Scott, Ridley
Regista cinematografico inglese, nato a South Shields (Tyne and Wear) il 30 novembre 1937. Esponente di una generazione di registi formatasi in televisione negli anni Sessanta e Settanta, S. rimane una delle figure più controverse. Nel panorama della critica risaltano infatti pareri discordanti sull'autorialità del regista e, tranne pochi casi (per es., il suo film d'esordio The duellists, 1977, I duellanti, che ottenne al Festival di Cannes il premio della giuria per la migliore opera prima), i suoi film sono stati quasi sempre oggetto di discussione. S. ha ottenuto i maggiori consensi con opere come Alien (1979), Blade runner (1982), o Thelma & Louise (1991) i cui motivi di successo, secondo alcuni critici, appaiono indipendenti dalle sue scelte registiche, improntate essenzialmente a realizzare effetti visivi e scenografici di grande impatto. Blade runner, per es., oltre a essere diventato un cult movie, oggetto di innumerevoli analisi socio-estetiche, cinefile e letterarie, continua a mantenere una sua vitalità grazie a una messa in scena articolata fra noir e fantascienza, che reinterpreta sul piano architettonico il moltiplicarsi allucinatorio di mondi e dimensioni proprio della scrittura di Ph. K. Dick (dal cui romanzo Do androids dream of electric sheep? il film è tratto). La regia di S., a parere di molti critici, si rivela sbilanciata sugli aspetti scenografici, piuttosto che su invenzioni puramente filmiche (senza tuttavia dimenticare che solo negli anni Novanta S. è riuscito ad approntare un director's cut, che oltre all'aggiunta di alcune sequenze, elimina la voce off e il finale conciliante imposti dalla produzione all'epoca della prima uscita del film). È questo un motivo formale che ritornerà in film successivi, a dimostrazione di un modo di organizzare le immagini calibrandone il ritmo e la luce più sul set scelto come riferimento che non su uno sguardo autonomo e personale.
Dopo aver frequentato prestigiosi college inglesi come il West Hartpool College of Art e il London's Royal College of Art, all'inizio degli anni Sessanta S. fu assunto alla BBC come set designer di alcune serie televisive (per es. R3, 1964, o Out of the unknown, 1965). Quasi subito tuttavia venne promosso alla regia e iniziò la sua carriera dirigendo i serial polizieschi Z cars (1962), Adam Adamant lives! (1966) e The informer (1966). Negli anni Settanta fondò la Ridley Scott Associates (RSA), attraverso la quale produsse e realizzò diversi spot pubblicitari per le televisioni europee. Nel 1977 avvenne il suo esordio nella regia cinematografica con The duellists, tratto da un racconto di J. Conrad, che rimane il film visivamente più personale di S. e in cui il gioco narrativo del duello reiterato all'infinito, senza più conoscerne le ragioni, viene spostato su uno spettro visivo impazzito, capace di trasformare i corpi dei due protagonisti (Keith Carradine e Harvey Keitel) in fasci di luce puri, traiettorie danzanti nello spazio, variabili sghembe del movimento. Quanto The duellists vive della mobilità che lo anima, tanto Alien ‒ primo capitolo di una saga scritta fra gli altri da Walter Hill ‒ riflette sulle forme della mostruosità interiore ed esteriore, endogena e aliena, che entrano in tensione tra loro, racchiuse in spazi claustrofobici. Il chiaro spostamento di senso dato al genere ‒ fantascienza che vira prepotentemente verso l'horror ‒ trova inoltre il suo luogo di materializzazione fisica nell'inedito ergersi a protagonista dell'elemento femminile (Sigourney Weaver), una scelta ricorrente di S., ripresa nella fuga infinita delle due protagoniste (Susan Sarandon e Geena Davis) in Thelma & Louise e nel durissimo corpo a corpo con la violenza della vita militare intrapreso proprio da una donna (Demi Moore) in G. I. Jane (1997; Soldato Jane).
