ridire (ridicere in Vn XXVI 3)
Attestato 3 volte nella Vita Nuova e 9 nella Commedia, indica l'azione di " dire di nuovo ", per riferirla, una cosa detta precedentemente (Vn XXIV 9 12 sì come la mente mi ridice, / Amor mi disse: " Quell'è Primavera... "; e XIX 16; Pg V 103 Io dirò vero, e tu 'l ridi tra' vivi; If VI 113 parlando più assai ch'i' non ridico), e di comunicare altrui una propria esperienza o impressione, quasi che questa avesse una prima volta parlato al soggetto che la provò (Vn XLI 12 9 Vedela tal [Beatrice], che quando 'l mi ridice, / io no lo intendo; Pd XVII 116 ho io appreso quel che s'io ridico, / a molti fia sapor di forte agrume; XXXI 45), specialmente in contesti in cui si mette in luce la difficoltà o l'impossibilità della comunicazione stessa.
Si veda infatti Vn XXVI 3 quelli che la [Beatrice] miravano comprendeano in loro una dolcezza... tanto che ridicere non lo sapeano; If I 10 Io non so ben ridir com'i' v'intrai; Pd I 5 vidi cose che ridire / né sa né può chi di là sù discende; XXVII 13.
In Pd XXIV 24 intorno di Beatrice / [s. Pietro] si volse con un canto tanto divo, / che la mia fantasia nol mi ridice, la comunicazione è figurata tra il ricordo di D. e D. stesso.
R. significa " dire a propria volta ", " rispondere ", in Pg V 19 Che potea io ridir, se non " Io vegno "? / Dissilo (cfr. i vv. 11-13 disse 'l maestro... / Vien dietro a me, e lascia dir le genti...), e " insistere ", " continuare a dire ", in If XXVII 100 E' [Bonifacio VIII] poi ridisse: " Tuo cuor non sospetti; / finor t'assolvo... " (cfr. v. 98 domandommi consiglio, e io tacetti).
V. anche DIRE.