderne l’efficacia nel foro richiesto per mancanza di una o più condizioni richieste. È un fenomeno parallelo a quanto si riscontra per il rinvio al diritto materiale straniero, da interpretare secondo l’ordinamento d’origine (artt. 14 e 15, l. n. 218/1995).
L’art. 64, lett. d), l. n. 218/1995, richiama la condizione di «giudicato». La terminologia legeforistica va necessariamente modulata in relazione a decisioni emesse in ordinamenti stranieri che ignorano talora la stessa nozione di giudicato (formale o sostanziale che sia). Pertanto si deve intendere la condizione richiamata nel senso che le sentenze pronunciate dal giudice straniero devono essere definitive, vale a dire con tendenza all’immutabilità, in modo da considerarle equivalenti al giudicato nazionale. L’art. 65 della stessa legge fa altresì riferimento al riconoscimento automatico di provvedimenti stranieri pronunciati – in tema di capacità delle persone, rapporti di famiglia o diritti della personalità – da autorità dell’ordinamento la cui legge sarebbe stata richiamata per regolare la medesima fattispecie nell’ordinamento italiano. Poiché – come si vedrà più avanti – si tratta di una tecnica di riconoscimento di natura complementare all’art. 64, analoga deve essere la natura del provvedimento straniero evocato, vale a dire che questo deve avere carattere definitivo. Al di fuori dei provvedimenti di giurisdizione volontaria (art. 68), il diritto comune esclude dal riconoscimento automatico decisioni di merito non definitive, benché provvisoriamente esecutive all’estero, nonché i provvedimenti cautelari stranieri. L’unica eccezione al riguardo sembra costituita dall’art. 669 novies, co. 3, n. 2, c.p.c., che indica quale condizione di inefficacia del provvedimento cautelare emesso nel foro la sopravvenuta pronuncia di una sentenza straniera, anche non passata in giudicato, che dichiari «inesistente il diritto per il quale il provvedimento era stato concesso».
Un simile filtro sulla tipologia di provvedimento straniero è meno rigoroso nel diritto uniforme europeo. Questo richiede la condizione esecutiva del provvedimento nell’ordinamento di origine. L’esecuzione potrebbe essere semplicemente a titolo provvisorio se la decisione sia ancora suscettibile di impugnazione. Il diritto europeo – a differenza del diritto comune – estende il regime di riconoscimento automatico ai provvedimenti di natura cautelare, in specie se adottati dal giudice competente a decidere nel merito (considerando n. 33, reg. n. 1215/2012).
Una condizione tradizionalmente evocata in sede di delibazione delle sentenze straniere è rappresentata dalla cd. ‘competenza internazionale’del giudice straniero che l’abbia pronunciata, vale a dire che avesse titolo giustificativo per l’esercizio della giurisdizione nel caso concreto. Dovendo individuare parametri obiettivi e prevedibili in mancanza di regole universalmente accettate tra gli Stati, la legislazione comune utilizza in chiave ‘estroversa’ i criteri di competenza giurisdizionale operanti per il giudice italiano. Pertanto la soluzione riproposta dall’art. 64, lett. a), della legge di riforma è che il giudice straniero possa «conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano». Questo ‘effetto specchio’ opera a prescindere dalla circostanza che il titolo di giurisdizione obiettivamente giustificativo della competenza internazionale sia stato quello concretamente utilizzato dal giudice straniero ovvero che coincida astrattamente con regole sulla competenza precostituite nell’ordinamento d’origine. L’art. 65 della legge di riforma utilizza un diverso parametro perché richiama la competenza «materiale» dell’ordinamento straniero in cui sia stato adottato o reso efficace un determinato provvedimento nelle materie ivi indicate. È il cd. ‘richiamo internazionalprivatistico’: in questi casi la determinazione della competenza dell’autorità straniera avviene in base alle norme di conflitto dell’ordinamento italiano quale foro richiesto a prescindere dai meccanismi giurisdizionali su cui si fonda l’adozione del provvedimento nell’ordinamento di origine, di modo che l’art. 65 opera anche in relazione a provvedimenti adottati in ordinamenti di Stati terzi e già produttivi di effetti nell’ordinamento straniero materialmente competente.
