Riconoscimento ed esecuzione delle decisioni: reg. UE 1215
Il contributo è volto a dar conto della disciplina della materia contenuta nel regolamento (UE) 1215/2012, ponendola a raffronto con quella già dettata nella Convenzione di Bruxelles e poi nel regolamento (CE) n. 44/2001.
Il 20.12.2012 è stato pubblicato sulla G.U.U.E. n. 351/2012 il regolamento (UE) 12.12.2012, n. 1215, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Il nuovo regolamento, che è entrato in vigore il ventesimo giorno successivo (10.1.2013) (art. 81, co. 1), ha abrogato il regolamento (CE) n. 44/2001 (art. 80), ma è destinato a trovare applicazione a decorrere dal 10.1.2015 (art. 81, co. 2); in deroga all'art. 80, alle decisioni emesse nei procedimenti promossi anteriormente al 10.1.2015, continua ad applicarsi il reg. n. 44/2001 (art. 66.2).
Il reg. n. 1215/2012 è composto da un'Epigrafe, che ne contiene i considerando e di 5 capi.
Il primo dei considerando dà conto dell'essersi ritenuto opportuno, per motivi di chiarezza, procedere alla rifusione del precedente regolamento, una volta avvertita la necessità di apportarvi modifiche per migliorare l'applicazione di determinate disposizioni e ciò nell'intento di agevolare ulteriormente la libera circolazione delle decisioni e garantire un migliore accesso alla giustizia. Nel considerando (34) poi – analogamente a quanto già fatto nel considerando (19) al reg. n. 44/2001 – si dichiara che «È opportuno garantire la continuità tra la convenzione di Bruxelles del 1968, il regolamento (CE) n. 44/2001 e il presente regolamento …»: di qui la previsione di norme transitorie; prosegue affermando che «Lo stesso bisogno di continuità si applica altresì all'interpretazione delle disposizioni della convenzione di Bruxelles del 1968 e dei regolamenti che la sostituiscono, a opera della Corte di giustizia dell'Unione europea».
Dei cinque capi di cui consta il regolamento il primo è volto a delimitarne l'Ambito di applicazione e a delinearne le Definizioni, il secondo a dettare la disciplina della Competenza ed il terzo è intestato a Riconoscimento ed Esecuzione.
Rispetto al reg. n. 44/2001, l'ambito di applicazione del reg. n. 1215/2012 registra talune modificazioni.
Il nuovo art. 1, al co. 1, dichiara che la materia civile e commerciale non si estende, oltre che alla materia fiscale, doganale e amministrativa, alla responsabilità dello Stato per atti od omissioni nell'esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii). Lo stesso articolo, al co. 2, precisa che dall'ambito di applicazione del regolamento sono esclusi, come già il regime patrimoniale fra i coniugi, quello derivante da rapporti che secondo la legge applicabile hanno effetti comparabili al matrimonio (lett. a) e, come già i testamenti e le successioni, le obbligazioni alimentari mortis causa (lett. f), nonché quelle derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità (lett. e). Infine (lett. b), precisa che, come già i fallimenti, dall'ambito di applicazione del regolamento sono escluse le procedure relative alla liquidazione di società o altre persone giuridiche che si trovino in stato di insolvenza.
Alla disciplina del riconoscimento ed esecuzione delle decisioni il reg. n. 44/2001 aveva dedicato, nel testo, il capo III, intitolato appunto Riconoscimento ed esecuzione, con gli artt. da 33 a 56, preceduti dall'art. 32 volto a definire la comprensività del termine decisione: questi articoli erano a loro volta suddivisi in tre sezioni, la prima (artt. da 33 a 37) dedicata al Riconoscimento, la seconda (artt. da 38 a 52) all'Esecuzione, la terza (artt. da 53 a 56) alle Disposizioni comuni e queste per aspetti afferenti principalmente alla documentazione dell'istanza.
