Riflessioni filosofiche sul cristianesimo: Clemente e Origene
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le dottrine gnostiche hanno in Alessandra d’Egitto un importante centro di diffusione. Con la fine del II secolo, però, nella stessa città nasce e si rafforza una reazione dell’ortodossia cristiana che trova in Clemente e Origene le maggiori figure di riferimento.
La città di Alessandria è il più importante centro di elaborazione e di diffusione delle dottrine gnostiche (dal greco gnosis, conoscenza), considerate dal corpo ecclesiastico, fino al sorgere dell’arianesimo, come l’eresia per eccellenza. Lo gnosticismo si basa in primis su un dualismo ontologico, su un antagonismo irriducibile fra il bene e il male, la luce e le tenebre, lo spirito e la materia: di qui ha origine negli gnostici un atteggiamento negativo nei confronti del cosmo, ritenuto appartenente alla sfera materiale e dunque creazione e sede delle potenze diaboliche. In secondo luogo, gli gnostici si considerano i soli ad aver ricevuto in se stessi una scintilla divina e ad esser divenuti consapevoli – grazie alla rivelazione – della loro situazione privilegiata, rendendosi quindi idonei alla salvezza finale. E tuttavia, all’interno del cristianesimo alessandrino esistono anche altre correnti dottrinali, tant’è che a partire dagli ultimi decenni del II secolo la città è teatro di una vera e propria controffensiva antignostica, che vede in prima linea la figura di Clemente Alessandrino e, in un secondo tempo, quella di Origene.
Clemente nasce ad Atene verso il 150, ma la sua attività filosofico-religiosa si esplica ad Alessandria fra il 180 e il primo decennio del III secolo. Muore in Asia Minore, dove si è rifugiato per evitare una persecuzione, tra il 211 e il 215. Come dimostrano i suoi scritti, in cui sono citati ben 348 autori antichi (tra cui, per 600 volte, Platone), ha senza dubbio un’educazione classica. Più difficile è invece stabilire se abbia fatto parte del clero alessandrino: in effetti, una lettera di Alessandro, vescovo di Gerusalemme (morto nel 251), riportata da Eusebio di Cesarea nella sua Storia ecclesiastica (VI 11, 6), definisce Clemente come presbyter, e tuttavia, dalle pagine di quest’ultimo emerge non di rado una forte polemica proprio nei confronti dei presbyteroi di Alessandria.
Secondo Eusebio (Storia ecclesiastica V 10, 1-4; 6, 6), Clemente sarebbe stato alla guida del Didaskaleion (scuola) di Alessandria, un’istituzione ufficiale inserita nel contesto ecclesiastico e posta sotto il controllo episcopale, e avrebbe avuto per successore nel medesimo incarico Origene. In realtà, studi recenti hanno dimostrato che una scuola con simili caratteristiche al tempo di Clemente non esisteva, mentre si può ipotizzare la presenza in città di un centro privato di studi cristiani senza alcun rapporto di dipendenza o subordinazione con la comunità cristiana locale. Clemente si trova a operare in questo tipo di ambiente, dal quale, nell’epoca di Origene, nasce appunto il Didaskaleion.
L’opera principale di Clemente sono gli Stromati (alla lettera “tappeti”, “tappezzerie”: termine utilizzato per indicare le miscellanee erudite), il cui sottotitolo, Note gnostiche secondo la vera filosofia, chiarisce meglio il quadro filosofico-religioso nel quale essa si inserisce. Si tratta di un testo appartenente al genere letterario “ipomnematico” (da hypomnemata, “appunti”) che, in quanto tale, richiede uno specifico contributo da parte del lettore, le capacità intellettuali del quale vengono direttamente chiamate in causa. Di conseguenza, gli Stromati sono in qualche modo un’opera esoterica, volutamente disorganica, ma in linea con la tradizione filosofica antica, che prevedeva una produzione a uso esclusivo della scuola e destinata alla discussione fra allievo e maestro. Il suo nucleo fondamentale è l’accurata selezione di una gerarchia di testi biblici, a partire dalla quale sono articolate e organizzate le concezioni teologiche dell’autore, venendo a formare un sistema teologico-filosofico assolutamente coerente, che ha al centro la concezione della fede (pistis), l’idea di “gnosi” e di gnostico, il concetto di simbolo e allegoria, il culto cristiano e il martirio. Per Clemente, però, la vera “gnosi” è qualcosa di molto diverso dalle classiche dottrine gnostiche, delle quali egli utilizza il lessico e le strutture fondamentali del ragionamento sempre in chiave polemica: a suo parere, infatti, gli gnostici sono i principali avversari dei cristiani per la loro devianza dal messaggio apostolico.