Il diritto uniforme europeo ignora quest’ultimo metodo di coordinamento. In compenso, il clima di reciproca fiducia operante all’interno dell’UE allenta la verifica da parte del giudice richiesto sulla competenza giurisdizionale dell’autorità straniera che ha emanato la sentenza o un provvedimento affine. Il controllo sulla giurisdizione è tassativamente escluso per i provvedimenti che rientrano nella tipologia del titolo esecutivo europeo. L’art. 45 § 2, lett. e), reg. n. 1215/2012 legittima il giudice del foro richiesto a verificare se sia stata violata la disciplina uniforme sulla competenza giurisdizionale solo per i cd. regimi esaustivi a tutela del contraente debole e per i fori esclusivi di natura oggettiva (Giurisdizione in materia civile e commerciale). Il carattere largamente incondizionato della competenza giurisdizionale originaria nello spazio giudiziario europeo si consegue in forza di due condizioni: per un verso, la disciplina uniforme sui criteri giurisdizionali e, per un altro, il controllo operato dall’autorità adita nell’ordinamento di origine del provvedimento. Il modo in cui il giudice dell’ordinamento di origine abbia apprezzato la propria competenza rileva anche in relazione a sentenze straniere che siano state pronunciate nelle materie oggetto del reg. n. 1215/2012 ma sulla base di un foro esorbitante nazionale perché il convenuto è domiciliato all’estero (art. 6 e considerando n. 27 del regolamento). Pertanto l’autorità dello Stato richiesto «è vincolata dall’accertamento dei fatti sul quale l’autorità giurisdizionale d’origine ha fondato la propria competenza» (art. 45, § 2, reg. n. 1215/2012). Di conseguenza, il giudice richiesto non può valutare fatti nuovi o evocare la clausola dell’ordine pubblico (art. 45, § 3, reg. n. 1215/2012), anche se «il giudice dello Stato d’origine abbia fondato, a torto, … la propria competenza» (C. giust., 28.3.2000, C-7/98, Krombach, § 33).
Il principio del riconoscimento automatico di sentenze straniere opera nel presupposto che le autorità giurisdizionali straniere abbiano pronunciato una sentenza nel rispetto delle garanzie processuali fondamentali ed in specie dei diritti essenziali di difesa secondo l’ordinamento del foro richiesto. Si è in sostanza di fronte al cd. ‘ordine pubblico processuale’, dal momento che il giudice richiesto deve avere ben presente la necessità di preservare il rispetto delle garanzie processuali fondamentali in relazione a decisioni estranee. La garanzia del giusto processo va verificata a partire dalla costituzione del rapporto processuale e, quindi, considerando la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio o di atto equivalente. Diverso è però il modo di far valere il rispetto dei diritti di difesa del convenuto. L’art. 64, lett. c), della legge di riforma richiede la regolarità formale dell’atto di notificazione in base all’ordinamento d’origine, lasciando implicitamente intendere che il convenuto – anche non contumace – deve poterne avere avuto conoscenza in un tempo utile per preparare la sua difesa. La disciplina uniforme europea si limita a considerare la condizione del convenuto che sia stato condannato in contumacia. Al riguardo non rileva che la citazione a comparire in giudizio sia stata notificata in modo formalmente irregolare: va solo verificato che il convenuto contumace ne abbia avuto effettiva conoscenza «in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese eccetto qualora, pur avendone avuto la possibilità, egli non abbia impugnato la decisione» (art. 45, § 1, lett. b, reg. n. 1215/2012). L’approccio del diritto uniforme europeo è quindi doppiamente restrittivo in considerazione sia della specifica circostanza processuale – la contumacia – in cui è possibile operare un simile controllo, sia del solo parametro funzionale di cui tener conto al fine di stabilire se la notificazione abbia ugualmente conseguito il suo scopo.