Nei considerando, alla materia erano dedicati i paragrafi (da 16 a 18) che, ponendo a base della disciplina il principio della reciproca fiducia nell'amministrazione della giustizia in seno alla Comunità, da un lato affermavano la riconoscibilità di pieno diritto delle decisioni, senza necessità di esperire alcun particolare procedimento in assenza di contestazioni, dall'altro ne delimitavano il campo di applicazione alle decisioni emesse in uno Stato membro, così restringendo il generale campo di applicazione segnato dalla materia civile e commerciale, a sua volta delimitata dalle materie escluse (art. 1). I cardini di tale disciplina venivano indicati nella necessità che, mentre la dichiarazione di esecutività dovesse essere rilasciata in base ad una verifica documentale, escluso il rilievo d'ufficio dei motivi di diniego pur previsti dal regolamento, alla controparte, come al richiedente in caso di rifiuto, dovesse essere riconosciuto il diritto al ricorso.
Il reg. n. 1215/2012 ha dislocato in diverso modo la disciplina della materia, che è risultata allo stesso tempo estesa ad ulteriori profili.
La definizione del termine decisione ai fini del riconoscimento e dell'esecuzione nel reg. n. 1215/2012 si trova spostata all'art. 2, lett. a): il termine resta riferibile alle sole decisioni di un'autorità giurisdizionale di uno Stato membro e per il resto la definizione riproduce il contenuto dell'art. 32 reg. n. 44/2001. La sua comprensività risulta allargata ai provvedimenti provvisori e cautelari se emessi da giudice competente secondo il regolamento a pronunciarsi nel merito, ciò però in quanto il convenuto sia stato previamente invitato a comparire ed in mancanza sotto condizione che – se contenuto in una decisione – questa debba essere stata notificata o comunicata al convenuto prima che il provvedimento provvisorio o cautelare possa essere eseguito. Nel considerando (27) si osserva poi che «Ai fini della libera circolazione delle decisioni, una decisione adottata in uno Stato membro dovrebbe essere riconosciuta ed eseguita in un altro Stato membro anche se essa è stata emanata nei confronti di un soggetto non domiciliato in uno Stato membro».
La disciplina della materia – nel capo III – è stata ripartita in quattro sezioni, la terza delle quali a sua volta suddivisa in due sottosezioni. Al Riconoscimento è intitolata la prima con gli artt. da 36 a 38; all'Esecuzione la seconda con gli artt. da 39 a 44; al Diniego del riconoscimento e dell'esecuzione la terza. Di questa, la sottosezione prima è relativa al Diniego del riconoscimento e l'art. 45 contiene l'elencazione delle ipotesi in cui – su istanza di ogni parte interessata – il riconoscimento è negato; la sottosezione seconda riguarda il Diniego dell'esecuzione, con gli artt. da 46 a 51, nel primo dei quali è sancito che «Su istanza della parte contro cui è chiesta l'esecuzione, l'esecuzione di una decisione è negata qualora sia dichiarata la sussistenza di uno dei motivi di cui all'articolo 45». La quarta sezione, infine, negli artt. da 52 a 57, contiene Disposizioni comuni a prevalente carattere procedimentale, ma tra queste è anche compresa, prima fra le altre, quella dettata nell'art. 52, secondo la quale «In nessun caso una decisione emessa in uno Stato membro può formare oggetto di un riesame del merito nello Stato membro richiesto».
Nei considerando, al principio della fiducia reciproca nell'amministrazione della giustizia è riportata la conseguenza che ai fini della sua eseguibilità la decisione dell'autorità giurisdizionale di uno Stato membro dovrebbe essere equiparata a quella dello Stato richiesto, sì da non poter essere applicata la disposizione del suo diritto processuale che richiedesse per l'esecuzione della sentenza straniera una previa specifica dichiarazione di esecutività (26): l'art. 39 reg. dispone così che «La decisione emessa in uno Stato membro che è esecutiva in tale Stato membro è altresì esecutiva negli altri Stati membri senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutività».
Le principali novità su cui conviene soffermarsi nei paragrafi che seguono attengono all’adattamento degli effetti della decisione all’ordinamento dello Stato richiesto; alla dichiarazione di esecutività, non più richiesta; al diniego di riconoscimento o di esecuzione.