Punti centrali della polemica antignostica di Clemente sono la distinzione fra il Dio giusto dell’Antico Testamento e il Dio buono del Nuovo Testamento, e la presenza di diverse nature fra gli uomini. Se egli respinge completamente il primo dei due punti, affermando con forza l’esistenza di un unico Dio che è insieme giusto e buono, il secondo, pur rifiutato sulla scorta dell’affermazione di san Paolo dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti a Dio, gli ispira una linea di riflessione originale. Essa prende le mosse dalla sua esperienza di maestro, costretto a misurarsi con la disparità di impegno e di esiti riscontrabile nei suoi allievi, solo pochi dei quali sono disposti a lavorare duramente per superare i limiti dell’istruzione elementare. Anche se tale constatazione sembra avvalorare la pretesa degli gnostici di costituire un’élite superiore per natura rispetto agli altri uomini e agli stessi membri della comunità cristiana, non è questa la via seguita da Clemente, che ripropone il doppio livello teorizzato dalla gnosi, rifiutando però l’idea chiave dello gnosticismo, secondo cui esso corrisponde a una distinzione ontologica di natura, affermando invece che la distinzione si basa sul libero impegno della volontà: a ogni cristiano è aperta la possibilità di progredire dalla semplice fede alla fede resa consapevole dalla vera gnosi. Clemente definisce appunto “vero gnostico” colui che, imitando il proprio maestro, raggiunge questa meta, rendendosi simile a Dio; a costui si contrappone il “falso gnostico”, ingannato dall’errore di una dottrina eretica. Il progresso in questione è possibile a tutti i cristiani, anche se solo pochi, a prezzo di impegno e fatica, vi si avventurano. Si tratta di un processo dialettico e ascetico di chiara ascendenza platonica: l’anima del credente, illuminata dal logos divino e guidata dal maestro alla sempre più approfondita conoscenza delle Sacre Scritture, si spoglia gradualmente dal peso del corpo e delle sue passioni e ascende dalla molteplicità del mondo all’unità impassibile di Dio. Lo gnostico è tale perché è capace di vivere nella speranza cristiana riducendo lo spazio che lo separa dal futuro, cioè dal compimento della speranza nell’amore, e dall’intelligibile, cioè dalla contemplazione. “Cristo”, scrive Clemente, “è il principio e la fine. I due estremi, il principio e la fine, non si insegnano e sono la fede e l’amore: ma la gnosi, trasmessa per tradizione, è affidata come un deposito, per grazia di Dio, a quelli che si rendon degni del suo insegnamento. È detto infatti: ‘A chi ha, sarà dato in aggiunta’ (Mt 25, 29): alla fede la gnosi, alla gnosi l’amore, all’amore l’eredità. E ciò avviene quando uno si fa dipendente dal Signore per fede, per gnosi, per amore, e ascende con Lui là dove è il Dio e Custode della nostra fede e del nostro amore”.