Diritto comune e diritto uniforme europeo convergono invece sulla valutazione della congruità temporale con cui la notificazione va comunicata. Il giudice richiesto svolge tale verifica in modo autonomo sia dalla legge processuale straniera sia dalla lex fori avendo presente le sole caratteristiche del caso concreto (Salerno, F., Principio del contraddittorio e riconoscimento di sentenze straniere, in Riv. dir. int., 1979, 93 ss.). L’esito dipende dai parametri sostanziali di giustizia processuale del foro richiesto quali costituenti espressioni di ordine pubblico. Analogamente va fatto per altri profili del processo straniero rispetto ai quali si possono profilare lesioni dei diritti essenziali di difesa. Poiché la tecnica del riconoscimento automatico implica l’assunzione del prodotto giudiziario straniero quale esso è nell’ordinamento d’origine, non vi è necessità di riscontrare il rispetto del modello legeforistico di garanzie processuali. Non dovendo ‘nazionalizzare’ il giudizio straniero, anche la materia delle prove resta assorbita nella valutazione operata nell’ordinamento d’origine in base al proprio diritto applicabile. Pertanto – diversamente che in passato – possono riconoscersi decisioni fondate su prove ignote alla legge processuale italiana, fatta eccezione naturalmente per il rispetto del contraddittorio sulla valutazione delle prove addotte nel processo. Pur in presenza di un datato orientamento contrario della giurisprudenza italiana, si deve ritenere compatibile con l’ordine pubblico processuale la condanna della parte convenuta solo perché l’ordinamento di origine considera la sua mancata comparizione in giudizio (nonostante l’avvenuta notificazione) come un’implicita ammissione del fondamento della domanda attoriale (ficta confessio). Nel caso Gambazzi, la Corte d’appello di Milano (24.11.2010, in Riv. dir. int. priv. proc., 2011, 1057 ss.) ha ritenuto compatibile con l’ordine pubblico processuale l’esecuzione in Italia della sentenza inglese di condanna pronunciata nel corso di un processo al quale l’intimato non aveva partecipato perché escluso d’autorità a motivo del mancato rispetto di un precedente ordine giudiziario (contempt of court).
La decisione straniera non deve contenere disposizioni che producano «effetti contrari all’ordine pubblico». Il limite è presente nel diritto comune (articoli 64, lett. g, 65 e 68, l. n. 218/1995) come nel diritto dell’UE: questo però consente l’impiego solo in presenza di una violazione manifesta dell’ordine pubblico e comunque lo esclude del tutto per i provvedimenti che configurano un titolo esecutivo europeo. Il contrasto tra la decisione straniera e l’ordine pubblico del foro va rilevato sulla base della situazione giuridica o del rapporto giuridico quali statuiti nella sentenza straniera, indipendentemente dal diritto materiale applicato che può anche divergere. Il limite dell’ordine pubblico ‘sostanziale’ è peraltro invocabile a difesa di qualunque valore fondamentale operante nell’ordinamento del foro richiesto. Per la Corte di giustizia (11.5.2000, C-38/98, Renault, § 30), il giudice di uno Stato membro vi può legittimamente fare riferimento per impedire l’efficacia nel foro di una decisione assunta in un altro Stato membro contenente disposizioni contrarie a principi fondamentali del diritto dell’UE. Il limite dell’ordine pubblico può indurre il giudice dello Stato richiesto ad una più penetrante valutazione nel merito per escludere l’efficacia di una sentenza straniera avvenuta in frode alla legge. Questa situazione si configura in situazioni eccezionali di abuso del processo, specie se lo si è attivato in un ordinamento straniero che consente di aggirare limitazioni di natura imperativa in tema di diritto applicabile.