Le disposizioni comuni dettate negli artt. da 52 a 57 reg. n. 1215/2012 presentano – insieme a previsioni concernenti la documentazione della domanda – precetti relativi alla sostanza del diritto riconosciuto dal regolamento, sia a suo tempo presenti nel reg. n. 44/2001 e prima nella convenzione di Bruxelles, sia di nuovo conio.
Dei primi fanno parte il già richiamato divieto di riesame del merito (artt. 52 reg. n. 1215/2012, 36 reg. n. 44/2001, 29 conv.), con il limite del contrasto manifesto con l'ordine pubblico dello Stato richiesto (artt. 45/1 reg. n. 1215/2012, 34/1 reg. n. 44/2001, art. 27, co. 1, conv.), ed il divieto che alla parte che chiede l'esecuzione sia imposta garanzia, cauzione o deposito, a motivo di non essere cittadino dello Stato richiesto o di non avervi domicilio o residenza (artt. 56 reg. n. 1215/2012, 51 reg. n. 44/2001, 45 conv.).
Di nuovo conio è invece il precetto – cui fa riferimento il considerando (28) ed è contenuto nell'art. 54 reg. n. 1215/2012 – per il quale: - «Se la decisione contiene un provvedimento ignoto alla legge dello Stato membro richiesto, tale provvedimento è adattato, nella misura del possibile, a un provvedimento previsto dalla legge dello Stato membro che abbia effetto equivalente e che persegua effetti analoghi./ Da tale adattamento non derivano effetti che vanno oltre quelli previsti dalla legge dello Stato di origine./ Qualsiasi parte può impugnare l'adattamento del provvedimento davanti a un'autorità giurisdizionale». Nel considerando è detto che «Ogni singolo Stato membro dovrebbe determinare le modalità ed i soggetti competenti per l'adattamento».
Se si muove dal presupposto che una tale espressa disciplina non è necessaria, perché va tratta dal sistema, in quanto l'adattamento è modalità attinente all'esercizio della competenza relativa all'esecuzione; siccome il procedimento di esecuzione delle decisioni emesse in un altro Stato membro è disciplinato dalla legge dello Stato membro richiesto (art. 41/1 reg. n. 1215/2012), la conclusione che ne deriva è che la regolamentazione di tale modalità va desunta da quella del processo di esecuzione forzata: la conclusione parrebbe rafforzata dal fatto, che il regolamento non prevede sia data specifica comunicazione alla Commissione dell'autorità giurisdizionale competente all'adattamento, a differenza da quanto è previsto dall'art. 75 per i casi di decisione sulla domanda di diniego di esecuzione, sull'impugnazione di tale decisione e sul rimedio contro di questa, in relazione agli artt. 47/1, 49/2 e 50 del regolamento.
In Italia, la competenza per stabilire il modo dell'attuazione è da ritenere spetti perciò al tribunale competente per territorio in relazione al tipo di esecuzione forzata sollecitato (artt. 9 e 26 c.p.c.); quanto al procedimento, considerando che l'adattamento implica scelte circa l'eseguibilità sollecitata ed i suoi modi, le soluzioni possibili oscillano tra farne attribuzione al presidente o ad un giudice da lui delegato, in analogia a quanto previsto dal codice di procedura per altri interventi preliminari all'avvio del processo esecutivo (artt. 482 e 513, co. 2, c.p.c.) ovvero ricondurlo al tipo di modulo procedimentale proprio dell'esecuzione degli obblighi di fare e non fare (art. 612, co. 1, c.p.c.), il quale comporta che sia il giudice dell'esecuzione a determinare le modalità di questa.
La contestazione dell'eseguibilità mediante adattamento pone il problema della sua configurazione e della conseguente individuazione della competenza a deciderne: la circostanza che l'adattamento richieda soluzioni concretamente compatibili con i diversi sistemi processuali e quella che il regolamento da un lato rimetta al diritto interno la disciplina del processo esecutivo, ma dunque anche delle misure attraverso le quali si realizza l'esecuzione forzata, induce a preferire la scelta di omologare l'oggetto di tale contestazione piuttosto al sistema delle opposizioni esecutive, che ad una domanda di diniego di esecutività.