Per S. Blade runner, suo terzo lungometraggio, ha costituito anche una fase espressiva difficile da superare. L'aspetto figurativo basato sull'ipotesi frammentaria, incerta, claustrofobica, di un oscuro futuro metropolitano, si è poi riverberato, quasi come se S. non riuscisse più a liberarsene, sul tipo di visualità costruita per film come Someone to watch over me (1987; Chi protegge il testimone) e Black rain (1989; Black rain ‒ Pioggia sporca), due thriller che hanno avuto comunque il merito (soprattutto il secondo) di bilanciare con suggestive scelte visuali certe intrinseche banalità del racconto. E non è un caso che l'opera in cui più S. ha cercato di cancellare la gabbia dell'immaginario proposto con Blade runner, sia proprio quella immediatamente seguente: Legend (1985). Film che nello scontro favolistico fra Bene e Male, simbolicamente raffigurato dall'opposizione buio/luce, opta radicalmente per la luce (almeno quanto Blade runner viveva delle tenebre in cui era immerso), concentrandosi sulla costruzione di ogni singola immagine per enfatizzarne la preziosa luminosità anche a scapito del coinvolgimento dello spettatore nell'avventura fantasy (di qui le accuse di freddo manierismo rivolte al film). Dopo aver abbandonato di nuovo le atmosfere urbane con il road movie epico Thelma & Louise e a causa del fallimento del kolossal 1492: Conquest of Paradise (1992; 1492 ‒ La scoperta del Paradiso), S. con White squall (1996; L'Albatross ‒ Oltre la tempesta) e G. I. Jane è sembrato voler collocare il suo cinema in una diversa dimensione. Due piccoli film sottovalutatissimi, che invece danno la misura delle potenzialità e insieme dei limiti di Scott. Laddove non può esercitare le proprie ossessioni e predilezioni scenografiche e deve puntare tutto sui corpi, sulla possibilità che dal loro incessante stremarsi (dei giovani marinai alle prese con la prima vera tempesta nel primo caso, di una donna che combatte dall'interno ‒ uscendone sostanzialmente sconfitta e omologata ai codici più deteriori di comportamento maschile ‒ l'ideologia della violenza dell'addestramento militare) perché si generi la magia e si attui l'invenzione del segno cinematografico, S. ottiene opere oscillanti, rivelandosi ricco di talento ma raramente geniale, con esiti ambigui e romantici nei momenti migliori, didascalici e chiusi su sé stessi nei peggiori. Con Gladiator (2000; Il gladiatore) e Hannibal (2001) S. è tornato a dirigere due superproduzioni. Si tratta di due film non pienamente riusciti, nei quali tuttavia emerge una maggiore consapevolezza nell'accettare questa dimensione di 'regia scenografica' a lui così congeniale, cercando al tempo stesso un'evoluzione da quegli stessi schemi. In tal modo in Gladiator, piuttosto che una ripresa del genere peplum, vi è un interessante uso delle tecniche digitali per reinventare la messa in scena di un mondo scomparso; mentre in Hannibal, sequel di The silence of the lambs (1991) di Jonathan Demme, è notevole lo sforzo di sfruttare la location italiana (la struttura cunicolare della città di Firenze) come nucleo espressivo e architettonico insieme. Nel 2002 S. ha poi diretto il bellico Black Harwk dawn, ambientato nel 1993 durante un'operazione delle truppe statunitensi a Mogadiscio.
J.B. Kerman, Retrofitting Blade runner: issues in Ridley Scott's Blade runner and Philip K. Dick's Do androids dream of electric sheep?, Bowling Green (OH) 1991.
F. Matteuzzi, Ridley Scott, Roma 1995.
P.M. Sammon, Future noir: the making of Blade runner, New York 1996 (trad. it. La storia di un mito: Blade runner, Roma 1998).
R. Menarini, Ridley Scott: Blade runner, Torino 2000.