Superato il filtro - ove esistente - dell’ordine pubblico, la sentenza o decisione straniera deve infine misurarsi con il principio di certezza delle situazioni giuridiche quale acquisito nell’ordinamento dello Stato richiesto. È per questo motivo che sia il diritto comune che il diritto uniforme europeo evocano sempre (anche in relazione al cd. ‘titolo esecutivo europeo’) la condizione di compatibilità di una sentenza straniera con una decisione già pronunciata nello Stato richiesto, purché questa sia definitiva. Né tanto meno la condizione di incompatibilità può essere fatta valere a favore di una decisione sopravvenuta nell’ordinamento richiesto: la prevalenza del giudicato successivo contrasterebbe non solo con il principio di certezza del diritto nello spazio proprio del diritto internazionale privato, ma violerebbe il diritto uniforme europeo per le fattispecie che vi rientrano.
Per commisurare la incompatibilità tra decisioni, bisogna stabilire la loro rispettiva sfera di efficacia soggettiva ed oggettiva. Ciò dipende in larga misura dalle norme processuali degli ordinamenti nazionali interessati. Nel caso Hoffmann, la Corte di giustizia (sent. 4.2.1988, C-145/86, § 11) ha stabilito (e lo ha ribadito ancora dopo: vedi, tra l’altro, sent. 28.4.2009, Apostolides, C-420/07, § 66) che la sfera oggettiva deve essere determinata in base a quanto prescrive l’ordinamento di origine della sentenza. La sfera di efficacia del giudizio straniero così definita potrebbe essere integrata da esigenze di coordinamento proprie del diritto processuale civile internazionale. Sia il diritto comune che il diritto uniforme europeo danno rilievo al fenomeno della litispendenza estera rispetto a cause che hanno luogo tra le stesse parti aventi il medesimo oggetto ed il medesimo titolo: in tali condizioni è stabilita la declinazione (provvisoria o definitiva a seconda del diritto applicabile) della competenza del giudice italiano prevenuto in ragione del giudizio che darà il giudice straniero preveniente (Giurisdizione in materia civile e commerciale). Va da sé che tale declinazione è possibile (oltre che legittima) solo se vi sia piena corrispondenza tra gli effetti della causa preveniente e quelli della causa prevenuta. Più di recente la Corte di giustizia ha ampliato la sfera uniforme di efficacia della decisione straniera comprendendovi le motivazioni della decisione se queste ne costituiscano “il fondamento necessario” (C. giust., 15.11.2012, C-456/11, Gothaer, § 40). L’orientamento giurisprudenziale, assorbendo nella sostanza la questione pregiudiziale nella sfera oggettiva del giudicato, accosta notevolmente la nozione uniforme europea a quella legeforistica italiana. Questa, come è noto, comprende nella cosa giudicata ‘formale’ di cui all’art. 324 c.p.c.. sia il ‘dedotto’ che il ‘deducibile’, là dove, con il primo termine, si indica il contenuto dell’iniziale domanda dell’attore (se del caso integrata dalla domanda riconvenzionale del convenuto) e, con il secondo termine, le oggettive implicazioni di accertamento che lo stesso ordinamento del foro configura in relazione alle pretese o alle situazioni dedotte in giudizio.
