RICORSO (XXIX, p. 227)
Ricorso per Cassazione. - Il codice di procedura civile del 1942 (articoli 360-394; cfr. articoli 323-338, e relaz. ministeriale n. 30) non ha alterato in maniera profonda la struttura che il ricorso in Cassazione aveva secondo il codice del 1865; ma ha mirato a conferirgli maggiore semplicità e maggior idoneità agli scopi di interesse pubblico ai quali esso, come strumento processuale della Corte di cassazione, è preordinato, ed a fondere nel codice di procedura civile le norme contenute in leggi speciali. Nel codice del 1942 il ricorso distinto secondo i tre diversi aspetti che si possono distinguere nella funzione della Corte.
Quando la suprema Corte è invocata come regolatrice della competenza tra i giudici ordinari, lo strumento processuale preordinato a questo scopo può essere, oltreché il ricorso ordinario "per violazione delle norme sulla competenza" (art. 360, n. 2), uno speciale ricorso per regolamento di competenza, costituente una innovazione del codice vigente. Su questo ricorso, che si propone in forme semplificate e in termini abbreviati (art. 48), la Corte decide, senza discussione orale, in camera di consiglio (art. 49).
Quando la Corte è chiamata a risolvere questioni attinenti alla giurisdizione, può servire, oltreché il ricorso ordinario "per difetto di giurisdizione" (art. 360, n. 1), un apposito ricorso preventivo per regolamento di giurisdizione (art. 41), che permette di accedere direttamente alla Cassazione per ottenere anticipatamente una decisione vincolante su questo punto (art. 382). In tutti questi casi, compresi quelli attinenti alla risoluzione dei "conflitti positivi o negativi di giurisdizione" e dei cosiddetti "conflitti di attribuzione" (da non confondersi coi veri "conflitti di attribuzione fra i poteri dello stato") la Corte di cassazione decide a sezioni unite.
È necessario rilevare su questo punto un'importante innovazione introdotta dalla Costituzione repubblicana: mentre secondo l'art. 362 del cod. proc. civile le decisioni dei giudici speciali, in grado di appello o in unico grado, potevano essere impugnate soltanto, "per motivi attinenti alla giurisdizione del giudice stesso", la Costituzione ha stabilito (art. 111) che anche contro le sentenze dei giudici speciali "è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge". Soltanto contro le decisioni del Consiglio di stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione continua ad essere ammesso "per i soli motivi inerenti alla giurisdizione".
Vi è finalmente (in relazione a quella che è la funzione preminente e tipica della Corte di cassazione, di custodire cioè la esatta osservanza della legge e di mantenere la uniformità della giurisprudenza) il ricorso in Cassazione che possiamo dire ordinario: proponibile (contro le sentenze definitive dei giudici ordinarî, pronunciate in grado d'appello o in unico grado, escluse quelle del conciliatore; non dunque contro le sentenze parziali) per i motivi specificati nell'art. 360, i quali non differiscono profondamente da quelli dell'art. 517 del codice 1865. Al cosiddetto "difetto di motivazione" del codice del 1865, il codice del 1942 ha sostituito la formula molto più rigorosa dell'"omesso esame di un fatto decisivo... che è stato oggetto di discussione tra le parti" (art. 360, n. 5): ma il decr. legisl. 5 maggio 1948, n. 483 (tuttora in discussione) ha proposto di tornare a una disposizione più ampia che in sostanza darebbe nuovamente ingresso al ricorso in Cassazione in facto "per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione". Oltre che per questi errores in iudicando, il ricorso in Cassazione è proponibile per i più gravi errores in procedendo; i difetti di omessa pronuncia, extra ed ultra petita e di violazione del giudicato, che erano espressamente menzionati sotto il vecchio codice (art. 517 nn. 5, 6, 8), non si trovano più menzionati nel codice del 1942, ma costituiscono come prima motivi di ricorso in Cassazione sotto il profilo della nullità processuale ovvero della violazione di quelle norme che disciplinano i poteri del giudice (art. 112 cod. proc. civ.) o la nozione e i limiti del giudicato (art. 2909 cod. civ.). Il ricorso per Cassazione può proporsi anche contro le sentenze (definitive) appellabili del tribunale, se le parti sono d'accordo per omettere l'appello; ma in tal caso il ricorso può proporsi soltanto per il motivo di violazione e falsa applicazione di diritto (art. 360, secondo comma).
Il procedimento del ricorso non differisce altro che per alcune modalità particolari da quello che era anche sotto il codice precedente: si menzionano le più importanti differenze. Il termine per proporlo è di sessanta giorni (art. 325, ultimo comma) dalla notificazione della sentenza; ma se la sentenza non è stata notificata, il diritto di ricorrere si estingue dopo decorso un anno dalla pubblicazione della sentenza (art. 327). Fino a che il ricorso è proponibile, la sentenza, pur essendo esecutiva, non s'intende passata in giudicato (in questo modo al ricorso in Cassazione è riconosciuta la natura di un mezzo di impugnazione ordinario, art. 324).
La Corte pronuncia in camera di consiglio, oltreché nel caso di regolamento di competenza, nel caso di riconosciuta inammissibilità del ricorso e in altri casi in cui la discussione in udienza apparirebbe superflua (art. 375); in tutti gli altri casi i ricorsi sono assegnati dal primo presidente per discussione all'udienza di una sezione semplice, o delle sezioni unite per le questioni di giurisdizione e per quei ricorsi che a giudizio del primo presidente presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, o su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza (art. 374).
Se la Corte accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto "enuncia il principio al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi"; ma se il dispositivo della sentenza impugnata sia conforme al diritto, e l'errore risieda solo nella motivazione, "in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione" (art. 384). Nel giudizio di rinvio, dinnanzi al quale la causa deve esser riassunta "non oltre un anno dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione" (art. 392: in mancanza di che l'intero processo si estingue, pur sopravvivendo, nel caso di riproposizione della domanda, l'effetto vincolante del principio enunciato dalla Corte, art. 393), il giudice è senz'altro obbligato a uniformarsi al principio vincolante stabilito dalla Corte di cassazione (art. 384). Nel giudizio di rinvio "le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata"; né possono prendere conclusioni diverse salvo che questa necessità sorga dalla sentenza di Cassazione (art. 394, ultimo comma).
La proposizione del ricorso in Cassazione non sospende la esecuzione della sentenza impugnata; ma la Corte di cassazione, ove il ricorrente ne faccia speciale istanza, può ordinare la sospensione della esecuzione quando da essa potrebbe derivare grave o irreparabile danno (art. 373). Il decr. legisl. 5 maggio 1948, n. 483 ha proposto (art. 31) che l'istanza per sospensione, invece che alla Corte di cassazione, si proponga allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.
Bibl.: Bracci, in Riv. dir. proc. civ., 1941, I, p. 199; V. Andrioli, Comm. al cod. proc. civ., 2ª ed., Napoli 1945, II, p. 348 segg.; F. Carnelutti, Istituz. del nuovo processo civ. it., Roma 1942; E. Redenti, Dir. processuale civile, Milano 1947; S. Satta, Dir. process. civ., Padova 1948.