3.1 Scomparsa della dichiarazione di esecutività
Ciò detto, va ancora osservato che di nuovo conio è anche l'abolizione della dichiarazione di esecutività, che discende dalla disposizione contenuta nell'art. 39, con cui si apre la seconda sezione del capo III, appunto intitolata all'esecuzione ed alla quale fa riferimento il considerando (26).
La dichiarazione di esecutività era stata prevista dall'art. 31 della convenzione di Bruxelles («Le decisioni rese in uno Stato contraente e ivi esecutive sono eseguite in un altro Stato contraente dopo essere state ivi dichiarate esecutive su istanza della parte interessata») e mantenuta dall'art. 38/1 del reg. n. 44/2001.
Nel considerando (26) al reg. n. 1215/2012 si osserva che la fiducia reciproca nell'amministrazione della giustizia all'interno dell'Unione e la volontà di ridurre la durata e i costi dei procedimenti giudiziari transfrontalieri giustificano «l'abolizione della dichiarazione di esecutività che precede l'esecuzione nello Stato membro interessato. Di conseguenza, la decisione emessa dall'autorità giurisdizionale di uno Stato membro dovrebbe essere trattata come se fosse stata pronunciata nello Stato membro interessato».
L'art. 39 reg. n. 1215/2012 recita dunque che «La decisione emessa in uno Stato membro che è esecutiva in tale Stato membro è altresì esecutiva negli altri Stati membri senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutività».
Ciò comporta – come già in precedenza, ma allora in vista della dichiarazione di esecutività da rilasciarsi nello Stato richiesto (artt. 47/1 conv., 53/2 e 54 reg. n. 44/2001) – che della decisione emessa dall'autorità giurisdizionale di uno Stato membro debba essere dimostrata l'esecutività secondo la legge di quello Stato, nei modi previsti dal reg. n. 1215/2012, fornendo cioè alla competente autorità incaricata dell'esecuzione nello Stato richiesto l'attestato che certifica l'esecutività della decisione nello Stato membro di origine (artt. 42/1, lett. b, e 53); per l'esecuzione in Italia non sarà dunque richiesta la spedizione in forma esecutiva.
3.2 Il riconoscimento e il suo diniego
La disciplina del riconoscimento – nel Reg. 2012/1215, come già nel Reg. 44/2001 e nella convenzione di Bruxelles – si articola in alcuni punti fondamentali.
La decisione emessa in uno Stato membro è riconosciuta in un altro Stato membro senza che sia necessario il ricorso ad una particolare procedura (artt. 36/1 reg. n. 1215/2012, 33/1 reg. n. 44/2001, 26, co. 1, conv.).
Questo non esclude che una decisione circa l'assenza (art. 36/2 reg. n. 1215/2012) o per contro la presenza (art. 45 reg. n. 1215/2012) di motivi di ostacolo al riconoscimento possa essere richiesta attraverso la procedura specificamente prevista per il diniego: ciò da «ogni parte interessata» (art. 36/2 reg. n. 1215/2012, come già artt. 33/2 reg. n. 44/2001 e 26, co. 2, conv.), per tale dovendo intendersi peraltro le sole parti nei cui confronti la decisione è stata presa e non anche soggetti terzi, ma, da chi ha interesse al riconoscimento, indipendentemente da contestazione, non essendo stata ripetuta la clausola («In caso di contestazione») presente nelle disposizioni precedenti.
Il riconoscimento è negato, ma solo può esserlo, in relazione a specifici fatti, indicati nell'art. 45 reg. n. 1215/2012 e in precedenza – ma con talune varianti – negli artt. 34 e 35 reg. n. 44/2001 e prima 27 e 28 conv.