Nel diritto internazionale vige una relativa libertà degli Stati quanto alle modalità di procedere all’accertamento delle condizioni di riconoscimento ed efficacia delle decisioni straniere. Possono darsi obblighi di natura generale che vanno comunque rispettati e che di riflesso richiedono il ricorso ad una procedura che consenta all’autorità giudiziaria di verificare il rispetto di tali vincoli. La sent. 3.2.2012, con cui la Corte internazionale di giustizia ha condannato l’Italia per violazione nei confronti della Germania della regola sull’immunità dalla giurisdizione civile di Stati esteri, sottolinea la necessità di evitare che l’infrazione della regola immunitaria nello Stato di origine della sentenza si diffonda – tramite exequatur – in altri Stati richiesti per la sua esecuzione (in Riv. dir. int., 2012, 475 ss.). Lo Stato richiesto ha pertanto ‘l’obbligo di risultato’ di evitare tale illecito assicurando l’accertamento officioso sulla legittima competenza del giudice adito nell’ordinamento di origine a conoscere di tale controversia prima che la sentenza straniera abbia un qualunque effetto nel foro richiesto. Per la particolare forza precettiva che riveste tale indicazione, essa si insinua in ogni caso nella procedura applicabile per l’efficacia della decisione straniera.
L’accertamento delle condizioni di efficacia di sentenze straniere (il cd. ‘merito processuale’) può avvenire in via principale o in via incidentale. L’accertamento in via principale è del tutto autonomo ma regolato con modalità in parte diverse secondo la disciplina comune o il diritto uniforme europeo. Nel primo caso soccorre il combinato disposto tra l’art. 30, d.lgs. 1.9.2011, n. 150/2011 e l’art. 67 della legge di riforma: il primo applica il nuovo rito sommario di cognizione alla richiesta di accertamento delle condizioni dinanzi alla Corte d’appello del luogo di attuazione del provvedimento. La decisione della Corte d’appello diventa definitiva se non impugnata in Cassazione ma solo per motivi di legittimità. Il giudicato comunque formatosi ha valenza erga omnes nell’ordinamento. Non altrettanto avviene se l’accertamento ha luogo in via incidentale. Questa seconda ipotesi determina un sub-procedimento dinanzi al giudice che tratta la questione di merito che provvede all’accertamento con effetti incidenter tantum (art. 67, co. 3, l. n. 218/1995).
Nel diritto uniforme europeo già il reg. n. 44/2001 aveva proceduto alla semplificazione della procedura indicata inizialmente dalla Convenzione di Bruxelles del 1968, ma la sua rifusione nel reg. n. 1215/2012 ha soppresso la procedura uniforme e spostato in avanti l’eventuale accertamento delle condizioni di efficacia. Il modello del reg. n. 44/2001 resta nelle grandi linee utilizzato in alcuni regolamenti settoriali (in materia matrimoniale, di alimenti e successioni) e nella Convenzione di Lugano del 2007 in vigore nei rapporti tra UE e Stati membri dell’EFTA. In base a questa disciplina, la competenza per territorio, a differenza del diritto comune, può essere costituita, a titolo alternativo, sia dal domicilio della controparte ‘esecutata’ sia dal luogo di attuazione della decisione. La procedura prevede una prima fase monitoria incentrata quasi sempre sulla sola verifica dei requisiti formali (con eccezione del reg. n. 2201/2003). Il giudizio di opposizione eventualmente avviato avverso l’iniziale decreto di esecutività, si svolge in contraddittorio tra le parti interessate. Il diritto europeo non ne disciplina il rito ma la normativa nazionale dello Stato richiesto deve essere funzionale all’esigenza di definire «senza indugio» la sussistenza delle condizioni. Vi si attaglia il rito sommario di cognizione previsto dal d.lgs. n. 150/2011 con i necessari adattamenti richiesti per la competenza della Corte d’appello.
Il giudizio positivo di accertamento delle condizioni di efficacia ha natura dichiarativa – con effetti dunque ex tunc – perché riferito ad una situazione giuridica obiettivamente già presente nell’ordinamento; solo l’eventuale esito negativo avrebbe natura costitutiva, ma unicamente nel senso che rimuove la presunzione di efficacia. Non si può perciò neppure immaginare un termine di decadenza per presentare la domanda, poiché la contestazione del riconoscimento automatico può avvenire in qualunque momento successivo alla data in cui la sentenza straniera – o altro atto equivalente – sia stata resa efficace nello Stato. Neppure il diritto uniforme europeo impone termini di prescrizione per l’azione autonoma di accertamento. Il solo art. 156-bis disp. att. c.p.c. dispone che, nell’ipotesi in cui sia stato emesso un sequestro conservativo esorbitante nell’ordinamento italiano, la parte che ne ha beneficiato e che non intende veder decadere il provvedimento deve presentare «domanda di esecutorietà in Italia della sentenza straniera o del lodo entro il termine perentorio di sessanta giorni, decorrente dal momento in cui la domanda di esecutorietà è proponibile».