La polemica di Clemente contro la gnosi “eretica” ha un grande successo e indebolisce notevolmente il movimento gnostico; tuttavia essa ha anche l’effetto di contribuire all’irrigidimento dottrinale e gerarchico della Chiesa alessandrina, tra le cui conseguenze vi è l’energico compattarsi della comunità a spese del frazionamento preesistente, fonte di divisione ma anche garanzia di pluralismo, promosso soprattutto dal patriarca Demetrio. Paradossalmente, questo cambiamento di clima, in gran parte prodotto dall’attività di Clemente, ha ripercussioni fortemente negative anche sulla sua scuola, che i leader del processo di unificazione della Chiesa locale desiderano controllare più strettamente di quanto non sia avvenuto in passato. È probabilmente a causa di tale svolta autoritaria, e non, come si è spesso erroneamente sostenuto, per la persecuzione di Settimio Severo che Clemente, negli anni iniziali del III secolo, abbandona Alessandria, senza farvi mai più ritorno.
Chi volesse conoscere nei dettagli le vicende biografiche di Origene, uno dei più brillanti e “sovversivi” teologi della storia della Chiesa può rivolgersi al VI libro della Storia ecclesiastica di Eusebio, quasi interamente dedicato alla sua figura.
Origene nasce intorno al 185, probabilmente ad Alessandria, da genitori cristiani, che lo avviano allo studio delle Sacre Scritture. Intorno ai diciotto anni subisce un trauma terribile: suo padre, infatti, durante la persecuzione di Settimio Severo (202-203) viene condannato alla pena capitale. In questa occasione, Origene gli avrebbe scritto una lettera, esortandolo a non abbandonare la fede per la preoccupazione per i figli. Alla condanna a morte, si aggiunge la confisca dei beni, cosicché Origene, primo di vari fratelli, per mantenere la famiglia è costretto a fare il maestro di scuola. Ben presto, il patriarca Demetrio, lo stesso presule che, con la sua politica accentratrice, aveva indirettamente provocato l’abbandono di Alessandria da parte di Clemente Alessandrino, si accorge delle doti del giovane maestro e gli affida l’istruzione dei catecumeni. Origene si dedica al nuovo incarico con un entusiasmo straordinario (secondo Eusebio egli sarebbe giunto al punto di evirarsi per evitare le tentazioni derivanti dalla sua giovane età e dalla frequentazione della sua scuola da parte di giovani donne), e ha un enorme successo: la scuola dei catecumeni comincia a essere frequentata da un numero così alto di allievi che egli deve dividere la classe in due sezioni, affidando all’amico Eracla l’istruzione elementare e riservando per sé i corsi avanzati. Poiché la sua scuola è frequentata anche da pagani, Origene vuole approfondire la conoscenza della cultura filosofica greca, e segue per un certo periodo le lezioni di un filosofo platonico, Ammonio Sacca, che diviene poi il maestro di Plotino, fondatore del neoplatonismo.
Per Origene l’insegnamento è solo una parte della propria attività, ad esso si aggiunge l’esegesi biblica, alla quale egli dedica gran parte del tempo anche grazie al sostegno economico di un amico gnostico, il ricchissimo Ambrogio, che Origene converte all’ortodossia. Ambrogio mette tra l’altro a disposizione dell’amico un gran numero di scrivani e calligrafi che curino la pubblicazione delle sue numerosissime opere, tutte di altissimo valore filosofico e teologico. Oltre ai molti commentari scritturistici sono da ricordare il trattato dottrinale Dei princìpii e il celebre Contro Celso, confutazione di uno scritto anticristiano. Fra gli scritti non pervenuti fino a noi doveva essere di grande importanza il Commento al Genesi, incentrato sul racconto della creazione e sul tema del peccato originale.