In particolare:
la disposizione di cui alla lett. a) dell'art. 45 reg. n. 1215/2012 sul manifesto contrasto con l'ordine pubblico dello Stato membro richiesto riproduce integralmente la lett. a) dell'art. 34 reg. n. 44/2001 (mentre l'art. 27, lett. a, della convenzione non richiedeva che il contrasto fosse manifesto); quella di cui alla lett. b) sulla decisione contumaciale riproduce con modifiche solo lessicali la corrispondente disposizione di cui alla lett. b) del citato art. 34 reg. n. 44/2001 (a sua volta formulato in modo in parte diverso dalla lett. b dell'art. 27 conv.);
le disposizioni dettate alle successive lett. c) e d) dei due articoli coprono nei due regolamenti il medesimo ambito, quello del contrasto tra la decisione da riconoscere ed altra precedente tra le stesse parti: il reg. n. 1215/2012, in quanto impiega l'espressione «… il riconoscimento di una decisione è negato: … se la decisione è incompatibile con una decisione emessa …» appare trovare riscontro nella sentenza C. giust. 6.6.2002, C-80/00, Italian Leather, che, interpretando l'espressione «Le decisioni non sono riconosciute … se sono in contrasto con una decisione emessa …», già presente nell'art. 27, lett. c) ed e), conv. e poi ripresa nelle lett. c) ed e) dell'art. 34 reg. n. 44/2001, ne aveva spiegato il senso affermando che «il contrasto tra le decisioni riguarda gli effetti delle decisioni, che devono escludersi reciprocamente»;
la disposizione dettata alla lett. e) dell'art. 45 reg. n. 1215/2012 eleva a caso di diniego la circostanza che la decisione sia stata assunta in violazione delle disposizioni sulla competenza; rileva in particolare la violazione delle disposizioni in tema di competenze esclusive contenute nella sezione 6 del capo II e, quanto alle competenze stabilite nelle sezioni 3, 4 e 5 dello stesso capo solo «nella misura in cui il contraente dell'assicurazione, l'assicurato, il beneficiario di un contratto di assicurazione, la parte lesa, il consumatore o il lavoratore sia il convenuto». La previsione dell'art. 45, lett. e), differisce per alcuni aspetti da quella dei corrispondenti artt. 35 reg. n. 44/2001 e 28 conv., perché: i) comprende tra le disposizioni la cui violazione rileva come fatto impediente del riconoscimento anche quelle sulla competenza in materia di lavoro contenute nella sezione 5 del capo II; ii) come anche per le disposizioni delle sezioni 3 e 4 in tema di assicurazioni e di contratti conclusi dal consumatore, limita la rilevanza ostativa della violazione al caso che il soggetto protetto abbia assunto la posizione di convenuto; iii) non presenta il richiamo della disposizione sulla salvezza degli accordi con cui gli Stati membri si siano impegnati con Stati terzi a non riconoscere decisioni emesse in confronto di convenuti con domicilio o residenza abituale in tale Stato (come invece i rispettivi artt. 72 e 59 del reg. n. 44/2001 e della convenzione). A questo riguardo, diversamente dall'art. 72 reg. n. 44/2001, che lasciava impregiudicati gli accordi conclusi anteriormente alla sua entrata in vigore, il reg. n. 1215/2012, nel proprio art. 72, fa salvi solo quei precedenti accordi e non anche quelli conclusi in epoca successiva all'entrata in vigore del reg. n. 44/2001 e sino alla propria entrata in vigore;
a proposito poi dei fatti impedienti prima richiamati, l'art. 45 reg. n. 1215/2012 – come già artt. 35 reg. n. 44/2001 e 28 conv. – contiene disposizioni che, limitando i poteri del giudice del riconoscimento, delimitano l'ambito dei fatti impedienti; ciò nel senso per cui, a) la violazione delle norme sulla competenza, che è rilevante solo nei casi espressamente previsti, non ridonda in violazione dell'ordine pubblico interno dello Stato richiesto del riconoscimento (artt. 45/3 reg. n. 1215/2012, 35/3 reg. n. 44/2001, 28, co. 3, conv.); b) l'accertamento ne va condotto ponendo a raffronto le norme di competenza con i fatti considerati rilevanti ai fini della loro applicazione, quali accertati in modo vincolante dal giudice della decisione da riconoscere (artt. 45/2 reg. n. 1215/2012, 35/2 reg. n. 44/2001, 28, co. 2, conv.).
La disciplina sul Riconoscimento è infine completata da alcune disposizioni particolari attinenti al processo.