L’interesse ad agire per l’accertamento delle condizioni spetta di norma ad una delle parti del processo originario. È superata la diversa opinione, molto diffusa in passato, secondo cui la sentenza straniera era principalmente un veicolo di “importazione” di valori estranei tanto da rendere necessaria la presenza del pubblico ministero nella procedura di delibazione per una possibile eccezione officiosa a tutela di interessi generali. Pertanto, in relazione a formulazioni generiche (come quella contenuta nell’art. 21, § 3, reg. n. 2201/2003), il fine di agevolare la circolazione delle decisioni impone una interpretazione restrittiva non solo riguardo alle condizioni ostative dell’efficacia della decisione ma anche ai soggetti abilitati ad opporle. Anzi, nella misura in cui l’accertamento svolto nell’ordinamento di origine costituisce una situazione di diritto che estrinseca il diritto fondamentale della persona ovvero determina effetti costitutivi sullo status della persona, la Corte europea dei diritti dell’uomo riconosce al titolare il diritto a sollecitare l’esecuzione ‘in positivo’ e considera irrilevanti gli opposti interessi di terzi assenti nel procedimento originario (C. eur. dir. uomo, 20.7.2004, K, ric. n. 38805/97, §26 ss.; 3.5.2011, Negrepontis-Giannisis, ric. n. 56759/08, §§ 18 e 43).
Quale che sia la natura – principale o incidentale – della procedura per l’accertamento delle condizioni di efficacia, al giudice richiesto è formalmente vietato di procedere ad un riesame nel merito della sentenza straniera nella stessa sede in cui se ne verificano le condizioni per il riconoscimento e l’esecuzione. Espressamente sancito nel diritto uniforme europeo (art. 52, reg. n. 1215/2012), il divieto è implicitamente operante nel diritto comune per effetto dell’espressa abrogazione dell’art. 798 c.p.c. (ad opera dell’art. 73 della legge di riforma) che appunto consentiva al convenuto costituitosi nel processo di delibazione di chiedere il riesame nel merito.
Gli effetti della sentenza straniera nello Stato richiesto dipendono in parte dall’attività che vi va espletata. Si consideri la possibilità che il giudice italiano abbia sospeso la propria causa perché prevenuta vuoi da una azione identica all’estero, vuoi da una ad essa connessa. Il giudizio straniero, per il quale non sussistano condizioni ostative al riconoscimento, potrà determinare – secondo i casi – l’estinzione della stessa causa ovvero la riassunzione di quella sospesa ma ormai condizionata dall’accertamento operato. Il riconoscimento automatico della sentenza straniera offre peraltro all’avente diritto l’opportunità di rivendicarne il rispetto in ogni sede. Vi rientra la richiesta dell’interessato di procedere all’iscrizione di sentenze ed atti pubblici stranieri nei pubblici registri dello Stato italiano: la trascrizione è attività meramente certativa, ma il pubblico ufficiale potrebbe non ottemperarvi.
