ricuscire [per la grafia, v. Petrocchi, Introduzione 443]
Nel settimo girone del Purgatorio i lussuriosi espiano il loro peccato camminando nel fuoco e alternando il canto di un inno sacro con grida di esempi di castità e di lussuria: con tal cura conviene e con tai pasti / che la piaga da sezzo si ricuscia (Pg XXV 139).
Il valore del verbo è così chiarito dal Buti: " Si ricucia; cioè s'emendi e saldi, come si salda et emenda la ferita poi che è ricucita; o volliamo dire che ricucia si ponga qui impropriamente per saldare, cioè si risaldi; imperò che co le virtù si risaldano le piaghe dei vizi ".
La metafora ha lontane origini bibliche e patristiche: nel corpo del popolo eletto, venuto meno alla fedeltà per Jahve, Isaia (1, 6) vede " vulnus et livor et plaga tumens non... circumligata nec curata medicamine nec fota oleo "; con un'immagine tratta da Agostino (Serm. XVIII " illa percussit, ista sanavit "), il peccato originale è la piaga che Maria richiuse e unse / ... Eva aperse e ... punse (Pd XXXII 4-6; nel primo luogo qualche codice legge anche ricuse, " ricucì ").
D'altra parte, cura (il fuoco) e pasti (l'inno e gli esempi) richiamano i tre modi di ‛ cura ' medica definiti da Isidoro (Etym. IV IX 2) " Pharmacia... Chirurgia... Dieta "; come osserva il Mattalia, si ricuscia, pertanto, non vale semplicemente " si cicatrizzi ", ma piuttosto " si rimargini, in seguito alla ricucitura, e previa terapia a fuoco ", secondo i due mezzi, il ferro e il fuoco, tradizionali della chirurgia medievale.