La competenza al riconoscimento – a fini di accertamento o diniego – spetta al giudice che, in base all'art. 75, lett. a), da ciascuno Stato deve essere a questo fine comunicato alla Commissione entro il 10 gennaio 2014: all'art. 75, lett. a), rimanda l'art. 47/1, attraverso gli artt. 36/2 e 45/4, che a loro volta dispongono circa la competenza in tema di diniego dell'esecuzione.
Ma, quando in un procedimento pendente davanti ad un'autorità giurisdizionale di uno Stato membro la decisione è chiesta sulla base di altra già pronunciata in diverso Stato membro, di cui è allegata la riconoscibilità, se è sollevata incidentalmente la questione che quella decisione non è suscettibile di esservi riconosciuta, l'autorità giurisdizionale adita con la domanda principale è competente anche sulla questione di diniego (artt. 36/3 reg. n. 1215/2012, 33/3 reg. n. 44/2001, 26, co. 3, conv.), mentre può sospendere il procedimento sulla domanda principale se la decisione di cui è prospettata la riconoscibilità si trova ad essere impugnata nello Stato membro di origine (artt. 38/a reg. n. 1215/2012, 37/1 reg. n. 44/2001, 30, co. 1, conv.) ovvero se quanto a tale decisione, ma davanti ad altro giudice del proprio Stato, sia stata proposta domanda volta a farla dichiarare riconoscibile o al contrario non riconoscibile (art. 38/b reg. n. 1215/2012).
3.3 L'esecuzione e il suo diniego
Tornando al tema dell'esecuzione, conviene richiamare in breve i punti essenziali della sua disciplina nella convenzione di Bruxelles e poi nel regolamento n. 44/2001.
In ambedue era stato previsto che le decisioni emesse in uno Stato membro fossero eseguite in un altro dopo essere state dichiarate esecutive su istanza della parte interessata (artt. 31, co. 1, conv. e 38/1 reg. n. 44/2001). In nessun caso la decisione straniera avrebbe potuto costituire oggetto di un riesame nel merito (gli artt. 29 e 34, co. 3, conv. statuivano in tal senso a proposito del riconoscimento ed in sede di decisione non contenziosa sulla richiesta di esecuzione; gli artt. 36 e 45/2 reg. n. 44/2001 in sede di riconoscimento e di impugnazione della dichiarazione di esecutività). Ma, mentre la convenzione aveva previsto che l'istanza potesse essere rigettata per uno dei motivi impeditivi del riconoscimento, previsti dagli artt. 27 e 28, e d'ufficio, giacché non era ammesso in quella sede che la parte contro cui la dichiarazione era chiesta potesse proporre osservazioni, anche questa possibilità era stata poi esclusa dal regolamento (art. 41 reg. n. 44/2001).
Quanto poi agli effetti della dichiarazione di esecutività era stato stabilito, che in pendenza del termine per impugnarla (con l'opposizione prevista dall'art. 36 conv. e con i ricorsi previsti dagli artt. 43 e 44 reg. n. 44/2001) e sino a quando su di essa non fosse stata adottata alcuna decisione, fosse possibile procedere solo a provvedimenti conservativi (artt. 39, co. 1, conv. e 47/3 reg.), per sé autorizzati peraltro dall'accoglimento dell'istanza (artt. 39, co 2., conv. e 47/2 reg.); mentre, proposta l'opposizione e d'altra parte impugnata la decisione straniera con un mezzo ordinario od in pendenza del termine per proporlo, il giudice dell'opposizione da un lato, su istanza di parte avesse il potere di sospendere di decidere su di essa (artt. 38, co. 1, conv. e 46/1 reg.), dall'altro avesse quello – una volta deciso invece sul merito dell'opposizione – di subordinare l'esecuzione alla costituzione di una garanzia, da lui stesso determinata (artt. 38, co. 3, conv. e 46/3 reg., non però «a causa della qualità di straniero o per difetto di domicilio o residenza nel paese» (artt. 45 conv. e 51 reg. n. 44/2001).
Si è già detto, che, con l'art. 39 reg. n. 1215/2012, è stato sancito il principio per cui «La decisione emessa in uno Stato membro che è esecutiva in tale Stato membro è altresì esecutiva negli altri Stati membri senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutività».