In base al diritto processuale dell’esecuzione vigente nell’ordinamento italiano, la parte interessata deve formalizzare con il precetto l’avvio della procedura. La parte esecutata è tenuta a subire l’iniziativa dell’avente diritto, a meno che non sussistano ragioni per sollevare opposizione. In linea generale, rispetto ad un titolo di formazione giudiziale, sono consentite opposizioni di merito che riguardano l’estinzione o la modificazione dei diritti acquisiti nel titolo per effetto di eventi successivi al momento in cui si è formato il giudicato o atto equivalente (Proto Pisani, A., Lezioni di diritto processuale civile, V ed. Napoli, 2012, 699). Rispetto all’esecuzione di una sentenza straniera non è ammissibile né un’opposizione su questioni sollevabili nella fase di previa autorizzazione di efficacia delle decisioni straniere se richiesta dalla disciplina applicabile, né – tanto meno –riproporre eccezioni già assorbite nel controllo svolto dal giudice dell’accertamento in quella sede. Ma è nella sola fase esecutiva quale regolata dal diritto nazionale che possono essere fatte valere le condizioni ostative al titolo esecutivo europeo di diritto uniforme o quello espresso dal reg. n. 1215/2012. Nell’ordinamento italiano le ragioni di merito insorte nel processo di esecuzione vanno rimesse al giudice ordinario che sia competente per esse ai sensi dell’art. 27 c.p.c. A norma dell’art. 616 c.p.c., il giudizio di merito va introdotto secondo «le modalità previste in ragione della materia e del rito». Se la materia concerne il cd. ‘merito processuale’ afferente alle condizioni di efficacia della sentenza straniera, l’opponente dovrà quindi seguire il rito sommario di cognizione applicabile in fase di accertamento delle condizioni ostative all’efficacia delle decisioni straniere (supra, par. 7) e conseguentemente adire la Corte d’appello competente per territorio. L’accoglimento dell’opposizione comporta la revoca degli atti esecutivi già posti in essere. Non sembra invece che diventi necessario il ricorso in via principale alla Corte d’appello se la sentenza straniera sia stata oggetto di revoca nell’ordinamento di origine: in tal caso lo stesso giudice dell’esecuzione può rilevare il venir meno del titolo esecutivo.
Se – diversamente – non sorgono opposizioni all’esecuzione o queste vengono respinte, l’ordinamento del foro richiesto deve misurarsi direttamente con il contenuto esecutivo del provvedimento straniero. Non si può escludere che la sentenza straniera condanni il convenuto con un mezzo di esecuzione che l’ordinamento italiano non preveda. Nel diritto processuale civile internazionale tradizionale il problema veniva risolto assumendo la piena competenza dello Stato del foro sulle forme dell’esecuzione forzata: in base alla lex fori andava definito se tale formula atipica straniera fosse suscettibile di attuazione ovvero se non la si dovesse comunque escludere per incompatibilità con il principio di territorialità della legge processuale. Tale quadro muta nel diritto uniforme europeo per effetto dell’equivalenza tra titoli esecutivi nazionali di Stati membri quale introdotta dal reg. n. 1215/2012. Invero la stessa disciplina europea prefigura condizioni che rendono la sentenza straniera o titolo equivalente idonea a fungere da titolo esecutivo nell’ordinamento del foro richiesto. Così, l’autorità di origine della decisione straniera deve indicare nell’apposito attestato (punto 4.6.1 e ss.) l’esatto importo del credito esigibile, soddisfacendo un’esigenza imprescindibile del diritto italiano per conferire idoneità esecutiva ad una sentenza di condanna al pagamento di una somma (Trib. Bologna, 13.2.1996, in Giur. Merito, 1997, 305). Più complessa è l’eventualità che la sentenza straniera condanni il convenuto con un mezzo di esecuzione che l’ordinamento italiano non preveda. L’art. 54, reg. n. 1215/2012 prevede che, se «la decisione contiene un provvedimento ignoto alla legge dello Stato membro richiesto, tale provvedimento è adattato, nella misura del possibile, a un provvedimento previsto dalla legge di tale Stato membro che abbia efficacia equivalente e che persegua obiettivi e interessi analoghi». Il considerando n. 28 del reg. n. 1215/2012 precisa che il cd. adattamento del provvedimento straniero deve includere «ogni eventuale diritto in esso indicato». In altri termini, la tipicità dei diritti secondo la legge del foro richiesto non può compromettere l’effetto utile insito nella circolazione del titolo esecutivo straniero e quindi deve flettersi – se del caso anche attraverso un procedimento di analogia iuris – in modo da poter comprendere formule atipiche, quali contemplate dal diritto dell’ordinamento di origine del titolo
L. 31.5.1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato); d. lgs. 1.9.2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69); Conv. Bruxelles, 27.9.1968 concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (l. 21.6.1971, n. 804); Conv. Lugano 30.10.2007 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; reg. CE n. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; reg. CE n. 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il reg. CE n. 1347/2000; reg. CE n. 805/2004 che istituisce il titolo esecutivo per i crediti non contestati; reg. CE n. 1896/2006 che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento; reg. CE n. 861/2007 che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità; reg. CE n. 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari; reg. UE n. 650/2012 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo; reg. UE n. 1215/2012 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (rifusione).