L’elemento centrale della riflessione origeniana è quello della distinzione, di evidente origine platonica, fra mondo sensibile e mondo intelligibile. Compito del cristiano è dunque quello di innalzarsi dal livello della verità percepita dai sensi a quello della realtà spirituale: dalla lettera allo spirito della Scrittura, dalla natura umana di Cristo a quella divina. Come per Clemente Alessandrino, e a differenza di quanto sostenuto dagli gnostici, la salvezza non è riservata a pochi, ma è aperta a ogni popolo e a ogni ceto: tuttavia la fede razionale, basata sulla conoscenza, è superiore alla fede dei semplici, che è meno salda e può dipendere dal timore piuttosto che dall’amore nei confronti di Dio, e non mira alla conoscenza dei misteri divini. Di qui l’importanza dell’esegesi scritturistica, esplicata con un rigore filologico del tutto sconosciuto nella letteratura patristica dell’epoca. Nel culto dei propri testi il filosofo cristiano si pone in parallelo con i filosofi platonici, ma con la differenza che il testo biblico è ispirato direttamente da Dio. Secondo Origene esso ammette una pluralità di sensi: in particolare, l’Antico Testamento è una prefigurazione del Nuovo Testamento: nel loro insieme essi costituiscono un’unità che ha il suo fondamento nell’Unità divina, incorporea e inconoscibile nella sua natura. Agli uomini è possibile conoscere per via mediata la natura divina, in quanto il Dio-Padre genera nell’eternità il Figlio o Logos, che ha la stessa natura del Padre, benché gli sia subordinato. Questo “secondo Dio” conosce il Padre ed è fonte di conoscenza per gli altri esseri: il Logos è infatti mediatore tra Dio e il mondo, in quanto contiene gli “intelletti” – cioè i modelli – di tutte le cose create. Dal Logos, poi, procede lo Spirito Santo e tutto riceve il soffio vitale o pneuma. Secondo Origene la potenza di Dio non è illimitata, perché se fosse tale, essa non potrebbe neppure pensare se stessa. Dio, pertanto, crea tanti esseri quanti può contenere e raccogliere sotto la sua provvidenza e prepara tanta materia quanta ne può ordinare. Solo la sua bontà, infatti, lo spinge a creare. Per questo, Origene considera eterna la creazione, giacché la bontà di Dio non può restare inattiva: il mondo attuale è dunque conseguenza di altri mondi precedenti, così come altri successivi saranno conseguenza di esso. Questa tesi presenta evidenti affinità con quelle del platonismo contemporaneo, ma contrasta col racconto biblico della creazione e per questo attrae su Origene l’accusa di eresia.
Entro questo processo eterno si inscrive la storia delle anime: inizialmente esse sono create come intelletti puri, ma non tutte conservano la perfezione iniziale e, per orgoglio di autoaffermazione, ribellatesi a Dio, cadono nel peccato. La redenzione, ossia la liberazione dal peccato, coinvolge tutti gli esseri, non solo l’uomo: nessuno, neppure il diavolo, può esserne escluso, altrimenti la redenzione non sarebbe completa. Alla fine, dunque, tutti gli esseri saranno salvati: in ciò consiste quella che Origene chiama apokatastasis, cioè, letteralmente, “ristabilimento” della condizione originaria di perfezione in Dio. Essa tuttavia non sembra essere la conclusione ultima e definitiva, perché alcune affermazioni dell’autore lasciano pensare che, a suo avviso, dopo l’apokatastasis ricomincerà la vicenda eterna, anche se non totalmente identica alle precedenti, in quanto il libero arbitrio dei singoli continua a essere un fattore decisivo.
La fama di Origene continua a crescere: egli è invitato a tenere lezioni nella provincia di Arabia, alla corte di Antiochia, dove Giulia Mamea, madre dell’imperatore Alessandro Severo, ha espresso il desiderio di conoscere il giovane maestro, e in Grecia. Dopo varie vicende, Origene giunge a Cesarea di Palestina, dove i vescovi locali lo ordinano prete senza consultare il patriarca Demetrio. Quest’ultimo, invidioso dei successi di Origene e pieno di sospetti nei confronti delle sue dottrine, approfitta dell’occasione per metterlo sotto accusa. Subito dopo, due successivi concili dei vescovi e preti d’Egitto decretano l’espulsione di Origene dalla comunità cristiana. Egli si stabilisce allora a Cesarea, dove apre una nuova scuola e continua indisturbato la sua attività di insegnamento, fino all’epoca della persecuzione di Decio (251), quando è arrestato e torturato, ma ha salva la vita. Muore intorno al 253, dopo essersi forse riconciliato con la sua Chiesa. La sua impronta sul pensiero teologico cristiano e sulla riflessione filosofica della tarda antichità resta incancellabile.