È rimasta così abrogata la contraria disciplina dettata dall'art. 38 reg. n. 44/2001, richiamata in precedenza; peraltro, in base all'art. 66/2 reg. n. 1215/2012 ed in deroga all'art. 80 secondo cui il nuovo regolamento abroga il precedente – le disposizioni del reg. n. 44/2001 continuano ad applicarsi tra l'altro «alle decisioni emesse nei procedimenti promossi anteriormente al 10 gennaio 2015 che rientrano nel relativo ambito di applicazione», la cui esecuzione continua perciò ad esservi disciplinata.
L'art. 41/1 reg. n. 1215/2012 enuncia la regola per cui, fatte salve le altre specifiche disposizioni contenute nel regolamento, «il procedimento di esecuzione delle decisioni emesse in un altro Stato membro è disciplinato dalla legge dello Stato membro richiesto»: si tratta di regola che si connette a quella dettata in tema di competenze esclusive dall'art. 24/5, secondo la quale «in materia di esecuzione delle decisioni hanno competenza esclusiva le autorità giurisdizionali dello Stato membro nel cui territorio ha o ha avuto luogo l'esecuzione»: da tale disposizione, allora contenuta nell'art. 16, co. 5, conv. – ripresa dall'art. 22/5 reg. n. 44/2001 e poi nell'art. 24/5 citato – la Corte di giustizia, con la sentenza 29.3.1992, C-261/90, Reichert II, aveva appunto tratto argomento per fissare nel modo ora esplicitato l'estensione di tale competenza.
Avverte lo stesso art. 41/1 che se sussistono le condizioni perché le decisioni emesse in altro Stato membro possano essere eseguite nello Stato richiesto, lo debbono essere alle stesse condizioni di quelle emesse in questo Stato. Tuttavia, dispone l'art. 41/2 che i motivi di diniego o di sospensione dell'esecuzione previsti dalla legge dello Stato richiesto si applicano nella misura in cui non sono incompatibili con i motivi di cui all'art. 45, ovverosia con i motivi che, come sono tali da poter impedire il riconoscimento, hanno la stessa forza impediente in materia di esecuzione. A questa area problematica si presta ad essere ricondotto il modo in cui la giurisprudenza della Corte di giustizia – a partire dalla sentenza 2.7.1985, rs. 148/84, Deutsche Genossenschaft, sino alla sentenza 13.10.2011, C-139/10, Prism Investment BV – ha risolto il problema del rapporto tra motivi di diniego dell'esecutività e ragioni suscettibili di assumere rilievo per il diritto dello Stato richiesto e ciò con particolare riguardo a fatti estintivi dell'obbligazione sopravvenuti alla decisione esecutiva: della disciplina sui motivi di diniego è stata affermata la necessità di un'interpretazione restrittiva, potendo invece il diritto della parte obbligata trovare rimedio attraverso il sistema delle opposizioni esecutive previsto dalla disciplina processuale dello Stato richiesto.
Una serie di altre disposizioni detta norme sull'avvio del procedimento ordinato all'esecuzione: sono in particolare da richiamare gli artt. 42/1 e 43/1, per i quali chi chiede l'esecuzione d'una decisione emessa in altro Stato membro deve fornire alla competente autorità incaricata dell'esecuzione una copia della decisione che soddisfi le condizioni per stabilirne l'autenticità ed un attestato, rilasciato ai sensi dell'art. 53 reg. secondo un modello pure previsto dal regolamento, che certifichi l'esecutività della decisione e ne contenga un estratto; questo, a sua volta, prima dell'inizio dell'esecuzione, deve essere notificato o comunicato alla persona cui l'esecuzione è chiesta e deve essere corredato della decisione, se questa non sia stata già notificata o comunicata.