Anzilotti, D., Il riconoscimento delle sentenze straniere di divorzio in ordine alla seconda Convenzione dell’Aia 12 giugno 1902, ora in Opere di Dionisio Anzilotti, IV, Padova, 1964, 239 ss.; Carbone, S.M., Lo spazio giudiziario europeo in materia civile e commerciale: da Bruxelles I al Regolamento CE 805/2004, Torino, 2009; Carella, G., Sentenza civile straniera, in Enc. dir., XLI, Milano, 1989, 1280 s.; Condorelli, L., La funzione del riconoscimento di sentenze straniere, Milano, 1967; D’Alessandro, E., Il titolo esecutivo europeo nel sistema del regolamento n. 1215/2012, in Riv. dir. proc., 2013, 1044 ss.; Pirrone, A., a cura di, Circolazione dei valori giuridici e tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, Torino, 2011; D’Alessandro, E., Il procedimento uniforme per le controversie di modesta entità. Regolamento comunitario dell’11 luglio 2007, n. 861, Torino, 2008; De Cristofaro, M., Ordine pubblico «processuale» ed enucleazione dei principi fondamentali del diritto processuale «europeo», in Il Diritto processuale civile nell’avvicinamento giuridico internazionale, t. II, Padova, 2009, 893 ss.; Gaudemet-Tallon, H., Compétence et execution des jugements en Europe: Règlement 44-2001, Conventions de Bruxelles et de Lugano, IV ed., Paris, 2010; Lopes Pegna, O., I procedimenti relativi all’efficacia delle decisioni straniere in materia civile, Padova, 2009; Lopes Pegna, O., L’incidenza dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo rispetto all’esecuzione di decisioni straniere, in Riv. dir. int., 2011, 29 ss.; Lopes Pegna, O., Il regime di circolazione delle decisioni nel Regolamento (UE) n. 1215/2012 (“Bruxelles I-bis”), in Riv. dir. int., 2013, 149 ss.; Morelli, G., Il diritto processuale civile internazionale, Padova, 1954; Nascimbene, B., Riconoscimento di sentenza straniera e ordine pubblico «europeo», in Riv. dir. int. priv. proc., 2002, 659 ss.; Picone, P., L’art. 65 della legge italiana di riforma del diritto internazionale privato e il riconoscimento delle sentenze straniere di divorzio, in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, 381 ss.; Proto Pisani, A., Lezioni di diritto processuale civile, V ed., Napoli, 2012; Rossolillo, G., Mutuo riconoscimento e tecniche conflittuali, Padova, 2002; Salerno, F., Giurisdizione ed efficacia delle decisioni straniere nel regolamento CE n. 44/2001, II ed., Padova, 2006; Tuo, C., La rivalutazione della sentenza straniera nel regolamento Bruxelles I: tra diritto e reciproca fiducia, Padova, 2012.