RICORSO
. La parola r., nel linguaggio giuridico, significa in genere l'atto con cui il cittadino o altro soggetto (privato, ma anche pubblico) si rivolge a un'autorità per chiedere che un provvedimento che lo danneggia sia eliminato o modificato. Il r. amministrativo trova le sue radici storiche nello stato assoluto, nel quale i sudditi, non disponendo di altre forme di giustizia nei confronti dei pubblici poteri, erano costretti, per far valere le loro lagnanze, a ricorrere alla grazia del principe o dei funzionari operanti in nome e per conto di lui. Con l'affermarsi dello stato di diritto, caratterizzato dalla soggezione della stessa autorità alla legge, questo istituto non venne abbandonato, bensì recepito, con tratti peculiari e con un ruolo accessorio rispetto all'azione dinanzi al giudice, ordinario e amministrativo.
In questa sede ci occupiamo dei due principali tipi di r., che sono quello gerarchico e quello straordinario al Capo dello Stato, attualmente disciplinati dal d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (per il r. in opposizione, v. opposizione).
1. Il r. gerarchico è l'istanza con la quale s'impugna un atto amministrativo davanti a un'autorità superiore a quella che l'ha emanato, per ottenere l'annullamento, la revoca, la modifica di tale atto. La denominazione non corrisponde sempre alla posizione dell'autorità decidente rispetto a quella che ha emanato l'atto: infatti, se d'ordinario il r. gerarchico (proprio) è rivolto all'autorità gerarchicamente superiore nell'ambito dell'articolazione organizzativa dello stesso ente (l'ipotesi tipica è quella dell'ordinamento gerarchico fra più organi esterni appartenenti alla medesima branca amministrativa dello stato), talora il r. medesimo è ammesso ad autorità amministrativa non legata all'altra da alcun rapporto di supremazia gerarchica (r. gerarchico improprio).
a) Ricorso gerarchico proprio: è sempre ammesso (e quindi ha carattere di rimedio generale) contro atti amministrativi non definitivi; ed è ammesso in unica istanza, all'organo immediatamente sovraordinato, per motivi di legittimità e di merito, da parte di chi vi abbia interesse, per difendere qualsiasi interesse comunque tutelato dal diritto (cosiddetti "diritti soggettivi e interessi legittimi").
Occorre dunque, per proporre r. gerarchico: a) che vi sia un atto amministrativo (da impugnare); b) che questo atto amministrativo non sia definitivo, cioè non sia emanato né da un organo di vertice (in specie, il ministro), sopra il quale non esistano superiori gerarchici, né da organi collegiali (che non sono inquadrati gerarchicamente) né da enti autonomi (del pari non subordinati gerarchicamente); c) che si abbia interesse a ricorrere, ossia che la decisione, se favorevole, rechi un vantaggio effettivo e attuale; d) che il ricorrente sia l'interessato diretto, cioè sia il titolare della protezione giuridica accordata dall'ordinamento all'interesse (di fatto) leso dall'atto amministrativo impugnato.
È oggi previsto solo un grado di r. gerarchico (è questa una delle maggiori innovazioni introdotte dalla nuova disciplina sulla semplificazione dei procedimenti in materia di r. amministrativi); nel caso che la gerarchia sia costituita da più organi, è da ritenere che il r. vada sempre rivolto all'organo immediatamente superiore.
Il r. è proponibile sia per motivi di legittimità, e cioè per incompetenza dell'autorità che ha emesso l'atto, per violazione di norme procedimentali e formali in genere, per eccesso di potere (che è sostanzialmente il vizio d'irragionevolezza dell'atto, percepibile agevolmente dall'esterno), sia per motivi di merito, cioè di contrasto dell'atto con l'equità, la proporzione, la misura.
Il r. dev'essere redatto per iscritto e contenere le generalità del ricorrente, l'indicazione dell'atto impugnato, l'esposizione sommaria dei fatti e della lesione sofferta, la richiesta di una decisione riparatrice (annullamento per motivi di legittimità, revoca per motivi di merito, modifica); dev'essere proposto nel termine di trenta giorni dalla data della notifica o della comunicazione in via amministrativa dell'atto impugnato (a questo proposito la legge sulla semplificazione dei procedimenti prevede che la comunicazione degli atti soggetti a r. deve recare l'indicazione del termine e l'organo cui il r. dev'essere presentato) o da quando l'interessato ne abbia avuto piena conoscenza.
Il r. dev'essere presentato all'organo indicato nella comunicazione (cioè al superiore gerarchico) o a quello che ha emanato l'atto impugnato, direttamente (e cioè mediante consegna all'ufficio, che è tenuto a rilasciarne ricevuta) o mediante notificazione (da eseguire a mezzo di ufficiale giudiziario) oppure a mezzo posta (mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso la data di spedizione vale come data di presentazione). I r. presentati, nel termine prescritto, a organo diverso da quelli competenti a riceverlo, ma appartenente alla medesima amministrazione, non dànno luogo a declaratoria d'irricevibilità, ma sono trasmessi d'ufficio all'organo competente.