È su domanda della parte contro cui è chiesta (artt. 46 a 49 reg. n. 1215/2012) che l'esecuzione può essere negata e non di ufficio: del resto, pur nell'ambito del procedimento per la dichiarazione di esecutività nello Stato richiesto, non diversamente stabiliva l'art. 41 reg. n. 44/2001, che in quella fase da un lato escludeva che la parte contro cui era richiesta l'esecuzione potesse presentare osservazioni, dall'altro (ed a differenza da quanto in precedenza aveva previsto l'art. 34, co. 1, conv.) non consentiva l'esame di ufficio circa la presenza delle circostanze impedienti previste nei suoi artt. 34 e 35, cioè del complesso di circostanze ora previste dall'art. 45 reg. n. 1215/2012, già illustrate in precedenza, permettendo perciò solo la verifica della regolarità formale dell'istanza e della relativa completezza documentale.
Mentre, dunque, anche secondo il reg. n. 44/2001, il giudice della dichiarazione di esecutività non pronunziava su difese della parte contro la quale l'esecuzione era domandata, nel sistema del reg. n. 1215/2012 è appunto su tali difese, poste ad oggetto della domanda di diniego dell'esecuzione, che la decisione è resa. Ora, secondo il reg. n. 1215/2012 l'autorità giurisdizionale competente a ricevere l'istanza di diniego dell'esecutività deve essere determinata dallo Stato membro e comunicata alla Commissione (art. 75 lett. a); la relativa decisione deve poter essere impugnata davanti all'autorità a questo scopo indicata alla Commissione (artt. 49 e 75 lett. b) e una successiva impugnazione di tale decisione – secondo l'art. 50 Reg. – sarà consentita solo in quanto lo Stato richiesto ne abbia dato comunicazione alla Commissione (artt. 50 e 75 lett. b). Nel sistema del reg. n. 44/2001 e, prima, della convenzione, la correlativa disciplina nazionale prevedeva che l'istanza intesa alla dichiarazione di esecutività fosse presentata alla corte d'appello, che questa fosse competente sulla relativa impugnazione e la sua decisione fosse suscettibile di impugnazione di ricorso per cassazione. La ripetizione di tale schema appare oggi impedita dalla circostanza che, mentre il ricorso per cassazione non può essere escluso, la decisione di primo grado, pronunziata sul fondo della domanda di diniego, non si presta ad essere impugnata davanti alla stessa autorità giurisdizionale che già ne ha conosciuto.
Ulteriori disposizioni del reg. n. 1215/2012 provvedono in tema di poteri del giudice del diniego e tra questi dei poteri ordinati a regolare il rapporto tra il giudizio di diniego e quello in cui la decisione oggetto della domanda è stata pronunziata nello Stato membro di origine; inoltre sui poteri del giudice del diniego in materia di misure cautelari a fondamento delle quali stia la decisione della cui esecuzione v'è discussione.
Quanto ai poteri correlati all'accertamento sul fondo della domanda va richiamato quanto già detto in tema di diniego del riconoscimento; in particolare: - la decisione emessa in uno Stato membro non può formare oggetto di un riesame nel merito (art. 52 reg.); - la competenza dell'autorità giurisdizionale d'origine è bensì suscettibile di riesame, in taluni casi, ma solo sulla base dei fatti accertati da quella autorità e dunque solo sotto il profilo dell'erronea applicazione a quei fatti delle norme di competenza richiamate alla lett. e) dell'art. 45/1 e comunque senza possibilità di loro disapplicazione sotto il profilo della contrarietà all'ordine pubblico.
Quanto al rapporto tra il procedimento davanti all'autorità giurisdizionale dello Stato membro in cui la decisione che si chiede di eseguire si è svolto e il giudizio sulla domanda di diniego, l'art. 51/1 reg. n. 1215/2012 – riprendendo quanto disposto già dall'art. 46/1 reg. n. 44/2001 e prima dall'art. 38, co. 1, conv. – prevede che «L'autorità giurisdizionale davanti alla quale è presentata una domanda di diniego dell'esecuzione o è proposta un'impugnazione ai sensi dell'articolo 49 o dell'articolo 50 può sospendere il procedimento se la decisione è stata impugnata con un mezzo ordinario nello Stato membro d'origine o se il termine per proporre l'impugnazione non è ancora scaduto. In quest'ultimo caso, l'autorità giurisdizionale può fissare un termine entro il quale l'impugnazione deve essere depositata». Dell'espressione mezzo ordinario, la Corte di giustizia, nella sentenza 27.11.1977, rs.