La proposizione del r. non sospende di norma l'esecuzione dell'atto impugnato; tuttavia l'autorità adita ha il potere di disporre, per gravi motivi (d'ufficio o su istanza del ricorrente), la sospensione. Il r. dev'essere notificato - a opera del ricorrente o, se questi non vi abbia provveduto, a opera dell'organo decidente - ai soggetti direttamente interessati e individuabili sulla base dell'atto impugnato, che possono presentare, entro venti giorni dalla ricevuta comunicazione del r., deduzioni e documenti.
La decisione sul r. è, per l'autorità decidente, obbligatoria. È - questa - una caratteristica tipica di tutti i r. in senso proprio, nello stato di diritto; non sono però, nemmeno sotto questo profilo, r. in grazia, ma veri e propri rimedi giuridici. Connessa è l'altra caratteristica, ugualmente propria di tutti i r., per cui il r. è condizione o presupposto per l'esercizio legittimo del potere di decidere: quanto dire che l'autorità cui il r. è diretto deve decidere su tutte le domande, e soltanto sulle domande proposte dal ricorrente. Se l'autorità investita del r. si pronuncia oltre le domande (per es. per motivi non dedotti, pronunciando la revoca per inopportunità dell'atto impugnato mentre il ricorrente ha dedotto solo motivi di legittimità e chiesto l'annullamento, e così via), lo può fare ma non in quanto decidente sul r. sibbene - se ne abbia la competenza - in quanto autorità attiva, di gestione della cosa pubblica, esplicitando questa diversa veste; altrimenti, la decisione è illegittima perché viziata da ultrapetizione.
La decisione, inoltre, dev'essere redatta per iscritto, dev'essere motivata, direttamente o "per relationem i, dev'essere comunicata (in via amministrativa, o mediante notificazione o mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento) all'organo che ha emanato l'atto impugnato, al ricorrente e agli altri interessati, ai quali sia stato comunicato il ricorso.
Il contenuto della decisione varia a seconda dei casi. Infatti l'organo decidente: se riconosce che il r. non poteva essere proposto (mancanza dei presupposti procedimentali o comunque preliminari quali il rispetto del termine di trenta giorni, l'inesistenza dell'atto amministrativo, il difetto di legittimazione o d'interesse alla decisione) lo dichiara improcedibile o inammissibile; se ravvisa nel r. un'irregolarità sanabile, assegna al ricorrente un termine per la regolarizzazione, e, se questi non vi procede, dichiara il r. improcedibile; se riconosce infondato il r., lo respinge; se lo accoglie per incompetenza, annulla l'atto e rimette l'affare all'organo competente; se lo accoglie per altri motivi di legittimità o per motivi di merito, annulla o rispettivamente revoca o riforma l'atto, salvo, ove occorra, il rinvio dell'affare all'organo di grado inferiore.
Decorso il termine di novanta giorni dalla data di presentazione del r. senza che l'autorità adita abbia comunicato la decisione, il r. s'intende respinto a tutti gli effetti. In questo caso, contro il provvedimento inizialmente impugnato, è esperibile il r. all'autorità giurisdizionale competente oppure il r. straordinario al Capo dello Stato.
b) Ricorso gerarchico improprio: è quello presentato a un'autorità non legata a quella che ha emanato l'atto impugnato da un rapporto gerarchico. Questo tipo di r. non è un rimedio generale; esso è ammesso solo nelle ipotesi in cui la legge lo preveda espressamente. Tra queste (r. contro atti amministrativi di ministri, di enti pubblici, di organi collegiali) ricordiamo: i r. alla commissione elettorale in materia di formazione delle liste elettorali (art. 20, d.P.R. 20 marzo 1967, n. 223); i r. al ministro per l'Industria e il Commercio contro le deliberazioni dei consigli comunali in materia di piani di sviluppo e di adeguamento della rete di commercio al minuto, e quelle della giunta regionale contro i provvedimenti del sindaco in materia di autorizzazioni all'esercizio del commercio (artt. 22 e 28, l. 11 giugno 1971, n. 426); i r. alle commissioni regionali e alla commissione centrale di vigilanza per l'edilizia economica e popolare in materia di assegnazione di alloggi e di declaratorie di decadenza dell'attribuzione (art. 19, d.P.R. 23 maggio 1964, n. 655); i r. degl'impiegati civili dello stato al consiglio di amministrazione del rispettivo ministero avverso i provvedimenti di trasferimento (art. 32, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3); i r. al ministro per i Lavori pubblici avverso i provvedimenti degli enti pubblici in materia di revisione dei prezzi degli appalti di opere pubbliche (d.P.R. 6 dicembre 1947, n. 1501 e succ. mod.); i r. al governo in materia di tutela delle bellezze panoramiche (artt. 4 e 6, l. 29 giugno 1939, n. 1497; art. 13 R.D. 3 giugno 1940, n. 1357).
Ai r. gerarchici impropri si applicano, in mancanza di disposizioni particolari, le regole dei r. gerarchici propri.
2. Il r. straordinario al presidente della Repubblica è un rimedio amministrativo di carattere generale (sempre possibile), ma alternativo rispetto al r. giurisdizionale (ai Tribunali Amministrativi Regionali), ammesso contro gli atti amministrativi definitivi, per soli motivi di legittimità, per far valere qualsiasi tipo di tutela assicurata dall'ordinamento agl'interessi (diritti soggettivi e interessi legittimi).
Il r. dev'essere proposto entro centoventi giorni dalla data della notificazione o della comunicazione o comunque della conoscenza, da parte dell'interessato, dell'atto impugnato. Entro detto termine il r., indirizzato al presidente della Repubblica, dev'essere sia notificato ad almeno uno dei controinteressati (salva l'integrazione nei confronti degli altri, che dev'essere disposta dal ministero istruente) sia presentato, notificato, oppure spedito (mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento), al ministero competente per materia ovvero all'organo che ha emanato l'atto impugnato, il quale lo trasmette al ministero competente.
I controinteressati possono presentare, entro sessanta giorni dalla ricevuta notificazione del r., deduzioni e documenti ed eventualmente proporre r. incidentale; possono altresì, entro lo stesso termine, chiedere che il r. sia deciso in sede giurisdizionale. In questo caso il ricorrente deve riproporre il r. innanzi al TAR competente. Se i controinteressati non esercitano tale facoltà il r. rimane nella sede amministrativa (ricorso al Capo dello Stato).
Correlativamente e viceversa, se qualsiasi interessato impugna l'atto, entro i sessanta giorni, dinanzi al TAR, è precluso per tutti gli altri interessati il r. straordinario al Capo dello Stato.
Il ministero competente (o la presidenza del Consiglio, cui il r. va presentato quando non sia identificabile il ministero competente per materia) deve trasmettere entro centoventi giorni il r. al Consiglio di Stato, perché questo esprima il proprio parere circa la fondatezza del ricorso. Il parere del Consiglio di Stato viene pronunciato dalla sezione (consultiva) o dalla commissione speciale cui il presidente lo abbia assegnato; la sezione o la commissione speciale, tuttavia, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o può dar luogo a contrasti giurisprudenziali, può rimettere il r. all'Adunanza generale. Il Consiglio di Stato può disporre l'integrazione del contraddittorio e una maggiore completezza istruttoria; dopo di che esprime il proprio parere. Questo, oltre che obbligatorio (dev'essere sentito), è anche vincolante (la decisione sul r. dev'essere conforme al parere). Tuttavia, se il ministero intende proporre una decisione difforme da detto parere, la possibilità esiste, ma è necessaria una motivata deliberazione del Consiglio dei ministri.
La decisione del r. è adottata con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del ministro competente, e deve contenere espressa menzione del parere del Consiglio di Stato e dell'eventuale deliberazione difforme del Consiglio dei ministri.
La decisione del r. può essere impugnata soltanto per revocazione, nei casi stabiliti dal codice di procedura civile. Può, inoltre, essere impugnata dinanzi al TAR competente, ma soltanto per vizi formali-procedimentali afferenti alla stessa decisione del Capo dello Stato, non per riesaminare il merito del r. (straordinario) proposto contro l'atto amministrativo.
Bibl.: F. Cammeo, Commentario delle leggi sulla giustizia amministrativa, I, Milano 1911, p. 488 segg.; V. E. Orlando, Trattato di diritto amministrativo italiano, ivi 1923, p. 416 seg.; O. Ranelletti, Le guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione, ivi 1937, p. 203 seg.; E. Guicciardi, La giustizia amministrativa, Padova 1954, p. 99 seg.; G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, Milano 1954, p. 53 seg.; S. Nai, Il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ivi 1957; M. Bosco, Natura e fondamento del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ivi 1959; A. Piras, Interesse legittimo e processo amministrativo, II, ivi 1962, p. 553 seg.; M. S. Giannini, La giustizia amministrativa, Roma 1964, p. 38 seg.; P. Jaricci, Il ricorso gerarchico improprio, Milano 1970; P. Virga, La tutela giurisdizionale nei confronti della Pubblica Amministrazione, ivi 1971; id., I ricorsi amministrativi, ivi 1972; A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli 1973, p. 811 seg.